MEMORIE DELLA ACCADEMIA DELLE SCIENZE DELL’ ISTITUTO DI BOLOGNA SERIE SECONDA TOMO IV. M0.B0 . arder.. DELLE DEFORMITÀ CHE DERIVANO ALLA PELVI DA DIVERSE MANIERE DI ZOPPICAMENTO. ■SOBRI* DEL PROF. CAV. GIAMBATTISTA FABBRI jNJe’ dieci anni che sono passati dacché nella nostra Università, insieme colla Scuola, mi fu affidato il Museo di Ostetricia, io sono riescito a radunare un sufficiente numero di pezzi , che rappresentano i vizi e le deformità principali della pelvi. Tra questi , parecchi sono di quel novero , la cui deformità è derivata da zoppicamento per malattia degli arti addominali. Non sono , a vero dire , moltissimi ; ma non sono neppure di numero cosi scarso che non se ne debba far caso ; essendo , per altra parte , noto abbastanza , come gli esemplari di questa specie non abbondino comunemente neppure ne* Musei , che hanno fama di grande ricchezza. Che se V abbondanza non può essere il pregio della nostra nascente collezione , possiamo nondimeno affermare che la varietà dei casi è maggiore di quello che si potrebbe aspettare. Tra i quali tiene sempre il primo posto la lussazione congenita dei due fe¬ mori associata coll’ obbliquità ovale del catino , che io pre¬ si ad argomento di una memoria speciale, che ebbi 1* ono¬ re di leggere nella nostra Sessione del 23 Febbraio 1860 (1). (1) Descrizione di una Pelvi obbliqua-ovale di Naegele con lussazione con¬ genita iliaca dei due femori; e considerazioni intorno alle cause e al modo di Giambattista Fabbri Nel qual lavoro vi diedi , è vero , un sentore degli studi che avevo fatti sulle deformità prodotte da zoppicamento ; ma postochè, d9 allora in poi, la nostra collezione col crescere mi ha fornito nuovi mezzi e nuove occasioni di perseverare nelle stesse ricerche; io vi prego che mi per¬ mettiate di tornare quest9 oggi, e con maggiore proposi¬ to, sul medesimo argomento. I pezzi patologici riferibili alle alterazioni del catino cagionate da zoppicamento per infermità degli arti inferio¬ ri , si raccolgono naturalmente in due gruppi distinti. Uno abbraccia i casi di zoppicamento doppio o bilaterale ; l9 al¬ tro , quelli di zoppicamento che ebbe luogo da un lato solo. II Museo possiede sette pezzi del primo genere ; ma io ne ho studiato anche un altro , che mi è stato favorito dal Sig. Dott. Belluzzi medico ostetrico della Maternità , e che appartiene a quello Stabilimento. Del secondo ge¬ nere ne possediamo sei. Io comincierò dai bacini viziati dallo zoppicamento uni¬ laterale. Ne9 sei casi di questo genere che sono nel nostro Museo (1) si vede a colpo d9 occhio che lo zoppicamento, in due, derivò da lussazione posteriore del capo del femo¬ re; in altri quattro, da malattia dell’articolazione dell9 an¬ ca. La quale malattia , prima che l9 articolazione fosse aper¬ ta dallo scalpello anatomico, non mi fu dato riconoscere chiaramente per quella che era. L9 aspetto della regione della giuntura cosso-femorale aveva grandissima somiglianza con quello che è proprio delle antiche fratture del collo del femore; e l9 accorciamento e l9 atteggiamento dell9 ar¬ to davano sospetto di questa medesima cosa. La necrosco- prodmi delle deformità che vi sono = Mem. dell’ Accad. delle Scienze del- m Tl ??0gna’ Sene I. Tomo XI. da pag. 3 a 104 an. 1861 =. pi- | • « Jrqo!?? Cat,D1 s?no raPPresentati nella qui unita Tav. l.a dalla g. . aita rig. 9. , essendosi rappresentato ogni catino in tre diversi aspetti. Deformità della pelvi ec. pia sola potè scoprirci appieno la verità. Ciò che trovam¬ mo in due di questi lo diremo di presente ; degli altri due mi riserbo parlarvi più innanzi. Aperto dunque il legamento capsulare, si trovò in quei due che la cavità cotiloidea era colmata da una produzio¬ ne ossea che ne aveva cancellata qualunque traccia , e si prolungava alcun poco in alto e all9 indietro. E quanto al capo e al collo del femore , questi pure erano scomparsi , e nel loro posto esisteva una produzione ossea poco spor¬ gente, ma lunga quanto è lo spazio che scende dalla som¬ mità del grande, sino a comprendere tutto il piccolo tro¬ cantere. La giuntura del femore coll9 osso innominato ve- desi perciò convertita in una specie di diartrosi pianale le due superficie, sono cosparse di molti forellini, e man¬ cano della cartilagine d9 incrostamento. In uuo dei due pezzi le due facce delia nuova articolazione sono veramente piane (1) ; nell9 altro sono lievemente ondeggiate ma si com¬ baciano a perfezione (Tav.l.Fig. 3). Manchiamo della sto¬ ria anamnestica di queste due artropatie ; e questo solo ho - potuto arrivare a sapere , che la persona di quest’ultimo caso aveva zoppicato sino dalla sua fanciullezza. Nell9 età adulta lo zoppicarnento, che già esisteva, si aggravò per 1 aggiunta di una frattura nel mezzo del femore, la quale si riunì con accavallamento vistosto dei due pezzi, rima¬ nendo l9 inferiore ai disotto , e col ginocchio spostato al- l9 infuori. Questo pezzo patologico non fu per vero tratto dal corpo di una donna, ma per la quistione che mi sono proposta, ho reputato che la differenza del sesso non fosse giusto motivo di escluderlo dalle mie indagini; posto che le al¬ terazioni che lo zoppicarnento può imprimere nel catino vi sono stampate a meraviglia. Io lo ebbi dallo Spedale del Ricovero e fu cavato dal corpo d9 un uomo di 61 an¬ ni, per nome Antonio Sarti, morto nel Febbraio del 1863. il)9/^r,VTc°Jr0V,aS,Ì ?es'ri“.°. e raPPr«entato nella mia Memoria Iella ag 201 1 221 * Maeniorie sn sebbene subisca la induzione » dalla elettricità debole della resina di un elettroforo , » tuttavia non riesce a diminuire questa elettricità mede- » sima : perciò ne viene òhe la indotta non ha tensione , » e che dalle puntò non esce la indotta stessa per neutra- » lizzare la inducente 4 contro quanto generalmente si ri- » tiene avvenire da parte delle punte, che formano il » pettine presso al disco delie macchine elettriche ». Il prof. Volpiceli! 4 facendo questa deduzione , non pone niente , che altro è il caso delle punte comunicanti col suolo, ed altro è il caso delle punte isolate; e viene co¬ me a dare una nlentita al dott. Fabri , che , nel difender¬ lo, si era ingegnato di dire, che dalla teorica seguita da esso Volpiceli! non segue la inutilità delle punte nelle macchine elettriche ec. Quando una punta è sotto F induzione, avviene in essa, come in ogni altro conduttore , che nella sua estremità vicina alla elettricità inducente accorre V elettricità indot¬ ta , e nella estremità lontana F attuata ; e che quando la punta comunica col suolo , F elettricità indotta si porta sulla elettricità inducente e almeno in parte la neutraliz¬ za, e F elettricità attuata attira dal suolo F elettricità omologa all’ indotta e riprende lo stato naturale. L’ elet¬ tricità inducente se non è stata tutta quanta neutralizza¬ ta, col suo eccesso esercita subito dopo una nuova indu¬ zione sulla punta , che immantinente ritorna allo stato elettrico di prima , portandosi la sua elettricità indotta a neutralizzare un* altra parte della inducente , ed assorben¬ do F attuata altra elettricità dal suolo per tornare novel¬ lamente allo stato naturale ; e di questa guisa si va in¬ nanzi , insino a tanto che V elettricità induttrice è tutta stata neutralizzata , e resta perciò finita F induzione. Ma se la punta è isolata, come nel sopraddetto elettrometro ; mandato che abbia alla elettricità induttrice la sua elet¬ tricità indotta ( e basta a ciò un minimo istante ) , non Lorenzo Della Ca3a 46 gliene può mandare di più e farla sempre maggiormente diminuire; e la sua elettricità attuata, come quella che per F isolamento della punta non può neutralizzarsi con altra assorbita dal suolo, rimane in basso a far divergere le paglie dell* elettrometro. Questo è ciò appunto che è av¬ venuto nella esperienza ultimamente descritta: l’elettroforo, che nel suo primo avvicinarsi alla punta dell’ elettrometro non può non aver provato un piccolo indebolimento di carica ( abbenchè per essere questo avvenuto istantaneamen¬ te e nel principio dell’ esperienza , cioè prima d’ aver pre¬ so a fare confronti, sia passato inosservato), non ha po¬ scia provato altro indebolimento, non per mancanza di tensione nella elettricità indotta della punta, ma perchè questa si era portata tutta su quello sino dal primo istan¬ te della esperienza , e non era più rimasta sopra la punta. La 7. 3 esperienza , considerata in quanto si riferisce alla tensione dell’ elettricità indotta, è fatta nel seguente mo¬ do. Lateralmente ad una delle punte della macchina elet¬ trica a disco di vetro se ne applica un’ altra assai mino¬ re , isolata ed allo stesso livello. Messa dipoi in azione la macchina, e mentre questa azione dura, si porta la pic¬ cola punta, così isolata com’ è, presso un elettroscopio, e poscia si trova che è carica della elettricità del disco. » Ciò dimostra ( come conchiude il Volpicelli .) che dalle » punte non esce la indotta, e che perciò questa non ha » tensione; perchè il positivo trovato sulla brevissima pun- » ta deve necessariamente occupare Io stesso luogo che » occupa sulla medesima il negativo indotto , il quale se » avesse tensione si sarebbe dovuto manifestare all’ elet- » troscopio ». Io non so vedere tra il conduttore con punte della mac¬ china elettrica e la piccola punta laterale nessun’ altra dif¬ ferenza , di quella all’ infuori , che è tra un grande ed un piccolo conduttore : e come il grande , in virtù della indu¬ zione, si carica della elettricità del disco , così deve caricarsi della stessa elettricità, come didatti si carica, anche 1’ altro, ossia la piccola punta laterale. È poi singolare che siasi in¬ ferito, che dalle punte non esse 1’ elettricità indotta e non Sulla induz. -elettrostatica 47 ha per conseguenza tensione, pel motivo , che l’elettro¬ scopio non ha potuto manifestarla sulla piccola punta an- zidetta; mentre pare che sarebbesi dovuto più presto infe¬ rire 1’ opposto ; e vale a dire : che non ha potuto mani- festarvela, perchè, stante 1* attrazione provata per parte della elettricità induttrice e la sua propria tensione, ne era già uscita prima. Ora passando all’ esperienza 8.a si noti , che per essa si è adgperato il piano di prova, ed è stata fatta coll’ inten¬ dimento soprattutto di mostrare , che V elettricità attuata si ti'ova persino sulla estremità del conduttore indotto la più vicina al corpo inducente. Non uno soltanto, ma varii sono stati i piani di prova adoperati ; i quali , non considerando che i veri differenti , si riducono a sette. Applicati questi sulla predetta estre¬ mità del conduttore indotto, quattro « si caricarono sempre di elettricità contraria della induttrice » ossia di elettricità indotta, e tre « si trovarono sempre carichi di elettricità omo¬ loga della induttrice » cioè di elettricità attuata. Vedesi pertanto che, stando al numero , 1’ esperienza non è punto tornata in favore di quest’ ultima elettricità. Perchè poi il piano di prova possa servire acconciamente allo scopo pel quale s’ impiega, conviene che rappresenti la superficie elettrizzata nel punto nel quale la tocca ; e quindi ( come già dissi nella seconda delle sopraccitate mie Memorie) le si deve applicare a perfetto contatto senza produrre rilievo sensibile su di essa , sendo perciò mestieri che sia piccolo, sottilissimo e cedevolissimo per potersi adattar tutto sulla superficie toccata, massime quando , come generalmente avviene , sia curva ; e deve inoltre venirne separato istantaneamente e senza stropicciamento veruno. I tre piani di prova che diedero al prof. Volpicelli indizi d’ elettricità attuata dopo avere toccato la sopradetta estre¬ mità del conduttore indotto , mancavano delle indicate con¬ dizioni , all’ effetto principale ne aggiungevano altri che pro¬ ducevano alterazione nel risultato finale, e non potevano perciò condurre alla conclusione , che si è voluta trarre a preferenza da essi , che dagli altri di numero maggiore , e 48 Lorenzo Della Casa de* quali inoltre uno fu de5 migliori che mai, come si dirà fra poco: non potevano, cioè, dar prova del trovarsi 1» elettricità attuata anche sulla estremità del conduttore indotto la più vicina al corpo induttore. Al piano di prova si è sempre avuto ricorso tra per la semplicità e facilità del suo uso , e tra per la mancanza di altro mezzo più idoneo a bene esplorare e misurare, durante l’induzione, l’elettricità delle diverse parti del conduttore indotto. Se ne potrà fare di meno , se ,. ces¬ sata F azione induttrice, potrà farsi perdurare sul cilin¬ dro indotto , o almeno su quella sua parte che si vorrà preferire d’ esaminare , quel medesimo stato elettrico , che 1’ indicata azione vi ha già prodotto. Io con questo divi- samento ho proceduto nel seguente modo. Il consueto cilindro indotto ( Tav. I, Fig. l.a), fat¬ to di lamina d’ ottone e posto sopra un piede isolatore, ho procurato che sia costituito , anziché d’ un sol pezzo , da due semicilindri longitudinali A e B, muniti lateral¬ mente di manichi isolanti M ed M' , e sì bene combacianti da non lasciare di mezzo a loro intervallo di sorta. Oltre a ciò ho fatto in guisa, che nella sua estremità, destinata ad essere rivolta verso il corpo induttore C, abbia un per¬ tugio circolare F del diametro di men d’ un centimetro , formato per metà nell’ uno dei semicilindri , per metà nel- 1’ altro , e comprendente a capello entro di esso un dischet¬ to D pure di ottone, convesso esteriormente e secondante per cosiffatta guisa la superficie del cilindro, da poterlo riguardar come parte del cilindro medesimo. Questo dischetto è , dal suo lato interno , attaccato all’ estremità d’ un can¬ nello di vetro coperto di vernice resinosa , disposto secondo 1’ asse del cilindro e fissato sul piede isolatore di questo. Traendo in parti opposte pei manichi dei due semiciiindri, questi che sono a puro contatto fra loro, vengono facilmente separati , e nello allontanarsi lasciano tutto solo il dischetto preindicato , come dà a vedere la Fig. 2.a Messo pertanto sotto 1 induzione il cilindro dal lato del dischetto, e allon¬ tanati tutto in un tratto i due semicilindri rimane sul di¬ schetto F elettricità prodotta dalla induzione , della quale Sulla induz. elettrostatica 49 coi mezzi elettroscopici si può indi conoscere agevolmente la specie. Operando appunto in cosiffatta guisa, ho sempre trovato sul dischetto un’ elettricità contraria a quella del corpo induttore ; e cioè sempre vi ho trovato dell’ elettri¬ cità indotta, e non mai la benché minima traccia di elet¬ tricità attuata. Un’ altra esperienza (che può tener vece dell’ ora de¬ scritta , ed è non meno importante e concludente ) si è quella del prof. Volpicelli, che si riferisce al primo de’ suoi primi quattro piani di prova summentovati , ed al quale, come ad un ottimo piano di prova, si è poco sopra accen¬ nato. Eseguisce il Volpicelli questa esperienza mediante « un piccolissimo dischetto metallico, incastrato per modo » nel cilindro indotto, da continuare la sua superfìcie. « Nel cèntro del cilindro medesimo è fissato delicatamente » F estremo di un sottilissimo filo di seta , per mezzo del » quale si può togliere isolato dall’ incastro, e portare a » contatto del bottone di un elettroscopio ». Questo è uno de’ mezzi, coi quali il prof Volpicelli ottenne segni di sola elettricità indotta, come già si è detto, sulla parte anteriore del cilindro indotto. È dunque dimostrato indubbiamente che F elettricità, che si manifesta sulla estremità del conduttore indotto la più vicina al corpo induttore, è di natura contraria alla elettricità induttrice, ed è, cioè, elettricità indotta e non attuata : tutto all’ opposto di ciò , che con piani di prova improprii e di minor numero è piaciuto di dedurre al prof Volpicelli (1). Benché 1* esame sino ad ora fatto delle nuove espe¬ rienze del Volpicelli abbia dato a vedere, che non valgono a provare che F elettricità indotta sia mancante affatto di (1) In un Opuscolo, testé divulgato, del Doti. Serra-Carpi = Sulla indu¬ zione elettrostatica . Roma = , e solo rivolto a lodare il prof. Volpicelli, è fatto gran caso di questa 8.a esperienza e della l.a già qui sopra esaminata; ma perchè nell’ opuscolo nulla è aggiunto a ciò che ne ha già detto il prof. Volpicelli, neppur qui è d’ aggiungere parola alle già dette superiormente, f No¬ ta aggiunta durante la pubblicazione della presente Memoria). Mo.Bc ftrdenf 50 Lorenzo Della Casa tensione, nè che F elettricità attuata si trovi eziandio sul- F anteriore estremità del conduttore indotto ; nulladimeno riputandole egli di molta importanza , e confortandosi, che se il giudizio di Matteucci, De la Rive, Verdet ed altri fisici non è stato in ultimo favorevole sulle altre sue esperienze (quelle che diedero materia alla seconda delle suaccennate mie Memorie), non era però stato dapprima contrario; resta fermo nella sua opinione, che F elettricità indotta sia senza tensione, e F'attuata sia diffusa su tutta la superficie del corpo esposto alla induzione ; come da; Melloni fu ammesso e da’ suoi fautori. E in ciò fermo dice, che il modo di distribuzione delle due elettricità durante F azione in¬ duttrice è il seguente : « Rappresentiamo con AB (Tav. IL » Fig. J.a) un cilindro conduttore isolato, ed indotto dal » globo metallico pure isolato C, carico di elettricità po- » sitiva inducente. Lo spazio compreso fra i limiti della » sezione cilindrica indotta AmnB, e la linea positiva oqsro , »> rappresenta lo strato elettrico distribuito sul cilindro me- » desimo, ed omologo della induttrice: questo elettrico » strato possiede tensione. Lo spazio poi compreso fra la se- » zione stessa e la linea negativa xyzhr , rappresenta lo » strato elettrico distribuito sulla cilindrica superficie stessa, » ed eteronomo della inducente : questo secondo elettrico » strato non possiede tensione affatto ». Come le due elettricità positiva e negativa , che sono essenzialmente dotate di reciproca forza attraente , possano rimanere frammiste tra loro , senza che si ricompongano allo stato naturale , è cosa assolutamente inconcepibile : ri¬ flettendo segnatamente, che tendono sempre con molta ga¬ gliarda ad unirsi , anche in distanza e attraverso ad osta¬ coli , 1 elettricità indotta e F attuata dei condensatori ; come dimostra suprattutto la scarica ordinaria della bottiglia di Leida , e vie più la sua scarica spontanea. Potrà ben ser¬ vire 1 indicata distribuzione all* intendimento di chi vor¬ rebbe far prevalere la nuova teorica della induzione elet¬ trostatica ; ma essa è in totale opposizione^ come notò già if prof. A. de la Rive (1), colle leggi le più accertate della (1) Récherches V influence électro-chimique - negli Archivei dei mence * » - Février 1859 pag. 187. Sulla induz. elettrostatica 51 meccanica,: giusta le quali 1* elettricità repulsa dalla indut¬ trice deve tutta portarsi nelle parti più lontane del corpo indotto e l’ attratta nelle più vicine, e tra 1* una e l’altra elettricità dev’ essere una linea di separazione. Poisson , i calcoli del ."quale (1) furono stabiliti sui risultati dell’ espe¬ rienze di Coulomb (2) riguardate dai più competenti fisici per esattissime, dimostrò che così deve avvenire: e insino a che non verrà con buoni argomenti provato eh’ egli errò ne’ suoi calcoli, o che il Coulomb non bene condusse le sue esperienze , mancherà il motivo per abbandonare una teorica generalmente seguita e che soddisifacentemente si presta alla spiegazione dei fenomeni, e molto più per adot¬ tarne un’ altra che non ha il vantaggio d’ una spiegazione migliore, non conta ormai più seguaci e, come fu notato di sopra, inchiude cose troppo difficili da concepirsi. Dissi di sopra, che il Melloni ed i suoi seguaci ricorsero all’ uso di lamine metalliche fatte comunicare colla terra, per riparare dalla induzione gli strumenti ( per esempio i pendolini) messi in opera per esplorare l’elettricità del corpo indotto ; e dissi eziandio , che se con questo mezzo trovavano anche nella parte anteriore di quello della elet¬ tricità omologa alla induttrice, là essa non era per ope¬ ra della induzione, ma in causa delle lamine; le quali, riparando anche una parte del corpo indotto , perturbava¬ no lo scompartimento elettrico, e 1’ elettricità omologa od attuata andava dove non sarebbe mai senza di quelle an¬ data. Per far patente questa verità, ho eseguito alcune facili esperienze, che passo brevemente a descrivere, Ho disposto , come vedesi ( Tav. II. Fig. 2.a ) , dinnanzi ad un globo metallico ed isolato C un cilindro parimenti metallico ed isolato AB ; non voltato, come d’ordinario (1) Mèmoire (l.re et 2.”“) sur la distribuction de V électricilé à la surf ace des corps conducleurs - nelle Mémoires de la Classe des Sciences mathématiques et physiques de l’ Inslitut Impérial de France. Année 1811. - Prémière Partie, p. 1. et p. 161. (2) Mémoires ( n.°* 6 ) etc. - nella Histoire de V Acadèmie Royale des Sciences - Année 1786, p. 669, 678 et 612 - Année 1786, p. 421. - et Année 1788. p. 617. 52 Lorenzo Della Gasa suol farsi, con una delle sue estremità contro il globo, ma di traverso; ed inoltre disposto per guisa, che il suo asse orizzontale e il centro del globo fossero alla medesi¬ ma altezza , e si trovassero rimpetto fra loro il centro di questo e il punto di mezzo di quello. Indi ho fatto uso , quando di due lamine di metallo L , Li comunicanti col terreno per mezzo di due fili metallici, e quando di una soltanto ; e talvolta anche non ne ho adoperato veruna. Ho cominciato senza le lamine : ed elettrizzato , mediante la macchina elettrica, di elettricità positiva il globo C, ho esplorato col sussidio del piano di prova e dell5 elet¬ trometro di Bohnerberger lo stato elettrico prodotto dat- 1* induzione del globo C sul cilindro AB. La ( Fig. 3/ ), che rappresenta una sezione orizzontale condotta per l5 as¬ se di questo , fa evidentemente conoscere come vi sieno distribuite le due elettricità : la positiva o attuata , la ne¬ gativa od indotta. Ho poscia ripetuto 1* esperienza, l.° coll5 interporre una delle due lamine al globo C ed alla parte di mezzo del cilindro AB: 2.° col mettere la sola lamina L' al punto denotato dalla ( Fig. 2.a ) ; e 3.° coll5 adoperare le due la¬ mine L, L ', disponendole nel modo che vedesi nella Fi¬ gura medesima. Quale poi sia stata in questi tre casi ri¬ spettivamente la distribuzione delle due elettricità , si fa manifesto dalle ( Fig. 4a, 5* e 6a ) , ognuna delle quali rappresenta una sezione ottenuta come quella della (Fig, 3a). Le tre predette ( Fig. 4a, 5a e 6a ) tolgono ogni dubbio sull5 influsso delle lamine riparatrici , e dimostrano che sulle parti riparate è sempre della elettricità omologa alla induttrice, ossia della elettricità attuata. Melloni adunque e i suoi seguaci, che usarono di tali ripari, non potevano non aver segni di questa elettricità nelle parti riparate qualunque, e perciò anche nelle parti anteriori del cilindro : e sicco¬ me li ebbero realmente , errarono allorché conclusero che l5 elettricità attuata era colà , non in causa degli usati ri¬ pari , ma della induzione. Avendo pertanto stabilito la lo¬ ro teorica dell5 induzion elettrostatica su questa conclusio¬ ne , non che sull5 altra , come si è detto superiormente , Meni. Ser 2! Tom. IV Della Casa - Induzione elcttroslalica.Tàv 1 Bella Casa - Induzione elettrostatica Tav. D. R. Bellini dir Life. ?" Campa ' j* f- Sulla induz. elettrostatica 53 della elettricità indotta priva di tensione; e non reggendo queste conclusioni , o vògliam dire il principio , su cui è fondata la detta teorica, nemmeno questa necessariamente regge : il perchè si può concludere colle seguenti parole di una lettera di Tommaso Du Moncel, scritta da Parigi a Roma il 30 dicembre 1862 al prof. Yolpicelli (11 : Il faut se garcler d’ inférer d’ expériences tout-à-fait particu- lìères 3 des dédnctions ayant pour résultat de renverser un ordre entier de phénomènes. (1) Corrispondenza Scientifica del 5 dicembre 1863, N.° 1 del Volume bettimo. DEI CRISTALLI DI GESSO NELLE ARGILLE NEL BOLOGNESE MEMORIA DEL PROF. DOMENICO SANTAGATA ( Leila nella Sessione 12 Aprile 1860). lì elle escursioni che ho fatte sui gessi delle nostre col¬ line ho avuto la sorte di rinvenire in più luoghi dei Cri¬ stalli di Gesso, formati dentro P argilla , dei quali posso parlare brevemente poiché si tratta di fatti e di osserva¬ zioni che possono in breve annunziarsi. I più singolari e mirabili sono quelli di Monte Donato: sono a mio parere un tesoro, poiché non si ha esempio nel mondo di una composizione o tessuto sì strano, ele¬ gante e magnifico di sì colossali cristalli quali son quelli che mi venne dato scoprire. In un di quei larghi ed altis¬ simi fianchi di monte tagliati giù a perpendicolo per esca- vazione dei gessi da lavoro, m’ accorsi di una fenditura nella quale luccicavano corpi in un modo particolare : era quella fenditura alP altezza di circa quaranta piedi dal piano : volli veder da vicino, e potei salire a quel luogo : la curiosità si fece allora molto maggiore vedendo ivi solo di sbieco una cavità dalla quale apparivan caduti di bei fran¬ tumi di gesso ; dinanzi da quella cavità vi sporgeva una falda ben grossa dell’ ordinario gesso del luogo , la quale Domenico Santa gata 56 si vide che si poteva facilmente atterrare con uno o due colpi di mina: ne diedi subito F ordine, e vi tornai F in¬ domani ad esser presente allo scoppio, il quale riuscito egregiamente scoperse la cavità con cristalli così interes¬ sante e sì bella che non vi so dire la maraviglia e il con¬ tento che n’ ebbi. Immaginate una vasta geode tagliata nel mezzo , di forma piramidata , della larghezza alla base incirca di un metro, di un metro e mezzo di altezza, ed altrettanto profonda , convergendo ad angolo piuttosto acuto le pareti di essa di faccia alla bocca od apertura anterio¬ re, e colle pareti all’ intorno di dentro tappezzate dovun¬ que di cristallini di gesso più o meno grandi lenticolari. Poi tutto il vano occupato di singolari ed immensi cristalli, dei quali non pochi dislogavansi da se stessi e cadevano , e n’ era già tutto occupato il fondo del vano; e in gene¬ rale que5 cristalli nel loro naturale inviluppo non aderi¬ vano insieme se non per gli appoggi che 1’ uno all’ altro prestava; perlocchè si potevano togliere e levar via senza fatica come di sopra a un sostegno che ad arte si fosse a loro costrutto. Niuna particolar direzione essi avevano, chè d’ ogni parte eran volti, a dritta a sinistra, in alto ed in basso, a traverso, per taglio o per piano , e s’ intreccia¬ vano assieme e non s’ impedivano il corso , ma F uno al- F altro cedeva di se dello spazio per dare un appoggio , e non sol s’ impiantava F un sopra il dorso od il fianco di un altro ma perforavansi ancora fra loro senza turbarsi punto le forme, quasi fossero intesi di dover essere amici e di aiutarsi a vicenda. Abbiamo in museo un bellissimo saggio di gesso cristallizzato di Sicilia che si può da ognu¬ no vedere, e che dà qualche idea di quella associazione di parti che ora descrivo. Avrei pur voluto portarmi via in¬ tero quel delizioso recinto, ovvero quel nido di sì concordi cristalli , e dargli sede condegna , chè là nel lor nido eran vivi que’ cristalli e qui invece son morti, benché mi sia adoperato a disporli di guisa che, rimanendo ancora i più ragguardevoli uniti tra loro o vicini, facilmente si vegga come potevano stare insieme , per così dire , da vivi : ne caricai di essi, legati e impagliati in canestri ed in casse, Dei cristalli di cesso 57 un intero biroccio e poscia in mia casa, scegliendo i mi¬ gliori, li accomodai sopra quelle tavole nelle quali si tro¬ vano, che messe insieme ricoprono una superficie di otto metri quadrati. Ne mancano soli due di media grandezza, ma di bellissime forme, che io visitando la celebre colle¬ zione de’ minerali cristallizzati dello Spada in Roma, e ri¬ trovando la collezione tanto cospicua, e tanto cortese e sti¬ mabile il degnissimo autore e proprietario di essa, non re¬ sistetti al piacere di aggiungervi con que’ cristalli un or¬ namento che meritava, e che era lontana da avere : ed ora sono quei cristalli e la collezione passati dallo Spada al Museo di Storia Naturale di Roma. Ciascun di que’ pezzi ha per se un vero pregio da esser gradito in ciascun ga¬ binetto, ma F uno coll’ altro e tutti fra loro hanno cotali e sì evidenti rapporti o collegamenti che non si possono spartire senza guastare un insieme ed un tutto che la na¬ tura stessa ha formato , e che non potrebbesi in nessun altro luogo osservare ; ed inoltre ogni pezzo presta può dirsi un oggetto speciale di studio e particolarità interes¬ santi. Io divisava di trarne molti disegni, e per maggiore esattezza valermi della Fotografìa ma, oltrecchè la stagione in questi giorni trascorsi mi è stata contraria nè mi ha permesso ritrarne che una tavola sola, della quale presento la fotografia e il disegno (Tav. 2.), il moltiplicare i dise¬ gni e le stampe , comecché vantaggiosi e opportuni allo studio, mi è stato per diversi modi impedito. Nella cavità che ho descritta trovavasi ancora nel fondo ed intorno una Marna argillosa giallognola, della quale era¬ no pure non pochi cristalli imbrattati di fuori. È indubi¬ tabile che la cavità tutta intera fu un tempo ripiena di essa , e che in seno ad essa appunto si fecero. Non mi trat¬ tengo a provarlo: ho già dimostrato altra volta che è na¬ tura del gesso di cristallizzar nell’argilla: nel caso pre¬ sente ne basta averla veduta nel fondo e nelle pareti della cavità e addosso ai cristalli che ne contengono per elimi¬ nare ogni dubbio che mai quella marna penetrasse nella cavità dopo formati i cristalli. È certissimo invece che questi , fintanto che sono stati d’ ogni intorno ben fian- t. iv. 8 58 Domenico Santaoata cheggiati dall’argilla, son stati fermi tutti ai loro posti, e che cominciando quella a scorrere via da qualche aper¬ tura avvenuta han cominciato i cristalli a sconnettersi ed a cadere ed a rompersi nelle naturali e troppo facili fen¬ diture d.ei loro clivaggi , motivo per cui i maggiori non sono in questa raccolta del tutto interi o in ogni parte compiuti, lo che se dispiace un poco alla vista, poco danno ne apporta alta scienza che vede tutto quel ci manca, anzi può dirsi che per essa nulla vi manca. Io non ho ve¬ duto in alcun gabinetto di Francia o d9 Italia alcun cri¬ stallo di gesso che in dimensioni s9 accosti neppure a quelli che ho l9 onore di presentarvi qui 0 Signori , che pur non sono che un saggio della intera raccolta. Nel ga¬ binetto per esempio di Torino per tante ragioni cospicuo è messa in bella veduta una lamina di cristallo che non sarà più che il quarto di quelle che fanno il maggiore dei nostri. Famosi sono i cristalli di Montmartre della lun¬ ghezza in circa di un piede , e qui pure in Museo ne ab¬ biamo un bel saggio. Ho ricercato le storie della scienza e ho trovato che Forster ci parla di Un cristo. I de Selenite rhomboidal de Hong ri e qui porte 11 pouces de long sur 3 de large . E D’ Agaty nella seconda decade del Regno Minerale riferisce che la Selenite prismatica bianca e tra¬ slucida di Svizzera or à dix pouces de haut sur pres de sept » de circonfèrence et parait composèe de plusieurs plans rhorrt- » boideaux accouplés et posès les uns sur les autres. » Ghar- pentier nella sua Geografia mineralogica della Sassonia parla di bellissimi cristalli gessosi che dice « qu* on ne trouve » plus et qui avaient depuis douze jusqu 9 a vingt pouces » de long sur trois pouces et demi de large a prismes he- » xagones fort obtuses. » Lasciando stare che i nostri sono di tutt altra forma diversi da questi , i maggiori giungono alla lunghezza di un metro e dieci centimetri almeno so¬ pra quaranta centimetri di larghezza, non avendo poi di grossezza nel loro centro che cinque centimetri e mezzo. Dalla qual misura in lunghezza passando alle minori si hanno cristalli di tutte le dimensioni fino alle minime; ma per gros¬ sezza e proporzionale larghezza se ne conoscono ancor dei maggiori. La massima grossezza de9 nostri è di sei centimetri. Dei cristalli di cesso 59 Chi grossamente consideri le forme di questi cristalli e non vi faccia troppa attenzione li dice appartenere alla varietà di Selenite Lenticolare, e tanto più che ve ne hanno che sono senza alcun dubbio lenticolari , e specialmente i più piccoli, della grandezza in giù di uno scudo, impian¬ tati nelle pareti della descritta cavità de’ cristalli ; delle quali pareti , perchè è molto raro trovare i cristalli di gesso impiantati a quel modo, ne mostro qui un pezzo, della superfìcie di un mezzo metro all’ incirca, tutta coperta di cristallini di gesso. I lenticolari non hanno alcuna super¬ ficie piana determinata, i nostri invece bene spesso ne han¬ no , ma generalmente incerte e fallaci , nè si potevano de¬ terminare senza uno studio speciale. E come sia cotesta determinazione un po’ ardua lo fà ad ognuno palese il giu¬ dizio che delle forme dei cristalli di gesso ne ha dato il Braugniard, il quale ci dice — La Selenite a une stru - dure laminaire tres-sensible > un clivage facile qui permet de diviser les cristaux en grandes lames fori nettes : mais ces formes ont ceci de remarquable qu ’ elles sont terminées de cristaux ; qu ’ il faut toute V attention et la sagàcitè dy un cristallo graphe exercé pour les ramener aux formes régu- liéres qu 5 elles ont. pour type . — E questo ne è il caso. Il cristallo più perfetto eh’ io presi dalla nostra raccolta per farne lo studio è quello che è figurato nella sua naturale grandezza e ne’ suoi lati nella Tav. 1. Fig. 1. e 2. che ho 1’ onore di presentarvi. Ha forma ellittica allungata e puntata con due faccie piane ad uno dei lati, le quali faccie cominciando dai margini al di dietro della metà del cristallo convergono e si toccano al colmo nell’ ultima terza parte del cristallo stesso tagliandosi reciprocamente , e in tutto il resto questo lato è leggermente convesso : altret¬ tanto presenta all5 inverso nell5 altro lato. La difficoltà di conoscere e stabilire bene la forma cristallina di questi cri¬ stalli si vince tosto che si vegga il rapporto di essi col solido rappresentato nella Fig. 3. della stessa Tav. 1. che rappresen¬ ta un solido in forma di tavola i cui grandi piani sono due rombi attorniati da faccie convergenti e culminanti trapezi- che , la qual forma è quella del Gesso Selenite Trapezico di 60 Domenico Santagata Haùy. Questo rapporto si vede ponendo ii cristallo nella sua vera posizione del clivaggio facile, e coll9 ideare che lo spi¬ golo acuto di taglio del cristallo corrisponda alla faccia P di quella forma trapezica, facendosi del cristallo il clivaggio facile trasversalmente agli spigoli acuti corrispondenti al diametro minore superficiale : lo che si venne a trovare esattissimo per la corrispondenza perfetta fra la posizione e direzione delle faccie f f della forma trapezica e quelle che dirò omologhe del nostro cristallo, nel quale pure ri¬ sulta che ciascuna delle superficie convesse altro non sono che il prodotto della unione delle faccie l3 l. In questa maniera o piuttosto con questo fatto si viene a riconoscere che il cristallo nostro appartiene a quella forma o varietà trapezica che è detta Mixtilinea dall9 Haùy ; e volendo con¬ getturare P origine di una tale modificazione si avrebbe a suppor primamente una forma trapezica sommamente allun¬ gata sulla quale avvenissero decrescimenti paralleli agli spi¬ goli n m fino a formare uno spigolo col loro contatto che porterebbe la totale scomparsa della faccia o piano P. La qual spiegazione mi sembra convalidata e provata dalla de¬ scritta corrispondenza delle forme poste fra loro a confronto. Determinata cosi la figura cristallografica dei più per¬ fetto cristallo della nostra raccolta era afferrato per così dire il filo d9 Arianna, e tutto veniva agevolmente spiegato. Avvegnaché lasciando stare che altri cristalli hanno di molta somiglianza col primo , e presto si vede che sono di una stessa identica forma, quelli ancora che più si discostano si riconoscono essere semplici modificazioni di forma di quei cristallo che diciamo perfetto. La prima modificazione che io noto è P allungamento della Ellissi, nella quale i piani f f circoscritti e respinti al sommo nelle rispettive estremità rimane il gran corpo di cristallo tutto occupato dalla faccia curvilinea risultante, come si è detto, dalla unione delle faccie l l, e ne ri¬ sulta una serie particolare di cristallo rappresentata da quello che ho l9 onore di qui presentarvi. Altra volta in¬ vece di allungamento di Ellissi vi ha accorciamento, il quale produce una forma peltoide o scutiforme nella quale le Dei cristalli di gesso 61 faccie //occupando una metà all’ incirca di ciaschedun lato , e corrispondendosi nei lati opposti le estremità in- tenori degli angoli triedri, si fa insieme accorciamento e rotondamente del cristallo, come n’ abbiamo esempio chia¬ rissimo nel saggio che io presento; e immediatamente si vede che il cristallo non ha più a subire un5 ulteriore mo¬ dificazione di assottigliamento per essere condotto alla vera forma lenticolare, nel che io intendo seguire (e con i fatti alla mano) 1’ Haùy, che parlando della forma mixtilinea dice che « toutes les alterations présentent une serie de » nuances qui se terminent à la variété lenticulaìre » e si prova che tendono a cotesta forma i nostri cristalli se¬ guendo le modificazioni della mixtilinea, e non quelle del- 1 altra forma che il Dufrenoy ha giudicato fare la strada alla lenticolare, non avendo io nella raccolta alcun saggio di cristallo della figura rappresentata dal Dufrenoy. Più dei lenticolari sono frequenti nella nostra raccolta ì cristalli che direi semplicemente ellissoidi avendo perduta del tutto , o quasi del tutto i piani mixtilinei : hanno poi tutti una cotale affezione di costituirsi piuttosto in mezze ellissoidi longitudinali che in ellissoidi intere, e di attac¬ carsi cor piani alle lamine delle ellissoidi maggiori, e di attaccarsi di spesso 1’ una sopra dell’ altra in una medesi¬ ma lamina lunga, ovvero 1’ una da un Iato di essa lamina e 1 altra dall altro: vedi una mezza ellissoide grande at¬ taccata a una lamina che sembrano insieme come una scure sull asta che la sostiene, o due o tre o più mezze ellissoidi 1 una sopra 1 altra attaccate ad una lamina stessa ; e vedi pur frequentissimo i bordi sporgenti delle lamine come fosser guernite di elegante ricamo, di mezze lenti o elis- so.di che per tal modo sono dette dai mineralogisti cri¬ stallizzate in Creste di gallo: (vedi Fig. 3 e i. Tav. 2 ) non i bordi soltanto ma tutta la faccia di una lamina è bene spesso coperta o terminata di tali creste di gallo più o meno perfette, e vedi ancora due grandi mezze ellissoidi che hanno cotal guarnimento nella lamina piana aderir tuttavia e incastrarsi le piccole creste fra loro e formarsi una intera grande ellissoide, come può vedersi nella Fig. i. Domenico Santagatà Tav. 2. che rappresenta due lamine di grande ellissoide unite fra loro per innesto dei cristalli lenticolari o a cresta di gallo. É cosi singolare e notabile cotesta affezione di costituirsi in mezze ellissoidi che la scorgete benissimo an¬ cora nelle ellissoidi intere e perfette, le quali hanno una stria nel mezzo di ben visibile demarcazione, talché io sono inclinato a pensare che la forzai di cristallizzazione delle ellissoidi abbia distinti bene due centri di attività indipen¬ denti quasi P uno dall’ altro e corrispondenti al li centri delle due metà delle ellissoidi medesime. Avviene nei nostri cristalli ellissoidi o lenticolari quello che è notato avvenir di frequente in cristalli di cotali forme dei gesso, di accoppiarsi cioè e penetrarsi per le faccie esteriori leggermente convesse : la compenetrazione nei no¬ stri è siffatta che par che si perda gran parte o metà in grossezza dei due cristalli accoppiati, formandosi lamine che sembrano in dimensioni di un solo cristallo e sono in¬ vece di due, lo che si palesa in una stria di congiungi¬ mento che hanno nel mezzo , ma più si palesa al dissopra o al dissotto dei cristalli accoppiati, poiché non potendo i due solidi curvilinei corapenetrarsi del tutto formano un angolo rientrante nel punto della reciproca loro inserzione, rimanendo divisi al dissopra di questa. Uniti in tal modo i cristalli non possono più separarsi 1’ uno dall5 altro, ma hanno comune il clivaggio facile nella direzione delle lamine che li compongono, le quali con facilità dividen¬ dosi F una dall’ altra, ed essendo ciascuna formata di due cristalli nel modo che ho detto, divise od isolate che sono, hanno la forma di un cono o ferro di lancia ; ed il gesso che ne’ suoi cristalli può dar questa forma è chiamato col nome di selenite cuneiforme. Vi presento, o Signori, una lamina così formata di doppio corpo lenticolare conica, a Ferro di lancia, limpidissima che mostra chiara la stria di congiungimento dei due cristalli ; nella quale è notabile che non v ha fòrza che la possa spartire senza squarciarla, nel che per altro non mancano alcune eccezioni nei nostri cristalli, essendo state divise per quella stria altre lamine con divisione netta senza rottura. Dei cristalli di gesso 63 È da notare che i cristalli delle grandi masse della ca¬ tena nostra dei Gessi sono della varietà cuneiforme, e che essendo questi che descrivo di origine acquea si ha un ar¬ gomento per dire che sono anche quelli di una medesima origine. Passerei troppo i limiti che mi sono prescritti al di¬ scorso, e abuserei della vostra indulgenza, o Signori, se ra¬ gionassi di tante particolarità che sono pregevoli nei saggi di questa raccolta. Non ho a preterir tuttavia che negli intrecci e nell5 apparente confusione nella quale trovavansi nella lor sede, affastellati, compenetrati e ne5 più svariati contrasti i cristalli, le forze cristallografiche si rimanevano generalmente in ognuno indipendenti e non perturbate : osservansi quindi gli uni prendere posto e appoggiarsi nella sostanza stessa degli altri che ne rimangono profondamente incavati, e non perciò disturbarsi o alterarsi in nessuno la naturai direzione , grossezza e proporzione delie lamine ; e quando ancora s5 impiantano alcuni e s5 internano in altri, infuori del cedersi gli uni agli altri del posto, la cristal¬ lizzazione non è in nessuno alterata. L5 imperturbabilità e P indipendenza delle forze cristallografiche giunge a tal grado che io ho la compiacenza di presentarvi un cristallo lungo due centimetri e largo quasi cinque e in ogni sua parte compiuto e solitario, formato e racchiuso tutto dentro nel corpo di un altro grosso cristallo limpidissimo, attraverso del quale perfettamente si vede, e si riconosce la forma che ha mixtilinea (Vedi Tav. 3. Fig. 1). Questo fatto peraltro di indipendenza delle forze non è così universale che non presenti due eccezioni. È dise¬ gnato nella Fig. 2. Tav. 2. un cristallo grossissimo che attraversa e trapassa un altro cristallo ancora più grosso che stretto il sostiene. Ora questo secondo non ha più le sue lamine coordinate fra loro come dovrebbero essere se fosse stato il suo prodursi tranquillo e regolare, ma sono le lamine stesse trascorse ed uscite dalla corrispondenza loro reciproca; e si vede che, tenute ferme dissotto, sono dissopra, come dire, divaricate o scivolate le une sull5 al¬ tre, e sono state tratte una metà circa alla destra l5 altra a sinistra. 64 Domenico Santagata Il secondo esempio di perturbazione di forze si porge in un altro cristallo, nel quale le lamine non sono più perfettamente diritte, ma nella lunghezza loro alquanto contorte o leggermente ondulate : il qual fatto è molto no¬ tabile e raro. Le proprietà generali dei cristalli di questa raccolta sono così visibili e chiare che non occorre trattenervisi sopra gran fatto, e basta annunziarle col dire, che hanno in som¬ mo grado la massima parte di que’ caratteri che rendono vaghi e piacevoli i cristalli più puri e cospicui descritti dai mineralogisti. Il colore è in generale più carnicino che bianco , ma non ci mancano i bianchi e traslucidi anche fra i grandi, de’ quali alcuni, esposti alla luce molto viva, sembrano quasi di ghiaccio. Trasparentissimi la maggior parte osservati perpendicolarmente al clivaggio facile, e at¬ traverso ancor la grossezza di parecchie lamine , traslucidi e semi-opachi guardati a traverso, e gli oggetti sottoposti acquistano lustro e splendidezza come attraverso di un vetro della maggiore purezza che esista, e si veggono spesso un pò impiccoliti. Non ho riscontrata la doppia refrazione che in altri è notata, e invece non pochi di essi sono stu¬ pendamente iridati ; alcuni di bel color biondo o flave- scente, zonati di vene rossastre: in molti apparisce nel- l intima sostanza delle lamine come un deposito o sedi¬ mento grigio, gelatinoso, più o meno denso e leggiero, che pare che stia ancora sospeso e non precipitato del tutto : la forma di questo deposito richiama al pensiero la forma del precipitato gelatinoso dell5 allumina, il luogo che oc¬ cupa dice che si formò nei cristalli che avevano posizione tiasversa o giacente e non raddrizzata rispetto al piano del luogo dove si fecero. Si fecero tutti dentro una terra ar¬ gillosa, molto più densa di melma, e però è naturale che alcuna minima parte di essa terra penetrasse i cristalli; molti di fatto sono grigi, imbruniti e di tinta terrosa. É singolare che il sedimento suddetto e 1» imbrunimento che dico tende al grigiastro o ai violetto mentre la marna ar¬ gillosa dove son nati e stavano chiusi i cristalli è giallo¬ gnola. E questo fatto avvertito da altri, che i cristalli di Dei cristalli 65 gesso hanno non di rado colori diversi dal color delle ar¬ gille nelle quali sono annunziati trovarsi. Crederei potere asserire che 1’ azione cristallizzante, e quella maniera di filtro che s’ ha da produrre nel farsi i cristalli hanno per¬ messo o no ad alcuna piuttosto che ad altra sostanza T in¬ gresso dentro il cristallo, ed hanno contribuito alle diverse maniere di collocarsi delle sostanze nei diversi cristalli, ed è probabile che in alcuni quest’ ingresso è impedito a qua¬ lunque sostanza, in altri vi è quasi libero affatto, in altri si accorda soltanto a quantità tenuissima : e avvertirò spe¬ cialmente che forse ne’ cristalli in posizione giacente la sostanza introdotta s’ affonda tutta e si posa nella parte inferiore della grossezza di essi cristalli, e in quelli invece che son raddrizzati o messi più o meno per taglio la so¬ stanza introdotta è dispersa per tutto il cristallo e d’ ogni parte lo invade. Ho fatto confronto coll’ analisi tra un cristallo di gesso di Sicilia bianco traslucido e puro come il diamante, ed il nostro limpido e puro, e fra questo e quello che ha il sedimento suddetto, ed ho trovato, che quello di Sicilia è tutto purissimo Solfato di calce , il nostro limpido non con¬ tiene altro di più che una traccia indeterminabile di Os¬ sido di ferro, e l’ ottenebrato dal sedimento, che a vederlo pare tanto imbrattato, non contiene di estraneo che una traccia indeterminabile di materia terrosa: lo che mostra che quel sedimento, benché sembri denso, non è più che un’ ombra od un velo. E d’ altra parte avendo trovato col- 1’ analisi che quella marna argillosa che fu la matrice dei cristalli contiene 1’ ossido di ferro che la colora in giallo¬ gnolo, e trovando quest’ ossido isolato diviso dalla terra nei cristalli inferisco che la cristallizzazione (per dirlo così in generale) ha potenza di operare un tal spartimento , ov¬ vero far sì che un cristallo assorbisca ed estragga dalla terra il solo ossido del quale poi si colora. Terminerò col descrivere due altre maniere di cristal¬ lizzazioni del Gesso entro terre argillose in altri due luo¬ ghi delle nostre colline A ridosso del Monte della Rocca, (monte ben conosciuto t. iv. 9 66 Domenico Santagatà a questa Accademia per la Memoria che ne scrisse il mio caro padre) ho rinvenuta un* argilla nella quale m’ accorsi trovarsi isolati e disseminati dei cristalli di Gesso, e ne presi de9 saggi, uno de’ quali è qui intero, e gli altri li ho sciolti per trarne i cristalli dei quali ora parlo. Dei rap¬ porti o attinenze di quell’ argilla coi Gessi del monte della Rocca e coi circostanti terreni dirò altra volta. Son così spessi e frequenti i cristalli in quella argilla che n’ è come zeppa e gremita. Nulla han che fare cogli altri fin qui descritti se non che sono di gesso, ed essi pure derivano dalla forma trapezica. Le Fig. 2, 3, 4. della Tav. 3. rap¬ presentano tre di questi cristalli come ai trovano isolati e solitari in quell’ argilla, nella quale pure se ne trovano gruppi confusamente ammucchiati. La Fig. 2. dà esempio della forma più perfetta che esista di questi cristalli, la quale si vede al dissopra regolarmente compita ma termi¬ nare dissòtto in forma di Radice di dente : così è delle al¬ tre figure che sono state appunto ritratte per dare ad in¬ tendere che così come sono disegnate si trovano in quel- F argilla anche isolati i cristalli : forma che è singolare in individui al tutto isolati, ma che per altro non è così ge¬ nerale in tutti quanti i cristalli che non si trovino alcuni che abbiano la parte inferiore diversamente formata o tron¬ cata : niuno esempio bensì ho trovato fin qui di cristallo cristallizzato regolarmente da ambo le parti. Il colore di tutti è grigio-brunastro ; e grigio-brunastra è 1’ argilla. La forma particolare di essi cristalli è la Trapezica Einitro- pica. Questa forma, quando non sia imperfetta, presenta, come è noto , nel suo contorno due sorta di spigoli : e cioè due ottusissimi interposti fra le adiacenti faccie l, e due meno ottusi fra le faccie/. La congiunzione dei cri¬ stalli avviene per i lati che portano Io spigolo meno ot¬ tuso / e V angolo entrante è costituito dai lati muniti di angoli ottusissimi l. Ognuno de’ cristalli rappresentati nelle suddette figure si vede costituito dall’ unione di due, i quali sono quasi sempre di dimensioni diverse, uno grande ed uno piccolo ; e di frequente si osserva che 1’ uno trovasi relativamente Dei cristalli di gesso 67 all’ altro in piani ancora diversi : accadendo perfino che T uno sporge dall’ altro per una metà della propria gros¬ sezza come lo indica la Fig. 4. della Tav. 3. In contrasto di ciò venendo a sezionare i cristalli, allor¬ ché si sono tagliate le lamine del più sporgente di essi fin che si giunga al livello dell’ altro e si continua a sfal¬ darli, si tagliano insieme i cristalli facendosi una sola la¬ mina affatto indivisa nella giuntura dei cristalli medesimi, lo che significa che, sebbene in piani diversi, dove sono insieme congiunti hanno clivaggio comune. Questi cristalli emitropici osservati per trasparenza hanno costante il fenomeno di essere tutto intorno traslucidi, e nell’ interno o nel centro oscuri od opachi. La parte oscura occupa in tutti un medesimo spazio , quello preci¬ samente compreso fra i due apici superiori del cristallo emitropico, e d’ambo i lati discende seguendo una linea leggermente concava che si perde verso 1* ultimo quarto inferiore del cristallo , il quale rimane al dissotto traslucido o limpido. La figura perciò che ne nasce è quella di un ferro di freccia rovesciato al basso , le cui ale sono formate dai due apici del cristallo, e resta come dipinta la freccia in mezzo al cristallo. Il qual fatto è chiarissimo nelle la¬ mine intere che da un cristallo si traggono, le quali hanno nel mezzo la macchia oscura e d’ ambo le parti è limpi¬ dissima come lo mostrano le Fig. 5. e 6. della Tav. 3. La costanza di questo fenomeno e la singolarità della forma del centro oscuro mi hanno eccitato a ricercare la originaria cagione di esso che stimo argomento degno del- 1 attenzione dei dotti , mentre non pare che l’ abbiano an¬ cora avvertito. Sopra di che son venuto formando conside¬ razioni e congetture che sono alquanto contrarie alle opi¬ nioni più ricevute e che lascierò giudicare ai cristallografi. Certo è che cotesto fenomeno ha da esser legato colla genesi del cristallo, ed anzi deve dipendere interamente da essa: tanto che sarà più vicina al vero quella spiega¬ zione che più si colleghi alla probabile spiegazione della formazione del cristallo medesimo. Osservando questi cristalli emitropici senza prestabilito si- 68 Domenico Santagata stema teorico appariscono semplicemente formati dalla unio¬ ne di due interi cristalli trapezici : i cristallografi invece a dar ragione di questa forma suppongono che V emitropia pro¬ venga dal rovesciamento della metà di un cristallo sull9 al¬ tra. Ora il fenomeno del quale parliamo conduce piutto¬ sto ad ammettere che 1* emitropia succeda per adesione di due cristalli : ed ecco il ragionamento che vi conduce. Le due linee laterali della macchia oscura tengono il posto del diametro maggiore della varietà trapezica. Alcuni cristalli isolati che possiede il nostro Museo di storia na¬ turale offrono non dubbi indizi di una tal linea scorrente nella direzione dell9 asse maggiore , onde che ne consegue che quando si uniscono due cristalli trapezici nel modo che supponiamo aver luogo negli einitropici nostri, i due dia¬ metri dei cristalli si han da disporre precisamente come i Iati esterni della macchia oscura. Se non che in questa macchia si nota una leggiera bensì ma visibile , chiara e costante concavità delle due laterali linee esterne; la quale non pare che possa infine spiegarsi che nell5 ipotesi che questi cristalli , come noi li vediamo , provengano origina¬ riamente dalla unione di due cristallini piccolissimi di for¬ ma trapezica, i quali si congiungessero pei lati dello spi¬ golo meno ottuso, e che uniti insieme venissero poscia crescendo e nutrendosi , come i cristallografi dicono , uni¬ formemente tutto all5 intorno : della qual nutrizione e del quale aumento erano necessariamente privi soltanto i lati dei due piccoli cristalli coi quali si erano insieme congiunti. In questa supposizione interessava osservare se nell5 in¬ grandimento di un cristallo emitropico avvenisse difatto che i due diametri del cristallo emitropico fossero curvi piut¬ tosto che dritti. Supposto un cristallo emitropico piccolo che si disegni su di una carta , se tutto attorno dei lati esterni di esso si vengan notando con linee gli accresci- ment! che avrebbe a subire ingrossando, si ha per effetto che le frazioni dei diametri che congiungono i vertici di ogni singolo aumento si dispongono in una linea fratta, la quale segue precisamente la direzione curvilinea dei lati della macchia oscura: con che si rende verosimile come Dei cristalli di gesso 69 questa macchia sia accaduta, e soprattutto poi si dà plausi¬ bile congettura che P emitropia avvenga veramente nel no* stro caso per la unione di due cristalli trapezici. Per le quali cose si argomenterebbe che la sostanza straniera che nel cri¬ stallo dipinge per così dire la macchia oscura vi sia stata introdotta per influenza della forza di cristallizzazione, e che quella tale sostanza è una tenuissima argilla dipendente senza dubbio da quella massa di terra argillosa entro la quale avveniva la generazione di questi cristalli. Nelle colline gessose di Gasaglia vi ha un luogo facile a tutti a trovarsi chiamato la Grotta, alla sinistra e som¬ mità della strada che ad esse colline conduce. Il nome a questo luogo deriva da una grotticella rotonda che v’ ha, fatta a volta per incurvamento di un grande masso di ges¬ so ; alta nel mezzo poco più della statura ordinaria di un uomo, del diametro al piano di sette metri all’ incirca, col- P apertura di 5 metri da un lato. Il fondo di questa grotta è formato da una terra argillosa giallognola, densa, com¬ patta , e di grana finissima che non par che s’ affondi più di uno a due metri. Abituato a osservar se le terre di questa specie nei gessi contengan cristalli di gesso, m’ ac¬ corsi che questa n’ era quasi ovunque cosparsa ed in quel modo medesimo che io ricordava descritti i cristalli di Gesso nella marna argillosa di Montmartre. Mi è comodo anzi , per mettere in vista meglio P analogia fra le due località di Montmartre e Casaglia, accennare cotesta disposizione colle parole stesse che usa il Pralon nella Memoria intorno a Montmartre riferita da Romé de P Isle — /’ ai trové tres - -■ abondamment des petites lentilles , doni les unes étaient larges corame une pièce de dix sous } les autres comme des grains de legumes de ce nom , et beaucoup d’ autres de toutes les grosseurs intermediaires , dans un petit banc de bousin gypseux s mais tres-distincts , quoique elles ne fussent pas plus grosses que la tète cF un camion applatie. — La qual narrazione applicando ai piccoli cristallini lenticolari del- P argilla di Casaglia non ho che ad aggiungere, che vi si trovano non solamente disseminati ma sovrastanti gli uni agli altri alla foggia di embrici , ovvero più spesso riuniti 70 Domenico Santagata in foglio circolarmente ad un punto centrale formando così un’ elegante piccola stella, come lo mostra quel saggio che è qui presente. Vi pregherò infine o Signori ad osservare nel Prospetto che segue a questa memoria i risultati delle analisi che ho istituite delle marne argillose di Monte Donato , del Monte della Rocca , della Grotta di Gasaglia e di quella di Montmartre che abbiamo in Museo frapposta ai cristalli di Gesso, per avvertire particolarmente un fatto della mag¬ giore importanza, e cioè che tutte queste argille, benché matrici di Cristalli di Gesso, sono prive quasi affatto di solfato di calce, poiché 1’ analisi non ne palesa che appena una traccia, sebbene non può dubitarsi che non ne fos¬ sero pienamente imbevute dalle soluzioni per le quali si fecero poscia ì cristalli. Il qual fatto conferma la teoria che altra volta sostenni della potenza che ha la forza di cristallizzazione di attrarre tutta ad un punto una sostanza cristallizzabile e di spogliarne affatto una massa terrosa che in ampio spazio 1* abbia tenuta disciolta. Analisi delle Marne Argillose matrici dei Cristalli di Gesso. di Monte Donato. Monte deila Rocca. Casaglia. Montmartre. Acqua . 6.... 6.... 6.... 5 Silice . 22 .... 40 .... U .... 32 Allumina . 37 .... 26 .... 16. 50 . . 18 Ossido di Ferro. .17.. ..12. ...12 ...17 Carbonato di Calce 15 .... 13 .... 16. 50 26 Solfato di Calce, traccie . . treccie . . treccie . . treccie Perdita . 3.... 3.... 5.... 2 100 100 100 100 Dei cristalli di gesso SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE Fig. U Fig. 2. Fig. 3. Fig. 1. Fig. 2. Fig. 3. Fig. 4. TAVOLA 1. Faccia anteriore di un Cristallo di naturale grandezza di forma Mixtilinea. Faccia posteriore dello stesso Cristallo di forma Mixtiliuea. Forma Trapezica di Hatiy. TAVOLA 2. Lamine coi cristalli lenticolari alle faccie. Cristallo Ellissoide grande internato e sostenuto fra le lamine di altro Cristallo maggiore le cui lamine sono divaricate. Lamine con cristalli lenticolari a Cresta di Gallo nei bordi. Lamine collegate dall’ innestamento dei cristalli lenticolari. TAVOLA 3. Cristallo di forma Mixtilinea formato e contenuto isolato dentro del corpo di altro Cristallo della medesima varietà. | Cristalli Emitropici a Radice di dente. (Lamine di Clivaggio con macchia a Ferro di Lancia rovesciata di un Cristallo Emitropico della Fig. 2. • ?! Mem Sor. 2. Toi.1V. so nell' Argilla. -Il Statapia Tav I * C. B*Kmi I»’ B. Santagata. - Cristalli di Gesso nell'Afilla Tav. H I \ Mem.Ser2.TomJ. I B. Sanlagala- Cristalli di Cesso nell Argilla, lav IL Fiff 4 . Fi* 5. DI UN METODO DI CORREZIONE DELLE ACQUE POTABILI SELEN1TOSE APPLICATO A QUELLE DI BOLOGNA MEMORIA DEL CAV. PROF. GAETANO SGARZI JNl el mio saggio di analisi delle acque potabili di Bo¬ logna , il quale ottenne già l9 onore della stampa negli Atti di questa nostra Accademia, dimostrai come la pre¬ senza del solfato di calce fosse frequente nelle medesime, e com9 esse perciò non potessero servire a molti usi indu¬ striali e domestici , e quando ne avessero contenuto in ec¬ cesso, tornassero altresì insalubri. Era dunque richiesto un metodo di correzione, e questo voleva essere facile e pronto dovendosene affidare 1* esecuzione a persone d9 ordi¬ nario poco esperte , e zotiche , e non curanti quali sono i serventi. In allora io non seppi immaginarne veramente al¬ cuno che soddisfacesse al bisogno, ma appresso ritornato su tale materia , dietro una lunga serie d9 indagini ho po¬ tuto venire a capo di alcuna cosa che sembrami debba riuscire profittevole, e raggiunga lo scopo al quale furono intese le mie fatiche. Tutti sanno come si differenziano le acque potabili dalle minerali , come quelle sono distinte in acque delle Sor¬ genti, dei Fiumi, dei Laghi, dei Pozzi. Abbastanza si sa t. iv. 10 u Gaetano Sgarzi da ognuno quello che riguarda il loro pregio, le loro applica¬ zioni sociali e domestiche, la loro utilità ! Che se riguardansi anche paratamente nell’ insieme che offrono, e pei rapporti fisici, chimici, igienici e salutari; niente rimane a desiderare intorno ad esse, stante 1’ immensità dei lavori scientifici e delle opere che si hanno, nonché la celebrità degli Au¬ tori ai quali si debbono. Onde restringendomi di coerenza alle nostre di Bologna ; per farmi strada al punto princi¬ pale , accennerò pur solamente che dalla mia Memoria ci¬ tata risulta ; essere desse divise in Acque Correnti, in Acque delle Fontane , in Acque dei Pozzi ; che le correnti e quelle delle fontane possono in paragone dirsi sufficientemente pure , dove in quelle dei pozzi sta veramente il massimo della condizione calcare per cui sono cattive; che se si aves¬ sero fiumi perenni, e fontane abbondanti tanto da sop¬ perire ai nostri bisogni ; la correzione delle acque, si avreb¬ be, o con pochissimi artificj , o quasi naturalmente per vie di deposito, e con ogni maniera di facilità. Rammentai in quella memoria i grandi serbatoi antichi e moderni pel deposito delle acque; i meccanismi per dibatterle ed ae¬ rarle ; i feltri svariatissimi per ispogliarle delle materie ete¬ rogenee in sospensione. E nel particolare delle stesse nostre fontane e dei pozzi nostri, dimostrato dalle analisi che si ha che fare con materie che sono disciolte non sospese nelle rispettive acque; non mancai di notare essere l’unica risorsa nostra il ricorrere ai reagenti , ad operazioni chimi¬ che, ed alla distillazione, stante la brigosità e la speri¬ mentata inefficacia delle altre risorse. Raccolsi poi in detta memoria il sunto delle notizie storiche riguardanti il Re¬ no, la Savena, l’ Aposa , la Fonte del Nettuno; il sunto dei risultamenti delle analisi rispettive, ritratte quelle dei pozzi da diversi centri della Città; il sunto dei metodi ge¬ nerali proposti e pubblicati per correggere le acque tutte potabili. 1 Ed appunto perchè ebbi a sperimentare tali suggerimenti ottimi dai Iato della teorica, ma quasi inapplicabili dal lato della pratica sopratutto privata; si rimase deluso il mio desiderio, andò fallito il principale scopo del mio lavoro, tu incompleto il vantaggio che doveva venirne. Delle acque potabili selenitose ec. 75 Ora nel riprendere 1* argomento, nel riunire le cose dette, e nel fare seguito con questa alla memoria passata intorno le acque che possediamo , facendo segno particolarmente a quelle dei pozzi ; non ho stimato necessario ripeterne per intero le analisi (1), avvegnaché basta la scorta delle già fatte , per quello che è mio intendimento di soggiugnervi e venire esponendo ; egli è sufficiente farvi conoscere dal- 1* effetto dei reattivi il loro caratteristico generico, perchè possiate rilevare la condizione in che sono , e farvi idea della qualità pure generica della loro composizione chimi¬ ca ; non occorre che verificare la natura calcare delle me¬ desime, in un modo pure generico, per apprezzare e va¬ lutare la proposta di correzione che vengo a presentarvi. Le Acque nostre Potabili si offrono bensì limpide e sco¬ lorate al momento che sono attinte dal pozzo ; ma trascorso più o meno tempo s* intorbidano di qualche guisa , mo¬ strano più o meno una specie di orlatura bianca superfi¬ ciale all* intorno dei vasi che le contengono, e nel fondo vi costituiscono delle traccie di deposito più o meno sen¬ sibili. Il di loro odore da prima è come suol dirsi puteale; poscia anziché svanire si fa maggiore; non di rado in fine si rende alquanto fetido. Così il sapore che da scipito quasi in esse , a poco a poco diviene amarognolo , da lontano lisciviale, in vario modo alquanto disgustoso. Dibattendole, ben poche bolle vi si suscitano; non sono troppo facili a bollire , ed in questo più marcatamente s’ intorbidano , si cuoprono di una pellicola, formano assoluto deposito. La loro temperatura media è di -+- 13 C. (2). (1) Sarebbe necessario rinnovare su di una scala assai più estesa l’Analisi delle nostre Acque Potabili, onde farne una Statistica Chimica ben fondata e regolare, ed avvisare quindi alle riparazioni opportune. Ciò che fu sempre mio desiderio, e cui non vale a soddisfarlo la mia privata volontà. (2) Dans nos climats, la température moyenne des caves, des puits, des sour- ces ordinaires, est à peu prés ègale à la temperature moyenne du lieti — Arago Oeuvres — Tome Neuvième. Pag. 89. La temperatura media di Bologna secondo PAnuuario per P Anno 1863 di quest’ Osservatorio è di -t- 13,63. 76 Gaetano Sgarzi Sottoposte al saggio coi reagenti; la tintura di Tornasole non dimostra per esse del cambiamento ; quella d’ alcea si fa verdastra, quella di campeggio cangia in violetto, la eterea di robbia dal suo bel color rosso si fa di un giallo lanciato; il cloruro di bario vi porta abbondante precipi¬ tato bianco , che persiste intatto all* azione dell’ acido ni¬ trico; il nitrato d’ argento quantunque non dia veri grumi, vi forma per altro un lieve precipitato bianco latteo , che lasciato esposto alla luce si fa bruno scuro, e che si mostra solubile nell’ ammoniaca; V ossalato d’ ammoniaca vi pro¬ duce un precipitato pure abbondante, che è solubile negli acidi ; la tintura di sapone le rende bentosto opaline , indi vi costituisce una qualità di grumi particolare e caratte¬ ristica. Dai quali effetti è ben agevole dedurre che la composi¬ zione chimica di queste acque è pur quella che risultò dalle analisi anteriori (1), che non è di dissimile natura e qualità, e che può riassumersi in Cloruri, Solfati, Car¬ bonati più particolarmente di Calce; quindi comprovate realmente selenitose-calcari . E comechè tale si è il difetto principale di esse , per cui rendonsi improprie per lo meno agli usi industriali e domestici ; comechè trattandosi di acque potabili , a fronte di qualche opinione contraria , pure torna sempre V an¬ tica massima, che debbono considerarsi migliori quelle che meno contengono di sostanze minerali in dissoluzione; co¬ mechè gli stessi Robinet , Bouchardat , Lefort, Boussingault , e Dupasquier che ammettono nelle acque potabili 1* uti¬ lità dei sali anche calcarei ,, e massime poi il bicarbonato , ne escludono tuttavia il cloruro di calcio, il nitrato, e se¬ gnatamente il solfato ; comechè tutto il resto di colorante , di disgustoso , di estraneo che può infettare, ed alterare un’ acqua potabile , meno poche eccezioni è quasi nullo Delle acque potabili selenitose ec. 77 nelle nostre di Bologna ; così risulta di conseguenza , che nella mira di correggerle, bisogna rivolgersi interamente a spogliarle della calce; contro la calce unicamente sono a diriggere gli sforzi ; la calce si fu lo scoglio contro cui urtai per lo innanzi, e che segnò la sconfitta toccata ai miei primi tentativi d5 allora. Ben è vero che il totale della calce non vorrebbe esservi tolto , riguardo segnatamente al bicarbonato , che Boussin- gault , e Dupasquier (1) con più di asseveranza dichiarano utile nelle acque potabili , perchè non le rende selenitose come gli altri sali calcarei, perchè favorisce la digestione, perchè somministra al lavoro della ossificazione la materia calcare che le è indispensabile. Tuttavolta non potendo, in conformità del mio pensiero, agire altrimenti; non es¬ sendo agevole separarvi il solo solfato di calce; prevalendo appunto questo sale al carbonato nelle nostre acque ; se nel renderle purificate e corrette, e nel toglierle dall* es¬ sere selenitose, ciò che è un conceder loro grande beneficio, fossevi anche da menomare in esse una qualche facoltà, nel mentre poi che le si dotano di molte altre assai superiori nel confronto, ciò ne sembra abbastanza giustificato del pari che ragionevole e preferibile. Fermo adunque nel proponimento di togliere la calce alle nostre acque potabili , e confortato in questo dalle stesse mie passate esperienze, che mi avevano dimostrato la facilità di farlo col costituire dei sali insolubili della me¬ desima ; posi mente che mi abbisognava un mezzo di ese¬ guirlo colla debita regolarità e proporzione nelle singole acque ; bisognava sostituire nelle acque stesse ai sali di calce dei sali d’ altra base solubili ed omogenei al nostro organismo; bisognava che in >5sse acque, per tali reazioni e sostituzioni , nulla s’ aggiugnesse oppure nulla rimanesse di estraneo, o di cattivo almeno. Al primo scopo occorse il conoscere la quantità dei sali calcarei esistenti in un litro per es. di ogni acqua, onde (I) Journal de Pharmacie etc. Tom. IX Ser. Ili Pag. 339. 78 Gaetano Sgarzi quindi dedurne la proporzione della calce, e da questa il rapporto del quantitativo di un sale di soda , per es. atto a saturare perfettamente gli acidi che formano i sali cal¬ carei suddetti. Perciò coadjuvato dal solerte mio Operatore nel Laboratorio Chimico-Farmaceutico di questa R. Univer¬ sità Dott. Giuseppe Fabbi, al quale mi obbliga strettissimo dovere di riconoscenza ; si è preso un litro d’ acqua dai pozzi nelle varie località a un dipresso, da cui furono tolte quelle che servirono 1’ altra volta pel Saggio d5 Analisi su mentovato, ed indicate specificatamente nello Specchio appresso ; si è versato in ognuna dell’ ossalato d’ ammo¬ niaca titolato al 3 per cento; e dai centimetri cubi che sono stati necessarj affinchè Y acqua non desse più veruna traccia d’ intorbidamento, si è dedotta la quantità di os¬ salato di calce che erasi formato, e quindi la proporzione della calce in ognuna di esse acque contenuta , che è quale la si vede nello Specchio seguente nominato : Delle acque potabili «elenitose 79 SPECCHIO della Calce rinvenuta in un litro d’ Acqua Potabile tolta in varj punti della Città. Da S. Isaia .... . Gram. 0,47 Via Rialto nuoro . . . Gram. 0,42 In Strada Maggiore . . . . „ 0,51 Da S. Domenico . » 0,50 Da S. Biagio .... . . „ 0,49 In Strada S. Donato . , . „ 0,69 Da S. Salvatore . . . . . „ 0,58 Nella Fondazza . „ 0,69 Mirasole Grande . . . . . „ 0,47 Da S. Paolo . „ 0,40 Alla Misericordia . . . . . „ 0,29 In S. Mamolo . „ 0,49 In S. Felice .... . . „ 0,61 In Cape di Lucca . » 0,62 In Saragozza .... . . „ 0,58 Nel Collegio di Spagna. . . „ 0,32 Nei Vetturini .... • • „ 6,56 In S. Stefano sotto il Sepolcro „ 0,25 Nel Borgo S. Pietro . . „ 0,62 Selciata di Strada Maggiore . » 0,57 In Galliera . . . „ 0,54 Nella Mercanzia . „ 0,60 Nelle Glarature . . . . . „ 0,53 Piazza Vittorio Emanuele . . „ 0,69 In Porta Ravegnana . . . . „ 0,39 Nel Borgo Paglia . „ 0,67 Nella Piazza Calderini . . . „ 0,45 Nel Borgo S. Giacomo . . . „ 0,70 In Strada S. Vitale . . . . „ 0,51 Da S. Martino . „ 0,57 Nel Mercato di mezzo . . . „ 0,64 In Cartoleria Nuora . . . » 0,52 Nella Montagnola . . . . „ 0,69 Nella Via degli Angeli . . . » 0,69 Nella Nosadella . . . . . „ 0,57 Nei Pelacani . „ 0,59 Da S. Giorgio . . . . . „ 0,50 In Via Venezia . „ 0,58 Selciata di S. Francesco . . „ 0,60 Nella Via Cavaliere .... „ 0,48 Borgo Casse .... . . „ 0,49 Strada Mascarella .... „ 0,47 Dal Teatro Comunale . • • „ 0,67 Strada S. Felice . „ 0,49 Viottoli a fianco dell’ Orologio. „ 0,61 Belvedere di S. Gervasio \ . „ 0,52 Nelle Lamme .... . . „ 0,59 Da San Pietro . „ 0,68 In Strada S. Stefano . • • » 0,52 1 Fonte del Nettuno .... „ 0,08 Gaetano Sgarzi Siccome poi a quanto vedesi in questo Specchio, la calce esiste nelle nostre acque in proporzioni alquanto di¬ verse fra di loro; siccome ella è da convertire questa calce in sale insolubile per precipitamela ; e siccome ciò è da fare egualmente per ognuna di esse acque; si pensò in¬ tanto a ritrarre la media di tali proporzioni, onde fis¬ sare così il grado in che sono fra le altre selenitose, a calcari; si venne a prescegliere poscia il sale precipitante la calce , colla sicura condizione di lasciare immuni da mu¬ tamenti nocivi le acque medesime ; in fine si cercò di esso sale, la quantità opportuna e necessaria a compierne possibilmente la correzione. La media della calce contenuta nell’ acqua dei pozzi di Bologna, risultò di gram. 0,55 per ogni litro; per cui sono meno selenitose di quelle di Parigi, che secondo Lassaigne contengono gram. 1,533 di solfato equivalenti a gram. 0,65 di calce (1) ; ma comechè la proporzione della calce, sia in solfato , sia in carbonato , che rende impropria un9 acqua a servire al bucato , a cuocere i legumi ec. può essere fis¬ sata a gram. 0,30, corrispondenti a gram. 0,73 di solfato, gram. 0,77 di carbonato, così si dimostrò chiaro il difetto delle nostre acque, si fece patente la ragione della di loro accennata inutilità. Il sale prescelto a scomporre quelli a base di calce , si fu il carbonato di soda conosciuto in commercio sotto il nome di Soda Cristallizzata , e ciò per due ragioni: la prima è perchè nel mentre che la soda si unisce agli acidi dei sali di calce , e forma dei sali solubili , si costituisce ad un tempo altrettanto carbonato di calce insolubile che precipita e può separarsi per deposito o per filtrazione : la seconda è perchè, dato il caso che non s9 incontrasse di cogliere nella precisa proporzione della calce in qual¬ cuna delle nostre acque, potrebbe darsi che il carbonato di soda che si adopera a precipitarla risultasse in diffetto oppure in eccesso; se in diffetto, giacché si tratta in esse (I) Journ. Chim. Med. etc. Toro. X. Ser. II. Pag. 131. DeiììLe acque potabili selenitose ec. acque di carbonati , di cloruri , di solfati di calce , e che questi ultimi sono a prevalenza attaccati e scomposti, lo scopo di togliervi il selenitoso è sempre raggiunto ; se in eccesso , giacché si tratta di carbonato di soda, non è que¬ sto certamente un sale che possa essere di danno alle acque medesime. In quanto al determinare la quantità di tale carbonato di soda necessaria a scomporre i sali di calce delle stesse acque nostre ; in seguito di ripetute esperienze si è trovato che se ne esiggono grani. 0,025 per ogni gram. 0,01 di calce. Quindi in generale all* appoggio della media della calce su accennata ; sulle norme delle quantità relative della medesima , riportate nello Specchio esposto disopra ; e col proporzionale suddetto del carbonato di soda necessario, si potrebbe da chiunque effettuare facilmente P opportuna cor¬ rezione delle acque nostrane, eliminarvi tutta la calce, ren¬ derle atte agli usi. Se non che i pochi punti della città sulle cui acque si è operato, sono ben lungi dal rappresentare la moltitudine dei pozzi che abbiamo ; 1* indicare semplicemente sopra dati generici e sopra una media ehe le nostre acque con¬ tengono gram. 0,55 di calce per ogni litro, oppure che realmente ne contengono delie quantità relative in diversi centri della città, come dallo Specchio antecedente, e che per ogni gram. 0,01 di essa calce si esiggono gram. 0,025 di carbonato di soda per eliminarla; 1’ aggiugnervi, più spe¬ cificatamente ancora, quello che risulta dalle analisi ante¬ cedenti , e che si è rilevato per ulteriori esperienze , cioè che in gram. 3,50 di residuo salino ottenuto , pure in me¬ dia, dall9 evaporazione di un litro di gran parte delle acque su nominate, vi esistono effettivamente, ed egualmente gram. 0,55 di calce, lo che corrisponde per ogni grammo di sale a gram. 0,16 di calce, sicché a toglierla abbiso¬ gnano gram. 0,40 di carbonato di soda; tutto questo non soddisfa bastantemente allo scopo principale cui si era in¬ tenti, quale è quello di accennare ad un metodo di correzio¬ ne per le nostre acque potabili, che affranchi dal doverne instituire 1* analisi, l9 evaporazione, o la determinazione t. iv. 11 Gaetano Sgarzi benanco delJa calce in ciascun’ acqua parziale di pozzo , per passare a correggerla; un metodo che ammetta una correzione generale, diretta, semplicissima, di facile ese¬ cuzione ; un metodo insomma a portata di tutti , che si possa adottare da chiunque, in qualsiasi luogo praticare. Che tale mi lusingo esser possa di adoperare l.° una specie di Areometro indicatore la quantità dei sali esistenti in un’ acqua potabile con sollecitudine, e colla minore in¬ dagine possibile; 2.° una soluzione titolata di carbonato di soda decomponente fra li detti sali quelli di calce; 3.° un vaso graduato a centimetri cubi misuratore della quantità che può occorrere della soluzione istessa ; K.° un termo¬ metro regolatore per le indicazioni dell’ Areometro accen¬ nato; 5.* un Apparecchio di felttazione separatore del de¬ posito che si forma nella scomposizione medesima. L’Areometro (Fig. 1. Tav. 1.) a bella posta è costruito a bolla d’aria grande in proporzione dell’ asta che se¬ gna i gradi, a fine di ottenere una grandissima sensibi¬ lità alle minime differenze di densità dei liquidi pei quali ha da servire. Alla parte superiore del tubo di scala è se¬ gnato il grado 0 nel punto d’ affioramento nell’ acqua di¬ stillata ed a -+- 10 C. Si è fatto artificialmente un liquido il quale contenesse per ogni litro d’ acqua distillata gram. 10 di sali, della natura pressoché identica a quelli che si trovano nelle acque nostre potabili , e che è la massiina proporzione possibile in che dare vi si possano. Immerso 1’ areometro in quest’acqua, il punto d’affioramento vi¬ cino alla bolla, si è segnato col numero 10, e diviso lo spazio da 0 a 10 in parti eguali se ne sono formati al¬ trettanti gradi. Un areometro così disposto , fondato sulla proprietà di scoprire le differenti proporzioni dei sali di¬ sciolti in un’ acqua secondo il diverso punto d’ affioramen¬ to , pare che meriti il nome di Idroscopìe. Si disse che il sale prescelto a scomporre quelli a base di calce fu il carbonato di soda , e se ne esposero le ra¬ gioni ; ora si soggiunge di adoperarlo in soluzione anziché in peso , perchè trattandosi di doverne usare delle piccole quantità riesce così più comodo ed esatto. Tale soluzione Delle acque potabcli selenjtose ec. 83 (Fig. 2. Tav. sudd.) si è visto conveniente il farla di grani. 40 di carbonato di soda cristallizzato per ogni litro d* acqua distillata. Tanto del vaso graduato a centimetri cubi (Fig. 3. Tav. sudd. ) quanto del termometro verrà detto più sotto , dove la pratica si descriverà di tutto il processo con che si deve eseguire la correzione in argomento. E siccome versando il carbonato di soda nell’ acqua da correggere , questa s’ intorbida , e solamente a lungo for¬ merebbe il sedimento ; così per ovviare la lentezza , e per ottenere sollecitamente 1’ acqua limpida, si propone di fare uso dell’Apparato di feltrazione (Fig. 4. e 5. Tav. sudd.). Consiste questo in un Vaso allungato di grès, o di terra vetriata, o di legno, ma di forma cilindrica, che nella fig. 5. si vede allo interno e per spaccato. In quello o all’ esterno non vi si scorgono che tre liste di fori a per dare adito od escita all’ aria , secondo le circostanze e l’ andamento della feltrazione, ed un rubinetto a chiave b in fondo. In questo o nell’interno, e nella parte media, poggia un feltro c costituito da una specie di tamburello con tessuto di lana da ambe le parti, e riempito da due strati di car¬ bone vegetabile soppesto il superiore , di lana in cimatura 1* inferiore ; vi si veggono pure i fori suddetti , ed il su nominato rubinetto. Ora venendo al modo di servirsi di cotali cose, ed alla pratica assoluta del metodo di correzione che io propon¬ go ; sondo che la varia temperatura dell’ acqua può in¬ fluire sull’ affondarsi più o meno 1’ Idroscopio , quand’ anche nella condizione di contenere la medesima proporzione di sali; sendo che il grado idroscopico dimostra la quantità di essi sali per ogni litro d’ acqua ; sendo che ogni gram¬ mo dei medesimi conta gram. 0,16 di calce, che esiggo- no gram. 0,40 di carbonato di soda per passare a carbonato di calce ; così si prende quell’ acqua qualunque che abbi¬ sogna di correggere, e s’ introduce nel vaso a piede (Fig. 1. d Tav. sudd. ) dove vi si infonde il termometro la- sciandovelo per qualche minuto , indi si nota la tempera¬ tura ; dopo vi si affonda 1* Idroscopio , e quando è rima- Gaetano Sgarzi 84 sto stazionario da oscillante che si mostra da prima, si guarda il punto d* affioramento , e da questo si ritrae il grado che segna. Allora perchè dall’ esposto è nota la cor¬ rispondenza dei gradi idroscopici ai sali delle acque per ogni litro, la corrispondenza in questi della calce, la cor¬ rispondenza del carbonato di soda necessario ad intaccarla; nel vaso graduato , di cui sopra si fece parola , si misu¬ rano della soluzione titolata di esso carbonato , pur fatta conoscere, altrettanti centimetri cubi quanti sono i gradi' dell5 Idroscopio, e moltiplicati pel numero dei litri che com¬ pongono la quantità dell* acqua da correggere ; si mescola in fine tale soluzione all* acqua stessa , e così intorbidita, come addiviene , la si versa nell’ apparato di feltrazione , nel quale raccoltasi al fondo, la si troverà benissimo atta a sciogliere il sapone , a cuocere i legumi , ed a quanti altri usi è destinata a servire, ed in che prima non era. Ma trattandosi di farne bibita, per cui non tanto quasi preme che sia spogliata di calce quanto aerata , sebbene nel processo di depurazione, or ora descritto, non possa dirsi che 1’ acqua viene privata d’ aria ; pure all’ oggetto di provvedere a qualche sorta di aerazione, sonosi praticati li fori designati nell* apparecchio di feltrazione su descritto. Quantunque le osservazioni di Bouchardat (1) portino che le acque anche filtrate per sabbia e carbone, se non sono spogliate bene delle materie organiche, non lasciano dopo più o meno tempo di presentare fiocchi di materia verda¬ stra, e fiocchi biancastri che finiscono per agglomerarsi in una membrana mucilaginosa semitrasparente, composta d’ al¬ ghe microscopiche mescolate d* infusorj, che lungi dall’ al¬ terare purificano le acque somministrando ossigeno , che allo stato nascente distrugge le materie organiche infettanti : quantunque Bineau (2) abbia constatato che sotto l’ in¬ fluenza di una vegetazione criptogamica i nitrati, i sali am¬ moniacali sciolti nell’ acqua possono scomparire : quantun¬ que Qodefroy (3) abbia provato che i feltri a carbone e sab- (1) Journ. de Chimie Med. eie. Toro. X. Ser. II. Pag. 603. (2) Journ. de Pharmacic eie. Toro. XXXIX. Ser. III. Pag. 335. (3) Journ. de Chimie Med. eie. Tom. VII, Ser. II. Pag. 185. Delle acque potabili selenitose ec. 85 bia non sono sufficienti alla depurazione delle acque; do- vechè invece Witt (1) addimostra che il carbone non sola¬ mente toglie alle acque le sostanze in sospensione , ma as¬ sorbe di più gli elementi minerali ed organici disciolti ; e Chambard (2) fa conoscere che la facoltà disinfettante le acque del carbone di schisto è doppia di quella del car¬ bone animale : nudamene ho pensato di non trascurare la feltrazione per carbone e per lana , che assicura ad ogni modo sempre più 1* espurgo delle nostre acque ; ho ammesso il carbone , e di qualità vegetabile , all’ oggetto più di disin¬ fettare che di scolorare nel caso nostro, il quale carbone sarà bene, dopo averlo triturato, lavarlo con acqua acidu- lata d’ acido idroclorico nel disporlo all* uso; ho preferito alla sabbia la cimatura di lana, conscio del felice successo del feltro di Souchon (3), la quale lana pure si può innanzi lavare se vuoisi e trattare mano a mano col cloruro di soda , e carbonato di soda , coll’ allume e cremor di tarta¬ ro , colla noce di galla e nuovamente col carbonato di soda , a seconda che indica codesto autore. Per comodità poi nella pratica di questo mio metodo di correzione, ho redatta una Tavola (Vedi Tav. 2.), nella quale ai gradi di temperatura possibili nelle acque dei nostri pozzi , sono congiunti i rispettivi gradi dell* Idrosco- pio, e corrispondentemente ad ognuno di essi gradi sono segnati i centimetri cubi della soluzione titolata di carbo¬ nato di soda, che vanno adoperati; per cui con questa scorta, col detto strumento, col vaso graduato, colla so¬ luzione , e col feltro indicati , qualunque siasi persona può di per sè operare, senz’ altro sussidio, la conversione della propria acqua di selenitosa e calcare in buona ed eccellente. Non presumo della superiorità e della novità in questo mio metodo sopra i molti altri che sono stati proposti, e meno su quelli di Monde (4) , di Boutron e Boudet (5) , (1) Journ. de Pharmacie etc. Tom. XXXI. Ser. III. Pag. 480. (2) Journ. de Chim. Med. etc. Tom. IV. Ser. IV. pag. 634. 13) Journal de Pharmacie etc. Tom. XXXXI. Ser. 111. Pag. 287. (4) JoUrn. de Chimie Med. etc. Tom. IX. Ser. III. Pag. 154. (6) Journ. de Pharmacie etc. Tom. XXX. Ser. III. Pag. 18. 86 Gaetano Sgarzi del nostro Nigrisoli (1). Ma il servirsi che ja il primo def- T ossalato d’ammoniaca, come è attissimo a togliere la calce, ed a rendere le acque buone per le lavature e pei liscivj , non è così sicuro come il carbonato di soda per gli usi interni , e per bevande. Il metodo Idrotimetrico dei secondi ; un metodo che è fondato sulla proprietà della so¬ luzione di sapone di rendere 1’ acqua spumosa tanto più quanto meno contiene dei sali calcarei e magnesiaci ; un metodo il cui reattivo principale conseguentemente è una tintura titolata di sapone della quale se ne misurano le quantità che si esiggono a produrre uno strato di spuma persistente per alcuni minuti nelle varie acque, e le quali quantità stanno in ragione inversa della di loro purezza ; un metodo consimile, che combina all* esattezza la facilità di operare , che conduce alla guisa di una vera analisi , e che prontamente fa conoscere il valore relativo delle acque stesse; un metodo che presta uno strumento , quale si è T IdrotimetrOy che è a portata di tutti , che semplifica af¬ fatto F operare, e che apre F adito e rende agevole la stessa analisi completa delle acque potabili ; questo metodo certamente è di sommo pregio , e svolto colla massima dot¬ trina , e confortato da esperienze e da fatti , siccome egli è, e tal quale è proposto; merita sicuramente la supre¬ mazia fra i lavori di cotal genere; dai lato della novità può avere tutta la pretensione, in senso almeno di ridurre a materiale misura quello che era opera di calcolo ; e senza dubbio il favore che ha raccolto in Francia è la manife¬ stazione patente della sua entità. Però mi sia permesso d’ osservare, che prescindendo da certa pratica che bisogna pur fare nel maneggio dello strumento, e nel determinare lo strato di spuma per entro F idrotimetro; tale metodo però accenna soltanto ai difetti delle acque, e si limita alla conoscenza reale di questi, ma non s’ estende al modo di correggerli e di toglierli ; d’ altronde panni che alcuna ,GfiTonaD Scie"lifico’ASrario-hetterario-Artistico di Perugia. Nuova Serie. Anno 1863. Pag. 193. Delle acque potabili selenitose ec. delle condizioni ultime, che sono di vanto pel medesimo, possano dirsi raggiunte di qualche guisa dal mio idroscopie, e dal metodo da me proposto. Anche il Prof. Nigrisoli coi suoi due metodi , V uno destinato a riconoscere le buone e cattive qualità delle acque potabili , 1* altro acconcio ad effettuare la di loro purificazione; servendosi pel primo della sua Tintura Alcoolica probatoria composta di aci¬ do ossalico, di fosfato di soda, d’acido tannico; pel se¬ condo del suo Miscuglio purificatore composto delle stésse sostanze ; se raggiugne lo scopo che si prefigge , e per que¬ sto è lodevolissimo metodo; lascia nullameno del deside¬ rio in quanto alla precisione e sicurezza nell’ andamento dell’ operazione: non esime affatto dalla rimanenza possi¬ bile nell’ acqua o di parte delle materie che vi esistevano non troppo buone, e che si vogliono tolte in una corre¬ zione, o di parte delle materie aggiunte in alcuna manie¬ ra di composto : non ha tutta la semplicità che pur sem¬ bra aversi a ricercare in cosa che si affida agl’ inesperti , ed al pubblico si abbandona per 1’ uso. Ciò che nella mia proposta essendo un fatto, poiché non vi manca certa tal qual precisione , tutta la facilità di operare , la maggiore sicurezza dell’ esito ; vorrebbe pur lusingarmi che fosse dessa per essere degnata di favore e di accoglienza, onorata di approvazione e di adottamento, dichiarata se non di pregio superiore, che a tanto non aspira, di beneficio almeno e di utilità pei miei concittadini ; ma dalla pratica soltanto , e dall’ esperienza, che invito ad am¬ mettere , può venirne il giudizio e la decisione. E da ul¬ timo nel rapporto della novità in questa stessa proposta mia, non ho che a soggiugnere , non aversi idea del mio Idro - scopio che nella lettera di Sinesio Vescovo cattolico del quinto secolo ad Ipazia , nella quale la richiede appunto di un Idroscopie, che doveva essere senza dubbio uno stru¬ mento simile ; pel resto la depurazione e la feltrazione non presentano che un processo , una forma modificata , cui au¬ guro 1’ incontro che possono meritare. là F* Cu «m Delle acque potabili selenitose ec. 89 Tavola seconda ANTONIO ALESSANDRINI VITA DI ANTONIO ALESSANDRINI SCRITTA DAL PROF. CAV. LUIGI CALORI ( Letta nelle Sessioni IO. 17. e 24 Novembre, e 1 Dicembre IM4.) § 1. Antonio Alessandrini, nome a noi caro ed all' Italia, anzi a tutti co¬ loro che amano il vero sapere e la virtù , vuol essere ricordato ed onorato. Ma qual maggiore e più accettevole memoria possiamo fare di lui, qual maggior onore possiamo a lui rendere di quello che narrare i fatti e i costumi onde fu singolare la sua vita? Grave peso, o Signori, si è questo che voi, sono già due anni passati, voleste impormi quando per mezzo del vostro Illustre Presidente (1) di tal guisa adoperaste che io non potessi rifiutare di sobbarcar¬ vi; e poiché scusandomi a voi, siccome a me medesimo, di insufficiente , nè cessando dalP addurre le grandi difficoltà che ci erano, sembrava tirassi troppo in lungo P esecuzion della cosa, e quasi cercassi di dispensarmene , alcuni di voi si fecero a più e più sollecitarmi, e s’ ingegnarono ancora di rimuovere gli ostacoli e di alleviarmi la fatica proponendomi una parte sola di cotanta vita , la parte puramente scientifica; e giovati da così fatta circoscrizione credettero di meglio allettarmi e persuadermi, e raffermarmi nel desiderio vostro. Ma un bio¬ grafo non può contemplare una parte del subietto e mettere le altre in non cale; imperocché da un canto raro è che avendo riguardo solo a quella rie¬ scagli perfetto il ritratto eh5 ei fa , e dall5 altro canto diffidi cosa è che le omraesse non abbiano collegamento colla impresa a discorrere, di qualità che trascurandole o per non sembrare a prima giunta convenienti o per minime apparire e quasi di nessun conto, rimangono spesso oscure ed occulte le cagioni delle cose e prendono gli effetti sembianza di eventi fortuiti. Onde che al retto dire e giudicare, che ambidue suonano il medesimo, è necessario nulla lasciar (1) li Commendatore Prof. Francesco Rizzoli il quale fu Presidente della nostra Accademia nell’ anno accademico 1861-62. 92 Luigi Calori di sapere e conoscere , nnlla lasciare di mettere davanti. E le scienze non sono in sé romite, ma convivono nella famiglia, nella città e mettonsi pur dentro a' penetrali di politica , e le une delle altre per vicenda risentonsi. Alessan¬ drini fa uomo sublime di sapere, di civili e domestiche virtù; per casi politici ebbe dischiusa sua carriera, e di cose politiche fu vago ponendo altresì mano ad esse ed in esse operando. Dir delle prime io ho certa fidanza di non av¬ venirmi in contrarietà di momento, e solo mi si potrà imputare non averne tanto degnamente favellato quanto convenivasi; delle seconde non già, av vegnac- chè in politica vari e assai discordi sono sempre i pareri, sicché al dicitore incolgono per lo men male lode e biasimo ad un tempo , ma più di sovente biasimo solo, se non peggio. Per la quale intolleranza io mi era molto trava¬ gliato di trovar modo, se fosse stato possibile, di causare tutto ciò che di politico sapeva, e così recare ad atto il consiglio avuto da alcuno di voi ; ma essendomi andato fallito questo intendimento , io mi era quasi abbandonato, ed era quasi per anteporre venir piuttosto meno a mia promessa che ingolfarmi in un pelago di cose oppositamente interpretabili , e giudicate or vere , or false, or buone , or ree secondo le opinioni e 1’ utile. Ma alla per fine avuto alcun conforto ho ripreso animo, e mi sono determinato di scrivere questa vita. Vengo dunque oggi a sciogliere Pobbligo contratto con Voi: nel che fare procac¬ cierò, per quanto il consentiranno le forze del mio ingegno, di avere riguar- dametito a tutto, e quel che più a diritta ragione ed a’ fatti mi parrà consenta¬ neo, dirò senz’adulazione e senza spirito di parte. § 2. Antonio Alessandrini nacque in quest’alma città addì 30 Luglio 1786. Gli avoli suoi furono di umile condizione e probissimi. Marco suo padre fu corriere, il quale affievolato dalle fatiche inseparabili da cotale esercizio gra¬ vemente infermò e morì in età ancor giovane, lasciando Giannina primogenita ed Antonio pargoletti. La madre loro Angiola Secchiari quantunque amorosis¬ sima de’ figliuoli, sollecitata non pertanto da’ parenti e vinta per soprappiù da necessità cedette alla instanza di certo Gianoli da Modena , e passò con lui a seconde nozze: onde al piccolo Antonio (contava egli allora due anni appena) vennero meno quando più abbisognavane le cure di entrambi i genitori. Ma la madre stretto aveva quel negozio col Gianoli, perocché era stata assecurata, che a’ figliuoli non saria mancala da parte de’ zii paterni una custodia quanto affettuosa, altrettanto fedele ed intelligente ; e il bambinello fu accolto da una zia che 1’ allevò e educò apprendendogli i primi sensi di pietà non che l’ al¬ fabeto e i numeri, ed affidandolo a chi lo rendesse capace di leggere distesa- mente e dì scrivere. Come poi fatto grandicello ebbe bisogno di più larga edu¬ cazione fu mandato presso ad un piissimo Sacerdote suo Zio, Don Giuseppe Alessandrini Arciprete di Savignano, terra finitima a Vignola di Modena, il quale con tutta la cura eh' esser doveva da lui, proseguì la ben incominciata opera della istruzione civile e religiosa del nipote, nel quale scorgendo molta facilità e bramosia d’ imparare e perspicacia non comune non sofferse che un ingegno eh’ ei vedeva nato ad utili ed onorevoli cose andasse perduto : il per¬ chè egli, benché di scarse facoltà, lo pose e a sue spese mantenne al Liceo di Modena. Ivi apprese le lingue latina ed italiana , le umane lettere , e la filosofia, e fu uno de’ più singolari di qtiel tempo, nè con altri che co’ suoi pari contrasse amicizia che perdurò poi tutta la vita , fra’ quali ei soleva ri¬ cordare quel Gian Battista Amici, che tanto doveva illustrarsi recando sì grandi e ragguardevoli perfezionamenti a’ migliori ingegni dell’ ottica. Vita di Antonio Alessandrini 93 ^ S 3* Compiuti gli studi ginnasiali, il giovanetto tutta allo zio faceva aperta P inclinazion sua alla medicina , e questi volentieri a quella acconsentendo ri- tornavalo nel 1805 al suolo natale, e facevaio iscrivere alla scuola medica di questo inclito Archiginnasio, provvedendo egli con suo grande disagio e con non meno carità all’ occorrevole per così fatta bisogna. Ei non è a dire con quanto fervore allo studio e con quanto profitto il giovane Alessandrini corri¬ spondesse a così segnalati benefizi dell’ottimo zio. Primeggiava nelle scuole: grande stima i maestri e i condiscepoli ne concepivano , la quale si andava al¬ tresì diffondendo per la città, massimamente appo coloro che più le doti dello ingegno e l’ amore a’ buoni studi, che i favori della fortuna hanno in pregio. Non insuperbiva per ciò, ma la nativa modestia e gli integri costumi a’ quali lo zio avevaio educato e cresciuto, mai sempre serbò. Onde che i migliori se gli accostarono, e fra questi vuoisi nominare quell’ intimissimo che gli fu Fran¬ cesco Mondini, perocché fu quegli che gli schiuse la via alla carriera che sì luminosamente percorse, siccome esporrò più innanzi. S j- Volgeva il Giugno del 1809, quando P Alessandrini fu proclamato dot¬ tore in medicina, e volgente lo stesso mese del 1811 in chirurgia; ed amen- due queste lauree furongli conferite a pienezza di voti e con menzione onore¬ vole da farsi al Governo. Cotale titolo era a que’ dì il massimo, che fossesi potuto conseguire , e chi ne era in possesso non dubitava punto che presto o tardi gliene fosse venuto efficace giovamento, avvegnaché era a lui legata la non vana promessa che qualora un posto proporzionato e conveniente fosse ri¬ masto vuoto , venisse occupato da chi si fosse procacciato quel titolo. E di co- desto verace attendimenlo ebbe subito a far saggio Alessandrini, il quale poco dopo la sua ultima laurea fu prescelto a medico astante dell’ Ospedale della Vita, uffizio a que5 tempi assai reputato e fruttuoso. S 5. Durante la sua astanteria si unì con più stretti e saldi nodi al prelo¬ dato Francesco Mondini esso altresì astante in quello Spedale. Francesco figlio di quel Callo che in sullo scorcio del passato secolo aveva mantenuta nel suo lustro la scuola Anatomica di Bologna, ereditate non ricchezze, ma virtù alle belle e buone opere onde fu il genitore informato, erasi già posto con molto zelo agli studi anatomici, sicché essendo egli ancora studente aveva potuto lau¬ dabilmente sostenere le veci del dissettore Quadri ito in terre straniere a far tesoro di cognizioni in oculistica, della quale fu poi Professore celebratissimo a Napoli, E non era piccola prova di perizia anatomica 1’ essere riuscito in quella sostituzione a meta soddisfacente ; imperocché Moreschi che allora teneva Ja cattedra di Notomia, era di assai difficile contentatura. Alessandrini convi¬ vendo con tale amico, il cui retaggio era P inclinazione all’anatomia, e sprone senza fallo a divenire eccellente in lei l’esempio paterno, non poteva a meno di parteciparne, e risvegliavasi in lui una pari attitudine ed un amor pari, che portavanlo ben presto a giugnere 1’ amico e ad emularlo. Questi lunge dall5 at¬ tristarsene e dal nascondersi come i più sogliono, rallegrossene anzi moltissimo, e per soprappiù fece comune a quello la cospicua biblioteca anatomica avuta in eredità dal padre: col quale atto soprammodo generoso ribadì la loro amicizia, e produsse un effetto vantaggiosissimo che sorgesse in entrambi un sol pensiero, una volontà sola. Perchè concordemente proposero e misero ad esecuzione, che tutto il tempo che lor rimaneva dopo le cure onde avevano obbligo cogli in¬ fermi, fosse speso in tagliar cadaveri sì per indagare le cagioni delle malattie 94 Luigi Calori e delle morti, come per iscoprire le parti più recondite e difficili della raac- § 6. La continua loro presenza nello Spedale e l’ indefesso loro studio in Anatomia era cosa non dirò nuova, ma rara assai, non già per que9 tempi, chè sempre f» tale ed è tuttavia; conciossiachè da un lato la gioventù ha di solilo nimicizia colla fatica e collo studio, massime se di quei tanto severi e lunghi siccome quello dell’ Anatomia, e da un altro lato ella d9 ordinario si appiglia solo a quelli che più facilmente e più presto le impromettono lucro; sendo che non suole studiare veramente per amor del sapere, ma o per pro¬ cacciare a sè da sè il necessario che ben tosto verrebbele meno altrimenti ado¬ perando, o per accrescere le facoltà che le verranno da’ genitori e vivere vita più agiata e splendida. Non già che i due astanti non versassero nelle mede¬ sime condizioni; ma innamorati della bella scienza, e compresi soprattutto, come io dalla viva loro voce più fiate udii, da quel detto del celebre Portai, che la valentia di un medico misuravasi dalla profondità delle cognizioni ana¬ tomiche, tenevano stretta 1’ occasione, e s9 ingegnavano a tutt9 uomo di venire in possesso di quante più cognizioni anatomiche avrebbero potuto. V esemplare loro condotta fu subito notata , e veniva da9 vecchi dello Spedale ricordata an¬ che quando io frequentavalo nel 1829. Gli officiali al medesimo preposti ne resero consapevole la Superiorità, la quale, poiché que9 due rari astanti ebbero terminata la loro astanteria, volle ne fossero rimunerati ed onorati, e li ebbe senza dimora ascritti al novero de9 Medici sostituti primari. S 7. Crollava intanto l9 impero Napoleonico da ogni parte, e il senno e la possa di lui erano dannati a finire sullo scoglio infame. Italia del suo ferro cinta tentava rivendicarsi in libertà e riunire in uno le sue membra sparte, ma impari alla grande opera veniva astretta alle antiche suddivisioni ed a peggio. Bologna non più coll9 antico senato, nè più retta a proprie leggi, ma sotto il dominio assoluto di Roma. Nuovi Signori, nuovi ufficiali, nuovi servi. L9 Uni¬ versità dianzi piena di eccellenti Professori, fattane vedova dei più. II Delegato Apostolico Giustiniani mitigò cotanto dolore sostituendone altri non meno degni, tra quali Francesco Mondini. Chiamavaio a se e profferivagli la Cattedra di Anatomia : accettavate, ma si veramente ch’egli avesse a suo dissettore Antonio Alessandrini. Concedevalo, e addì 30 Ottobre 1815 erano spedite lettere di nomina ad entrambi. S 8. Alessandrini durò quattro anni in questo uffizio, lungo i quali ottima- mente esercitandolo, e prestando volentieri e graziosamente sua opera a chiun- que de Professori ne lo avesse richiesto, si ebbe la stima e la benevolenza di tutti. Quantunque locato m grado inferiore, i Professori non pertanto lo vollero a socio nelle conferenze che eHi tenevano a casa il Tommasini per conseguire unità nel medico insegnamento, reputata più fruttuosa della molti- odine delle cognizioni; sendo che il giovane che accede agli studi sia come 7Lra5?;"J.,l0,T0r? "elle c0?lese un criterio che egli si ha anco a fare. gioventù altresì I amò ed ammirò per la chiarezza e lo zelo con che egli come ripetitore istruivate in anatomia e dirigevala ne’ primi tagli. »• Codesti pregi gli valsero ad essere preseelto nel 1817 a medico di r“f.’rel "®> e ne.1 *ebb™° lM ,8)9 a Professore temporaneo o sostituto che ™f' .cl"a,marsl ’ dl Notomia Comparativa e di Patologia Veterinaria, cat¬ tedra rimasta un mese innanzi vacante per la improvvisa ed immatura morte Vita di Antonio Alessandrini 95 d. Gaetano Gandolfi che alquanti anni aveeala tenuta con molto onore. Fn data la preferenza allo Alessandrini non già perchè si fosse molto occupato di cose zootomiche e veterinarie, ma perchè era quegli che mostrava maggiore aitilo! e caP.ac,là, che, sembrava proporzionata a potere abbracciare si ISinr r T’n d?nhera superlori riferirono Francesco Mondici e Mon- iXoell^i ! Ranzam Professore dottissimo di Storia Naturale segretamente 2 ' ,1* ciò, ed invitati ad esternare liberamente il loro parere intoroo a quegli che avrebbe date maggiori speranze di miglior riuscita in così fallo aringo. Nè punto si ingannarono, perocché P Alessandrini mosse con tanto ar- „® ’ e tan.1» .«•attività adoperò, che in quell'anno stesso ebbe recitalo un corso di lezioni di Notomia comparala e di Patologia Veterinaria con tale nn plauso che non vegliò a lungo il desiderio del predecessore, benché a buon dritto smtT 3Ì! V.d a,ma,°- Ma "°n be“ pag0 di ci6> siccome * P'" sarebbero sta», volle subito dopo mostrarsi anche a’ dotti per quel valente eh’ egli era cogliendone 1 occasione che il Ranzani porgevagli, di un feto entro gli invi’- uppi dato in luce da una Phoca bicolor Shaw esposta nel Luglio di quél- anno alla pubblica vista in questa città. L’argomento era nuovo non perchè ai coiai specie di Foca non avessero distesamente parlato e Zoologi e Zoolo¬ gi, ma perchè non era loro forse mai sortito di avere un oggetto sì prezioso. Alessandrini ne spose una magnifica anatomia degli inviluppi, corredata di bene 1 avole incise, la quale venne stampala nel Tomo III degli Opuscoli smentitici ^ ). Quest anatomia quantunque particolare, non venne meno al co¬ spetto de grandi lavori di Dutrochet, e di G. Cuvier sugli involucri fetali de’ vertebrati, e procacciò molta lode al suo autore. Ella entrò subito come pa¬ trimonio della scienza, nella scienza, e venne ed è tutttavia citata con onore dagli scrittori di cose zootomiche e fisiologiche. S 10. Questo felice successo, e più poi il non essere Professore stabile, e appartenere, com ei spesso diceva, ad una Università, ov’ erano rinate le scienze, ove tanti illustri cultori delle medesime l’avevano per lungo corso di età fatta sì chiara e famosa, gli accesero nelP animo nn desiderio acutissimo di operar cose che all antica grandezza, alP antica sapienza si agguagliassero. Alessan- arim non era uomo da contentarsi de’ secondi onori ; ambiva i primi , e volea giugnerli non per vie nascose e torte, ma per aperte e diritte secondo 1’ usanza de generosi. Quindi non è maraviglia eh’ ei dovesse concepir nella sua mente idee vaste e sublimi, e mandarle ad esecuzione con un coraggio ed una per¬ severanza senza pari, non isgomentando contro gli ostacoli che pur moltissimi e gravissimi dovette incontrare, anzi come a dire signoreggiandoli e traendone suo prò. E fu allora che si fisse in pensiero di erigere un grande Museo di Anatomia comparata fisiologica che emulasse, e se fosse stato possibile, supe¬ rasse tuttavia il celebratissimo di G. Cuvier. Ma disdegnoso quasi che 1’ Az- 2!tIg11* 6 ^ bandoli! 1’ avessero prevenuto nel por le prime pietre di cotanto edilìzio, e che l’ invidia potesse dirlo una imitazione (tale però, che nuova a questa Università ed all’ Italia riusciva ) ideava in un medesimo altro non men grande monumento, certo a que’ tempi non ancora pensato da chicchessia, vo’ dire il Museo di Notomia Comparata Patologica. Si ha da’ Cataloghi che Ales- (0 Su gli inviluppi del Feto della Phoca bicolor pag. 298. Bologna 1819. 96 Luigi Calori sancirmi lasciò scrini di proprio pugno , eh’ ei giitonne le prime fondamenta 10 quell1 anno stesso che fu nominalo Professor sostituto di Notomia comparata e di Patologia Veterinaria. Le due moli erano già grandi, quando io nel 1830 muoveva i primi passi nella carriera anatomica ; ed allora era intorno ad esse una operosità maravigliosa, perchè crebbero in pochi anni a dismisura da non capire se non costrette e compresse nel luogo lor dato benché capacissimo : onde non potevano far mostra di tutta quella vastità eh’ elle avevano, e di tutta quella pre¬ ziosità di materie che le componevano. Fu solo quando per il fermo volere, anzi la pertinacia di un nostro benemerito concittadino, zelantissimo del decoro di questo Ateneo, di cui era Rettore, Monsignor Pietro Trombetti, si ebbe a quelle due moli in un cogli altri Musei Anatomici mutata sede, che elle appar¬ vero veramente quante e quali fossero. Elevavansi sopra un numero quasi eguale di utili e scelti preparati che tutti insieme oltrapassavano le sei mila, e che metodicamente distribuiti eccitavano P ammirazione e Io stupore di chiunque li vedesse e li considerasse. Ma in quella che codeste due moli mostravaBsi in vista sì nobile e maestosa, scoprivasi un altro intendimento delio Alessaudrini, di porre anche un grande Museo di Paleontologia, pel quale egli aveva già fatto tesoro di abbondante suppellettile che in quella congiuntura espose al pubblico a canto alle due altre. § 11. Quando si ragguarda che un uomo solo nel breve corso di sua vita mortale potè fare tante e sì stupende maraviglie che appena più età avrebbero saputo mettere ad atto; quando si considera eh’ ei le effettuò non perchè gli fosse conceduto mezzo e modo straordinario , ma per P industria sua e la vo¬ glia ardentissima di operare cose memorevoli che tornassero a lustro di sè, a decoro e vantaggio di questo Ateneo e delia patria comune, noi abbiamo un esempio splendidissimo da additare a tutti coloro che del non fare allegano la scarsezza dei mezzi, la qualità dei tempi, il non essere rimunerati da’ Governi; quasi che la sola dovizia di quelli e non il buon volere producesse le opere virtuose, quasi che ogni tempo ed ogni luogo non fosse a quesje adatto, quasi che le ricchezze e gli onori, che a' soli generosi dovrebbero serbarsi, non ad¬ dormentassero i più. Non dico che si manchi del necessario, che premi ed agi ancora non ci vogliano ; ma quando nelP uomo non è virtù vera congiunta a desìo di bella gloria, vani sono tutti i mezzi, e le rimunerazioni, nè cose gloriose ed eccelse mai potranno impromettersi. § 12. Erano cinque anni passati che Alessandrini adempieva P uffizio di so¬ stituto , e sembrava fosse stato dimentico dal Governo , non già eh’ egli non si raccomandasse; chè ciò faceva non però vilmente con prieghi o con umilia¬ zioni, ma nobilmente coi felici successi della istruzione e colle due moli sud¬ divisale. Qualunque altro per tale non curanza avrebbe molto rimesso dello ardore con che aveva prese le mosse e sarebbesi forse abbandonato; ma tutto 11 contrario, chè egli raddoppiava di cure e di sollecitudini. Lo che fa vedere che quando ci è buona tempera ed animo informato a rerace virtù non son ne conferma questo vero, che gli uomini debbono provarsi innanzi di porli nel grado cui hanno a definitivamente tenere; conciossiachè alcuno dagli infimi ai sommi gradi salendo in un subito, o non si induce sì di leggieri a fatiche glo¬ riose, o raro è che adoperi misura, di quelle non avendo l’abito, di questa non avendo l’acquisto; chè mancato gli è il tempo alia esperienza che si fa Vita di Antonio Alessandrini 97 percoriendo i gradi intermedi, e 1’ adusarsi soprattutto all’ abnegazione. Venne nJ uÌOV?V?al° da UI sosPirato de,la nomina a Professor stabile, e “^0 ob 1824’ “a quesla g»oia M breve gioia; chè forte gliela amareggiò il non essere eg li stato in un medesimo al Collegio medico-chirur- rLTb Rn!.IDPer0r a nU0V° ^rdinameDl° allor allora escilo n luce, !a Bolla cioè quod Divina bapientia, iustituiva un Collegio di Dottori, ’JJ ^1Hin|iUTTC° 4rcic.ancel,lere e col Rettore componevano il Magistrato Su¬ ll * ®°,U aUnbulÌ de,(*Ui,e era pur quello degli esami quali pelò erano dietro apposito invito chiamati altresì i Professori che collegiali non fossero, quantunque volte necessaria ne fosse stata la presenza o 1’ aiuto T. del Collegio potevano far parte i Professori, ma nou di diritto; essi non dì manco n erano caeteris paribus i preferiti. Di fatto nella prima forma¬ zione di quel corpo da Alessandrini infuori , tutti gli altri ne erano sor¬ titi membri Cossegli fuor misura codesta esclusione e forte querelossene , e e sue querele sparse nel pubblico diedero motivo a’ più nuovi sarcasmi contro «a Bona. Da si diceva un parto mostruoso d’ignoranza, e data a divinamente offuscar gli intelletti, quasi che ella si dilungasse le mille miglia dal Regola¬ mento degli studi che vigeva sotto il cessato Regno d’ Italia e che in quella occasione portavasi alle stelle; anzi non fosse quello stesso regolamento con poche modificazioni parte utili, parte non, secondo che suole per le più volte accadere innovando, e prova ne abbiamo pur avuta oggidì. E dalla Bolla passa¬ tasi al Governo ed accusavasi il mal vezzo di Roma di calcare i buoni e sollevare VP^G ConWgià ebbe cantato la terribile musa dello Alighieri; concios- siachè Alessandrini correva per le bocche di tutti come uomo di liberi sensi e magnammo. Ma per molti fu anche detto che tale esclusione mosse da uno di que soliti maneggi femminili mai nuovi per variare di tempi e di luoghi tatto a favore di bel giovine, certo Dottor Luigi Giorgi, dissettore di Anato¬ mia umana, il quale più volentieri usava co’ nobili e piaggiava lor donne di quello che tagliar cadaveri come suo uffizio portava. Alcune parenti del Car¬ dinale De Gregori fecero per ciò le~opportune pratiche con questo Porporato allora Prottettore della nostra città, il quale compiacente oltre il debito tolse a cm piu il meritava un grado per insignirne chi il meritava meno, coone- stando il suo operato coi dire che Alessandrini era già stato testé provveduto colla Cattedra, e che il Giorgi aveva d’uopo di mezzi per progredire. Di che avendo io voluto ricercare il vero ho diligentemente cercato e trovato così es¬ sere vero. § 13. Le querele dell’ Alessandrini giunsero agli orecchi della Superiorità la quale ne fu oltre dir dispiacentissima, siccome quella che aveva ben veduto il fatto non andare esente da una qualunque taccia d’ ingiustizia. Bisognava dunque trovar modo di riparare a ciò, e l’Eminentissimo Arcicancelliere facevasi a lu¬ singare Alessandrini, a blandirlo; impromettevagli , anzi assicurava^» che alla prima vacanza egli sarebbe entralo nel Collegio. Intanto per vieppiù appaciarlo, a i * .Jua. e 8u*sa ristorarlo del danno, annunziavagli la nomina ad ufficiale del Magistrato Provinciale di Sanità, ricompensa che sembrava fossegli pur do- vuta per le parti sì abilmente sostenute di Medico di Lazzaretto durante la terribile epidemia di tifo che regnò nel 1817 io Bologna. A malgrado però di tutto questo parve che Alessandrini nè allora nè poi deponesse il rancore ; pe¬ rocché anche negli ultimi anni del viver suo ogni qualvolta nell’ usar compa- T. IV. 13 98 Luigi Calori gnevole fosse caduto il discorso su quella esclusione, componeva il volto come di uomo sinistramente risentito, e o mormoravane tra’ denti alcun motto di sde¬ gno, o di gajo eh’ egli era, facevasi tristo e taciturno. Oh quanto è mai vero che un’offesa difficilmente si cancella per benefici, ma si cerca di solito ri¬ vendicarla con altrettanto. § 14. Tulli però i mali non vengono per nuocere secondo che il dettato pone. Se Alessandrini fosse stato in quella prima istituzione fatto di Collegio, forse il Governo non avrebbelo promosso ad ufficiale del Magistrato di sanità, e noi saremo stati privi di grandi vantaggi; imperocché in quel magistrato non ci era cui fosse veramente a cuore la parte veterinaria , la quale veniva trattata fievolmente a somiglianza di chi poco cura, od ha spiriti fiacchi per infermità o vecchiezza. La prima opera del nuovo ufficiale fu di rivedere e far di nuovo pubblicare coll’ aggiunta di qualche modificazione le non ben osservale regole intorno alle bestie da macellarsi, intorno a macelli e a ven¬ ditori di carni, quelle su cani ed altri animali soggetti alla idrofobia ed a malori non men di questo appiccaticci e finalmente quelle sopra le epizoozie. E poiché la posizion sua porgevagli il destro di raccogliere quanti mai oggetti avesse voluto, di notomia normale e patologica de’ bruti domestici ad utilità della pubblica istruzione e ad ampliamento de’ suoi due Musei, così coll’ as¬ sentimento de’ Superiori commetteva a tutti i veterinari addetti a macelli sì della città come della Provincia di non trascurare i casi massime di malattia, che sarebbersi offerti alle loro ispezioni, e di inviarglieli subito alla Università; ed essi tanto per la stima e la venerazion grande in che avevano l’ Alessan¬ drini, quanto per lo scopo utile e decoroso cui intendeva cotale commissione, recavanla con ogni diligenza e solerzia volonterosissimi ad effetto. Rimesse così nel migliore assettamento le cose veterinarie rispetto alla Pubblica Igiene, e converse ad un tempo in prode de’ suoi più cari propositi, i Colleghi ed il Cardinale Legato loro Preside paghi soprammodo de’ lieti successi che dalle suddette provvidenze seguivano, convennero unanimi nello estendere le attri¬ buzioni dell’ Alessandrini, e in tutto ciò che al Magistrato apparteneva, intro- misonlo. E fu bene ottimo divisamento codesto; imperocché egli che era gio¬ vane e aveva mente ed omeri proporzionati ad ogni gran pondo, presosi in breve il tutto lo investì del medesimo ordine onde aveva le cose veterinarie e divenne 1’ anima del Magistrato. La sua grande intelligenza ed attività gli valsero dopo non molto 1’ onore di esserne nominato Vice-Presidente, grado eh’ ei conservò fin presso gli ultimi anni di sua vita. Tra’ varii fatti che se¬ gnalarono la sua vice-presidenza, degno di memoria è soprattutto quello del 1836, quando il Cholèra asiatico già penetrato negli Stati Pontifici, ed imper¬ versante a Roma e in altre parli, non che nella finitima Toscana, provvide a tutto uomo che fosse salva questa nostra Provincia assai da presso minac¬ ciata dal rio malore. In quella luttuosa circostanza lasciando a’ Governi ed a’ Medici^ che hanno più a cuore 1’ agevolezza de’ commerci che la vita e la salute de’ popoli, discutere della contagiosità o non contagiosità del male per risolvere poi la questione secondo che elli desiderano, compreso da quel vero, che in simili casi il dubbio dee al probo medico far ritenere come se già il morbo fosse contagioso, iuvocò ed ottenne che la provincia fosse isolata, e conferitagli ad un tempo autorità direi quasi dittatoria, stabilì quarantene ri¬ gorose a’ confini, e furono minacciate gravi pene a’ contraventori ; purificò la Vita di Antonio Alessandrini città e specialmente gli abituri de’ poveri i quali, ove per angustia di luogo fossero stati troppo ammooticellati, diradò ; emendò la pubblica annona; scrisse di proprio pugno, e colle stampe promulgò a giovamento de’ medici e del po¬ polo salutari istruzioni; e posto che tutti questi mezzi fossero tornati inefficaci, divisò in città e nel contado lazzaretti, e designò chi avrebbe dovuto esserne al servigio. 1 quali provvedimenti furono assecondati da buona fortuna, e noi fummo allora preservati dalla orribile pestilenza; ma quando nel 1865 si eb¬ bero seguiti i contrari principii, e messe in non cale le savie e filantropiche disposizioni dell* Alessandrini, ella ebbe subito l’adito, e città e provincia fu¬ rono in breve tutto un corrotto per la grande moltitudine delle vittime che ognuno ebbe a deplorare. § 15. Caso volle o giustizia che quegli stesso che senza diritto teneva lo scanno di Alessandrini in Collegio, dovesse cederglielo per quella ineluttabile necessità che è morte, la quale seguì nel Luglio 1827, cioè intorno a’ tre anni dalla istituzione del Collegio medesimo ; spazio di tempo a dir vero non Iqngo, ma sempre troppo per chi veniva defraudato di quanto gli si apparte¬ neva. Nel successivo Agosto occupavane egli già il vuoto stallo ; e così compie- vansi le impromesse e le assicurazioni dell’ Eminentissimo Arcicancelliere e cadeva del lutto 1’ opinion di coloro che la suddiscorsa esclusione avevano voluto attribuire ad uggia del Governo contro a’ meriti ed alle virtù, massime s’ elle avessero saputo di alcun che di libero. Congratularonsi i buoni di que¬ sta promozione, e più di ogni altro al novello collega congratulò il Collegio, il quale accresceva suo lustro e sua importanza con 1’ accorglierselo nel seno, ed acquistava tutta sua pienezza, avvegnacchè avesse un manco cui mal soppe- rivasi senza 1’ Alessandrini, e che questi abbondevolmente toglieva col suo vasto sapere di Anatomia comparativa e di Medicina veterinaria. § 16. E qui comincia una nuova era di Lui. Se Alessandriui teneva facil¬ mente il primato in Italia pei grandi Musei che istituiva, mal poi reggeva al confronto di que’ Sommi che pur allora in Italia coltivavano 1’ anatomia com¬ parativa, e che avevano con gravissime scritture che già circolavan per tutto, levato di essi loro glorioso grido nel mondo scientifico, vuo’ dire Scarpa, Ro¬ lando, Delle Chiaje, Rusconi, Panizza, Savi Paolo ecc. ; imperocché dal citalo opuscolo sugli inviluppi fetali della Foca bicolore in fuori nuli' altro egli aveva più mandato in luce che avesse valso a mantener viva ed accrescere presso a’ dotti sua nominanza. Ma due occasioni gli si pararono davanti efficacissime a ciò provvedere; l’una fu che avendo nel 1829 promossa appo noi l’Illustre Prof. Camillo Ranzani una non men utile che onoranda pubblicazione, qual era quella degli Annali di Storia Naturale, impose ad Alessandrini il carico della parte anatomica, cui egli di buon grado sobbarcossi e resse con grande va¬ lentia. V altra fu che essendosi in quel torno medesimo repristinata per mu¬ nificenza de’ Sommi Pontefici Leone Duodecimo, e Pio Ottavo la nostra Acca¬ demia, Alessandrini fu tra’ primi chiamato a partecipare di questo sodalizio come Benedettino o pensionato; lo che suonava quanto dire, che egli doveva ogn’anno presentare una dissertazione intorno a cose naturali, la quale avrebbe ottenuto l’onore della stampa negli Atti dell’Accademia, ogni qualvolta avesse in se avuto uno di questi due requisiti, cioè o di avere disvelalo alcun nuovo vero, o di avere arrecate fruttuose illustrazioni al già saputo e conto. Ognuno di leggieri immagina per se, con quanto di abbandono ei scendesse in questo 100 Luigi Calori aringo e com’ ei cercasse di segnalarsi. Due pungoli lo stimolavano a ciò, ano che pur facevasi sentire al cuore degli altri suoi Celleghi, era di dare V an¬ tico lustro alla restituita Accademia , e corrispondere così alia fiducia ed al- P aspettativa del Governo che espressamente aveva ingiunto che gli uomini più scienziati e virtuosi 1’ avessero rifatta, lasciandone agli antichi accademici su¬ perstiti, ed a quelli eh’ erano tali per diritto, la proposta che sarebbe subito stata approvata siccome fu in effetto: l’altro pungolo poi era di salire in fama di prestantissimo anatomico ed emulare se non anche sopravanzare i contem¬ poranei. E per verità i maggiori e più singolari scritti che ci lasciò Alessan¬ drini, leggonsi quasi tutti nei nostri Atti: molti altri consegnò pure ad altre collezioni periodiche, ma il maggior numero agli Annali di Storia Naturale, ai quali ebbe predilezion non leggieri; perchè venuti meno nel 1832 ei così adoperò che elli rinacquero cinque anni dopo sotto il titolo di Nuovi Annali, e divennero suo parto, che per essere più poderoso e forte durò più a lungo, e non giacque che nel 1855, epoca in cui egli lasso per vecchiezza, e fievole di salute mancò degli spiriti necessari a continuargli la vita. In questi nuovi annali introdusse egli una non piccola parte di storia della nostra Accademia dando succinta contezza delle letture accademiche, ed accogliendo quelle dis¬ sertazioni che quantunque lodevoli, non avevano tutte le qualità richieste per essere ammesse a far parte degli Atti. S 17» Ma divisiamo ornai le scritture di lui, e specialmente quelle che più procacciamogli fama. Son elleno assai numerose, e disparate di argomenti e di tempo, sicché in questo mio racconto non potrò servire all’ordine cronolo¬ gico con che furono dettate, e converrammi distribuirle secondo loro particolari materie; e poiché sono la maggior parte di anatomia comparata normale, e di anatomia comparata patologica, così a questa naturalissima divisione ch'elle stesse ne porgono, mi atterrò nello esporle. § 18. Dall’anatomia degli animali vertebrati più che da quella degli inver- ‘eb.ra!,„.!faS5€ eg,i g,i ,ar80menl\ che trattò nelle sue scritture. Non già eh’ ei • » o- caglia ii vciu; ira i pruni scrmi cue ei consegnò agli Annali diStoria Naturale, due che sopra gli altri risplendono per novità ed importanza, risgnardano V anatomia deeli invertehrati. ed uno di (1) Annali di Storia Naturale Tom. 2. an. t (2) Annali cit. Tom. 3. an. 1830. pag. 190. "• 1829 pag. 378. Vita di Antonio Alessandrini 101 femmine.^ Lieto del caso fecesi subito ad esaminarle e non tardò ad accor¬ gersi eh eran elleno gravide di prole soprammodo numerosissima , la quale movendosi entro 1' ovidutto mostrava di essere ancor viva. Tagliata una di quelle femmine, e fattone escire i feti, raccoglievali sopra un vetro, ed aggiungeva una goccia di acqua, e con acute lenti e poscia al microscopio sguardavali. Descriveva tosto la particolare loro forma e grandezza, notavane l’estremità caudale e della testa e quanto di anatomia poteva discoprirsi per colai mezzo : ritraeva in fine ciò che avevaio a prima vista più colpito, la somma vivacità de’ loro movimenti. Intorno alla quale egli pensò di istituire alcune prove , ed una^ fu di far passare una debolissima corrente elettrica per 1’ acqua in* cui que’ vermetti nuotavano, e vide che elli movevansi anche più vivacemente; ma continuando sì fatta corrente cominciavano a divincolarsi come presi da con¬ vulsioni e finivano col morire, attratti dal polo, zinco. Sperimentò l’acqua coo- bata di Lauro Ceraso, e trovò che anche in picciolissima quantità riusciva ad essi più che mai deleteria. Sperimentò pure il laudano liquido, il quale mo¬ strassi Jor meno micidiale, essendone stato bisogno di una maggior dose per ucciderli. Ma una osservazione non meno importante fu quella della tenacità di loro vita , imperocché avendone egli messo un gran numero nell' acqua sem¬ plice e gli altri lasciati entro la loro nativa abitazione camparono cinque giorni, benché la temperatura non fosse molto alta, nè perirono se non dopo che questa fu artificialmente ridotta a 4 gradi sopra zero del termometro di Reaumur. Notabilissimo poi fu che gli immersi nell’acqua crebbero alcun poco,i rimasti nell’ ovidutto non crebbero. Oh ! quanto sarebbe mai stato bello avere fatto penetrare quell’ acqua od alcuno di que’ vermetti entro un altro animale in cui fossesi per ragione potuto conghietturare avessero essi agevolmente allignato, a fin di vedere se fossene stato possibile il passaggio o la trasmissione, e postala possibile, quali vie avrebber eliino percorse nella sede novella per recarsi a di¬ mora conveniente , e quali evoluzioni avrebbero ivi compiute. Con che egli forse sarebbe giunto pel primo a quella gran meta, che dippoi molti anni gloriosa- mente toccarono alcuni moderni Elmintologi. § 19. Queste importantissime osservazioni dell’ Alessandrini non furono attese da’ Zoologi; imperocché cinque anni dopo la loro pubblicazione cioè nel 1834, il Jacobson scriveva all’ Accademia delle Scienze di Parigi di avere trovato in un giovanetto delle filarie medineosi gravide, e di averne pel primo veduti vivi i piccoli nell' ovidutto. Venuto ciò subito a contezza dell’ Alessandrini, rivendi- cossene senza frappor indugio la priorità. In tale circostanza recò egli innanzi altre osservazioni comprovanti il fenomeno in altre specie di filarie e soprattutto nella Filaria Mustelarum subcutanea, trovata, o sì certamente con molta dili¬ genza prima di ogni altro descritta dal nostro celebre Rosa (1). § 20. Alcuno per avventura crederà che Alessandrini non avendo pubblicato altro lavoro sugli intestinali poco si addentrasse in questa parte di Notomia Comparala fisiologica del pari e patologica. Ma da questa opinione si ritrarrà di leggieri considerandone la ricchissima collezione oud’ egli ebbe forniti i suoi Musei e le molte annotazioni che ne lasciò nei suo Catalogo manoscritto. Fra le quali annotazioni ne ha una di cui non debbo passarmi , ed è che il Dottor Gotti 0) Nuovi Annali delle Scienze Naturali Tom. I. Serie t. pag. I. an. 1838. 102 Luigi Calori fecegli nel 1838 opportunità di esaminare tre idalidi cerebrali composte ( Coe- nurus cerebralis Rud. ) levate dal cervello di un vitello vertiginoso, le quali erano rinchiuse in una vescica o cavità comune, e tutte sciolte da ogni ade¬ renza, ed affatto libere : la quale particolarità egli ebbe dappoi occasione di ve¬ rificare in altro vitello, ove nella vescica numerosissimi erano i vermi caduti, i quali non essendo secondo il costume appiccati alla faccia interna di lei, ed essendosi essa lacerata escirono in certo numero col liquido contenuto. Codesta osservazione è non meno nuova che preziosissima, conciossiachè ella valga ad in¬ vanire i dubbi recentemente messi da H. Pouchet e Vernier intorno alla trasmis¬ sione degli elminti (1), dubbi nati dall’avere veduto che avendo essi fatto in¬ ghiottire ad un cane una vescica ove avevano contati i vermi aderenti , eb¬ bero una moltitudine di tenie mollo superiore a’ vermi o teste di tenia noverate, e ad altro cane avendone data a mangiare una, nessuna tenia in lui si sviluppò. Come questa ultima osservazione nulla rileva, avrebbe 1’ altra rilevalo moltissi¬ mo, laddove non ci fosse stalo il fatto registrato dall9 Alessandrini del poler- vene essere di libere entro la vescica (2). Lo che ne dimostra la necessità di novelli studi sul modo di moltiplicarsi di codesti elminti. § 21. L’anatomia del sistema nervoso della Scolopendra morsitans fu data da lui nel 1830 a confutazione di alcuni errori di Gaede, che allora reputa- vasi il migliore e più accurato sì per descrizione come per illustrazione icono¬ grafica di quel sistema in tale insetto. Voleva il Gaede che il vaso dorsale avesse altri fili nervosi oltre quelli che provenivangli dal nervo intestinale o dell’ apparecchio digerente , ed ammetteva un nervo impari della base del cer¬ vello, e due altri rami procedenti dal secondo ganglio della midolla spinale; tre nervi che appartenevano secondo lui alla parte anteriore del vaso dorsale medesimo. Dimostrò Alessandrini che il preteso nervj impari altro non era che l’estremità anteriore di questo vaso , la quale oltramodo assottigliavasi, e con- formayasi in filamento cavo dapprima , poi solido ; particolarità che occorreva pure in altri insetti specialmente alio stato di larva, e che fu avvertita sino da Lionnet. Dimostrò del pari che gli altri due fili presi per nervi del vaso dor¬ sale non erano certamente nervosi, perocché al microscopio non appalesarongli la struttura fibrosa propria a’ nervi, ma la tubulare de' vasi. E avrebbesi a prima giunta potuto credere eh’ elli fossero due piccole trachee serpeggianti su quel vaso ; ma veduti al microscopio non offerivano la tessitura a filamento spi¬ rale che le trachee presentano. Da un altro canto essi apparivano più grossi ne loro attacchi al vaso dorsale, e meno ne’ rami , che più da quello scosta¬ tosi; lo che era il contrario di quanto osservano le trachee nel diramarsi che tanno sul vaso medesimo: finalmente la loro cavità comunicava direttamente con quella del vaso dorsale, comunicazione non mai concessa alle trachee, e conteneva per soprappiù alcuni grumetti di quello stesso umore verdognolo che (t) \edi Revue Zoologique di Guerin Meneville a (2) Le preparazioni e corrispondenti annotazioni fatto certamente vuol essere da altri verificaio avam za. Intanto egli ne induce a credere che la vescica i gotte sporgenti si all* esterno che alio interno di es altre ed opposiiamente volte; che le interne staccan come nell* Echinococco, e che le esteriori si romnnrt 1862. pag. 207. ansi ai N. 1877-320. Questo ne abbia delle gemme o mar- i,e forse le une annesse alle rimangano entro la medesima nella maniera già conosciuta. Vita di Antonio Alessandrini 103 il vaso dorsale racchiude. Dalle quali tutte cose ei concludeva che i pretesi due nervi del secondo ganglio del midollo spinale pel vaso dorsale , erano due pertinenze del sistema vascolare , due vasellini che o mettevano capo in esso vase , o da esso vase movevano. $ 22. In quel torno esponeva Alessandrini nel suo Museo una stimabilissima anatomia del Bombyx mori o baco da seta assai ricca di diligenti ed esatte preparazioni parte conservate in ispirilo e parte a secco tra due lastrine di vetro. Quest’ anatomia ripetè egli appresso per più anni consecutivi, ed io fui non di rado teslimon di veduta delia particolare cura e somma avvedutezza con che meltevala ad esecuzione. Molti anni dopo, cioè nel 1845 , tornò sulla medesima anatomia, ed avendo inteso che Bertelli e Bonafous avevano fatti de¬ gli esperimenti sul naturale coloramento del bozzolo di questo prezioso baco con felice successo mescolando al cibo lui porto delle sostanze coloranti, si accinse subito a verificarli, e procacciatisi molti bachi, aspergeva le foglie di gelso lor date a nudrimento quando di polvere di endago, quando di lacca rossa di Francia, quando di nero di avorio. Aveva egli concetta nell’ animo alcuna fidanza che la riproduzion del fenomeno avesse potuto giovargli a sco¬ prire le vie che batte il liquido riparatore per recarsi alle diverse parti del corpo, e soprattutto agli organi sericiferi o filiere; imperocché 1’ umor serico che queste capivano, non avrebbe derivato che dal sangue 1’ estraneo colore, ed il sangue essendo scolorato o leggermente verdognolo sembrava non avesse po¬ tuto a meno di mostrarsi tinto del colore della sostanza sperimentata , e con siffatta maniera d’ iniezione più che con quelle eh’ egli aveva per innanzi ten¬ tate sul vase dorsale, dava adito alla speranza d’illustrare meglio de’ suoi predecessori il sistema vascolare di questo, e degli altri consimili insetti. Ed Alessandrini era allora tutt’ anima e corpo in tali esperimenti, e in minutissime indagini anatomiche sui bachi cimentati ; esperimenti e indagini eh’ egli altresì estendeva ad altre specie come al baco della Sphynx Atrops. 11 quale ardore benché grandissimo, né bisognevole di esca , prendeva tuttavolta augumento dalla disputa che in quel femrpq ferveva- ancora , se gli insetti avessero o non aves¬ sero un sistema circolatorio sanguigno, se il vaso dorsale fosse veramente un cuore, secondo che Swamerdamm e Malpighi avevano creduto, e fosse provvisto di aperture per le quali entrasse ed escisse il sangue, ovvero come voleva G. Cuvier non avesse veruna qualità di cuore e fosse tutto chiuso, e dovesse attribuitegli la significanza di organo secretore; opinione che L. Dufour tuttavia difendeva a malgrado delle molte prove di fatto che da Carus in quà venivano esibite da un gran numero di osservatori in appoggio della dottrina di què’ due so¬ vrani anatomici antichi suscitata pure dal Carus medesimo, e generalmente ac¬ colta da’ moderni sola per vera. § 23. I risultati delle sue esperienze ed anatomiche investigazioni furono consegnati ad uno scritto che ei recitò nel Dicembre dell’anno medesimo alla nostra Società Agraria, accompagnandolo di molti saggi di bozzoli naturalmente colorali col detto procedimento, e di molti preparati anatomici. Diceva egli che delle tre polveri colorate , che aveva fatte prendere a’ bachi col cibo, due sole avevangli sortito l’effetto, quelle cioè di endago e di lacca rossa di Francia, e che perciò non poteva offerire che bozzoli azzurri e rossi ; che la polvere di nero di avorio riusciva deleteria e faceva perire i bachi molto innanzi il tempo della filatura ; che il coloramento de’ bozzoli non era molto intenso, nè eguale 104 Luigi Calori io tutta la loro estensione e grossezza, e che per conseguente poco o punto di utilità poteva impromettersene la sericultura. Terminava questa importantis¬ sima parte del suo scritto con alcune pratiche avvertenze a’ sericultori, ed in- culcavagli la massima diligenza in provvedere che non venissero mai a caso inquinate da polveri le foglie del gelso, imperocché se a polveri che dir si pos¬ sono grossolane, è dato poter così diffondersi per 1* organismo, quanto polveri più fine, che caggiano per avventura su quelle foglie, meglio e più profonda¬ mente non s’ insinueranno per le varie parti di lui, e di quanto detrimento se sian elleno nocive non saranno alla salute de' bachi ; e couvertendo in prò questa facoltà che dette polveri hanno di estendersi per 1' organismo , propo¬ neva in fine di aspergere di sostanze medicamentose le foglie del gelso per pur vedere di arrecare alcun giovamento a’ bachi presi da malattie. § 24. Ma discendendo alla parte anatomica, od anatomico-fisiologica, oh quanto egli veniva deluso nelle sue aspettative ! chè nè il vaso dorsale nè 1' umore in lui capito, nè il tubo intestinuliforme sericifero, nè il liquido serico che desso racchiudeva, mostravansi tinti del colore delle polveri inghiottite col cibo da’ bachi. Le sole trachee apparivangli infarcite del color di queste polveri , e co- desta curiosa ed inattesa partieolarità non è a dire quanto lo sorprendesse, quanto lo intricasse per assegnarne la ragione. Ei non pensò di ricorrere al- T azione di reagenti chimici sulle parli scolorate, e come disperato di buon successo nel primo proposito lo lasciò, e diedesi tutto ad esaminare le trachee a fin di conoscere se le sostanze colorate fossero nelle membrane componenti le trachee medesime, o dentro la cavità di queste stesse, ed essendogli parso fossero assolutamente dentro, conghietturò che dette sostanze miste al chilo passassero con lui direttamente (sono sue parole) nelle reti delle minime tra¬ chee del tubo digerente, le quali ai lati dello stesso canale alimentare raccolte in tronchi maggiori dirigono il chilo verso le stigmate. « Queste aperture ( pro¬ segue egli) collocate simmetricamente ai lati del corpo dell' insetto, non trasmet¬ tono già 1’ aria direttamente entro il sistema tracheale , ma per quanto almeno è sembrato a me di vedere dopo lunghe e minute indagini , danno accesso soltanto ad una piccola cavità a cieco fondo, a pareti finissime, sulle quali si accumu¬ lano in copia straordinaria le trachee: rappresenterebbero siffatte cavità altret¬ tante borse respiratorie o circoscritti polmoni, molto analoghe per la forma e per l'uffizio alla cavità respiratoria di certi molluschi gasteropodi che por¬ tano per ciò il nome di polmonati. Ed anche in questa supposizione verrebbe egualmente spiegato il fenomeno avvertito da Malpighi, che impedito cioè me¬ diante spalmature di olio 1’ accesso dell' aria a traverso alle aperture stigmatiche 1 animale debba perire. Dai contorni poi delle borse respiratorie dove vanno ad inserirsi le trachee provenienti dall’intestino e cariche di chilo nascono altri tronchi i quali ricevono 1 umore che ha di già subito l’ influenza dell’aria, o che si è, come è pur molto probabile, commescolato con esso, e lo traspor- ano a tutte le diverse parli del corpo, onde abbiano i materiali loro nutrizione (1) ». , (0 Nuovi Annali delle Scienze Naturali de bozzoli del baco da seta. Serie III. Tom. III. pag. 95 Sul coloramento 105 Vita di Antonio Alessandrini S 25. Questa ardila ipotesi che traduceva niente meno gli uffici depisterai linfatico e sanguigno nel tracheale, ma che però non era affatto inverisimile, avuto riguardo a quanto avviene in primavera nelle piante , parve fosse dal suo autore lasciata per alcun poco cadere; imperocché nel 1846 recatosi all’ Adunanza degli Scienziati Italiani io Genova ritornando sul coloramento delle trachee nelle ® bar ..def 7ri e della Sphynx atropa mediante polveri colorate commiste a cibo si limitò ad esporre il fenomeno e a dimostrare le prepara¬ lo. che .1 comprovavano e tacque di qualunque congettura intorno al modo , sl'aj)ioduzionc, che ei diceva grandemente oscuro e difficile, sicché nulla di plausibile poteva profferirsene. Non lasciò poi di avvertire che di colali espe¬ rienze sarebbesi molto avvantaggiata I’ anatomia del sistema vascolare degli in- S«tn, la quale quantunque fosse alacremente studiata da’ moderni ed avesse molto progredito, parevagli non pertanto assai lunge ancora da quel perfeziona¬ mento di cui sembrava suscettibile, ma non indicava coro’ ella avrebbe per quelle ricevute utilità ed augumenti. E quasi che ci fosse di mezzo un cotal che di contraddittorio, quando il De Filippi pose la questione, se il coloramento dipen¬ desse da una vera iniezione de vasi tracheali, o piuttosto dalla affinità delle trachee medesime per la materia colorante. Alessandrini citando 1’ osservazione di tratti di trachee scolorati ne’ quali non poteva contenersi liquido, faceva propendere la bilancia per la prima opinione; ma ripigliando il De Filippi, e recando innanzi la congettura che le materie o sostanze colorate vegetabili fossero passate col liquido nutrizio in tutte le parti del corpo, ma mescolate e rese nello stesso tempo vieppiù solubili dal processo di assimilazione, e che aves¬ sero poi ripreso il loro proprio colore al contatto dell’ aria contenuta nelle tra- chee; e proponendo a quest’ uopo di far mangiare ad alcune larve di Lepidot¬ teri toglie di isatis tinctona per iscoprire se il succo di detta pianta, il quale suol colorirsi in azzurro al contatto dell'aria, realmente assumesse un tal co¬ lore nelle trachee delle larve stesse , egli ebbe tronca la questione commetten¬ done, come Presidente della Sezione di Notomia comparativa e Zoologia, al De Filippi stesso ed al Cav. Rossi lo studio, i quali dovevano poi riferirne i ri- sultamenti nella futura unione del 1847 che credevasi poter liberamente tenere in Venezia (1). Ognuno sa i sospetti dello straniero, la poca sicurtà, i casi di allora; come la veneta riunione andasse di scienziati deserta e che dippoi riu¬ nioni scientifiche più non furono. La questione giacque, e si eh’ ella meritava di essere veracemente suscitata ed esaminata in ogni sua parte illustrandola con mille maniere di cimenti; chè ora forse noi saremmo in possesso di notizie esatte intorno alle vie percorse dall’ umore nutrizio per diffondersi alle varie parti del corpo dei detti bachi, ed avremmo una sufficiente spiegazione del fe¬ nomeno d apparir solo le trachee colorate. 11 quale mio desiderio farà certo maravigliare moltissimi, considerando il giudizio, che il Marchese di Breme diedene a nome dell’Accademia delle Scienze di Parigi, di non potersi cioè assentire alle opinioni dell’ Alessandrini e doversi tener le contrarie ; ma questo giudizio apparve tutto nudo , sicché ebbe piuttosto sembianza di una semplice asserzione a priori di quello che una sentenza da tutte prove sorretta. Da un Genova 1847. Riunione 106 Luigi Calori altro canto si sa che quest’ Accademia quantunque rispettabilissima ha più di ima volta con troppa facilità profferito. § 26. I lavori anatomici dell’ Alessandrini sui vertebrati appartengono all’Ana¬ tomia di quasi tutte le singole generali distribuzioni di questi; onde che tali lavori offrooci essi stessi 1’ ordine eoo che vogliono essere esposti. Li scompar¬ tirò dunque secondo le dette distribuzioni, e innanzi tratto dirò di quelli intor¬ no a’ mammiferi. 5 27. Aveva il Museo di Anatomia comparata fisiologica gli scheletri di due giovani scimie antropomorfe, 1’ uno di Orang-Outang o Pitecus satyrus, 1’ altro di Troglodytes niger. Studiando Alessandrini questi due scheletri e confrontandoli con quanto era stato scritto da Camper e Tyson in quà si fu ben presto ac¬ corto della non molta esattezza delle osservazioni anatomiche che se ne posse¬ devano. Perchè ad emendamento ne pubblicò preziose annotazioni (1) e ne pa¬ ragonò i due scheletri fra loro, e descrittene le differenze poseli a paro di quello dell’ uomo e tanto più volentieri davasi ad instituirne un tale confronto in quanto che il corpo e soprattutto il teschio de’ giovani e massime di quel Troglodite erano reputati più acconci a mettere in vista le grandi somiglianze che le scimie, e specialmente le nominàte, hanno coll’ uomo, di qualità che questo con quelle dovesse confondersi e farsene un ordine solo a capo del regno animale. Ma Alessandrini se molte analogie scorgeva, scorgeva altresì molte differenze, eh’ ei trovava enormi parlando del giovine Pitecus satyrus od Orang che pur decantavasi quanto mai affine fisicamente considerato all’ uomo; e del pari enormi parlando del giovane Chimpanzèe, o Troglodytes Gorilla « fra questo bruto (sono sue parole) e 1’ uomo , scelgasi pur anche la razza umana la meno perfetta ». Una semplice occhiata su quegli Scheletri, basta diceva egli, a far¬ sene capaci. Guarda quella spina non sigmoide, ma tutta di una curva , quel scemato numero di vertebre lombari e sacre, quelle cinque vertebre coccigee più larghe, più lunghe, più voluminose che nell’ uòmo, quel torace corto per essere le costole più dritte e ravvicinate, quello sterno formato nel corpo di quattro paja di pezzi paralleli, disposizione tutta propria a’ bruti, quella fog¬ gia degli ilei, e del catino che non consente con quella caratteristica che ha 1 uomo, delle natiche e colla stazione eretta, quel pollice chiamato ridicolo da Galeno nelle scimie; pon mente a quel teschio sempre a muso molto prolun¬ gato, a fronte sempre depressa e stretta, a regione posteriore sempre molto ampia con angolo facciale nel Chimpansèe di sessantotto gradi , nel Pileco di sessanta, e che dovrà ad assai meno ridursi nell’adulto, massime del primo, in grazia del grande aumento che riceverà la cresta soprorbilale ; nota quella forma di cranio presso che circolare particolarmente nel Chimpansèe, non su¬ perando il diametro antero-posteriore che di due millimetri il trasverso avente la sua maggiore lunghezza quasi al centro della sutura squamosa del temporale, e nel Pileco all’angolo posterior-inferiore de’ parietali : nota quella capacità di cranio, che quantunque maggiore nel Chimpansèe, non è tuttavia bene pro¬ porzionata alla capacità del cranio di un fanciullo che abbia messi tutti i denti io sche- ì Troglo- Vita di Antonio Alessandrini 107 di latte siccome avevano queste due scimie antropoidi* ve’ quanta moltitu¬ dine di wormiani nella sutura sagittale del Piteco ond’ è quivi molto depressa la volta del cranio; vedi la sutura squamosa del temporale quasi orizzontale m questo; ve la grande profondità delle orbite a base ovoide o elittica; la strettezza e fusione delle ossa nasali; la raoltiplicità de' fori sottorbitali e zigoma- tici, e 1 incostanza de’ sopraorbitali ; vedi il meato uditivo esterno più basso a rispetto delle orbite; le fosse pterigo-mascellari e crotafitiche più profonde, le arcale zigomatiche più grandi e robuste; il foro mentale più indietro e sotto il secondo molare; i denti che quantunque pareggino il numero di quelli del- l uomo, e sian di latte, presentano non di manco i canini di amendue le ma¬ scelle piu grossi e sporgenti; e cosa singolare che nel Chimpansèe codesti ca¬ nini racchiudono un piccolo canino solido di colore del bosso, che ha corona e radice, avorio e smalto, e che io non so che altri abbia più avvisata e che meriterebbe novelli studi; osserva il grande forame occipitale romboide ; i con- dili dell occipite costeggiati internamente da un solco più o meno profondo, che dal suddetto grande foro prolungaci al forame condiloideo anteriore; la man¬ canza di forame spinoso nelle grandi ale dello sfenoide , onde la dura ma- un»Plf 1°°? lrae SUa maggior copia di sangue dalP arteria sfeno-spinosa , ma dall oftalmica ; P applicazion degli apici assai prolungati delle rocche temporali a lati del corpo dello sfenoide; la sella turca molto spaziosa con processi cli- noidei assai piccoli, appena manifesti, gli anteriori de' quali non produconsi in processi ensiformi dello Ingrassias, ovvero tutti fra loro insiem riuniti e com¬ ponenti un cerchio che rende più profonda la fossa che accoglie la gianduia pituitaria; la fessura sfeno-orbitale convertita in ampio foro tondeggiante; le porzioni orbitali de’ frontali oltramodo estese per compensar la mancanza de' processi ensiformi anzidetti; la lamina cribrosa dell" etmoide situata più in dietro, e più larga, e a più larghe doccie conformata che indica aver poggiate su lei non due clave di nervi olfattori, ma due processi o bulbi come nei bruti, il forame cieco incostante, e dato ci abbia, scolpito molto lunge dall’ etmoide come ilei Piteco ; confronta tuttociò con uno scheletro umano , e dinne se puoi che organizzazione dell’ uomo si vuole assimilar con quella delle scimie ; che desso non ne è che un grado fisico più perfetto. Ah nò, 1’ organizzazione dell’ uomo non è solo un grado più perfetto, ma anche un modo diverso, e le cose fin qui divisate ne sono irrefragabile testimonio: una modificazione non è un più nè un meno, non è quantità, ma qualità. Egli è dunque impossibile che la natura abbia tolta la nobile e sublime idea della forma umana da que’ ceffi. 11 solo pensarlo sarebbe una perversione del senso comune ; sarebbe un discendere a quel grosso immaginar di certi naturalisti i quali hanno creduto di spiegar tutto coi dire che fu sulla terra, poniamo un animale, che questo, si propagò, e che un bel giorno uno de’ suoi rampolli trovandosi in condizioni favorevoli progredì in una evoluzione che non era di sua specie, e così formonne ima novella, che si moltiplicò al par della prima, e che un rampollo di lei avutone facoltà da condizioni non dissimili operò altrettanto, e via via di co- desto passo finché apparvero le scimie antropomorfe, un fortunato figlio delle quali divenne 1’ uomo. Oh ! portento di sistema che tutto toglie alla Sapienza infinita per darlo a un cieco caso ; chè così è veramente il voler affidare al ca¬ priccio di condizioni affatto indeterminate e volubili una cosa tanto deter¬ minata e stabile qual è quella delle specie e della specie umana. Ma dicano Luigi Calori i altra spe¬ liti po’ i propugnatori di questo sistema come ci spiegati’ eliino (che da un essere determinalo di un modo e stabile, quale dovett’ essere fin da principio la specie di scimia antropoide da cui pretendono derivasse il nostro primo padre, sia venuto un essere determinato di altro modo e parimente stabile, quale si è 1’ uomo ? Ebb' egli effetto questo miracMc nel seno della madre ? Ebb’ egli effetto fuori p Nella prima supposizione io domanderò come un essere de¬ terminato di un modo e stabile, un essere che ha una determinala orga¬ nizzazione, una determinala maniera di vita, che influenza con questa de¬ terminata maniera di vita tutte le sue parti e il prodotto del concepimento possa dare un essere determinato di un altro modo , che ha un’ altra ma¬ niera di vita, un’altra organizzazione? Nò, Signori, nessuno ha mai dato quello che non ha, e il Troglodytes Gorilla cui vhoIsì attribuire 1’ origine del- P uomo, non ha mai generalo, nè genererà mai che Trogloditi Gorille, se egli fu fin da principio com’è, e sarà fin che duri, una specie di scimia, vale a dire un essere determinato di un modo e stabile di colai ordine di mammiferi. Il simile non darà mai che il simile mancando delle condizioni necessarie alla produzione del diverso o del dissimile, ed una specie non darà i eie, se ella è una specie; chè una parte viva che si distacchi vivo per Y opera di sua propagazione, è già investita della particolare vita, dei particolari stami della organizzazione dell’ essere da cui si staccò, e dee percorrere di necessità una data evoluzione, nè può percorrerne altra. Che se si volesse che a malgrado delle divisate condizioni altra pur ne percorresse, direi eh’ ella non sarebbe normale, nè potrebbe essere se non se mostruosa , nè mai l’umana nè di qualsivoglia altra specie animale, o se normale, di Troglodite più bello e perfetto, come più belli e perfetti diciam p. e. i Giorgiani nella razza caucasica,ma sempre di Troglodite, nè mai di uomo; altrimenti conver¬ rebbe ammettere nella natura una bizzaria inconcepibile; perocché stabilire un essere, dargli impulso e vita determinata, far che possa propagare esseri simili, poi pretendere che sia in un medesimo tutt’ altro in questa sua propagazione , sa¬ rebbe lo stesso che volere e disvolere insieme; ma ciò creder non puossi in lei per la contraddizion che noi consente. S 28. Ma se una specie non può produrre un essere che < eie, se il Troglodytes Gorilla non può dare in luce un feto feto soltanto di sua specie, potrà questo feto escilo a vivere una vita este¬ riore, date le opportune circostanze, svolgersi e perfezionarsi a poco a poco sì fattamente da non essere più Gorilla, ma uomo? Ed eccoci alla seconda supposizione contro la quale, come ognun ben vede , militano tuttavia le ragioni allegate innanzi ; imperocché il neonato di Gorilla ha già una vita ed un’ orga¬ nizzazione determinata di un modo eh’ ei derivò dai genitori, ed ha in sè per i a Jnevila^*e necessità di compiere quella data evoluzione , nè può compierne altra. Ma reggiamo le possibili circostanze nelle quali questo neonato di Gorilla dovrà versare, e reggiamo, se presupposti de’ benigni e favorevoli influssi, avrà facoltà di risentirsene e di profittarne. Il neonato di Gorilla avrà senza fallo avuto bisogno dell’ allattamento. Vogliam noi dire che durante questo periodo possa egli aver avute altre impressioni, altre sensazioni fuor quelle di una tana, P A ””a t0,r®f!a » de sn01 8eB'lor’5 de’ loro modi, delle loro abitudini, degli urli peto disperato con che avran mosso quando vista da Iunge altra precipitavano a combattere con lei a difesa delia di altra spe- ferocì fiera diretta lor volta Vita Di Antonio Alessandrini 109 prole e di loro stessi? Certo che nò, seodo che altri esempi non avea davanti Ma se tali erano le prime impressioni, le prime sensazioni, se queste le prime’ influenze, gli effetti non avranno dovuto essere discordi dalle cagioni, e la sua prima educazione sarà stata necessariamente da fiera; con che più che mai si sarà confermata e ribadita 1* organizzazione e la vita ferina, che egli ebbe dalia nascita sortito. E qui parmi che quelle qualsiansi influenze favorevoli che do¬ vrebbero umanarlo, perdano la maggiore opportunità e si creino colla loro as¬ senza i maggiori ostacoli, e direi la impossibilità di farsi poi sentire, concios- siachè ognuno converrà di leggieri che più agevole è stampare impronte ben distinte, impronte profonde e indelebili in un impasto ancor tenero e vergine, che in uno già fortemente impressionato, e che va perdendo, od ha perduta la sua nativa mollezza. Ma dippoi 1* allattamento, messi che abbia i denti di latte il giovine Troglodite, e reso abile a potersi procacciare il nudrimento da sè, subentreranno alle impressioni, alle sensazioni ferine impressioni e sensazioni diverse, vale a dire non brutali, ma umane; o in altri termini potranno su lui agire influenze efficaci a toglierlo dallo stato di fiera? Nò, ed io mi penso che la madre il condurrà con essa seco per la foresta, che gli apprenderà le vie che conducono a’ luoghi abbondevoli del cibo che dovrà definitivamente usa¬ re,’ che gli apparerà di arrampicarsi, di tenersi in guardia da' pericoli, di causarli ecc. ; ed egli tutto ciò farà ad imitazione di lei e senza alcuna diffi¬ coltà per avere organi già adatti e pronti a questa imitazione. Appresso libero, solo andrà girovago per la foresta, ripeterà l’ appreso, astretto a ciò dal biso¬ gno, dall’ istinto; si avvolgerà per luoghi folti di piante, incontrerà fonti, laghi, fiumi; incontrerà altri bruti, e li fuggirà se più forti di lui; non isfuggirà la battaglia quando non possa scansarsene, e 1’ aggrediscano ; aggredirà ancora ; godrà la temperie e si riparerà dalla intemperie delle stagioni, udrà suoni quando forti, quando miti, quando terribili , quando soavi e melodiosi come il canto degli uccelli. Questa sarebbe certo una favorevole influenza , ma a riu¬ scire efficace le conviene terreno proporzionato e corrispodenle, ned ella ha po¬ ter di crearselo. Il giovine Troglodite si risentirà egli di questa influenza , sic¬ ché con suoi organi vocali imiti questa dolce armonia ? Ovvero quest’ armo¬ nia col ripetersi quotidianamente potrà così modificare il senso e gli organi vocali di lui da essere finalmente da lui stesso apprezzata e ripetuta ? Nò per¬ chè quel senso è costrutto da natura per tutt’ altro suono; nò perchè quegli organi vocali sono costrutti per tutt’ altra voce, quella che il giovine Troglo¬ dite intese da’ suoi genitori ; nò perchè una costruzione organica già stabilita non può essere mutata in altra da influenze esteriori. Che se queste influenze avessero tanto potere , perchè tutto noi dispiegherebbero nella felice circostanza di essere giovani Trogloditi in ischiavitù presso 1’ uomo con sempre dinanzi esempi umani da imitare ? perchè in questo stato , se da giovani umaneggian nelle forme, sono miti, si accostano a chi li accarezza, non si avventano contro chi li contraria quantunque imbizzarriscano, ma solo con dimenarsi, stridere, battersi il muso contro il terreno ne fanno vendetta, e in certi casi danno anche prove di una intelligenza maggiore di quella che sarebbesi in loro creduta, nel divenire poi adulti vieppiù imbrutiscon le forme, la indole infieriscono, e piuttosto che perfezionare deteriorano la loro intelligenza in onta di tutte le influenze che avrebbero dovuto umanarli ? Si vorrà forse dire che son 10 Luigi Calori ci sodo singolari per essa ? Ma questa virtù d’ imita- oltre di quel che il permettano il cervello e gli altri or¬ gani a lei dati, consenzienti con lui, nè è perciò che è veramente dell’ uomo della sua superiorità, della sua perfettibilità ; chè mai sci mia fu che apprendesse a favellare per educata che fosse, nè mai si elevò nelle sue opere; nè quelle che 1’ uomo potè insegnarle , mai trasse ad esecuzione con modi tutto diversi dagli appresi. Ma si persisterà pure e si addurrà che le àrie , le acque e i luoghi imprimono senza fallo de’ cambiamenti negli esseri organizzati e che questi cambiamenti si rendono tanto più facili e concepibili ad effettuarsi in quanto che nella organizzazione delle sciane si trovano tutte quelle parti che occorrono nella organizzazione umana. Risponderò che le acque, le arie ed i luoghi quando siano confacevoli, faranno prosperare 1’ essere organizzato che di lor vive, e per contrario laddove confacevoli non gli siano; ma non avranno facoltà di far che uua specie passi in un’altra, o ne generi un’ altra. Nulla poi rileva, nulla monta che le scimie abbiano le stesse parti che 1’ uomo, quando queste parti si differenziano essenzialmente per forma e nell' uomo e nelle scimie. Oh qui sento a gridarmi : che dite mai essenzialmente ! La differenza di forma ne è solo un accidente. Piano un poco, o Signori, potrebbe essere che voi o per soverchie astrazioni o per indurre troppo di leggieri da’ generali a’ particolari prendeste un grave abbaglio. Contemplando gli esseri organizzati, comparandoli fra loro per rilevare il carattere più generale che li lega, voi siete arrivati alla idea del tipo generale, della unità; ma poiché nell’ immenso viaggio che avete percorso, una immensità di differenze vi attraversavano la via, avete pur dovuto tener conto delle medesime, ed avete definita la natura organizzata P unità nella varietà, definizione che ognuno di buon grado sarà per accogliere. Voi avete considerata la sola unità lasciando da parte stare la varietà , poiché 1’ uno senza il vario sta da sè e non perde sua essenza, onde il vario è divenuto per voi un accidente, e per tale avendolo non vi siete accorti che avete distrutta la vostra definizione , essendone la varietà una parte integrante , un sine qua non , una parte in somma tanto essenziale quanto V unità. Con questa falsa idea voi siete discesi ai particolari, voi avete considerate le somiglianze onde le specie si collegano insieme, voi avete dato a queste il valore che avrebbero i carat¬ teri, voi avete leggiermente attese le differenze dicendole accidenti, e così di abisso in abisso precipitando voi vi siete creduti di essere in diritto di sentenziare che la tale specie molto simile nelle parti che ne compongono 1’ organizzazione, a quelle dell’organizzazione di un' altra specie, è stata la progenitrice di questa e così la talaltra, e vìa via discorrendo, finché venuti all’ uomo voi avete profferito 1 oracolo: è desso progenie del Troglodytes. Gorilla. Ma quello che avete preso per accidente, non è tale, ed in una specie è cosa essenziale, è carattere; imperocché è ciò per cui essa specie è, nè può essere altrimenti; chè in altra guisa non sarebbe quella specie, e questo è appunto V essenza del carattere. Quelle particolari dif¬ ferenze dunque che singolarizzano la forma delle parti del corpo umano e che tutte cospirano alla particolare forma ed alle funzioni proprie al medesimo; quelle pencolar! differenze che singolarizzano la forma delle parti del corpo ai quel IVoglodite e che tutte cospirano alla particolare forma ed alle funzioni proprie ad esso, sono tutte essenziali, sono tutti caratteri , e questi non si pos- nn™ lrasiJJ®llere se.°°a S1 hanno; una specie non può acquistarli a poco a P perchè ne è già in possesso, dovendo esser eliino intrinsecati nella sua Vita di Antonio Alessandrini 111 12 Luigi Calori § 29. Altre belle ed importantissime illustrazioni osteologiche di mammiferi fece T Alessandrioi, parte sole, parte accompagnate dalla splancnologia special- mente, all’oggetto di rendere più esalta 1’ anatomia e 1* iconografia anatomica, ma quel che è più di precisare meglio i caratteri delle specie , ed assegnarle posto più confacevole nella melodica distribuzione loro; di farne risaltar meglio le somiglianze od analogie di costruttura sì fra esse come coi vertebrali posti in grado men alto nella scala zoologica, p. e. uccelli , rettili ecc. ; e così con¬ fermare sempre più la legge di unità nel piano generale della natura organiz¬ zata animale; di meglio spiegarne le particolari funzioni, od il particolar ge¬ nere di vita, e stabilirne ove ne fosse stato bisogno, novelle specie o no¬ velle varietà, ovvero di dimostrare V impossibilità di creare de' nuovi generi o sottogeneri secondo che altri aveva opinato. Le quali illustrazioni voglionsi divisare giusta l’ordine de’ tempi, nei quali furono pubblicate, perocché a ri¬ spetto di quelli ricevono loro maggiore importanza. § 30. E primo parasi davanti 1’ Ippopotamo di Egitto ; gran mole di cui nel 1826 vollero insignita questa Università Giovanni Bosari medico di Mehe- met-Alì Viceré di Egitto, e Stefano Giorgiani suo Nipote , che circa io quel torno compieva i suoi studi medici e prendeva la laurea dottonede in questa Università medesima. Alessandrini venutole in possesso dello scheletro diedesi a diligen¬ temente studiarlo, e a confrontarlo con quanto era stato scritto sull’osteologia degli Ippopotami viventi, ed anche fossili, nel quale ultimo confronto veniva assai aiutalo da avanzi che ei pur ne aveva, di quello di Yard’ Arno, e di altri scoperti in altre regioni, e tutto ciò ei faceva coll’ intendimento di chiarire i dubbi che tuttavia rimanevano intorno alla esistenza di una sola specie di Ippopotamo vivente, o di più specie od almeno di più varietà costanti; di ve¬ dere quale di queste più rassomigliasse al fossile maggiore di Cuvier; e se sotto alle tre specie fossili da questo autore stabilite, vale a dire dell’ Ippopa- tamo maggiore, del minore e del minimo, potevansi comprendere tutte le osser¬ vazioni fino allora raccolte. Nel 1829 dava in luce questa sua monografia cor¬ redata di molte figure incise (1), colla quale veniva provando che nella specie di Ippopotamo Alfricano vivente dovevansi distinguere tre varietà, che dal paese di loro abitazione potevano denominarsi Ippopotamo del Capo di Buona Speranza, Ippopotamo Senegalese, ed Ippopolano di Egitto; che questo più di ogni altro somigliava l’Ippopotamo fossile maggiore; che infine le osservazioni già posse¬ dute dalla scienza additavano la necessità di una modificazione o di un amplia¬ mento della Cuvierana distribuzione degli Ippopotami fossili aggiugnendo o nuove specie, od alle stabilite delle varietà; modificazione od ampliamento che ei però si asteneva dal maggiormente particolareggiare , ma che non pertanto era pre¬ ludio de’ mutamenti e delle aggiunte che, guari di tempo non passò, le arre¬ carono i posteriori. Non si può infine convenire che 1’ embrione umano passi per una serie di evoluzioni corrispondenti ad altrettanti stali permanenti nella scala zoologica. Per poco che si guardi a codeste evoluzioni dell’embrione umano, è facile convincersi, che se esse ol^ono una qualche somiglianza con quegli stali permanenti, mostrano poi tali e tante differenze da persuadere anco i piu pertinaci che 1* embrione umano è fin dai pritòordi ai suo essere e nelle sue ulteriori evoluzioni non insetto, non pesce, non atnfibio , (!) Anna! non uccello , non bruto mammifero, non scinda ma uomo, i di Storia Naturale Tom. 1. pag. 17. Vita di Antonio Alessandrini 113 S 31. Lo scheletro del Moschus Pygraeus Lino, comparato a quello di altre den'eanffL?enere Musc“deS,Ìfnel 1848 maleria di «otfw col sussidio mo tinn^T °,n.P?C°K de a, COnfu*,ot,e dai Z°o»ogi introdotta nel troppo moltiphcare e nel distribuire le specie pertinenti a codesto genere (1). Dalle LT frVaZ,0nVe u confronto di molte altre tratte dagli archivi della scienza deduceva egli che delle specie del genere muschio dovevansi fare due UM dl.rquah non,avrebbe conlato che una sola specie, quella del Moscus Moschiferus, singolare per la borsa del muschio , per la mag¬ gior mole del corpo, per le forme somiglianti quelle de’ cervi, ma da questi distinta per la totale mancanza delle corna, e pel niuno indizio di fossette lagri- mali al canto interno delle orbile. Il secondo scompartimento poi ricco di spe¬ cie, ma non così come il più de' Zoologi voleva, avrebbe avuto a caratteri 1 assoluta mancanza dell organo preparatore del muschio, la piccolezza del- 1 intero corpo, il minor sviluppo delle dita, e delle unghie rudimentarie: la torma piu compressa e più angolosa dei canini; la generale rassomiglianza del corpo più a quello de caprioli e delle antilopi, senza però alcun vestigio di corna, lerminava col dimostrare non essere questi caratteri sufficienti, siccome taluno aveva preteso, a stabilire due generi e nemmeno due sottogeneri, conforme Natole dla0ZI * Quatrefages aveva falt0 Del Di™nario Universale di Storia § 32. II celebratissimo anatomico Bernardo Sigifredo Albino aveva nelle sue Annotazioni Accademiche diligentemente descritta e rappresentata una Foca che we specialmente ne’ mari settentrionali di Europa e frequenta le coste di Olanda. Poco di cotal Foca sapevasi e soprattutto della sua anatomia. Ales¬ sandrini avendone avuto uno scheletro sotto la denominazione di Calocephalus uarbatus F. Cuvier conobbe ben presto, che cotale denominazione non gli si addiceva, perchè fatti i debiti confronti, e veduto che esso scheletro non poteva assimilarsi con altri, pensò di arricchire la Zoologia di una novella specie nel genere Phoca, a caratteri osteologici della quale ebb’egli la picciolezza della testa che entrava nove volte nella totale lunghezza del corpo dell’ animale; 1’ andamento quasi rettilineo del margine libero delle ossa palatine; i molari deboli, a cuspidi poco prominenti, non molto acuti, equidistanti in modo, che avvicinate le ma¬ scelle, i molari delle due sene superiore ed inferiore, insinuavansi a vicenda gii uni tra gli altri; la debolezza dei canini; il poco rilievo delle creste oc¬ cipitale, temporali e parietali; il poco variare che tra lor facevano di volume gli arti anteriori e posteriori; il decrescere negli anteriori gradatamente le dita al pollice al mimmo, e ne’ posteriori l’essere più lunghe e robuste le esterne , piu brevi e deboli le intermedie, e di tutte piccolissimo il dito centrale. E così contrassegnata questa specie la intitolò all’Anatomico che avevane fatto il primo cenno, imponendole la denominazione di Phoca Albini (2). 5 33. Era questione se il Paradoxurus Typus Fed. Cuvier avesse a rima¬ nere tra ì camdi ed i felidi , ovvero se in un colla famiglia de’ Viverridi di (1) Memorie dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna Serie I. Tom. I. Osservazioni anatomiche sullo scheletro del Moschus Pygmeus Linn. pag. 587. lette all Accad. a dì IO Feb. 1848. (2) Mem. cit. Serie I. Tom. II. pag. 141. Mem. letta addì 12 Aprile 1850. T. iv. 15 Luigi Calori IH C. L. Bonaparte, o soltofamiglia de’ Viverrioi di F. Cuvier cui il detto Pa¬ radossilo riferivasi, dovesse traslocarsi io quella de’ Gatti. Turner j umore era di questo avviso e ave vane nel 1850 addotte ragioni che sembravano fa¬ voreggiare così fatto traslocamene. Ma come le opinioni di uno solo ancorché giustissime, non valgono a costituire scienza se non quando vengano da altri confermate, così Alessandrini imprese in quel torno codesto assunto. E poiché gliene faceva abilità un giovine Paradossuro maschio che ei conservava nell’al¬ cool , cominciò dal considerarne i caratteri esteriori sì per determinare la specie come per trarre le somiglianze che meglio co’ cani che co’ gatti o per con¬ verso P avrebbero congiunto. Ma diffidando di tali caratteri, ponevasi a rintrac¬ ciarne altri mediante l’anatomia, e sponeva diligentemente quella delle ossa e de’ visceri e facevane confronto con quella de’ canidi e de’ felidi notandone le differenze e le analogie, le quali meglio approdarono il ravvicinamento del Pa¬ radossuro agli ultimi. Pare però di’ ei non convenisse nel traslocamento pro¬ posto dal Turner; perocché mostrò di voler conservata la famiglia de’ Viver- ridi o sotto-famiglia de’ Viverrini , alla quale riferì il Parodoxurus Typus che egli aveva sì bene illustrato (1). § 34. Appresso il Bradipo tridattilo esercitò la sua industria anatomica, e la sua penna, che nuova costruttura diedero a questo mammifero e disvelarono sue vere parentele, avvegnacchè lo rifacesse di uno scheletro più conveniente e proporzionato e di visceri più conformi a sua natura , massime rispetto a’ dati ad attuare il cibo , al respiro , alla generazione , all’ escrezion dell’ urina , or¬ gani questi ultimi aperti tutti in una comune fossa col retto intestino. E lo fece affine a’ vertebrati inferiori in grazia delle costole asternali del collo, a’ ruminanti in grazia dello stomaco conformato a più sacchi fra Ior comuni¬ canti per strette aperture, ma non ripetenti le complicazioni della mucosa pre¬ sentate dallo stomaco di quelli, a’ carnivori in grazia della brevità degli inte¬ stini, a’ certi uccelli e specialmente a certe Ardee in grazia de’ ravvolgimenti della trachea e de’ bronchi innanzi di penetrare ne’ polmoni, ed in fine a tutti que’ vertebrati che ad evoluzione compiuta conservano una cloaca (2). § 35. Ed arricchì di seguito 1’ anatomia de’ Formichieri Didattilo e Medio di nuove e preziosissime osservazioni , togliendo non pochi errori che la de¬ turpavano, e aggiugnendo quanto Daubenton, Cuvier, Rapp, e Meckel avevano trascuralo, o non era stata lor fatta facoltà di vedere forse per mancanza di opportuni oggetti. Verificava inoltre le osservazioni osteologiche di Tuch sul Medio, le particolarità indicate da Tiedemann sul cervello, e quelle di Gulliver intorno alla grandezza de’ globuli rossi del sangue pari a quella che ci occorre nell’ Elefante che solo fra’ mammiferi credevasi avesse que’ globuli di mole maggiore. Nelle quali monografie egli poi non intese a darci solo più esatta contezza della organizzazione degli adulti, ma nel formichiere medio altresì di quella del feto o del neonato divisandone in breve le differenze, che dall’ adulto lo singolarizzavano. Ma quello eh’ ei più prediliggeva in queste monografie , era sempre ciò che riuscir poteva a’ maggiori progressi della Zoologia, e quindi (!) Mera. cit. Ser. cit. Tom. HI. pag. 19. Annotazioni anatomiche intorno un mdi- nduo maschio giovine del Paradoxnrus Typus Fed. Cu v. pag. 19. lette addì 15 Giugno 185 0- (2) ltìem. cit. Ser. cit. Tom. III. pag. 363, Mera, letta addi 8 Maggio 1851. Vita di Antonio Alessandrini 115 « ossatura ed 1 visceri, persuaso ognora che da semplici caratteri esteriori mal potevasi dedurre una esatta distribuzione degli animali. E la veracità di questo pensamento veniva esquisitamente comprovata da’ Formichieri, sendo che delle tre specie che se ne hanno, il maggiore cioè, il medio ed il minimo guardando alle apparenze esteriori ognun sarebbe di leggieri indotto, ad imitazione di al¬ cuni Naturalisti, a farne più generi, ma attese le grandi somiglianze degli sche- etn e delle altre parti interne di queste tre specie si parava subito davanti 1 impossibilità di si fatta distribuzione (1). § 36. Nell* America meridionale vive un roditore di mole ragguardevole anzi che nò, denominato Cavia Acuti Linn. , intorno al quale era altresì qualche con¬ tesa presso a5 Zoologi, se una semplice specie od un genere distinto avesse avuto a costituire. La sola Anatomia poteva togliere di mezzo qualunque con¬ troversia, ma per mala ventura eli* era oltre dire imperfettissima , e priva quindi di valore, sebbene a lei avessero posto mano Cuvier, Sander e Dalton. La parte meno imperfetta era Io scheletro, ma di molte e grandi mende doveva purgarsi ; de' visceri assai poco o punto sapevasi. Alessandrini possedeva di cotal Cavia una femmina adulta in ottimo stato, alla quale era aggiunto il suo pic¬ colo. Diedesi a fare l’anatomia dell’uno e dell’altra; e veniva quanto allo scheletro rettificando la grandezza in genere del teschio, del cranio e delle or¬ bite, la lunghezza delle vertebre cervicali, e la robustezza delle lombari , parti tutte alle quali si era data maggior mole che da natura avessero sortita, e a meno in fine riduceva la sproporzione fra gli arti anteriori ed i posteriori. Pas¬ sava a descrivere estesamente l’ apparecchio digerente , di cui gli anatomici nulla quasi avevano significato; poi toccava più o meno secondo il bisogno, degli altri apparecchi , nè trascurava le differenze tra feto e adulto. Parago¬ nava ad ultimo questa sua anatomia con quella dell* altre specie della famiglia, e concludeva che i caratteri della più minuta anatomia comparata del Cavia Acuti convalidavano 1' opinione di que’ Zoologi, che avevano voluto farne un genere distinto denominandolo quando Dasiprocta come l’IIliger, quando Viscaccia come lo Schinz, e quando Cloromys come F. Cuvier, e così egli recava innanzi una ulteriore prova della necessità dell’ anatomia comparativa nella metodica distribuzione degli animali (2). § 37. A questo lavoro facevane l’ Alessandrini succedere un altro diretto ai medesimo scopo, ma più esteso di quel suonasse il titolo sotto cui compariva, di Cenni sull’ Anatomia del Dasipo minimo Desmarets, o Dasypus sexcinctus et octodecim cinctus Linn. , conciossiachè comprendeva ancora l’ esame anatomico di due altre specie, il Dasypus villosus ed il Dasypus novemcinctus od Arma¬ ci0 (3). E qui per non tornare più avanti sull’ anatomia di questa specie con- vienmi per poco deviare dall’ ordine propostomi dando contezza di un altro opuscolo anatomico eh’ ei pubblicò sul tegumento de’ Dasipi ed in particolare dell’Armadillo molti anni innanzi; opuscolo assai pregiato e pieno di belle (t) Mem. et. Ser. cit. Tom. III. Annotazioni Anatomiche sui Formichiere Didattilo pag 433. lette addi 18 Dicembre 1851 — Ser. cit. Tom. IV. Cenni sulla struttura del formichiere medio pag. 391. letti addì IO Febbraio 1853. (2) Mem. cit. Ser. cit, Tom. VI. Annotazioni riguardanti I* Anatomia del Chloro- mys F. Cuvier. pag. 153. lette addì 28 Dicembre 1854. (3) Mem. cit. Ser. cit. Tom. VII. pag. 285. Mem. letta addi 3 Gennaio 1856. Luigi Calori novità, il quale fa parte dei nono Volume de’ Novi Commentarli (1), e serve come di preambolo a’ Cenni suddetti. Le illustrazioni sue intorno a questo par¬ ticolare non riguardavano semplicemente la solida corazza integumentale che protegge in vario modo le diverse parti del corpo di così fatti animali, ma altresì le parti accessorie come le scaglie, i peli e soprattutto i muscoli pel¬ licciai, i quali siccome tanto la pelle dall9 ordinario modo scosta vasi, erano co¬ stretti di acconsentire a cotale deviamento e a nuova regola sottoporsi. Perchè moltiplicavansi di vantaggio, e scompartivansi gli uffici, sì che parte si assumeva di muovere la intera corazza, e parte lo scudo dorsale e le zone mobili del tronco ; e i primi che comuni egli appellò, in cinque coppie raccolse, ed erano quella del cutaneo inferiore del collo, quella del cutaneo laterale del medesimo, quella del cutaneo soprascapolare, quella del cutaneo inferiore del torace, e quella del cutaneo depressore della coda. I secondi poi di molti distinti fascelti componendosi in due serie dispose, che in grazia de’ loro partico¬ lari uffizi chiamò de’ muscoli intrinseci, e 1’ una contrassegnò colla denomi¬ nazione di abbreviatoci medii dello scudo dorsale , 1’ altra di depressori brevi delle zone mobili del tronco. Ciò divisato, passava egli a dire estesamente della parte più importante di colai pelle, cioè degli ossei scudetti ond’ ella è armala e durissima, e discuteva della loro natura, del loro modo di formazione, del loro nesso co’ molli tessuti, del loro accrescimento se per intussusceplione o per soprapposizione di strali, in somma se essi fossero a considerarsi come vere ossa , oppure effetto di trasudamento, di secrezione, di concrezioni di sostanze salino-calcari nel comune tessuto celluloso. La quale questione egli scioglieva col dimostrare, che la loro struttura era quella delle ossa; che per vasi e per nervi erano legali coll’organismo, e che anche vecchissimi mai non perdevano questo vincolo facendone fede i fori nutrizi che pur sempre conservavansi patentissimi; e discendendo alla loro genesi giovato dall’ esame del tegumento di un feto maturo di Armadillo dichiarava , che tali scudetti erano da principio di un tessuto cellulo-vascolare assai molle e quasi gela uniforme , il quale a poco a poco induriva per 1’ addizione di sali terrei non altrimenti che le ossa dello scheletro interno, e al par di queste passava allo stato cartilagineo innanzi di acquistare ossea natura. Dal che tutto argo¬ mentava non esser eliino punto a confondersi colle produzioni dure generate per trasudamento di sali calcari, e per soprapposizione crescenti, nè colle irregolari deposizioni de* medesimi, ma essere organizzati come le vere ossa, od obbedire alla medesima legge da queste osservata nel formarsi, nel cresce¬ re , nel nutrirsi e nel ripararsi. Ad ultimo ragionando delle squame e de’ peli che 1’ armadura integumentale dell’ Armadillo guemivano , li simigliava alle un¬ ghie ed a’ peli degli altri mammiferi, e descriveva le loro connessioni col co¬ rio, ed uno speciale organo generatore, dai vasi del quale traevan materia di loro nutrizione. Noterò che un anno innanzi aveva già esposte le medesime idee trattando dell’ intima struttura delle squame de* pesci e degli scudetti ossei Vita di Antonio Alessandrini 117 della pelle del Coccodrillo, ed anche dell’ Armadillo , sicché il lavoro di cui ho tenuto proposito, non n' era a ver dire che un complemento. 3 38. Venendo ora alle tre specie summentovate del genere Dasipo dico che Alessandrini delle Anatomie di tua’ a tre fra loro, non che di quelle date dal Rapp, dal Mayer e da altri autori istituiva un confronto coll5 intendimento di giovare ai progressi della scienza Zoologica, poco avanzata per verità rispetto ai mammiferi dell’ ordine degli Sdentali. E traeva egli dai diversi organi e sistemi non poche differenze anatomiche le quali inducevano a pensare che nel tempo a ve¬ nire si sarebbero forse formati nuovi generi ; ma con queste differenze si affaccia¬ vano pure altrettante somiglianze od analogie valevoli a tenere almen per allora annodate insieme le varie specie sotto un genere solo. Io non riferirò qui i mi¬ nuti particolari che lo condussero a tali conclusioni; chè converrebbemi tra¬ scrivere quasi per intero questo suo importantissimo lavoro. Aggiugnerò solo eh egli non si fermò semplicemente sulle somiglianze che collegavano le dette specie fra loro , ma su quelle ancora che le imparentavano per cosi dire con vertebrati posti in grado inferiore; perchè egli veniva sempre più confermando la grande verità , del congiugnersi feioè mirabilmente le infinite specie degli animali per caratteri di struttura che si vanno ripetendo e cumulando in talune di esse per modo da formare continuò fortissime eccezioni alle artificiali nostre distribuzioni: è così per lo appunto, terminava egli, che i Dasipi veri mammi¬ feri unisconsi per molti importanti caratteri osteologici , per la costruttura dello stomaco e per gP indizi di doppia appendice vermiforme nel cieco agli uccelli, ed imitano le solide armadure di molti rettili e le vario-pinte squame de’ pesci. § 39. Diè termine Alessandrini a queste sue illustrazioni monografiche di mammiferi con due lavori , uno ad ampliamento e maggiore esattezza dell’ ana¬ tomia del Pecari, o Dicotiles Torquatus Cuv. , l’altro a maggiore esattezza ed ampliamento dell’ osteologia de’ Marsupiali. E quanto al Pecari , riandatane la osteologia, e studiata meglio che per innanzi la prima e la seconda denti¬ zione, e l’apparecchio digerente, non che il respiratorio, il vocale, il centro circolatorio , 1’ aorta , P apparecchio uropoetico e genitale, massime femmineo, ed aggiunta anche qui 1’ anatomia del feto, colla quale suppliva a quanto nel- P adulto non eragli stato concesso di esaminare colla diligenza richiesta, dedu¬ ceva , che rispetto all’ apparecchio digerente era comprovato aiP evidenza che nel Pecari come nelle altre specie congeneri ( Cignale , Porco di Siam ecc. ) la dentizione osservava le regole comuni , essendovi de’ veri denti di latte sì nella serie degli incisivi che in quella dei canini e dei primi molari, e che era onninamente erronea 1’ opinione di Aristotile professata fin quasi de’ nostri dì, che il porco maschio avesse maggior numero di denti della femmina; er¬ roneità già dimostrata da Home e da Gandolfi innanzi che da Oken , cui come a primo aveva il Blainville aggiudicato l’onore di siffatta dimostrazione ; e che non potevasi accogliere il sospetto del Tyson che la vescichetta del fiele fosse probabilmente nascosta entro la sostanza del fegato, ma che per eccezione af¬ fatto mancava. Deduceva in oltre che avuto riguardo alla semplificazione del piede e massime del posteriore, in cui il metatarso offre soltanto la doppia te¬ sta articolare inferiore per le due dita medie, essendo il dito laterale esterno del tutto scomparso, e P interno ridotto ad esilissimo rudimento quasi a foggia del così detto sperone dei ruminami, il Pecari molto a questi approssimavasi ; approssimazione , che pur vieppiù risaltava in grazia della qualità dello stomaco 118 Luigi C; diviso non solo in quattro distinte concamerazioni , ma provveduto altresì nei primo sacco di un epitelio aspro , rugoso , solido , ad imitazione di quello del rumine; in grazia di parte del colon ripiegato spiralmente quasi come il colon del vitello; in grazia dell’ ampio tappeto dell’occhio, e della conforma¬ zione della massa encefalica somigliantissima a quella della Giraffa. Dunque, terminava egli , ad ottenere una più naturale successione di specie, desunta dalla loro organizzazione si collochi il genere Sus all' estremo limite dei Pachidermi e la specie del Pecari li congiunga ai Ruminanti (1). $ 40. Finalmente intorno alla Osteologia de’ Marsupiali ei non fece che pagar tributo all’anatomia comparativa , descrivendo più estesamente ed esattamente, e con migliori figure dimostrando quanto Daubenton, Temminck, Pander e d’ Alton ne avevano fatto conoscere dello scheletro del Didelphys Philander Linn. e di simil guisa adoperò riguardo alla osteologia del Phalangista Cookii Cuv. Se non che di questo Didelfo ei primo ne porse la figura dello scheletro, e ne particolareggiò di egual modo le più importanti regioni. Nelle quali due osteo¬ logie si fermò egli poi di preferenza sui teschio e sulla dentatura , del primo indicando e la forma generale e le dimensioni , poi la forma , P estensione e la misura delle singole regioni, e della cavità del cranio ritraendone perfino i forami della base pei quali passano l nervi ed i vasi: della seconda in fine discorrendo sponeva innanzi tratto le dissidenze che intorno a lei erano presso gli anatomici ed i Zoologi, e cercava per quanto gli oggetti che aveva davanti, il permettevano, di ricomporle, e il faceva non già determinando piuttosto 1* un numero di denti che 1’ altro ; chè il numero per essere variabilissimo in grazia delle età non è quel che più rilevi, ma meglio definendo la forma della corona , ed il modo di manifestarsi e disporsi di tali organi sui lembi alveolari di emen¬ dile le mascelle (2). 5 41. Nè qui finiscono i lavori anatomici dell’ Alessandrini sui mammiferi; chè altri tre ne rimangono non così generali od estesi come i precedenti, ma assai circoscritti, siccome quelli che risguardano semplicemente un organo, un segmento di un apparecchio, od anche solo la parte di un viscere. E questi lavori sono tre, e tutti di una grandissima importanza: uno verte sull’organo dell’ Olfatto de’ Cetacei in genere ed in particolare sopra quello del Delphinus Delphis Linn, e del Delphinus Tursio Bonaterre, l’altro su una particolare valvola dell’ esofago di quest’ ultimo delfino, ed il terzo sull’ apparecchio bili¬ fero della Lontra volgare. § 42. Benché il lavoro sull’ organo dell’ olfatto delle due mentovate specie di Delfino sia posteriore al ritrovato della valvola esofagea del Soffiatore, ciò non di manco io parlerò in prima di quello, perocché V altro lega meglio col lavoro che gli succede intorno all’ apparecchio bilifero prefato. Dico imperiamo che Alessandrini prese nel 1840 ad illustrare un punto di anatomia e di fisio- (1) Mera, c l’Anatomia del (2) Mero, c supiali ecc. lei cit. Tom. VII!, pag. 2 eit. Tom. IX. pag. 247. ovazioni spettanti al- scbeletro di due mar- Vita di Antonio Alessandrini logia de più controversi nella storia de’ Cetacei quale è appunto quello della esistenza dell’ organo dell' olfatto, principalmente in alcuna delle specie com¬ prese nelle seconda sezione dell’ ordine denominato da Cuvier de’ Cetacei ordi¬ nari, ne’ quali l’organo io discorso è sì mutato nel suo essere da indurre di leggieri chicchessia a negar che ci abbia, o da non riconoscerlo per quello eh egli è, laddove ne generi della prima sezione, o de’ Cetacei erbivori, come nel Manato, ned' Alicore, nel Tricheco o Ritina di Sleller soggiace a molto meno modificazioni , e non trovi malagevolezza a raffigurarlo giovandoli la so¬ miglianza eh esso conserva con quello degli altri mammiferi. Il perchè era opinione invalsa appo i Naturalisti che le Balene, i Fiseteri, i Oalodonti, i Delfini, che sono de' Cetacei ordinari , mancassero dell’organo dell’olfatto, ed m sua vece avessero soltanto un doppio canale, lo sfiatatoio dato a tuli’ altro uso fuor quello di servire alla facoltà olfattiva. § 43. Era questo un bell' aringo per un anatomico della vaglia di Alessan¬ drini, ed ei vi entrava più fidato di sue forze che confortato dai mezzi, i quali erano sì pochi da aversi da chiunque per affatto sproporzionati alla im¬ presa ; imperocché da’ suddetti Delfini in fuori qual altro de’ cetacei che sareb- bongli abbisognati , poteva qni procacciarsi ? Ma chi vuole veramente, trova cose da convertire in suo prò, che altri manco penserebbe. Ed egli che era sopram¬ modo operoso, e che s’ ingegnava di pienamente conoscere non solo quel che ci viene di fuori, com’ è usanza de’ più, ma il nostro, di cui era anzi tutto sollecito, e quindi rimprovero alla trascuranza de’ contemporanei, mettevasi in grado di poter esaminare, almen per quanto importava al suo argomento, uno de’ più portentosi cetacei , vo’ dire la balena. Rovistando negli Archivi della nostra Accademia, s’ incontrava in una estesa descrizione anatomica, da esattis¬ sime figure accompagnata, del teschio della Balena Boops; osteologia che il celebre Carlo Mondini sponeva addì 26 Marzo 1772 davanti quest’ Accademia medesima. Iyì era ritratta e chiaramente descritta la lamina cribrosa dell' et¬ moide, e soprattutto i fori pei quali passano i filamenti del nervo olfattorio, ma conveniva verificare una tanta osservazione. Per buona ventura quel teschio conservavasi nel Museo Zoologico, ed il Ranzani che ne era direttore, ad in- diiesla dello Alessandrini consegnavaio subito al Museo di Anatomia comparata. Non appena avutolo che egli confermava le asserzioni del Mondini e ìd un medesimo quelle dell’ Hunter che aveva ammesso nella balena 1’ orbano del- 1’ olfatto. Ciò fermato, rivolgevasi all’organo dell'olfatto de’ delfini , e sco¬ privano il nervo olfattorio a vero dire tenuissimo, lo che forse era stato cagione onde gli anatomici non l’avessero innanzi veduto. Descriveva poscia le fosse ed i seni nasali, che trovava avere molto più d'estensione e di complicazione di quel che loro avesse dato il Cuvier ; la mucosa che tali parti riveste, ed i rami del trigemino che le appartengono, i quali essendo molto grossi sembra¬ vano compensare la esilità dell’ olfattorio. Appresso discendeva ad utili confronti coll’ organo dell’ olfatto di altri cetacei , e mammiferi , e terminava stabilen¬ do essere indubitatamente ne’ cetacei ordinari , anzi in tutti 1’ organo anzidetto, aversene del suo esercizio molti e ben palesi indizi in codesti animali, provveder forse alla picciolezza del nervo olfattorio di molti di essi la proporzionata ac¬ cresciuta mole e complicazione de’ rami del quinto e dell’ apparecchio membra¬ noso che ne accoglie le diramazioni, e doversi in fine cancellare dai trattati di Zoologia i caratteri da molti celebratissimi naturalisti attribuiti all’ ordine dei 120 Luigi Calori Cetacei, dell’assoluta mancanza del nervo olfattorio, della debolezza e della incerta ’sede dell’ organo dell’ olfatto (1). § 44. Dirò con alquanto più di estensione della valvola trovata dall Ales¬ sandrini nell’ esofago di un Delfino presso il cardias ; perocché questa bella osservazione, sebbene da lungo tempo pubblicata, non ha però ancor sortito di rivolgere a sé 1' attenzione de’ naturalisti. Scriv’ egli che fin dal 1826 ta¬ gliando un Delfino soffiatore, Delphinus Tursio Bonnaterre, ed avendo parti¬ colare riguardo allo stomaco conformato, com’ è noto, quasi a somiglianza di quello di un ruminante, rimase mollo sorpreso in vedere che 1’ acqua iniettata nel medesimo viscere incontrava la massima difficoltà nel retrocedere per I’ eso¬ fago, dal quale anche sotto una forte pressione fatta sullo stomaco non esciva che a stento stillando a goccia a goccia. Colpito da tale novità, e più che mai desideroso di conoscerne la ragione , diresse per 1' esofago uno specillo verso il cardias, a breve distanza del quale trovò una resistenza come di robusta membrana tesa trasversalmente all' esofago stesso la quale sembrava ne chiu¬ desse affatto il lume. Per meglio esaminare codesta singolare struttura, e per conservare possibilmeute nella naturale posizione quella membrana pensò di sof¬ fiare entro l’ esofago, e lo stomaco insieme uniti una certa quantità di aria bastevole a mantenerli in sufficiente distensione, e dispiegati; poi lentamente sec¬ carli, e così secchi e distesi, tagliare in fine l'esofago verticalmente fino al cardias. Lo che riescitogli secondo i suoi voti ed eseguito il taglio divisato , se gli parava davanti una valvola spirale subito sopra il piccolo sacco ovoide o gozzo dell' esofago presso il cardias. Questa valvola che nè Everardo Home, nè Gaetauo Malacarne che descrissero e delinearono lo stomaco del Delfino sof- fiattore, ebbero veduta, era formata da una robusta e ben rilevata piega del- 1’ ambito interno dell' esofago, la quale discendeva obliquamente verso il cardias facendo due giri di spira. Per cotale direzione avveniva che le sostanze ali¬ mentari non trovassero verun impedimento per recarsi allo stomaco, ma sì gran¬ dissimo per retrocedere nello esofago a traverso la valvola prefata, conciossia- chè elle, posto che avessero tentalo codesto retrocedimenio, avrebbero contro lei urtato respingendola in alto, di qualità che il lume del canale esofageo sa- rebbesi quasi interamente chiuso. Onde che 1’ uffizio della valvola medesima era quello di opporsi validamente al ritorno delle sostanze contenute nello sto¬ maco al di sopra del gozzo cardiaco ; che se ella non ci fosse stata , di leg¬ gieri ritornevoli sarebbero state le dette sostanze, attesa I' ampiezza del cardias, 1’ angustia del foro comunicatorio tra il primo e secondo sacco dello stomaco, e la robustezza della tonaca muscolare di questo. Non vomito dunque, non ru¬ minazione potevano nel Delfino effettuarsi ; e così cadeva 1’ opinion di coloro che in grazia della complicanza dello stomaco ritraente molto di quel dei ru¬ minanti, avevano al delfino stesso conceduta facoltà di ruminare. S 46. Nè qui terminava l’ Alessandrini , ma proseguiva discendendo ad un bellissimo confronto tra questa valvola del Delfino e quella del cardias del ca¬ vallo, e descrivendo quest* ultima con maggior esattezza a fin di meglio metterne in vista le differenze. Il Gurlt che nel 1822 aveva scoperta questa valvola (I) Noti Commentarli cit. Tom. VI. pag. 14 1 Organimi olfactus Cetaceorum gene¬ ratilo, praesertim vero Delphini comuni*. Opuscolo letto addi 2 Gennaio 1839. Vita di Antonio Alessandrini 121 del cardias del cavallo, la diceva e delincava una piega spirale che toglieva massaimaadiIiL°n7r dare .dl. slomaco- Avend° Alessandrini rip^ulamente e Llla massima diligenza esaminata questa pretesa valvola cardiaca del cavallo rico Jw^DdfiSr Atm°rnChe|,a T C7,.da confondersi col|a disposizione presentata dai Delfino. Attorno al cardias dello stomaco del cavallo e di altre soecie con- genen le tonache interne dello stomaco medesimo, la mucosa cioè e la vasco- lr,lI3rrsren0ó™etrSH- ,irres°‘,ari m?l,° P"""»"1*5’ a"ora quando « ist t r; dillo s oma ass"mend,° > non.Però seraP'«» la figura di una grossa lamina che meno sP>ral.™".'o verso l’esofago; conformazione che non vien di dilatazione I5,,dTC V'SCere’ ma si veramente eh’ egli abbia quel grado ’ o 6,'113 T”'”" «“"? « «gli con lotta facilita adattando ad d, crkta lo I LI1 i ? COnlr° '' Cardias “na Proporzionata campana tavaafnrL d i ™. q"ale segu,,a C°" occhio le variazioni che presen¬ tanola IZT de t f i’, 6 C0SÌ 81 a5sic',ra¥a che la costruzione della pretesa del IfelBnod oÒ ? MVa ° ”0n aVeTa verona somiglianza colla valvola esofagea stesso effetto T Tr T,™ raggiugness“ con questi diversi ingegni Io tlP esofago (ì) ^ ' retrocedimenio delie materie dello stomaco la L4JLHa h.LT, ™lS?ris.Ereleb. come in genere gli animali usi a vivere « 27 - ht l0r° ,mmersi neIP acque „n fegato assai voluminoso Lati j- Y ™ b,‘ ,ar\ complicatissime. Daubenton e Dnvernoy si erano inge- :c e adrr'rr,e’ ed.awa.D“.°“la‘a r Oltragrande cistifellea si profondamente td tna n , i 'P n P^C,P^I« da Perfin Passarlo da banda a banda, anale amo * a“P°."a dè‘ Coledoco Press“ la soa foce »•' duodeno, la to' -TP era qUaf‘,come a d,re una seconda vescichetta del fiele, in iniezioni I!rPL ,tap° •' du“° Pancreat'C0. Ma non essendosi eglino valsi delle «tesTe rPom„r ere ™'V“d“f “ .vie si avevano tolto lo scorgere un assai esteso e complicato plesso de’ condotti epatici, plesso a ver dire meraviglioso che io somiglierei alla rete testis dell’ Haller, ed a’ vasi retti che da lei sor- lYLYn ^ “ ““or dfl suo scopritore chiamerei plexus, seu rete ductuum disnLLio Alexandrim. Questo plesso ha forma triangolare o di ventaglio dispiegato, ed apphca la sua base a quella de’ lobi e lobuli del fegato i quali Lmio.'iTn m"ner° n,ag8,ore c‘d «»> ne’ fegati perfetti, giusta il parere del fesTi te trD "°y’ aSg'Ung“”°; Dal mezz“ di altrettante piccole proporzionate noi affi L.: ne eSCe "na Srande ““'‘‘‘“dine di esilissimi dutti epatici , i quali foho nrincLr «TY' ‘n ““rrispondenza del centro del fegato e del suo lobo principale. Nel loro egresso sono si stretti gli nni agli altri e sì con- g utma, . insieme da tornar vana qualunque prova a chi volesse separarli. Dopo non molto contraggono essi frequenti anastomosi tra loro • — • — ;» ..... tnto('Ìi VnoLFLn<'Ì'0'l!“o,oe^ 8i,si“"i ordinarie dell'Accademia delle Scienze dell'Isti- s. °„. raB0 “gn a"1'832;33- Sessione del 25 Aprile — Di una valvola di particolare struttura trovata nell esofago di un Delfino presso il cardias. 16 122 Luigi Calori donde nascono de* dutli maggiori i quali a poco a poco riuniscono e raccol¬ gono in tre distinti fascetti, oguun de’ quali è formato di molti condotti princi¬ pali. Qnesti tre fascetti anastomizzandosi insieme terminano in tre brevi e grossi canali che vanno a costituire l’ incorainciamento dell’ ampolla suddiscorsa del coledoco applicala contro 1’ esterna faccia del duodeno. Finalmente dentro uno de’ condotti principali del fascette medio apresi verticalmente il sottilissimo condotto della cistifellea, continuo ad un collo ravvolto da principio a pm spire irregolari, poscia meno tortuoso, il quale poco prima dello sbocco indicato riceve due erili dutti epalo-cistici. Chiudeva l’ Alessandrini il suo discorso col- l’ avvertire che nell’ ampolla, ricettacolo comune anche all umore separalo pancreas accadeva non solo il mescolamento della bile epatica e cistica, ma quello eziandio dell’umore biliare col pancreatico; anzi inclinava a credere che essa ampolla fosse piuttosto data alla perfetta mescolanza dei tre umori di quello che alla semplice dimora della bile, avvegnaché sembrava che a questo secondo uffizio avesse potuto bastare e il complicatissimo apparecchio de’ condotti epa¬ tici da lui descritto e la voluminosa cistifelea (1). § 47. Quantunque Alessandrini molto si travagliasse intorno F anatomia degli uccelli da poterne comporre un’ opera sontuosissima e fosse perciò dal Principe C. L. Bonaparte salutalo come uno dei primi Ornitotomisti ed Ormlologisti , non però di meno nulla quasi ne scrisse e pubblicò; chè sol ne abbiamo un articolo sopra una singolare disposizione dell’ arteria bracchiale osservata nella Cicogna bianca (Ciconia alba Brisson. Ardea Ciconia Lino.), poscia confermata, a grado tuttavia minore di complicanza, nell’ Ardea cinerea Vieillot , nell’ Ardea purpurea e nell’ Egretta Linn. Cotale disposizione consisteva in una rete mi¬ rabile venosa avvolgente tutto attorno quest' arteria, rete per innanzi non saputa nè conta, conciossiachè Alfonso Barth, che aveva allor allora data in luce la sua dissertazione inaugurale intitolata de retibus mirabilibus, Berolini 1837, 4.° cum Tabula, dissertazione scritta sotto gli occhi di quel grande anatomico e fisiologo che fu Gian Fed. Muller, cui ebbela dedicala, verun motto faceva di tale importantissima disposizione (2). 5 48. Ma se alla Ornitotomia non fece dono di quel più onde avrebbe po¬ tuto arricchirla , contrario procedimento ei tenne verso 1’ anatomia de’ Rettili. Aveva Geoffroy Saint-Hilaire nella sua Filosofia Anatomica asserito che 1’ osso ioide in diverse famiglie di Testuggini grandemente variava ed altrettanto il Cuvier nelle Ricerche sulle ossa fossili. A così fatta sentenza veniva aggiustando fede il Bojanus in quella celebre Anatomia che tutti conoscono, della Testug¬ gine Europea, nella quale avvegnaché accuratissimo, non lo fu però tanto da rischiarar questo, e qualche altro punto, in grazia forse della picciolezza degli (0 Nuovi Annali delle Scienze naturali Serie I. Tom. I. pag. 254. — Sulla dispo¬ sizione dei vasi biliferi del fegato della Lutra vulgafis Ereleb. Bologna 1838. # (2) Nuovi Annali cit. Serie Prima Tom. VII. pag. 157 Bologna 1842. Arteria mac¬ chiale della Cicogna bianca. — Non si vuol lasciare che nel Museo di Anatomia com¬ parata fisiologica vi hanno altre preparazioni dimostranti questa rete in altri uccelli come nel Larus canus, ne’ Rapaci notturni, nel Falco comune, nel Meleagris Gallo Pavo. Vi è anche una preparazione che la dimostra sull’ arteria femorale dell’ Anitra domestica; ma questa rete venosa della femorale è molto più semplice ed a maghe assai larghe. Vita di Antonio Alessandrini 123 oggetti ; che anzi non solo noi rischiarò, ma l’ ebbe ottenebrato significando inesattamente alcune parti di quell' osso , e per conseguente i muscoli che a lui ed alla lingua appartengono prendendo 1’ un muscolo per l’altro, nè ben sceverandoli. Onde che le menti avrebbero agevolmente potuto volgersi ad imma¬ ginare la natura fosse in colai rettili stata schiva dell’ esempio eh’ ella aveva porlo negli altri vertebrati, e vaga direi quasi di segnalarsi avesse dato opera a crear novità. Saldo l’ Alessandrini nel principio che la fabbrica degli es¬ seri organizzati per quantunque varia ci possa essa apparire, rassembra tut¬ tavia sempre un tipo generale unico di organizzazione, trova dopo lunghi e pazienti studi sull’ osso ioide della Cheionia Cauana Lacep. e della Spharagis mercunalis Merr. tutti gli equivalenti dell' ioide degli altri vertebrati. E di fatto avvisa egli in quest’ osso delle Testuggini otto parli principali che fedel¬ mente ritraggono la composizione archetipa datane da Geoffroy Saint-Hilaire. E nomina cotali parli coi nomi usitati , e ai nomi eh’ egli adopera, contrappone gli introdotti da questo celebre analogista acciocché meglio ne spicchi la so¬ miglianza se non vogli l’ identità. La prima che viengli alla rassegna , è la cartilagine linguale eh’ ei reputa debba valere I’ urohyale e 1’ enthoyale del lo¬ dato Geoffroy, poi il corpo o base che ne è il basiale, indi le corna anteriori o stiloidee che corrispondono agli apohyali e ceratohyali ; appresso le ossa sti- loidee che convengono cogli stilhyali : ultime le corna posteriori o tiroidee che ripetono i glossohyali. Ciò fermato, incede con tutto il valore che era da lui, a districare la muscolatura dell’ ioide e della lingua, e l’assimila anch’ essa al tipo di quella de’ vertebrati superiori, massime de’ mammiferi. Nota in¬ nanzi tratto un muscolo miloioideo robustissimo, il quale benché non abbia che un debole ^appicco all’ osso ioide, ne giova nondimeno i movimenti e quelli della lingua, 1’ uno e 1’ altra sollevando e traendo in avanti. E qui è d’ uopo di una breve considerazione. Leggo nelle opere di anatomia comparativa che il miloioideo delle Testuggini vuol essere paragonato al platisraamioide o ad un pellicciaio per non avere connessioni coll’osso ioide, ma solo coi rami man¬ dibolari cui è frapposto. Io credo questa similitudine affatto destituita di fon¬ damento. E vaglia il vero, l’ idea di muscolo pellicciaio è quella di un panni¬ colo carnoso sottocutaneo adeso alla faccia interna del derma, e quà e là sì strettamente connesso ed inlessuto col derma medesimo da imprender opera d’ impossibile riuscimento il volernelo svolgere e separare. E restringendoci al pellicciaio del collo , aggiugnerò che desso non alla interna ma sì alla esterna superfìcie de’ rami mandibolari si applica ed agglutina per coadiuvare 1’ abbas¬ samento della mandibola , nè si estende da un ramo all’ altro di lei come il miloioideo dato a chiusura dello spazio angoloso interposto ai due rami ed a composizion della base del pavimento della cavità orale. Altre considerazioni potrei addurre che per brevità tralascio parendomi le esposte sufficienti a di¬ mostrare non essere nel miloioideo qualità di pellicciaio, ma più presto di dia¬ framma disteso fra i rami mandibolari , e dato pure che non avesse connessioni coll’ osso ioide, di muscolo intermandibolare inabile ad agire sulla mandibola e sull’ioide, ma efficacissimo colle sue contrazioni a spingere contro il palato le parti sopra lui situale e per conseguente la lingua. § 49. Sollevato il miloioideo si fa l’ Alessandrini a descrivere il genioioideo, al quale sostituisce la denominazione più confacente di genio-io-stoloideo per essere altresì inserito nelle ossa stiloidee, e poterle contraendosi condurre ante- 124 Luigi Calori riormente e renderle immobili, onde ai muscoli stilòglosso e stilofaringeo che muovono da esse, venga fatta abilità di meglio e più efficacemente spiegare la loro azione. Passa poi allo stiloioideo che nessuno avanti lui ebbe distinto, e fu confuso collo stiloglosso da Bojanus, il quale con siffatto accoppiamento componeva mal a proposito il suo ioglosso ; errore in cui avevaio tratto P ine¬ satta significazione de’ processi stiloidei da lui considerati come porzioni delle grandi corna. 11 quale muscolo stiloioideo termina tripartito nel processo del corpo e nel corno anteriore delP ioide , e solo ha virtù di muovere lateralmente il detto corpo e la lingua ; chè a sollevare e portare posteriormente queste parli è impedito dalla maniera di articolazione delle ossa stiloidee col cranio e col corpo medesimo. Parla infine dell’ omoioideo oltragrande nelle Testuggini ed osserva che desso è bifido sì nella origine come nella inserzione; impe¬ rocché P origine si fa mediante due fascetli , uno che nasce dall’ osso cora- coideo, P altro largamente aponenrotico anche dallo sterno sottoposto, e P in¬ serzione mediante due altri fascetli appiccati uno alla estremità delle ossa sti¬ loidee articolantesi col corpo dell’ ioide. P altro a quella parte di corpo donde muovono le corna tiroidee. Alla quale disposizione ponendo mente non è chi non avvisi essere P omoioideo delle Testuggini non un muscolo semplice , ma complesso, contenente in se anche Io sternoioideo che P universalità degli Ana¬ tomici vuole che manchi; diffetto o mancanza più presto apparente che vera, dovendosi considerare fusi nella gran mole che appellano omoioideo, i due mu¬ scoli prefati. La quale opinione è molto più soddisfacente della professata nella nuova edizione delle lezioni di Anatomia comparata di G. Cuvier, ove nella lezione decimaottava è detto che gli omoioidei tengono il posto e adempiono gli uffici degli sternoioidei mancanti, e appresso, che la porzione originante dalla spalla del muscolo esofago-omo-ceratoideo descritto nella Testuggine imbricata o caretta è P equivalente dello sternoioideo, sicché due muscoli ne supplireb¬ bero la mancanza, e nessun di essi nascerebbe dallo sterno. Se il compilatore delle aggiunte a quella lezione avesse attesa quesP osservazione dell’ Alessandrini , e poteva attenderla, perocché P opuscolo de Testudinum lingua atque osse hyoi- deo fu letto a quesP Accademia addì 24 Maggio 1830, ed impresso in Bologna nel Tom. I. de’ Nuovi Commentarli divulgato nel 1834, io non dubito che egli non avesse rischiarato, siccome convenivasi, codesto punto. § 50. A quattro paja, come ne’ mammiferi, ridusse P Alessandrini i muscoli della lingua e descrisseli cominciando dal genioglosso, il quale avvegnaché fosse conosciuto agli anatomici , non P era però così in ogni sua parte da potersene acquetare, sendo che era loro sfuggita o non ben da loro dichiarata quella porzione che dal cavo della mandibola si reca alla lingua. Distinse poscia lo stiloglosso da nessuno innanzi lui mai preparato, nè dimostrato, confuso da Bo¬ janus collo stiloioideo ed erroneamente delineato come parte dell’ ioglosso con¬ forme fu già notato ; e scopri il vero ioglosso inestricabilmente congiunto col linguale, muscoli ambidue debolissimi e come rudimentarii nelle Testuggini ed i più esigui fra quei della lingua. Ed intorno all’ ioglosso non si vuol trala¬ sciare che tale muscolo non ha più tre origini distinte dall’ ioide, ma una sola dalla spina del corpo ioideo, e non è più al lato esterno, ma allo interno del genioglosso, donde forse il non averlo riconosciuto gli anatomici ed averlo preso per altro. Ma affinchè riuscisse piena ed intera P analogia tra i muscoli delle Testuggini e de* mammiferi nati dall’ osso ioide , e dalP osso stiloideo Vita di Antonio Alessandrini 125 passò egli a considerare lo stilofaringeo e V smascellare di Boianus.il primo soprammodo robusto ed esteso e bellamente accomodato alla larghezza e robu¬ stezza della faringe di cotali rettili aveva d’ uopo di un antagonista il quale tu descritto ne Batrachi da Dugès sotto la denominazione impropria di verlebro- iaringeo. Guardando l’ Alessandrini che 1’ origine dei muscolo era dal processo coracoideo della scapola, con maggior esattezza il nominò coracofaringeo e die- degti per uffizio di rintuzzare la soverchia forza dello stilofaringeo. Ad ultimo quanto all' lomascellare mostrò che esso non nasceva dall' osso ioide propria¬ mente detto, ma dall’ osso o processo stiloideo, e che quindi era un vero mu¬ scolo stilomascellare , il quale per anomalia talvolta occorre anche nella specie umana (1). F § 51. Queste belle illustrazioni e scoperte furono non guari molto susse¬ guite da altre sulla struttura della laringe , specialmente della Testuggine Cau- ana non che sulla respirazione e suoni che le testuggini in genere possono formare, non essenti’ elleno veramente afone, secondo che opinarono i più. E dapprima si fec’ egli a definire esattamente le cartilagini di quell’ organo e le comparò con quelle de’ vertebrati superiori, soprattutto de’ mammiferi ; compa¬ razione non innanzi posta ad atto da veruno, ed impose nomi alle innomina¬ te; conciossiachè delle cinque cartilagini onde lo scheletro laringeo veniva composto dal Bojanus nella citata anatomia della Testuggine Europea , tre sole erano nominate, la cricoide e le aritenoidi, eie altre due erano semplicemente chiamate laminette. E limitandosi alla Testuggine Cauana trovava egli che le dette cartilagini non erano che quattro, e le contraddistingueva colla nomen¬ clatura sotto cui sono conosciute ne’ mammiferi e negli uccelli, cioè a dire di tiroide, di cricoide e di aritenoidi. La prima di queste cartilagini non che avesse nome, neppure era stata distinta e scambiavasi colla seconda. Alessandrini ne discopriva 1’ errore e il donde, riponendolo nella forma tubulare, che la tiroide assume in tali rettili, e che quella eh’ ei definiva per tiroide , fosse veramente tale, provavanlo il sito, le connessioni e gli uffici - di lei similissimi a quelli della tiroide de’ vertebrati superiori. Lo che stabilito, entro a’ suoi veri termini riconduceva e descriveva la cricoide, la quale era proporzionatamente piccola e quasi rudimentaria, di forma orbicolare, e priva del segmento anteriore ridu- cevasi alla semplice porzione più larga o gemma dell' anello eh’ essa rappre¬ senta nei mammiferi; poi le aritenoidi oltramodo voluminose, ritraenti ciascuna un triangolo equicrure od isoscele come 1* appellano i Geometri e così situate nella parte superiore della laringe da rendere inutile la esistenza della epiglot- tide , di già mancante anche negli uccelli, essendo che l’accostamento delle aritenoidi stesse bastava a chiudere esattamente la glottide. Discorreva poi le ar¬ ticolazioni delle divisate cartilagini ed alla sindesmosi tutte riferivale, e quan¬ tunque densi ne fossero i legamenti, godevano tuttavia di molta elasticità, mer¬ cè della quale non era tolto alle dette cartilagini poter di muoversi, però oscu¬ ramente, le ime sulle altre, massime poi alle aritenoidi, nelle quali scorgevasi un Ieggier grado di rotazione dallo interno allo esterno sul proprio asse. Boja¬ nus , che disse semplicemente mobili queste ultime cartilagini , affidavane i mo¬ ti) Novi Commentarli cit. Tom. I. pag. 53. De lestudinum lingua atque osse hyoideo. 126 Luigi Calori vimenti a due soli muscoli , all' orbicolare cioè o sfintere della glottide od io¬ laringeo e al dilatatore della medesima chiamato cricoaritenoideo , e del pari G Cuvier. Ma Alessandrini dopo più accurata disamina scopriva la poca esat¬ tezza di queste asserzioni, e non di due, ma di tre muscoli dotava le cartila¬ gini laringee, a’ quali imponeva nuovi nomi che co’ loro attacchi consentivano.. Questi muscoli furono l’ ioaritenoideo, 1* iotireocricoideo , ed il tireoantenoideo. § 52. L’ io-aritenoideo non era stato distinto da alcuno avanti lui; che anzi il Bojanus avevane fatto un tutto coll’ io-laringeo od orbicolare certamente per non avere ben spogli questi muscoli dal tessuto cellulare, nè averli perciò messi nella loro più chiara vista. La quale mancanza fu pure cagione che il mede¬ simo autore delineasse come orbicolare l’ io-laringeo, imperocché l' io-aritenoideo quando non sia ben pulito, rassembra appunto uno sfintere, ma esattamente denudato perde subito codesta sembianza, ed altresì perdela l’ io-laringeo, non mostrandosi già composto di fibre condotte in circolo attorno la glottide, ma di due fasci destro e sinistro che muovono dall’ osso ioide, abbracciano la la¬ ringe e terminano alla faccia posteriore della tiroide e della cricoide. L’ io- aritenoideo poi ha forma piramidale e dall’ interna faccia del corpo dell’ ioide estendesi alla posterior faccia della regione interna dell’ apofisi aritenoidea. Dato è questo muscolo all’ abduzione delle aritenoidi, e quindi non alla chiusura ma all' aprimento e dilatazion della glottide, conciossiachè esso muscolo trae le dette cartilagini allo esterno od a’ lati, li quale movimento congiunto a quello di potere le cartilagini medesime piegar posteriormente in grazia dell’ azione de’ tireoaritenoidei fa che le aritenoidi operino quella leggiera rotazione dal- 1’ interno allo esterno , della quale si è toccato di sopra. § 63. L’ io-tireo-cricoideo nasce con largo tendine dal corpo dell’ osso ioide e va a cingere il corpo o parte media della laringe a mo’ di fascia ec¬ cetto però in un punto esiguo della linea centrale inferiormente, e siccome alla faccia posteriore della tiroide e della cricoide appiccasi , così assai meglio conviengli la denominazione di io*tireo-cricoideo, che di io-tiroideo, o di orbico¬ lare, la quale anzi è affatto erronea. Contraendosi non solo adduce le aritenoidi e restringe e chiude la glottide, ma spinge pure internamente la cricoide ; onde si fa angusta in avanti la cavità della laringe. 5 54. Il tireo-aritenoideo fu detto da Bojanus e dagli altri anatomici erico- aritenoideo, perocché avevano presa la porzione anulare posteriore della carti¬ lagine tiroide per la porzione anulare posteriore della cricoide. Questo muscolo è più robusto e largo de’ precedenti, ed ha la forma di una lunga fascietta che muove dal lembo posteriore ed inferiore della cartilagine tiroide e va con robusto e breve tendine ad inserirsi nella apofisi della cartilagine aritenoide. Suo principale uffizio è quello di aprire ed allargare la glottide: nel che è potentemente coadiuvato dall’ azione del muscolo io-aritenoideo. S 56. I tre muscoli divisati sono lutti doppi, e gli io-arilenoidei , e i ti- reo-aritenoidei ritraggono i crico-aritenoidei laterali e posteriori de’ mammiferi avendone altresì 1’ uffizio , e gli io-tireo-cricoidei gli ari-aritenoidei e gli arite- noidei trasversi o solitarii. Vi hanno dunque nella laringe de’ rettili i muscoli proprii che occorrono in quella de' mammiferi , da tireo-aritenoidei maggiori e minori in fuori. La quale mancanza consuona con quella delle corde vocali e de ventricoli , e la mucosa laringea facendosi solo alquanto più grossa presso 1 apice anteriore delle aritenoidi conformasi in una specie di allungata carun- Vita di Antonio Alessandrini 127 cola, che occlude la glottide sussidiando così anteriormente 1' adduzione delle aritenoidi essa altresì data a colai fine. S 56. Terminò l’ Alessandrini questo suo classico lavoro col considerare la respirazione delle Testuggini, e la parte precipua che in lei hanno la laringe e la glottide. Non trovando ben al vero consentanea l’ opinione di Malpighi e di Townson intorno a questo punto pensò una novella spiegazione , che è la seguente. Manca ne’Chelonii come negli altri rettili un diaframma completo, ed il torace e 1’ addome confondonsi in una cavità comune del tronco, nella quale sono collocati i polmoni. La vescicolare e cavernosa loro struttura per¬ mette facilmente che nella espirazione in ragguardevole modo restringansi ed oc¬ cupino uno spazio assai piccolo di quella comune cavità, laddove nella inspira¬ zione gonfiandosi di assai vanno di necessità ad occuparne una parte grandis¬ sima. Ciò posto quantunque di solida ed immobil lorica ossea sottocutanea sia tutto cinto il torace, e quasi tutto l’ addome, non di manco sì anteriormente come posteriormente rimangono degli spazi abbastanza arapii formati da molli pareti cutaneo-muscolari. Senza che I’ apparecchio muscolare che circonda il torace e 1’ addome negli altri vertebrali . trovasi nelle Testuggini alla interna faccia di detta ossea lorica, e molti de’ muscoli di codesto apparecchio aderi¬ scono alle membrane che fanno velamento a’ visceri, onde essi muscoli con¬ traendosi scostano di leggieri colali membrane dai visceri, e traggonle verso quella lorica; il perchè nasce un vuoto tra quelle e questi. Scemato perciò il volume de’ polmoni, l’aere io essi contenuto si rarefà in grazia della com¬ pressione , siccome accade dilatandosi il torace nei polmoni de’ mammiferi , e 1’ aere rarefatto meno resistendo all’ esteriore questo per legge d’ equilibrio precipita ne’ polmoni , e così compiesi l’ inspirazione. Nè è d’ impedimento alla dilatazion de’ polmoni 1’ ossea lorica, perocché è a loro già concesso un ampio posto nella comune cavità del tronco in virtù della contrazione de* predetti muscoli che tengono le veci degli elevatori delle costole ne’ mammiferi , il quale posto i polmoni stessi poi rendonsi anco più esteso comprimendo nel loro mag¬ gior grado di dilatamento i visceri addominali , e spingendoli contro la molle ed elastica porzione delle pareti della cavità del tronco. In questo mezzo i dila¬ tatori della glottide forse contraggonsi , e ne allargano 1’ apertura e l’introduzione od irruzione dell* aria ne’ polmoni si agevola. Appresso la contrazione de’ muscoli della porzion molle della parete addominale non che di quelli della region po¬ steriore dell' ossea lorica similissimi a' muscoli addominali ingenerano un con¬ trario movimento, pel quale restrignesi la cavità contenente i visceri ed i polmoni vengono compressi e così si effettua la espirazione. Nelle Testuggini acquatiche in ispecie il movimento respiratorio poi è lentissimo , ed operasi a lunghi intervalli , ed inspirala che abbia 1’ animale una ragguardevole quantità di acqua , si tuffa egli nell’ acqua , ed a poco a poco vizia 1’ aria entro se accolta e consuma, e sol quando abbia bisogno di nuov’ aria, sorge a fior di quella fuor mettendo il muso e la lesta per espellere I’ aria corrotta e berne della vitale o vivificante. Ed esposto con quale magistero ha effetto nelle Te¬ stuggini la respirazione, passò ad ultimo l’ Alessandrini a dire come alcune specie particolarmente , p. e. la Cauana , 1’ Europea e la Greca abbiano facoltà di produrre suoni somiglianti a sibilo, o a lungo gemito, i quali poi possono essere quando più gravi, quando striduli, quando fiochi e dimessi, quando fortissimi avvenendo per l' impeto dell’ aria attraversante la glottide e pel vario 128 Luigi Calori grado di apertura o di angustia deila glottide medesima non che per la lunghezza o brevità della trachea, per la sua rettezza o incurvamento in grazia de" moti del collo , e , questo immobile , per lo allungarsi ed abbreviarsi eh’ ella fa in virtù de’ muscoli all’ osso ioide pertinenti , come gli sterno-ioidei, gli scapulo- ioidei ed i genio-ioidei che colle loro contrazioni fanno muovere altresì la trachea. Ma quantunque la laringe per la sua particolare costituzione sia ac¬ comodata al producimenlo de’ suoni, questi però riescono monotoni nelle testug¬ gini, opponendosi al loro variare e modularsi la semplicità di struttura della laringe stessa , la picciolezza e quasi immobilità della lingua , la solidità delle parli della bocca, la mancanza di velo palatino e di labbra molli e la tardità de’ moti respiratorii (1). S 67. Tornò Alessandrini dopo alquanti anni sull’ argomento delle Testug¬ gini tiratovi da alcune erronee asserzioni di Bourjot Saint-Hilaire intorno alla Storia della Sphargis Mercuriali Merrem , o Testuggine Coriacea marina e da un’anatomia che giacevane inedita negli Archivi della nostra Accademia, fatta per commissione di Monsignor Enea Silvio Piccolomini fin dal 1776 da An¬ tonio Biagi su un grande individuo di sì rara specie, quello appunto che l’im¬ mortale Amplificatore di questo Istituto delle Scienze, Benedetto XIV diè in dono all’ Istituto medesimo, e che pur oggi conservasi in ottimo stato nel Museo di Zoologia. Aveva il Bourjot asserito che quattro individui soltanto della Sfargide erano storicamente conosciuti, e che un quinto era quegli che nel 1838 fu pescato vivo nella piccola baja di Croisic dipartimento della Loira inferiore e del quale ei faceva annotazione, acciochè i Naturalisti non si lasciassero sfug¬ gire una tanta rarità, sendo che a suo dire non dovevano certamente esistere tre Sfargidi ne* Musei di Europa. Alessandrini dimostrò che con quello di Croisic erano ben dieciotto gli individui che già storicamente conoscevansi da Ronde- lezio in quà, e che più di tre dovevansene conservare ne’ Musei Zoologici di Europa; imperocché solo in Italia due ce ne erano, uno di mezzana grandezza mandato in dono nel 1760 da Clemente XIII alla Università di Padova, e de¬ scritto da Domenico Vandelli nel 1761, e l’adulto del nostro Museo Zoologico, regalato, come si disse, da Benedetto XIV. § 68. Sebbene il Zanotti nel Tom. IV. degli Antichi Commentarii del¬ l’Istituto di Bologna ( 1767) parlando alla pag. 17 del prezioso dono di co¬ tale testuggine non ne dica che fosse accompagnato da una succinta anatomia illustrata da disegni magistralmente eseguiti da I. X. Vermoclen in Roma pur nell anno 1766, egli è non pertanto molto probabile che il dono fosse con tale accompagnamento. Quest’anatomia che ornai conta 110 anni , riesce senza dubbio grossolana de’ nostri dì , massime inverso della Celebre Monografia del Bojanus. Contuttociò eli’ aveva tanto in sè da spandere molta luce sulle diffi¬ coltà e questioni Zoologiche insorte intorno alla esistenza o mancanza di denti si nelle mascelle come nel palato , ed intorno P esistenza de’ tubercoli sternali anche negli adulti delle Sfargidi ; conciossiacchè veniva per lei addimostrato al- , evidenza non esservi denti, come alcuni avevano opinato, e per lei altresì s accoglieva il sospetto, che avessero potuto esserci o due specie di Sfargidi, T°“‘ '' m' DeTes"ldi"is Cananae laringe. Opuscolo letto Vita di Antonio Alessandrini 129 i' una con tubercoli sternali permanenti, 1’ altra senza questi tubercoli, ovvero che il maschio ne andasse fornito, e non la femmina, perocché I’ esaminato dal Biagi era un maschio adulto. E se fosse stata resa pubblica allora quando tu inviata all Istituto, avrebbe prevenute molte belle illustrazioni splancnotogiche e soprattutto le scoperte de’ moderni intorno la struttura del cuore de’ Chelonii: conciossiachè il Biagi ebbene conosciuto il tramezzo incompleto de’ ventricoli , la maggior robustezza e minor capacità del sinistro, la valvola comune ai due orifizi auricolo-ventricolari , descritta come una grande doccia o canale aperto e slabrato negli estremi, che còn una delle aperture o slabrature guardava il toro auricolo-ventricolare destro, coll’altra il sinistro ecc. ecc. Ma non più avanti di quest’anatomia; chè la non appartiene alP Alessandrini, ma al Biagi, non avendola egli che dissepolta e commentata e fatta conoscere (1). Rallegria¬ moci dunque col Sig. Emilio Blanchard il quale nella sua grandiosa opera T 1 Organ.sation du Régue animai = ha attribuito al Commentatore ciò che dovevasi all’autore di quell’anatomia. § 59. Anche le ghiandole salivali de’ serpenti esercitarono P industria ana¬ tomica e la penna dell’ Alessandrini, il quale presene occasione da uno impor¬ tantissimo lavoro dello Schlegel sulle glandole medesime nelle serpi a denti solcati o veleniferi confrontate con quelle proprie alle specie non velenose. A biava e nel Brasile non che in altre parti erasi già il volgo accorto, e con¬ fermato aveva n lo i Naturalisti, che certe serpi, che reputavansi innocue e che non avevano 1 esterna conformazione del capo data da Cray e Cuvier ai ser¬ penti velenosi per distinguerli da quelli che non sono tali, producevano nei morsicati da esse effetti molti sinistri. Reinwardt, Boie, Beauvais e Duvernoy sottoponendo a rigoroso esame codeste serpi s' incontravano nella posterior parte, o sui lati della loro mascella superiore in denti più lunghi e solcati, e le specie che li presentavano, appartenevano ai generi Dipas , Homolophis , Bnophys ecc. ; e lo Schlegel non guari dopo descriveva dietro la glandola sa- n vale ordinaria una nuova gianduia comunicante col suo dutto escretorio con quei denti ; gianduia velenifera che quasi ad un tempo ebbe pur veduta il Du¬ vernoy. Se non che lo Schlegel ammetteva che ovunque ci fossero stati di co- tali denti posteriori o laterali, sempre anco si fosse avverata la presenza di- detta glandola, laddove il Duvernoy era di contrario avviso, e n’ adduceva in prova il Drynus nasutus che andavane senza, con tutto che avesse denti po¬ steriori più grandi e solcati. § 60. Alessandrini si fece a ripetere e ad estendere le osservazioni de’ pre- lodati Autori specialmente su parecchie specie di serpenti comuni fra noi, come il Coluber atro-virens, il natrix Lino, , il siculus Cuv. , il viperinus Latr. , il coluber aesculapii Shew, e l'elaphis Saw, non che la vipera comune o coluber berus Lino. , e la piccola vipera, coluber chersea del medesimo. Trovava nell' Atro-vi¬ rens la gianduia dello Schlegel più distinta e voluminosa che in qualunque altro de colubri non velenosi comuni. Giaceva ella dietro la estremità posteriore della glandola lagrimale, a contatto della mucosa della bocca, nè era coperta da verun muscolo come la vera glandola velenifera , e solo col suo lembo inferiore (!) Nuovi Annali cit. Tom. II. Serie I. tomia della Testuggine Coriacea marina. 1838. pag. 356. Cenni sulla Storia < 17 130 Luigi Calori aderiva all’ espansione tendineo-legamentosa che dall’ articolazione della ma¬ scella inferiore si reca all' arco zigomatico. Di figura orbicolare e piuttosto schiacciata aveva un cortissimo e largo condotto escretorio, che metteva foce nella cavità orale presso 1’ angolo delle labbra a qualche millimetro di distanza dalla vagina dell' ultimo dente mascellar superiore mollo più grande degli altri e quasi tutto nascosto entro lei, ma non veramente solcalo, bensì leggiermente incavato nella faccia posteriore, entro la quale vagina poi ci erano alcune pic¬ cole pieghe fra le quali occorrevano due o tre piccoli denti mobili somiglianti a quelli che nella vipera volgare son del pari rinchiusi entro il molle astuccio che avvolge il maggior dente tubolato o velenifero. La quale descrizione non conveniva appuntamente con quella dello Schlegel che aveva descritta e rap¬ presentata , toltone l’esempio dall’ Homolophis monilis, la foce del condotto escretorio della glandola presso la radice del dente solcato come nei veri ser¬ penti velenosi; onde l’innesto del veleno tanto più sicuro e pericoloso riusci¬ va, laddove nel Coluber atro-virens l'umore separato da tale gianduia non poteva che essere condotto tutto al più sulla vagina del dente maggiore me¬ diante un solco muscolare situato sulla faccia interna del labbro superiore, e che dalla detta foce alla detta vagina estendevasi; ed ancora schietto non giugneva per avventura a lei, ma mescolato cogli altri umori della bocca ; onde presupposto che desso fosse stato velenoso, poco o nulla forse nella morsica¬ tura di cotal serpe sarebbe tornato nocente. § 61. Ne’ Colubri natrice, siculo e viperino la glandola dello Schlegel non manca; ma essa era stata confusa colla labbiale o salivaie superiore per essere a questa applicata e strettamente unita mediante compatto tessuto celluloso. Ma ella se ne differenzia pel color suo che è gialliccio, laddove quello della lab¬ biale è rossigno, e misto ad alcun che di plumbeo; pei lobuli ad acini molto meno minuti di quelli della labbiale, e pel riuairsi de’ suoi piccoli condotti in un condotto escretorio solo, che termina o sulla faccia interna o sul lembo della vagina avvolgente i grossi denti posteriori , i quali non sono miniraamepte solcati. Nel Coluber aesculapii Shew apparsagli poi affatto rudimentaria la gian¬ duia dello Schlegel, e non più i mascellari posteriori, ma i medi o centrali della serie erano i denti maggiori. Finalmente nel Coluber elaphis Shaw era onni¬ namente scomparsa la glandola,, e più semplice era anco la dentatura, e lutti i denti più piccoli e piccolissimi i posteriori per forma che il morso di questa specie poteva dirsi del tutto inoffensivo a rispetto degli altri colubri comuni appo noi. § 62. Discorrendo appresso delle due specie di vipere summentovate trovava in amendue 1 apparecchio velenifero simile, ma punto di gianduia di Schlegel, e tornando alle serpi provvedute di denti solcali posteriori e di questa gian¬ duia poneva la questione, se tale apparecchio fosse ad esse dato a difesa dagli esterni nemici , e se addentando quelle serpi gli oggetti subito li avvelenassero, ovvero se del veleno che que’ denti trasportano, si servissero piuttosto ad uc¬ cidere gli ammali, che elle deglutiscono vivi; alla quale ultima opinione, che era pur quella del Cuvier, egli, avuto riguardo alla posizione molto posteriore dei denti medesimi, più volentieri che all'altra assentiva. Passava ad ultimo in rivista le varie glandule salivali de’ serpenti e paragonavale con quelle de’ ver¬ tebrati superiori, e riducevale di leggieri al tipo comune a questi. Diffatto come ne mammiferi e negli uccelli potevansi in un gran numero di serpenti Vita di Antonio Alessandrini 131 ammettere quattro paja di grandule salivali^ cioè: l.° Le sotto-linguali ; 2.° Le mandibolari o soltomascellari ; 3.° Le parotidi; 4.° Le sotto, o postorbitali (1). La quale dottrina sì fn trovata conforme a verità da Dumeril e Bibron che la posero innanzi ad ogni altra, e le diedero posto onorevole nella parte ana¬ tomica della loro classica Erpetologia. § 63. L’anatomia dei pesci deve all’ Alessandrini rilevantissime illustrazioni e scoperte. E primamente dirò che egli imprese a rischiarare l’ intima tessitura, e il modo di formazione , di nutrizione e crescimento delle scaglie de’ pesci , non che di altre produzioni consimili come de’ solidi scudetti integumentali del Cocodrillo e dell’ Armadillo, del quale ultimo già addietro fu detto aver egli fatta una preziosa notomia del comune tegumento ( § 37). Nacquegli il pensiero di questo lavoro da uua contesa allor insorta tra Agassiz e Mandi sul medesimo sog¬ getto. Voleva P Agassiz che le squamme dei pesci chiuse entro un sacchettino mucoso proprio, e situate tra la cute e V epidermide aderissero strettamente a questa sol colla parte loro posteriore e che coll’ anteriore fossero libere entro quello, di qualità che sciolte da ogni legame col derma non avessero comuni¬ cazione diretta coi tessuti formatori , e che per conseguente non fossero che 1’ effetto di un semplice trassudamento del derma stesso sottostante al reticolo Malpighiano ed alla cuticola, che ricoprivanle. Adduceva in appoggio di sua opinione la struttura microscopica delle scaglie descritta dal Leuwenhoek che cioè fosser elleno formate di laminette soprapposte ognor crescenti a mano a mano che dagli strati superiori agli inferiori discendevasi , e insiem congiunte mediante muco addensato. Per contrario il Mandi poneva ci fosse nelle scaglie vera organizzazione, un tessuto che accogliesse e trasportasse la materia di loro nu- drimento, quindi una nutrizione interna che le faceva percorrere diversi gradi di sviluppo. Diceva egli che la maggior parte delle scaglie componevasi di due soli strati soprapposti, che nell’inferiore scorgevasi coll’ aiuto del microscopio una struttura fibrillare , e che nel superiore od esterno disegnavansi le linee opache alternate da piccoli spazi meno opachi , o più trasparenti , le quali aggirandosi attorno ad un centro comune e circoscrivendo quindi aree sempre piu estese potevano di leggieri indur nella credenza che siffatte linee costituis¬ sero i limiti delle iaminette sovrapposte, quando invece le linee medesime sor¬ gono quasi a modo di regolare vegetazione dalla faccia esterna dello strato superiore , percorrendo esse altresì nel formarsi e nel crescere diversi gradi di sviluppamento e di apparenze transitorie. A sèioglimento della quale quistione istituiva P Alessandrini una moltitudine di pazienti e laboriose ricerche su molti pesci ossei e cartilaginei ed estendeva il suo esame agli scudi cutanei degli animali suddetti, e giovato da tutti gli anatomici espedienti che avessero valso a meglio discoprirgli P intima tessitura di siffatte parti, come artificiali inie¬ zioni de’ vasi sanguigni , rammollimento mediante gli acidi minerali diluiti , e (!) Vedi il Poligrafo Tomo XII. an. 1832 pag. 47 alla 62. Ricerche sulle glandole salivali dei serpenti: cosi Alessandrini stesso ha intitolata questa sua Memoria in una Nota ad alcune osservazioni critiche dei Signori Dumèril e Bibron scritta in difesa dei lavori Ofiologici del Principe Bonaparte, ed inserita nel Tom. III. Serie II. pag. 273. dei Nuovi Annali più volte citati. Ho avvertito ciò, perchè nel Poligrafo la delta Me¬ moria porta il litoio della Dissertazione dì Schlegel semplicemente recato io Italiano. 132 Luigi Calori microscopio , ed ajutato altresì dall' osservazione su individui giovanissimi , .po¬ teva alla perfine giugnere alla bramata soluzione, e stabilire alcuni corollarii generali di non lieve momento, che in gran parte consentivano colle asserzioni del Mandi, a’ quali aggiustava pure non piccolo peso il parere dell’ Owen, che nella sua Odontografia poc' anzi pubblicata paragonando insieme i tuber¬ coli ossei, le spine, gli scudi, le scaglie integumentali e certi denti dava a tutte queste parti organizzazione complicatissima. I quali corollarii poi furono i seguenti » 1. ° « Le produzioni integumentali che nei vertebrati portano il nome di sca¬ glie o scudetti, anche perfezionate che siano ed arrivate al pieno sviluppo ed indurimento sempre conservano unione diretta vascolare coi tessuti molli for¬ matori, vincoli più patenti e facilmente dimostrabili nelle scaglie aderenti che nelle semilibere, più negli individui giovani che negli invecchiatissimi. 2. ° « Che si deve perciò rinunciare all’ opinione più generalmente ricevuta che le scaglie risultino da un semplice trassudamento di materia concrescibile operatosi alla superficie del cuojo, il quale trassudamento componendo delle lamine sempre crescenti di diametro ed applicandole alle sovrapposte più pic¬ cole alle quali restino unite per semplice contatto di superficie, costituisca così la grossezza dello scudetto e della scaglia , risolvibile per semplice macerazione 3. ° « Le scaglie sono sempre o parzialmente inviluppate come avviene delle semihbere o ricoperte nella faccia esterna come nelle aderenti, non già dalla sola cuticola come pure si va dal maggior numero degli Autori ripetendo, ma bensì da un velamento generale composto di tre strati variamente organizzati e disposti, il papillare-vascoloso , il Malpighiano e 1' epidermoidale. 4. « Quantunque non sia identica in tutte le scaglie l’intima loro tessitura, si riduce però sempre ad una base di tessuto celluloso, che ora acquista la consistenza della cartilagine, ora quella dell'osso: tessuto che conserva, per quanto variar possa la forma ed apparenza della scaglia, la disposizione orga¬ nica propria nella quale è facile dimostrare la tessitura fibrillare e laminare. 5. « Le scaglie adunque e tutti gli analoghi prodotti della pelle, che ador¬ nano o proteggono la superficie del corpo di tanti animali della sezione dei C°DdUr SI Poss.ono> avut0 Sguardo alla loro posizione, al modo di formarsi, d. crescere, d. rinnovarsi , di aderire e continuarsi coi tessuti viventi, alle tante altre produzioni integumentali, alle quali tutti accordano complicata fa1CTTe,7T ° dTl° C0Ì t6SSUtÌ mo,,i viventi, comunicazione vascolare fa dmente dimostrabile, vale a dire ai peli, agli aculei, alle produzioni cornee, ?I"P”8T insieme D età fo mite r r, ?arl'’ 6 q"alÌ apP"ntu pcr es3er* * tale condizione e prò- prietà forme costituiscono la nota caratteristica degli esseri che al vasto im¬ pero organico appartengono (1). S esaen Che al VaSl° (1) Novi Comment. eit deque scuiulis super corio Dicembre 1844. Tom. IX. pag. 371. De intima squamarum textura piscium scatenhbus Crocodili atqne Àrmadilli. Opusc. letto addì 19 Vita di Antonio Alessandrini 133 § 64. L’apparecchio branchiale de’ pesci in genere, ed in ispecie dell’Or- tragorisco, dell’ Eterobranco anguillare non che de’ Squali e delle Raie porse ad Alessandrini materia di scrivere tre assai dotte, ed assai pregiate disserta¬ zioni, il tenor delle quali è il seguente. Gli anatomici ed i fisiologi di tutti i tempi si erano ingegnati di mostrare la molta somiglianza e quasi identità di struttura tra le branchie ed i polmoni ; se non che entro troppo angusti li¬ miti circoscrivevano l’ estensione della superfìcie respiratoria delle branchie medesime, di qualità ch’ella nè proporzionata nè conveniente riusciva colla estensione molto maggiore di quella degli animali che respirano 1’ aria in na¬ tura; nè bastar poteva al bisogno che dovevano pur avere i pesci, anzi tutte le specie a branchie idrofore, di una più larga superficie di respirazione, con- ciossiachè l’acqua contiene in minima quantità que’ principi che agendo in par- ticolar modo sul sangue, e mescolandosi con esso lui durante la respirazione ne operano que’ mutamenti onde di venoso si fa arterioso; sendo opinione gene¬ ralmente professala dai Naturalisti aver 1’ acqua sul sangue azione soltanto in grazia della piccola quantità di aria atmosferica a lei commista, nè mai pel decomporsi ne’proprii elementi, sebbene taluni avessero pur ciò creduto. Da’ quali pensamenti guidato 1’ Alessandrini ponevasi ad istituire diligenti e minute in¬ dagini sull’ intima struttura delle branchie, esaminandone primamente ne' grandi pesci ossei lo scheletro, le lamine e lamelle, che gli appartenevano e eh’ esso sorreggeva, i muscoli, specialmente intrinseci ond’ erano mosse, la disposizione della mucosa ond' erano vestite, la disposizione de’ vasi sanguigni su lei di¬ ramali; nè molto indugiava a riconoscere nella detta membrana costituente la loro superficie respiratoria, e eh’ ei chiamava mucoso-vascolare, una estensione infinitamente maggiore di quella che avevanle per l' addietro assegnata gli anato¬ mici ed i fisiologi; conciossiachè ella in tanta moltitudine di pieghe e piegoline compone vasi da riescire quanto mai possa immaginarsi ampia ed estesa nel più piccolo spazio. Senza che quelle pieghe e piegoline non erano bagnate solo esteriormente, o nella loro libera superficie dall’ acqua, ma altresì nella loro superficie applicata ed agglutinata allo scheletro branchiale osseo-cartilagineo, che sostenevale ; essendo che egli aveva esplorato, e in ogni parte riconosciuto un sistema di canali e di cellule idrofore in molte specie di pesci ossei, e soprattutto in un pesce gigantesco della famiglia delle Mole denominato dal- 1’ Illustre Ranzani Orlhragoriscus Alexandrini, il quale sistema trasportava 1’ acqua a contatto della superficie aderente di quella infinita moltitudine di ravvolgimenti e pieghe e piegoline della mucosa prefata. Il quale corso dell’acqua ne’ canali idrofori veniva poi grandemente giovato dall' azione de’ muscoli delle lamine branchiali od intrinseci delle branchie, dei quali muscoli descrissene tre, i due obliqui o adduttori di dette lamine, ed il trasverso o abducente, il quale ultimo paragonò ai trasversi degli anelli incompleti della trachea di molti mammiferi, e trovò che il suo rilasciamento aiutava l' ingresso dell' acqua nei canali idrofori, i quali per così dire l’acqua inspiravano, e che colla sua con¬ trazione comprimendo i canali medesimi faceva sì eh’ essa acqua passasse nelle cellule idrofore delle Iaminette, le quali poi accostandosi per le contrazioni dei muscoli obliqui accrescevano la pressione, onde il moto di espirazione veniva favorito (1). Passava poi a dire dell’ intima struttura delle branchie dei pesci (1) Nov. Comment. cit. Tom. IH. pag. 359. De piscioni apparato respirationis, tum spedalini Orthragorisci. Opuscolo letto addì 19 Nov. 1835. 1 34 Luigi Calóri colia scorta di molte osservazioni istituite anzitutto sopra un grande squalo grigio e verificaie appresso sopra altre specie del genere Squalo e del genere delle Raie intendeva a provare particolarmente che per quanto fosse diversa la generale costruzione dell’ apparecchio branchiale in cotali pesci massime a branchie fisse, luttavolta l’ intima tessitura delle medesime, il pie¬ garsi e ripiegarsi oltre dir ripetuto della loro membrana imi coso-vascolare, la distribuzione in essa del sistema sanguigno offerivano la massima analogia colle branchie apparentemente molto dissimili dei pesci ossei (1). Laonde non dubi¬ tava di conchiudere essere la superficie della membrana respiratoria delle bran¬ chie in contatto coll’ acqua, proporzionatamente alla mole diversa delle specie ed all’estensione dell’organo, mollo maggiore di quella de’ polmoni negli ani¬ mali che respirano direttamente I’ aria atmosferica. §65. Il sistema de’ canali idrofori sembra non soddisfaccia solo alla divi¬ sata bisogna, ma a tenere eziandio in serbo dell’acqua, la quale a poco a poco andrebbe ad irrorare le branchie e manterrebbe quindi la respirazione al¬ lora quando il pesce non fosse immerso in tanta copia di acqua da potervi nuotare liberamente, o per alcuna qualsiasi ragione viver dovesse qualche tempo nel pantano od anche all’ asciutto. Onde che codesto sistema di canali produr¬ rebbe quel^ vantaggio, che a cagion di esempio nelle anguille producono Y an¬ gustia dell’ esterna apertura branchiale, la morbidezza della pelle e delle mu¬ cose della bocca e della faringe, od a grado molto maggiore in que’ pesci dal Cuvier denominati Acanlopterigi a’ faringei labirintiformi quel particolare seno situato alla base del cranio in corrispondenza degli ossi faringei superiori, ove la mucosa ripiegandosi in varie guise compone una specie di labirinto, in cui 1 acqua penetrata che sia non trova agevole V escirne, se non quando il pesce si rechi all’asciutto; nel quale caso ella discende e scorre sulle comn- m branchie pettimformi, mantenendole umide ed atte al loro uffizio. A’ quali pese! è 1 Heterobrancus anguillaris Geoffr. certamente similissimo, e sopra un individuo di questa rara specie del Nilo Alessandrini portò le sue indagini per istudiare innanzi tutto quell appendice branchiale arboriforme ond’ è singolare 1 Eterobraoco, scoperta e con figure dimostrata da Geoffroy Saint-Hilaire nella grand Opera sull Egitto, poi per conoscerne il vero uso, e non trascurando r:°KaPPKaT^° Tp,rat0r!.0 vedere cora’ esso consentisse con quella abi¬ tudine che ha 1 Eterobranco di talvolta abbandonare spontaneamente il fiume l 't^asc,na,,do.s, Per '} P/n^no ne’ canali che mettono capo nel Nilo, del iro ,, n ?r:nT?Àh fac0llà di P°ter esso pili giorni fuori 3' 11 Maio Geoffroy e nella grande Opera suddetta, e in uno spe¬ gna dea riir? C0 ,nel 1826 av<™ (la>» «li quell’appendice arboriforme Ture „T alor» aCrM’ f.’PP™850 » ed il Mechel descrivendola essi q ,. - C0" Piamente concordavano. Il perchè a scernerne LTIL C""an° nno,.e ™erche, ed Alessandrini poneva non tardava a riconoscere che il Geoffroy nella ' Mechel nelle nuove e più recenti prima descrizione ed il osservazioni avevano ottimamente segnate Vita di Antonio Alessandrini 135 le traccie più sicure per la completa dimostrazione sì della tessitura come del- F uso della medesima appendice. E discorreva egli tutto I* apparecchio respi¬ ratorio, toccava delle branchie peltiniformi e descriveva le membraniformi o crespate di Heusioger, nelle quali rinveniva una struttura veramente branchiale, poi la branchia arboriforme a queste attaccala ed accolta entro un riposto seno molto più capace della branchia contenuta, e trovava questa branchia non in quat¬ tro come disse il Carus , ma in due arborizzazioni divisa, una anteriore minore, 1’ altra posteriore maggiore, nelle quali arborizzazioni occorrevagli una mem¬ brana mucoso-vascolare simile a quella delle altre branchie e continua con quella del seno, uno scheletro proprio sostenuto dal quarto arco branchiale, il muscolo erettore bipartito della quarta branchia possevole a far piegare le appendici arboriformi verso il cieco fondo del seno, i fascetti muscolari che le erigevano, la particolare complicazione della mucosa anzidetto, la bella di¬ stribuzione e disposizione de5 vasi sanguigni provenienti da’ branchiali; trovava in somma una struttura tale qual si appartiene ad organo respiratorio, e con¬ cludeva tutto cospirare a mettere fuori di dubbio non essere cosiffatta produzione se non che una semplice modificazione di forma delle comuni branchie petli- niformi ed avere la signifìcanza e l'uffizio di branchia accessoria, la quale fa¬ ceva all’ Eterobranco facoltà di durare a lungo la respirazione e la vita quan¬ tunque immerso in iscarsa quantità di acqua, e fuori anco di essa, imperocché partecipando ella la natura di organo respiratorio ed essendo riposta in ampio apposito seno capevole di molta copia di acqua, ed avendo questa facile ac¬ cesso a quello, allorché il pesce nuotando liberamente solleva 1* opercolo ed apre le branchie comuni onde patentissimi riescano gli spiragli pe' quali la cavità branchiale comunica col seno divisato, avviene che chiudendosi le bran¬ chie anzidette si chiudano altresì que' spiragli o vie ad esso seno conducenti ; il perchè entro questo seno medesimo molt’ acqua rimane raccolta ed inclusa, la quale poi può tornare in doppio modo giovevole, e cioè può da un canto valere a continuare 1’ azione respiratòria branchiale mediante la finissima mem¬ brana mucosa circonvestiente il seno e velante le appendici branchiali arbori- formi, e dall’ altro canto può valere ad umettare la parte molle e più deli¬ cata delle comuni branchie pettiuiformi discendendo lentamente ed a riprese sulle medesime (1). Questa maniera di considerare dell’ Alessandrini ha senza fallo alcuna importante novità in sè, e vuoisi anteporre a quella degli Autori che F avevano preceduto, i quali credettero che F acqua capita nel seno fosse solo a giovamento della funzione della branchia accessoria arboriforme. § 66. La scoperta più luminosa che Alessandrini fece nell’anatomia de’ pe¬ sci, è certamente quella di un pancreas parenchimatoso o glandolare ne’ pesci ossei, ed in alcuno de’ cartilaginei ove F assoluta mancanza di esso aveasi in conto di regola. E già tutti sanno che a moltissimi pesci negavasi da’ Noto- mici e Zoologi questo viscere, e che in quelli, a’ quali concede vasi, ne veni¬ vano descritte due diverse e ben distinte forme, F una delle quali che era quella di gianduia conglomerata non punto dissimile dal pancreas dei rettili, ' (t) Novi Comment. Tom. V. pag. 149. Apparatus branchiali» Heterobranchi an- guillaris Geoffroy.. Opuscolo letto addì 29 Nov. 1838. 136 Luigi Calori degli uccelli e dei mammiferi, attribuivasi alla maggior parte de’ pesci a sche¬ letro cartilaginoso, le raie p. e. , gli squali ; l’ altra forma non era più di organo compatto o parenchimatoso, ma come di diverticoli del tenue intestino presso al piloro, chiamati per ciò cieche appendici piloricheJ le quali cre¬ de vasi potessero tenere le veci del vero pancreas mancante per le molte ghian- dolette poste tra le membrane che le componevano, e versanti 1’ umor sepa¬ ralo entro le dette appendici, e colai forma presentavasi in un gran numero di pesci ossei ; se non che gli ittiologisti, tra’ quali mette conto nominare un G. Cuvier, asserivano che i generi Labrus, Cyprinos, Silurus ed Esox anda¬ vano anche seuza quelle appendici,, di qualità che essi e niente di vero pan¬ creas e nessun altro organo che lo sostituisse, offerivano. Ponevano che tra’ cartilaginei il genere Storione fosse privo di pancreas glandolare e solo avesse un corpo spugnoso persilo, per struttura e per uffizio similissimo alle appen¬ dici pilonche, onde lo storione avrebbe stabilito rispetto questa parte del- 1' aPParecfhi? digerente un graduato passaggio dalla naturale famiglia dei pesci cartilaginosi a quella degli ossei. Codeste dottrine vennero meno in gran parte quando V Alessandrini nel 1833 ebbe dimostrata l’esistenza di un vero pancreas parenchimatoso o glandolare ne’ pesci ossei, pur ne’ generi privi di appendici picriche come nell’ Esox Lucius, e l’ ebbe dimostrato altresì nel Comune Storione del Pò, Accipenser Storio Linn. comecché di tali appen¬ dici provveduto (1). a ^ questo è il novero delle Opere di Notomia comparata fisiologica scritte da Alessandrini. Ora dirò di quelle di Notomia comparata patologica, e di Pato¬ logia e Medicina Veterinaria. Dond’ egli traesse tanta moltitudine di oggetti anato¬ mico-patologici da poterne fare ampia materia di studio, e da scrivere anco più volumi , se gli fosse bastata la vita, è già stato superiormente detto in parte ( i 14 )• onde qui vuoisi a complemento aggiugnere, che altre due ricchissime sorgenti "TJ'T'i ""a "e.,c?8Ì pi.“ rari « difficili di Anatomia patologica umana, che i Medici degli Spedali inviavangli onde volesse esaminarli, ed egli a ciò prestava*. assa. d. buon grado, e riteneva parte de’ preparati pel suo museo, e parte cedeva a quello di Notomia patologica umana, il quale devegli la ric¬ chissima collezione dei teschi di dementi; l’altra sorgente era anche più co¬ rno tht f'T’’- Cd eSlÌ "ella Clinica Veterinaria, di cui fino dal 1820 ebbe la direzione, la qua e poi egli non lasciò se non presso al termine 7' s“°> all?ra qoando .1 Governo volendo ampliare l’insegnamento della Oa ed rt i ,0 da U° peS° Ch eÌ -el per vecchiezza reggeva, fece della en.™d “ hc - J M, !“”s° teinpo a,eva 'Mostrata, più cattedre, e lo circoscrisse 7L:,„zf;XiA„anadoe™,a -vs ei pose ancora a giovare la Medicina umana ; conciossiacchè Morgagni già avesse detto e dimostrato coll’esempio le infermità ed alterazioni Sricte éTbruTX deriraarnch°eDil no"'0 'f* ^ anche il possesso di molte cognizioni anatomico-patologiche comparate. parenchimatos^^AccipIns^reet in^sofe3 ren^rr I*", Pancrealis glandularis et Atupensere et in Lsoce reperti. Opuscolo letto addì 20 Marzo 1833 . Vita di Antonio Alessandrini 137 Senza che Alessandrini trovando nell’Anatomia Patologica un potentissimo au¬ siliario dell’Anatomia normale, il quale scorgevalo a più agevolmente scoprire la natura o tessitura intima delle parti , volgeva pur anche per questo riguardo sue indefesse cure e sollecitudini a coltivarla. E dienne un magnifico saggio di tanto efficace aiuto in un suo Opuscolo intitolato = Observationes Analomi- co-Pathologicae ad illustrandum textum intimimi proprium membranis serosis(l)~ ove 1’ endocardo affetto da lenta infiammazione gli mostrò tutte le qualità di membrana sierosa per lasciarsi esso facilmente dividere in due strati, cioè nel velamento superficiale interno sieroso e nel tessuto cellulo-vascolare sottosieroso, nel quale poi riesciva a mettere in vista non solo i vasi sanguigni, ma me¬ diante le injezioni a mercurio ancora una fittissima rete linfatica divenuta iper¬ trofica, la quale apparteneva tuttavia al detto velamento e seguivasi fin verso la superficie libera del medesimo o dell’ endocardo. Ed altrettanto gli fe’ ma¬ nifesto quella porzione di aracnoide che soppanna e riveste P interna faccia della dura meninge, sendo che nel cadavere di un demente trovò cotal porzione in alcun punto già separata da questa, ed altrove facilmente separabile per un* effusione sanguigna interposta, e più grossa ed ipertrofica in grazia di una straordinaria vegetazione del tessuto cellulo-vascolare sottosieroso aracnoideo; e per verità non iscorgendosi nella dura meninge corrispondente nulla di mor¬ boso non poteva nascere il menomo dubbio che il detto tessuto facesse parte di quella porzione di aracnoide. Al che alcuno per avventura non vorrà assen¬ tire ed obbietterà che Luschka ed altri moderni anatomici tedeschi non vogliono che 1’ aracnoidea si produca sulla superficie interna della dura meninge, e le faccia un velame inestricabilmente ad essa superfìcie congiunto, negando cosi che ci abbia un’ aracnoide meningea , e concedendo questa membrana solo al- 1’ asse cerebro-spinale, la quale perciò non formerebbe più un sacco perfettamente chiuso secondo che posero Bonn e Bichat , ma una semplice tela non avvolgente che 1’ asse cerebro-spinale medesimo. Opinione certo non nuova , ma antichis¬ sima, contro la quale sta l’essere la faccia interna della dura madre coperta da un epitelio poliedrico o laminoso simile a quello delle sierose in generale, e dell’ aracnoide in ispecie; 1’ aderire di questa alla dura madre in molti punti, massime in corrispondenza de’ vasi, de’ nervi e delle glandole di Pacchioni, ed in fine 1’ osservazione che io vi ho recata innanzi, deiP Alessandrini per la quale è provato non mancare 1’ aracnoide meningea. L’ ultimo rispetto end’ egli sì lunga opera diede all’Anatomia patologica, fu V utilità che ali’ Organogenesi ed alla Fisiologia avrebbero potuto recare più minute e profonde indagini sui mo¬ stri. E che tale utilità veramente ci fosse, provavaio già la teoria degli arre¬ sti di sviluppo a' quali riducevansi la maggior parte de’ casi mostruosi e delle semplici anomalie di organizzazione; alla quale teoria assentendo Alessandrini non lasciava di addurre novelli argomenti a sostegno di lei facendo diligenti ed esattissime anatomie di molti mostri, e ritraendole in disegno, e sponendole nel suo Museo, ed alcune divulgandone pur colle stampe, ma egli non racchin- devasi entro lai confini; chè valicandoli saliva più alto e nuove dottrine rica¬ vava e stabiliva ; delle quali maggiori e più importanti vengono reputate quelle (f) Novi Comment. Tom. IX pag. li. Opuscolo letto a dì 23 Novembre 1843. T. IV. 18 Luigi Calori intorno alla parte che hanno i nervi nella formazione, sviluppo ed incremento del sistema muscolare; dottrine ch’egli iniziò fin dal 1829 (1), e che poi svolse e successivamente ampliò e rettificò con due assai dotte scritture pub¬ blicale negli Alti della nostra Accademia (2). Avendo egli trovato in parecchi mostri che al mancar di porzione di midolla spinale e sua teca, non che dei nervi corrispondenti e del grande simpatico mancava altresì la muscolatura, cui questi nervi appartenevano, inferì che fosse necessaria la presenza del si¬ stema nervoso alla procreazione del muscolare; che la fibra di questo sistema si formasse non solo sotto l’influsso de’ nervi della vita animale, ma di quelli eziandio della vita organica ; che però questi ultimi potevano esserci nelle parti del corpo sebbene prive di nervi spinali e di muscoli volontari , p. e. nell’ ad¬ dome e lungo i vasi sanguigni degli arti ; e che in fine lo sviluppo e V incre¬ mento de’ muscoli non poteva aver effetto senza nervi. Le quali dottrine quan¬ tunque non siano da accogliersi per intero e massimamente rispetto alla genesi della fibra muscolare, ne convincono però non essere inutile, come da taluni si era voluto, lo studio de’ mostri; chè anzi da questo dobbiamo impromet¬ terci vantaggi non leggieri. $ 68* Ma discendendo alla distribuzione e particolar trattazione delle materie di Anatomia patologica comparata da lui discorse dico, che nella Sezione X del Catalogo eh’ ei pubblicò, degli oggetti piu importanti de’ suoi Musei (3) , ed in una dissertazione posteriore (4), ne si para davanti 1' ordine con che aveva ' egli intendimento di esporle. Di tutti gli oggetti anatomico-patologici , che ei già in gran numero possedeva , e che non cessò mai di accrescere , faceva due scompartimenti, il primo de' quali comprendeva le alterazioni e degenerazioni dei tessuti ed organi che furono il prodotto di malattie e di lesioni violente; il secondo i vizi di conformazione e le mostruosità congenite. E poiché in cia¬ scuno di questi scompartimenti contenevasi un’ oltragrande moltitudine di cose che non avrebbonsi potute discorrere che confusamente senza prima averle di¬ stinte, cosi risolvevali in molti altri scompartimenti o membri minori che de¬ nomino capitoli; e limitandoci qui al primo, ebbelo egli in undici diviso la aìn Inte?,umenl1 con?um e Ossuto cellulo-pinguedinoso. 2.° sistema osseo-carti- inHrC°Joo.y? perl,DenzV tessuti fibrosi> tostìri, legamenti e capsule sino viali, 3. Sistema muscolare in unione alle espansioni aponeurotiche ed alle u?a,ÌSfi? T?“* l1' PaS-27* Descrizione di un Vitello mostri (2) Novi Commei t. cit. Tom. III. pag. 177. itum systematis muscolari, elle Scienze dell’ Istituto d quidquam nervi conferant ad evo- n. letta addi 20 Nor. 1834, Memo- logna. Serie I. Tom. I. pag. 309. porzione di midolla spinale apparte- j: ui mutuila sinuate ajjpuiie- di Garlt, e Perocromus di Otto. Memoria letta addi 18 rie deir Acc Descrizione nenti al genere Perosomu Febbraio 1847. (3) Catologo degli oggi della P. Università di Bolt logna 1854 in 8.° di pag. P»8^MÌSoMdd%«MÌàiidD!i £?"" 0 P* ,0 Faenza del pericar- circostanze n! J * T"' Credu,° che 1010 sierosa mancasse in simili sane l’aulihi^ cde„,n„fine f°SS- dema,a ^l'‘ell, ectopia , il fatto stesso snggeri- S non avrehtlf 3’ V’0* d'e fossesi chiuso per cagioni , che si di Ieg- Se aner.0 „bN Sap?‘°- delf rm,narc , troppo presto il Torace già anterior- ELrr:;,: 'ssrjafig'* allora quando 11 cuore of,ramodo v°- di Storia Naturale Tom. pag. 387. Descrizione Vita di Antonio Alessandrini U9 § 83. Fra i vizi di conformazione della vescica orinaria si novera 1* estrofia , della quale scriveva un’ assai dotta epistola H Chiarissimo Prof. Alfonso Dome¬ nico Bignardi al suo Collega ed amico Antonio Alessandrini nell’ occasione che egli avevane veduto ed esaminato un caso novello in un bambino vivo, e cer¬ cando la ragione di codesto vizio proponeva la congettura , che e> fosse stato un effetto d’ impedito sviluppo del tralcio ombellicale con cui la vescica è in istrette attenenze ; imperocché posto che quello per cagioni oscure fosse rimasto breve , e come ne’ primordi di formazione quando la regione pubica è ancor aperta e la vescica stessa è naturalmente estrofica, questa altresì al suddetto impedimento obbedendo non avesse potuto progredire, ma fossesi mantenuta nelle primitive condizioni : la quale maniera di generarsi dell’ estrofia vescicale sottopeneva il Bignardi alP Alessandrini, e richiedevalo del suo savio parere (1), e questi non indugiava molto a rispondere dando una bella anatomia illustrata con figure di un altro caso di estrofia vescicale tratto dal cadavere di un fan¬ ciullo di quattro anni e tre mesi, e dimostrando che ragion migliore non po- tevasi recare innanzi per ispiegar la genesi di cotale vizio di conformazione (2). § 84. Di altri vizi di conformazione non tenne particolare proposito l’ Ales¬ sandrini, non già perchè egli non ne avesse esaminati un maggiore numero; chè moltissimi e svariatissimi ne sono contenuti nel suo Museo, bellamente preparati da lui stesso , ma forse perchè non reputò necessario paratamente descriverli , bastar polendo una semplice indicazione, ovvero perchè, e questo è per av¬ ventura il vero motivo , vennegli meno il tempo. E per la medesima cagione quantunque egli fatta avesse una ricchissima e preziosissima collezione di mostri e fossesi brigato di farne l' anatomia e di corredarla di pregevolissimi disegni accompagnati della relativa spiegazione, ciò non di meno a proporzion della grande moltitudine ch’elle erano, di assai poche diede particolare contezza pubblicandone speciali lavori. Di fatto oltre l’ illustrazione dei mostri superior¬ mente divisati singolari per la mancanza di porzioni di midolla spinale e dei nervi corrispondenti non che de’ corrispondenti muscoli (§ 67), abbiamo solo una descrizione di sei Celosomi e di due mostri composti o doppi. § 85. La descrizione de’ mostri Celosomi fu data a dimostrare la poca ve¬ racità dell* asserzione di Isidoro Geoffroy Saint-Hilaire il quale aveva posto fosse ne’ bruti rarissima l’ ectopia anteriore de’ visceri dell' apparecchio dige¬ rente, sia che ella consistesse in un semplice exomfalo, od in una vera even- trazione; e dovendo per conseguente essere ne’ bruti medesimi rarissimi i mo¬ stri celosomici, inculcava, qualora se ne presentassero degli esempi, di non trascurarli. Senza che Alessandrini avendo trovate alcune specie novelle di sif¬ fatti mostri , nè sapendo ove esattamente collocarli nella distribuzione che aveva porta de’ medesimi il nominato Autore , intese con questo suo lavoro a farne conoscere P insufficienza, ed il bisogno di arrecarle alcune distinzioni ed am¬ pliamenti. E rispetto al primo punto ei ne significava, che nel breve giro di (1) Opuscoli della Società Medico-chirurgica di Bologna Voi. VI. pag. 187. Osser¬ vazioni intorno un caso di Estrofia o rovesciamento di vescica per congenita morbosa conformazione. Lettera del Prof. A. D. Bignardi al Prof. A. Alessandrini. Bologna 1828. (2) Op. cit. Voi. cit. pag. 195. Descrizione anatomica di altro caso di rovescia¬ mento e quasi totale mancanza di vescica orinaria osservato in un fanciullo di 4 anni e 3 mesi in risposta alla precedente lettera. 150 Luigi Calori dodici anni soli aveva raccolti i sei Celosomi che imprendeva ad illustrare, tutti pertinenti alla specie bovina ed aggiugneva che questi Celosomi non erano fra’ bruti i primi che si fossero appresentati a' cultori della Teratologia; chè il Gurlt avevane già descritte tre specie, il Schistocormus Schistepigastrico-ster- nalis, il Schistosomus reflexus,ed il Schistosomus contortus, e Adolfo Gugliel¬ mo Òtto quattro, oltre parecchi casi di semplice exomfalo congenito. Quanto poi al secondo punto avendo il Geoffroy fatte della sua famiglia de’ Celosomi due sezioni in una delle quali venivano noverati quelli, che avevano fessa an¬ teriormente la sola cavità dell’ addome e nell’ altra quelli ne’ quali codesta fenditura estendevasi altresì al torace, e sotto questo maggior grado di even- trazione cadendo due generi, il Pleurosomus, ed il Celosomus, i sei mostri de’ quali ei dava contezza trovava convenir tutti nel genere Celosomo. Ne’ quali mostri appariva poi una certa gradazione che , sebbene fossero congeneri , siu- golarizzayali gli uni dagli altri e facevagli abilità di formarne delle specie o va¬ rietà distinte, ed in ciò erangli pure di giovamento le complicanze, che mai non mancano di accompagnare la mostruosità principale. E poiché in quattro di que’ Celosomi la fenditura anteriore delle pareti toracico-addominali non oltrepassava la seconda costola vera, e rimaneva integro il manubrio dello sterno, e negli altri due questo manubrio era altresì fesso, e quelle pareti tutte aperte, fece del genere Celosomo due scompartimenti o sezioni , una de’ Ces¬ somi incompleti comprendente i quattro primi , 1’ altra de’ completi formata dai due ultimi. Ciò fermato, discendeva l’ Alessandrini alle sei specie di Celosomi da lui esaminati, e chiamava la prima Celosomus contortus dalla contorsione operata dalla spina nel raddoppiarsi, essendosi ripiegata la regioue sacro-lom- bare in alto contro la cervicale; vocabolo adoperato nello stesso senso anche dal burli ne suo Schistosoma s contortus. Di così fatto contorcimento della colonna vertebrale facevano mostra tutti e sei i Celosomi, ma erane diverso il grado e la forma, ed erane senza fallo stata cagione 1’ andare i muscoli esten- R" ,1, sP,na senza l’antagonismo degli addominali ridotti quasi a niente. I nel Celosomo contorto nell’ effettuarsi codesto ripiegamento della spina aveva a parte posteriore girato sul proprio asse, o sì erasi contorta che rivolgeva i processi spinosi lateralmente, anzi quasi del tutto in alto, portando con sé m questo movimento anche gli arti posteriori, che per ddIa Spma’ conciossiachè i processi spinosi delle verte¬ rli aniJ-n*e dt S3Cr? rrisPonde™io a’ processi spinosi delle vertebre dor- sah anlerion e cervicali Denominò la terza specie Celosomus pygraaeus, perchè era ,1 più piccolo e .1 piu leggiero de’ sei Celosomi, con tutto che fosse derivato di ^v;dean^0bUSfla, a ^ PI0110510 8rande , e fosse stalo partorito a termine ad fnnoma|Za* Ch,ar0, d°VersÌ <*Uesta illnata P^iolezza attribuire Kukno Ì PP> CTnat° daì,UDa Si0g0,are d^lribuzione del sistema san- Pr* ,nDa™- ?aceva C00lraPP°s“> al precedente la quarta mene 11 8 PPfÒ CeI°S°mUS fi,gas’ Picchè tutte le parti sì esterne come S Zjl Z' P° \ q"eSt0 m°S? erano soPra"modo voluminose e robuste, avr?bh tfdH q"a?d° 86 “ fosse conosciot« esattamente la derivazione, “e uHKL***0 cred^ .che la,« "ostro avesse avuta almeno l’età di ese. lo che tutto era pur quivi m corrispondenza del variato corso, distribu- Vita di Antonio Alessandrini 151 2rone e capacità de’ vasi sanguigni. Le due specie che seguono, appartengono come si disse alla sezione de’ Celósomi completi, ed una era il Celosomus Pseudoscelus, ciò che suona quanto dire cogli arti posteriori imperfetti, e l’altra del Celosomus Asciticus così denominato pel grande volume del suo tronco prodotto da un versa¬ mento acquoso esistente soprattutto nella regione del cavo addominale. Nel Pseu- doscelo poi l’ imperfezione degli arti posteriori consisteva in una incompleta evo¬ luzione, ed atrofia de’ medesimi , che si estendeva altresì alla pelvi e consentiva con una grande esilità delle arterie iliache primitive e loro diramazioni; e nel- l’ Ascitico in fine ci aveva questa particolarità, che le pareti del tumore ernioso erano formate anche dalla pelle ollremodo distesa ed assottigliata, e non man¬ cavano che i muscoli addominali. Discendeva poscia I’ Alessandrini ad inve¬ stigare la cagione più probabile della Celosomia e considerava innanzi tratto che a tutti e sei i mostri divisati era comune un’abnorme disposizione del fu¬ nicolo ombellicale che risguardava la sua lunghezza e forma, nonché il nu¬ mero de’ vasi sanguigni, e la loro distribuzione nella placenta e nel feto. Di¬ scorreva^ appresso le osservazioni registrate negli annali della scienza, e tro¬ vava ne’ Celosomi sì umani che di animali le medesime abnormità del funicolo e per soprappiù delle aderenze dell’ amnio al corpo fetale , ed ai visceri , e dopo tutto ciò accoglieva 1’ opinione che e dalle dette aderenze, e vizi del funicolo, e specialmente dalla sua brevità, e dall’anomala distribuzione de’ vasi ombellicali movesse principalmente la mostruosità, ma sì veramente che si ammettessero pur altre circostanze cospiranti alla sua produzione, fra le quali due annoveravano, e primamente 1’ essere per avventura il feto stato costretto ad una costante posizione nell’ utero, dalla quale dotto egli delle esperienze del Geoffroy Saint-Hilaire sull’ uovo incubato intese alla artificiale procreazione di mostri deduceva 1’ anormale direzione de’ vasi ombellicali, le varietà di nu¬ mero, di distribuzione, di nesso, e di anastomosi dei medesimi, donde V ampia apertura del ventre; e secondamente considerando la grande frequenza de’ Ce¬ losomi nella specie bovina, e ponendo mente alle fatiche alle quali soglionsi questi animali sottoporre, maggiori di quelle che loro forze comportino, So¬ spettava che esse altresì avessero non piccola parte a produrre non solo la mostruosità, ma a renderla eziandio sì frequente. E poiché delle abnormità de’ vasi sanguigni non erasi detto quanto era necessario, dagli Autori, Alessan¬ drini facevasi a divisarle, e notava nel Celosomo pigmeo che la vena ombelli¬ cale destra giunta a’ visceri protrusi lambiva il peritoneo già lacero, e circon¬ dava da destra a sinistra tutto il tronco ripiegato del mostro aderendo sempre all’ orlo della grande apertura ond’ erano esciti i visceri ; passava poi vicino alla vena iliaca sinistra, e con questa contraeva una larga anastomosi, dopo di che recavasi al fegato ed univasi colla vena porta. La vena ombellicale si¬ nistra faceva un cammino molto più breve, perocché andava diritta alla vena iliaca sinistra, nella quale immettevasi. Le arterie ombellicali altro non pre¬ sentavano che una distanza fra loro molto maggiore di quella che sogliono mostrare nello stato normale. Notava nel Celosomo reflexo la. singolarissima anomalia del non esserci più quattro vasi ombellicali com’ è di norma, ma due soli, una vena, ed un’ arteria, e la vena non appena insinuatasi tra’ visceri pro¬ trasi parti vasi in due rami, uno de’ quali più breve attraversava il fegato ab¬ norme per forma, per mole e per posizione; l’altro ramo, descritto un lungo giro, andava a mettere capo nella vena iliaca esterna sinistra. Ed altresì la 152 Luigi Calori vena cava addominale dividevasi non lunge dal diaframma in due tronchi abbrac¬ ciami tutto attorno l’aorta ventrale molto al davanti de’ vasi emulgenti. L’uni¬ ca arteria ombelicale poi nasceva in corrispondenza della biforcazione dell’ ar¬ teria iliaca primitiva destra nelle iliache secondarie del medesimo lato. Occor¬ revano pure negli altri Celosomi degli aberrameli de’ vasi sanguigni, e nel Gi¬ gante a cagion di esempio ci aveva una vena ombelicale grossissima la quale aderiva non solo per tessuto cellulare, ma ancora per sostanza vascolosa al lembo costale sinistrò, ed altrettanto nel Pseudoscelo in cui una sola arteria ombellicale poi esisteva che sembrava sì per grossezza come per direzione la continuazione dell’ aorta, la quale biforcavasi nelle iliache primitive oltre dir sottilissime (1). § 86. 11 celebre Ulisse Aldrovandi nella sua Monstrorum Historia aveva nel Cap. XI intitolato de monstris bicorporibus pag. 607 II. descritto un mostro bicorporeo ad unico capo assai mostruoso. Essendo Alessandrini nel Settembre del 1831 venuto in possesso di un mostro umano somigliantissimo, pensò di denominarlo dal grande Naturalista che primo avevane fatta conoscere la spe¬ cie, e chiamollo in onore di lui Cefalo-adelfo anencefalieo Aldrovandi. Questo mostro era nato morto nell’ ottavo mese della gestazione, ed era ben nutrito, anzi pingue , massime nella faccia , e pesava quattro libbre e sei oncie bolo¬ gnesi. 1 due feti che lo componevano, appartenevano al sesso femineo, ed erano insieme uniti per il petto e per la testa, la quale nella region della fac¬ cia appariva semplice, e poco dissimile da quella di un feto ben conformato della medesima età. Questa testa sorgeva piuttosto dalle spalle che dal collo siccome quello che era quasi niente, e andava senza la regione superiore delle orbite, e di tutta la volta dei cranio, del quale erano visibili le fosse della base. Ci aveva una cavità toracica comune, formata però dall’ unione delle parti appartenenti a’ due toraci, la quale dal particolar modo ond’ erasi effet¬ tuata, dava a divedere che i due embrioni erano volti 1’ uno di fronte all’ al¬ tro allorquando la cassa del torace non è per anche chiusa nella linea media sternale, e che invece di riunirsi insieme i lembi del semicanale appartenente allo stesso embrione, si erano congiunti cogli oppositi lembi del semicanale dell’ altro embrione, donde quel torace comune, il quale aveva poi uno sterno e ventiquattro costole anteriori, ed uno sterno e ventiquattro costole posteriori con una colonna ^vertebrale a destra , e 1’ altra a sinistra. Le quali due colon¬ ne accostavansi l’una all’altra nella region cervicale, e sostenevano un teschio solo che rivestito delle parli molli aveva aspetto di essere semplice, ma spo¬ gliatone discopriva la nascosta sua duplicità; perocché si avvisavano la mag¬ gior parte delle ossa del cranio e della faccia doppie, ma molte di queste e di quelle erano disguisate e piccolissime, e del lutto rudi mentarie. Siccome sì manco e deformato era il teschio, del pari manco e deformato ora il cervello, che nduceyasi ad un corpo sferico occupante la sella equina, paragonabile alla gianduia pituitaria, la quale sì era voluminosa che faceva sospettare fosse com¬ posta di due di colali glandole insieme compenetrate e confuse in una; a due corpi conici che ritraevano una doppia midolla allungala, e infine ad una JVZZrr- v'."- Pa8- 26. (tabula sei «en.re difflsso, se,, non- (.Ce!0!™''"s 1,u- (taoflroy Saiut-Hilaire). Causae probabiles nujusmod» orgamcae perturbationis. Opuscolo letto addi 29 Decémbre 1842. Vita di Antonio Alessandrini 153 pu te liquidissima rinchiusa entro una piccola vescica, che teneva luogo della volta ossea de cranio, e che nella parte più prominente mostrava una profonda echimosi ed alquanti fon che erano bocche di vasi sanguigni lacerati , donde potevasi eonghieltiirare che ivi fosse stala una comunicazione tra feto ed invo¬ lucri causa frequentissima di mostruosità per gli impedimenti che arreca al regolare sviluppo ed incremento delle parti. Tutti i nervi cerebrali erano qua- dirapli ma alcun, molto imperfetti ed esili, e fra questi due degli ottici, lo che consentiva col non esserci che due occhi ben conformati. § 87. L’apparecchio digerente era composto quando di parti semplici tali cioè quali sarebbonsi trovate in un feto solo ben conformato, quando di 'dop¬ pie. E di fatto ci erano due cavità orali separate da un setto medio longitu¬ dinale, e due lingue, ma non vi era che una faringe nella quale però aprivansi due laringi, un esofago, uno stomaco ed un intestino tenue semplici, salvo che questo nella parte inferiore dell’ileo facevasi doppio, e doppio del pari mo- stravasi intestino crasso, il fegato, ed uno era più grande, l’altro più pic¬ colo ; doppi il pancreas , e la milza. S 88. L’apparecchio uro-genitale era qual conviensi a due feti normali, e cosi pure i sistema respiratorio; se non che i vasi sanguigni polmonali pre¬ sentavano alcune anomalie di origine causate probabilmente dal non avere il mostro un cuore doppio, ma semplice. Onde che da esso non sorgeva che un’ arteria polmonale la quale bipartita andava a distribuirsi a due polmoni soli¬ gli altri due non ricevevano sangue direttamente dal cuore ma dalle due aorte procedenti dal tronco aortico comune ai due feti riuniti sorgente dal sinistro ventricolo, ciascuna delle quali aorte porgeva un grosso ramo a quelli, che avuto riguardo all origine avrebbesi potuto considerare come analogo delle ar¬ terie bronchiali dilatatesi per dover fare e da arterie nutrizie e da arterie pol- monali. Le vene poi di questi stessi polmoni non recavansi al seno venoso si¬ nistro del cuore, ma riunite in un tronco comune mettevano capo in un sacco venoso ovale separato, che non aveva veruna comunicazione col cuore nè colle arterie, ed aveva una struttura muscolare a mo’ di orecchietta; perchè era ad nnfm •“ T*0 d‘ lJD Vero seao deI,e vene PoIm°nali pertinenti a que' due polmoni, ed era quel tanto che del secondo cuore che avrebbe dovuto formarsi, appariva; dal quale seno partiva un grosso canale venoso che andava a dira¬ marsi per entro la sostanza del più piccolo dei due fegati. Lascio molle altre anomalie de vasi sanguigni siccome di assai minore importanza della divisata, la quale poi era certamente un nuovo fatto quand’ ella fu resa di pubblico diritto; e ritraeva le condizioni di origine delle arterie polmonali de’ batrachi ed aveva una lontana analogia colle vene polmonali secondarie degli ofidi, non che colle vene de polmoni rudimentari del Proteus anguinus Laur. Parrai in- - a,TtenZa * seno venoso sePa™<<> non possa argomentarsi che le cavità del cuore siano da principio egualmente separate e indipendenti, non essendo elleno che una successione di formazioni di parti continue. Quel seno separato ricorderebbe i cuori pulsanti sanguigni e linfatici , che occorrono m certe parti del corpo di molti animali (1). (0 Novi Comment. Tom. II. pag. 177. Descriptio anatomica bumani faetns bicor- (CePhalo'ade,Pbo-a"encephalicus Aldro.aadi). 154 Luigi Calori § 89. Descrisse Alessandrini un altro mostro umano doppio, eh' ei chiamò con Gurlt bicefalo e bispinale, singolare pur esso per curiose anomalie del si¬ stema sanguigno. Nasceva codesto mostro sotto una Parecchia dell’alta mon¬ tagna Bolognese, detta Capanne, Comune di Granagliene addì 2 Marzo 1852, e nasceva da donna giovane primipara quasi a termine di una gravidanza non travagliata da incomodi, ed il parto effettuavasi per i piedi con pochissimo aiolo della levatrice sola presente. I genitori suoi erano ben conformati e robustis¬ simi, ma il padre era nato ad un parto gemello. Per poco piò di un’ ora diede il mostro alcun segno di vita movendo le labbra, e debolmente respirando, ma la vita non durò egualmente ne* due feti riuniti che Io componevano, eoncios- siachè in una delle leste cessarono que’ movimenti dopo pochi minuti , laddove nell’altra per il detto spazio di tempo continuaronsi, ma nessuna delle due fece sentire alcun vagito. Veduto il mostro di prospetto mostrava subito alquanto più piccola la testa destra della sinistra, ed amendue erano sostenute dal pro¬ prio collo, ciascun de’ quali era unito ad un tronco semplice in apparenza : quattro soli arti due superiori e due inferiori, simmetrici e regolari, erano al tronco medesimo attaccati. Questo singolare innesto di due teste con collo distinto, sostenute da un semplice torace doveva aver prodotte modificazioni importanti non solo nello scheletro, ma anche nelle parti molli. L’ anatomia in fatti dimostrava ì maggiori segni di duplicità massime nella muscolatura della regione posteriore del tronco, e discopriva due colonne vertebrali distintissime, e sol riunite di fianco nella parte posteriore del sacro e del coccige, e nella region dorsale e lombare per interposti rudimenti di costole; e metteva in vi¬ sta un luogo osso cilindrico che dal manubrio dello sterno si recava allo in¬ dietro arcuando e terminava in fra le scapole dietro i rudimenti costali anzi- detli nella parte superiore della regione dorsale, al quale osso ivi aggiugnevasi un’ ossea appendice della stessa forma. Codesl’ osso sembrava un indizio di altre due estremità superiori. 11 tubo digerente poi era doppio fino ai duodeni, e nel restante semplice. Non vi era poi che un fegato, ma con due cistifel¬ lee e due coledochi che mettevano capo nel rispondente duodeno: due pancreas, e due milze. Nel petto finalmente occorrevano le più importanti anomalie. Ci avevano quattro polmoni e la massa polmonale sinistra era più voluminosa della destra: due cuori uno maggiore, l’altro minore, e il primo era formato di due ven¬ tricoli ed altrettante orecchiette, comunicanti insieme per un larghissimo forame ovale sprovvisto di valvula, laddove il secondo mancava delle orecchiette, o non aveva che un rudimento della sinistra, e mostrava nel setto interventricolare un orifizio pel quale si passava dall’un ventricolo all’ altro. Da ciascun cuore sorgeva un’ aorta, ma quella del cuore maggiore era più grossa e poteva con¬ siderarsi come I’ aorta principe, sendo che a differenza dell* altra mandava i suoi rami ad un maggior numero di parti ed estendevasi per quasi tutto il corpo. Quest’ aorta descriveva come di solito il suo arco, dalla cui convessità nasce¬ vano le carotidi e la succlavia sinistra di un feto; poi discendeva pel torace, ed accoglieva una grossa arteria polmonale, che innanzi questo congiungimento metteva i rami ai rispettivi polmoni : appresso 1’ aorta medesima fatto il cam¬ mino di 30 mill. uni vasi mediante un grosso canale trasverso coll’ aorta del cuore piccolo, dopo di che continuava a discendere verso la pelvi dividendosi nelle iliache le quali diramavansi a tutta la regione inferiore del mostro. L’ aorta nata dal cuore piccolo, dava una grossa carotide che spargeva i suoi rami Vita di Antonio Alessandrini 155 ad ambidue i Iati della testa del feto corrispondente, e le succlavie, e discen¬ deva essa altresì pel torace, ma al di sotto dell’ anastomosi eh’ ella contraeva coll altra mediante il ramo trasverso suddetto, terminava convertendosi in un tronco che diffondeva i suoi rami per 1’ apparecchio digerente. Il piccolo cuore in fané avendo un destro ventricolo dava pure un’ arteria polmonale che dira¬ mava i suoi rami ai due polmoni che gli corrispondevano. §90. Quanto alle vene, il sangue refluo dalle diverse parli del corpo rac- coglievasi in due cave che mettevano foce nell’ orecchietta destra del cuore maggiore. Nella cava discendente concorrevano tutte le vene superiori di am- t! n6 j *el'J staDte che d piccolo cuore mancava dell’ orecchietta destra. Dalla destra orecchietta passava il sangue parte nella sinistra per 1’ ampio toro ovale, parte nel destro ventricolo che spingevalo in una grossa arteria polmonale che Io mandava ai polmoni rispettivi e per un ragguardevolissimo dutto arterioso nell’ aorta del cuore maggiore. Intorno a’ quali polmoni è a notare che i destro era normale, e il sinistro piccolissimo, e che solo dal maggiore partiva una grossa vena, che aprivasi nell’ orecchietta vsinis tra , la quale se era defraudata del sangue refluo dall’altro polmone, venivane abbondevolmente compensata da quello della massa polmonale dell’ altro feto, sendo che le quattro vene che da questa uscivano, versavano il loro sangue entro essa lei; se non che un largo tronco di tali vene aberrando dalie altre recavasi al piccolo cuore , ed innestavasi nel ven¬ tricolo destro, il quale avendo comunicazione come fu detto e col ventricolo aortico e coll arteria polmonale dispensava il ricevuto sangue parte a quest’ arteria che tradu ceralo ai polmoni a’ quali apparteneva , e parte mediante il ventricolo dianzi nominalo nell aorta minore che Io conduceva a quella del cuore roag- giore mediante l anastomosi del canale trasverso suddiscorso, il quale per ciò acquistava la significanza di un dutto arterioso di cui compieva senza fallo Puf- tizio. Mancando il piccolo cuore della destra orecchietta , il sistemi venoso in relazione coll aorta che da lui sorgevate terminava diramandosi ai visceri di¬ gerenti costituiva un insigne tronco che non aveva sembianza alcuna di cava, ma di un ramo della vena porta comune. Per la quale esposizione è chiaro avf'i? UDa co.n.t,nua commistione dei due sangui in grazia della comuni¬ cazione delle orecchiette , de ventricoli del piccolo cuore e delle anastomosi Ira i tronchi arteriosi polmonali e P aorta principale, comunicazioni che venuto meno il circolo sanguigno tra feto ed inviluppi, non sarebbonsi per avventura tutte chiuse (t). r § 91. A questi tutti lavori di Anatomia patologica ne farò succedere tre altri che assai da presso riguardano la pratica veterinaria, e le diligenze richieste ai possessori di bestiami specialmente bovini per difenderli da’ morbi contagiosi, ì da,IellCa8!?DÌ ?' maIattie del cuore rese 0,lre dir frequentissime. Pra cando su cavallo ,1 safcsso dalla iugulare avvien talvolta che rimanga ferita la carotide primitiva. Questa lesione veniva giudicata assolutamente irre¬ parabile, quantunque il Valsalva avesse dimostrato con ripetuti esperimenti po¬ tersi nel cane allacciare amendue le carotidi primitive senza che la vita di lui Anni!* “e“orìe della Società Italiana ecc. Serie II. Tom. I. Modena 1862. pag. 37 aoatom,che riguardanti un mostro bieefalo-bispinale ( Dicephalus-Dfspina- 156 Luigi Calori pericolasse ; aozi non sofleriva che un leggierissimo e passaggiero disturbo della salute. Fu solo dopo che i celebri Abernety ed Astley Cooper sullo incomin¬ ciare del corrente secolo guidati e dal consiglio dell’immortale Scarpa che reputò possibile la cura dell’ aneurisma della carotide mediante l’ allacciatu¬ ra di lei tra lo sterno ed il sacco aneurismatico, e dalle osservazioni riferite da Haller, da Petit, da Baillie, e da Pelletan di carotidi primitive obliteratesi nell’uomo per aneurisma, superstite la vita, ebbero dimostrato nella specie umana non avere codesta operazione tutti que’ pericoli che si erano immaginati, e riuscire a prospero fine, che la si tentò eziandio ne’ bruti. Ma i pochi espe¬ rimenti istituiti nelle primarie scuole della Francia non avendo sortito un felice effetto avevano gettati nella massima perplessità i Veterinari che tale operazio? ne avesse alcun prò; senza che non sapevano a quale processo appigliarsi per eseguirla con quel più di sicurtà che simili operazioni possono impromettere. Certa cosa è che questo argomento era della più grave importanza e richiedeva un esame più attento di quello che avesse per addietro avuto; il perchè Alessan¬ drini ponevasi a codest’ opera, ed ajutato dal suo abilissimo dissettore ed esper¬ tissimo Veterinario Dott. Eugenio Notari istituiva una lunga serie di esperimenti sul cavallo e sulla pecora. Scopriva egli la carotide primitiva e pungevala e la¬ sciavano spicciare alquante once di sangue, poi 1’ allacciava tra la ferita e il cuore. Ma nel cavallo questa semplice allacciatura non era sufficiente; chè non indugiava una grave emorragia che era per rigurgito e sì abbondante che fa¬ cevaio perire. Non così nella pecora, in cui bastavano anco semplicemente alcuni punti di sutura e la compressione ad impedire qualunque sinistro acci¬ dente, ed a far che 1’ animale giugnesse a sicura e sollecita guarigione. Onde che Alessandrini ripetendo nel cavallo 1’ esperimento allacciava e al davanti e al di dietro la ferita carotide, e per tale espediente non aveva più luogo ve¬ runa emorragia. Questa operazione fatta da un lato rifaceva, passato certo spazio di tempo e precisamente dopo tre o quattro settimane , dall’ altro Iato, e poiché 1’ animale cadeva in uno stato tale da sembrarne minacciata la vita, cogli opportuni mezzi soccorrevalo, e soprattutto col salasso, e col tenergli con ingegni appositi sollevata la testa; con che esso riavevasi , e di di in dì migliorando reintegravasi nella pristina salute. Dotto de’ quali esperimenti Ales¬ sandrini stabiliva essere la legatura delle carotidi primitive ne’ bruti e princi¬ palmente nel cavallo non men di facile esecuzione che di felice successo, tut- tavolta che 1’ operatore avesse V avvertenza di praticare massime ne’ gran¬ di quadrupedi e nel caso o di aneurisma o di ferita una legatura doppia, cioè a dire al disopra e al disotto della lesione di quelle arterie : perocché trascu¬ rando \* allacciatura superiore avvengane 1’ emorragia per rigurgito, la quale per esperienze da lui fatte sopra molti animali riesciva quasi tanto co¬ piosa quanto quella che sarebbesi avuta dal tratto di carotide situata al di die¬ tro della ferita, laddove non fosse stato legato. E 1’ agevolezza di cotale emor¬ ragia deduceva egli dalle molte insigni anastomosi tra i rami superiori ed in¬ feriori di ciascun tronco carotico, tra la destra e la sinistra carotide , tra queste e le arterie vertebrali sì nel collo come entro il cranio. Dava fine a questo suo lavoro col descrivere le vie che il sangue , obliterate amendue le carotidi, teneva per passare nei rami da queste diramati nel collo e nella te¬ sta, e dimostrava non essere d’ uopo che si formassero nuovi vasi per ripri¬ stinare il circolo in queste parli, siccome lo Schoenberg aveva voluto e con Vita di Antonio Alessandrini 157 assai belle ed utili preparazioni alla mano ritratte anche in vari disegni faceva vedere nessun vaso nuovo essersi formato, ed essere stata sufficiente la dila¬ tazione di quelli che preesistevano, ad operare così fatto ristabilimento (1). § 92. Parlando delle alterazioni organiche del cuore nella specie bovina, ( $ 77), notai che fra le varie cause che le producevano, ce ne erano di azione meccani¬ ca, e cioè spilli, aghi ed altri simili corpi estranei introdotti per le vie di¬ gerenti e passati a traverso del secondo stomaco , del diaframma e del peri¬ cardio, e conficcatisi nella di lui sostanza, e dentro tuttavia penetrati alle sue cavità. Infiammazioni violentissime venivano risvegliate da codesti corpi, onde in breve periva 1’ animale, e quando la morte non fosse stata sì rapida in grazia di una cura sollecita ed energica, continuava esso una vita assai me¬ schina e le mille volte moriva, e finiva di marasmo. Non già che fosse nuovo che cotale cagione ingenerasse ne’ buoi lesioni organiche di cuore, chè Barer, Morand, Girard e lo stesso Alessandrini ne avevano registrati degli esempi. Ma reputavasi cosa rarissima, e mostravasi di questo avviso 1’ Andrai riferen¬ do una osservazione del Dupuy, per la quale era dimostrato che in un toro un pezzo di fi! di ferro, attraversate le pareti del reticolo, il diaframma, il pericardio e la sostanza muscolare del cuore sporgeva dentro la cavità del ventricolo polmonale. La quale opinione delP Andrai non ben capacitando al- P Alessandrini, e volendo pur conoscere la frequenza di simili casi a prode soprattutto de’ possessori di bestiami e della industria agricola incombenzava i veterinari tutti della Provincia ad aprire i buoi che perivano di malattie di cuore e di inviargliene subito i pezzi patologici. Quattro soli di quegli eser¬ centi gli corrisposero, e nel breve giro di tre anni raccoglieva egli per loro mezzo trentadue casi di lesioni di cuore ne’ bovini causate da que’ corpi estra¬ nei: numero veramente grande e ragguardevolissimo, che rendeva molto più frequenti e comuni le dette lesioni in questi animali che nelP uomo ove son’ el¬ leno frequentissime per la varietà e moltitudine delle cagioni possevoli ad in¬ generarle in esso. Ei non è a dire in quanta apprensione ne cadesse I’ Ales¬ sandrini, e verifieato che la strada battuta dai corpi estranei divisati per arri¬ vare al cuore era sempre quella del tubo digerente in cui venivano introdotti mescolati col cibo, facevasi sollecito di darne contezza a questa nostra Società agraria, e rappresentavale gli irreparabili e certamente mortali effetti prodotti da queste cause meccaniche; additavate come unico espediente a salvare da tan¬ to eccidio il proprio bestiame 1’ opporsi per quanto fosse possibile alla intro¬ duzione di que’ corpi estranei, rendendone men facile il commescolamento loro col cibo: e poiché essi corpi appartenevano alP acconciatura e a’ lavori femi- nili non che a sartori, invitava i proprietari di terreni e bestiami a dipingere tanto gravi danni a' loro soci o coloni, e a farli capaci d’ inculcare a lor don¬ ne, a lor figlie, e serventi, anzi costringerle a adottare foggia di vestire, ab¬ bigliamenti e acconciature di testa più semplici , e men si potesse, bisognevoli di spilli, e di forcelle; di ammonirle seriamente che ben guardassero non ca¬ desse nello sfogliare gli alberi, nel mungere, nell’ aiutare a riporre il foraggio. (l)Novi Comment. Tom. III. pag. 19. Ligatura utriusque carotidi» primitivae in equo prospere adhibila. Opuscolo letto a dì <3 Feb. 1834. Luigi Calori ed alla trebbiatura alcuno di que’ loro utensili tra le foglie, tra il fieno, ir» la paglia; chè inghiottito da’ buoi avrebbegli arrecata certa e secura morte, e ne sarebbero elle sole stata la cagione; e rivolgendosi infine a’ boari mostra¬ va loro i pericoli che potevano aver le vegghie solite a tenersi durante il verno nelle stalle, ove oltre le donne convenivano pur talvolta de’ mestieri come quelli del sarto e del calzolajo, che avevano essi altresì d’ uopo de’ medesimi corpi pungenti nel loro esercizio, i quali cadendo si sarebbero facilmente me¬ scolati col foraggio; il perchè proponeva si togliesser di mezzo cotali vegghie, e posto che la deficienza, o 1’ estrema scarsezza di combustibile costringesse i villici ad ivi radunarsi nelle lunghe ore delle notti invernali a riparo dal fred¬ do., e ad esecuzione de’ loro lavori, vegliassero i boari attentamente, e perlu¬ strassero soprattutto i posti tenuti da que’ mestieri, e dalle donne, e con ogni maggior diligenza li pulissero onde venisse rimosso qualunque pericolo che il bestiame avesse insiera col cibo potuto deglutire alcuno di siffatti corpi estra¬ nei. Co’ quali avvertimenti compieva Alessandrini una delle parti principali del perfetto e conscenzioso veterinario, di procacciar cioè a tutto uomo di allontana¬ re le cagioni di malattie, le quali prodotte che si fossero, nè per ingegno o dot¬ trina di medico nè per virtù di medicine avrebbonsi saputo debellare fi). § 93. Non altrimenti comportavasi Alessandrini nell’ ultimo lavoro che verte intorno al contagio carbonchioso. Scorto egli da indagini continuate per sedici anni, cioè dal 1832 epoca in cui quel seminio contagioso cominciò a diffondersi nei nostri bestiami particolarmente bovini, fino al 1848, aveva conosciuto non essersi il seminio medesimo ancora spento, ma solo aver fatte semplici tregue, ed avere ad otta ad otta mostrato i suoi perniciosi effetti quando in uno quando in altro comuue della nostra Provincia, ingannando ancora gli agricoltori, gli esercenti 1’ arte veterinaria, i medici ed i magistrati col vestir forme credute non sue, e specialmente quelle di afta e d* enfisema, quantunque facessesi tal¬ volta pur vedere co’ suoi terribili aspetti di glosso-antrace , e febbre ungarica, o di vero carbone essenziale con tumori circoscritti agli inguini ed alle ascel¬ le. Di che faceva avvertita la medesima Società agraria siccome composta dei maggiori proprietari dell’ agro bolognese, e venivale divisando i comuni che la ria contagine di anno in anno aveva percorsi menando non poca strage di bovini, e non perdonandola ad altri domestici animali, come ai porci, ed alle pe¬ core, benché a questi non fosse come a quelli tanto infesta. Fermavasi sulle torme di lei che reputavansi dubbie, ed anco non da lei, ed ingegnavasi di provare che da lei erano veramente e ne precorrevano non di rado le forme pui genuine, e non dissimilmente da queste appiccavansi dagli infetti ai sani. Mostrava che le forme che non volevansi attribuirle , sebbene avessero con quelle che denvavansi dall’ azione di cause comuni , alcuna somiglianza, non dovevano però insieme confondersi, avvegnaché non fossero queste sì gravi di micidi anzi spesso sanabili, nè appiccaticcie. Insisteva sulla specialità della mor- fiosa loro cagione, e sul propagarsi del morbo o sì vero di quelle forme lar- Vita di Antonio Alessandrini 159 vale pel contatto o diretto o indiretto delle cose e degli animali infetti; non dava gran peso alla opportunità costituzionale, benché non niegasse aiutar essa lo svolgimento e la propagazione del male; cercava a luti5 uomo di ben chio¬ dare questo vero nel capo de9 suoi ascoltatori, il morbo e quelle sue multifor¬ mi apparenze non ingenerarsi spontanee, ma per seminio ognor vivo di rea contagione non per certo nostrale, bensì di fuori venutoci; diceva che a spe¬ gnerlo, e tornarlo a confinare a9 suoi luoghi naturali era mestieri la pronta se¬ parazione degli ammorbati da9 sani , le esatte purificazioni delle stalle, e loro masserizie; che ben guardassero i coloni di adoperare le maggiori diligenze e eautele per essi ancora non infettarsene, od essere causa d9 infezione a9 loro be¬ stiami ; che sepellendo i cadaveri delle bestie uccise da così fatta pestilenza aggwgnessero o calce o lissivio forte di potassa ec. sì perchè queste sostanze erano possevoli contro il contagio, ed a consumarli più prontamente , e sì per¬ chè Pavidità del guadagno non avrebbe spinto alcuno a dissotterrarli per far mercato delle lor carni con grave pericolo de9 venditori e de* compratori. Ter¬ minava coll' invitare i Signori componenti l9 illustre consesso alla cui presenza par¬ lava, che o direttamente e colla loro illuminata vigilanza, o indirettamente median¬ te i loro coloni, agenti e dipendenti di campagna, non che coll9 inculcare le. mas¬ sime suddette alle Deputazioni e Corrispondenze agrarie affigliate dei diversi paesi della Provincia volessero così adoperare, che esatta e pronta esecuzione avessero le prescrizioni sanitarie tante volle emanate in proposito dal Magistra¬ to Provinciale di sanità e dal Governo, e così prestassero il più efficace aiuto a liberare il paese da un grave pericolo che di continuo minacciavaio, tentan¬ do con ogni mezzo possibile di distruggere interamente e far scomparire un morboso seminio certamente di estera provenienza , e dal quale per molti se¬ coli andò immune e salva questa dilettissima nostra patria l9 Italia (1). § 94. Fin qui i principali scritti dello Alessandrini; ma hannovene alcuni altri che diremo minori e che sono o estratti di opere, o letterari come la vita del suo Predecessore Prof. Gaetano Gandolfi, ovvero cenni intorno a qualche argomento di Paleontologia, di Craniologia e Medicina umana. Toccherò di questi ultimi soltanto alcuoa cosa; bastandone de9 primi I9 averli indicati. 11 Sig. Onorio da Barberino aveva nel Febbraio del 1843 a lui fatto il preziosissimo dono di una ragguardevole porzione di mascella inferiore fossile appartenente al Rinoceronte , la quale fu trovata a breve distanza dal Castello di Barbe¬ rino del Mugello pochi piedi al di sotto del terreno coltivato ed in un banco di tufo gialliccio, del quale non gli fu bene determinata la qualità. Nel Mar¬ zo successivo davane contezza a questa nostra Accademia. Si sa, diceva egli , che questi grandi Pachidermi , l9 Elefante cioè , il Mastodonte , il Ri¬ noceronte, il Tapir abitavano e riproducevansi sul suolo istesso che ora è da uoi calcato; si sa del pari che più specie in ciascuno dei nominati generi hanno qui esistito e che tutte sono diverse da quelle che attualmente vivono in lontane regioni, trattandosi dei generi non interamente perduti, come quello p. e. del Mastodonte. Queste ultime verità hanno ottenuta piena conferma pei lavori innarrivabili dell9 immortale Cuvier, il quale rispetto al Rinoceronte di¬ ti) Memorie della Società Agraria Voi. V. Bologna 1851. pag. 53. Intorno all'an¬ trace o carbane del bestiame e massime della specie bovina. 160 Luigi Calori stinse pare doe specie fossili appartenenti anehe all9 Italia, vale a dire, il Rhi- noceros Tichorinus coi si riferisce anche la mascella trovata dal nostro celebre Giuseppe Monti a Montebiancano, illustrata poscia ed esattamente determinata dal Ranzani, ed il Leptorhinus; ma rispetto alle altre due l’ incisivus ed il mi- nutus , il primo, cioè 1’ incisivo, fu da lui stabilito sopra i caratteri osservati in due grandi incisivi che si rinvennero presso Magonza, e conservavansi nella collezione del celebre Soemmering; il secondo, cioè il minutus , sopra diversi denti, frammenti di mascella inferiore e di altre ossa scoperte soltanto nel 1821 presso Moisac dipartimento di Tarn-et-Garonne. Non tutte però queste specie di Rinoceronti fossili erano da’ più moderni Zoologi credute fondate sopra ca¬ ratteri ed oggetti abbastanza numerosi ed evidenti, massime dopo i dubbi sparsi intorno a questo soggetto dal De Christol nella sua interessante Memoria inti¬ tolata — Ricerche sui caratteri delle grandi specie di Rinoceronti fossili — Annales des Sciences Naturelies. Serie 11. Tom. 111. pag. 44. La quale diffi¬ cilissima questione Alessandrini contentavasi di solo indicare, nè alcuna mente egli ebbe di discutere siccome quasi affatto aliena dal proposito che occupa- valo, bastandogli che delle quattro specie divisale non ci fossero dubbi intorno alla stabilità sulle piccole dimensioni delle ossa, sulla picciolezza e variata forma dei denti tanto superiori che inferiori; imperocché al Rhinoceros minutus ap¬ parteneva la mascella di cui favellava. Laonde codesta specie doveva aggiu- gnersi alle altre due d’Italia, gli avanzi delle quali erano da lungo tempo già noti ai Naturalisti. Nè potevasi menomamente dubitare, che tale non fosse, sendo che un’ occhiata anche di volo data ai molari superiori del Thichorinus o del Leptorhinus, quattro de’ quali denti conservavansi nel Museo di Notomia Comparata, ed essi tuttavia provenienti dalla Toscana, bastava a capacitare i più difficili trattarsi di oggetti appartenenti ad animali bensì congeneri , ma di spe¬ cie diversa , e ciò tanto maggiormente io quanto che non era la sola mole che li dissomigliasse, ma e |a forma delle loro linee salienti e delle fossette della corona (1). § 95. Alessandrini aveva fatto pensiero di raccogliere nel suo Museo quanti crani umani sì antichi come moderni fosse stato possibile, ma P esecuzione di questo suo intendimento procedeva soprammodo lentissima per le grandi difficoltà ci erano a venirne in possesso. Ciò non di manco avevane avuto un certo nu- mero, fra’ quah due teschi degli antichissimi Etruschi dissotterrati a Poggio uahella distante tre miglia circa dalla città di Chiusi. Facevane egli soggetto di studi e di utili confronti, e poiché nelle Decadi della collezione de’ crani delle diverse genti dell’ Illustre Blumenbach, e nell’ Opera allor recentissima di Leardo Sandifort non ancora interamente pubblicata, e che aveva per titolo labulae cramorum diversarum Nationum. Lugduni Balavorum 1838 — non era atta menzione di teschi della celebre Nazione Etnisca, e non se ne aveva che uno descritto dal Doli. Antonio Garbiglieli, credè opportuno di far cono¬ scere i due eh egli possedeva, e trovava una grandissima somiglianza tra questi e quello si nella generale conformazione come nelle misure e nelle proporzioni delle diverse regioni del cranio e della faccia. Il perchè sempre più conferma- vasi i opinione che le più antiche popolazioni d’ Italia appartenessero alla stessa (1) Vedi il Rendiconto succil Vita di Antonio Alessandrini 161 varietà ° razza Caucasica alla quale altresì appartengono gli attuali abitatori della Penisola : la quale conclusione era direttamente contraria a certi sistemi immaginati dagli Antiquari e dagli Eruditi, essere cioè gli antichi Etruschi stati di esotica provenienza, e derivati dalle antiche popolazioni libiche ed egizie; perocché 1 molti teschi conservatici nelle antichissime Mummie manifestavano forme e proporzioni onninamente diverse dalle etnische (1). S 96. La moltitudine e disparità dei lavori, che io sono venuto discorrendo, le lunghe ed assidue cure eh’ ei diede a prode della istruzione e de’ suoi Musei, non che della pubblica sanità, tale compongono un cumulo di cose da indurre di leggieri nella credenza chiunque che Alessandrini assai poche ore concedendo ai bisogni naturali coni’ era veramente, dì e notte spendesse intorno ad esse , nè tempo gli rimanesse di occuparsi di altre. Ma non è così; chè egli esercitò anco estesamente la medicina. La vastità del suo sapere, la sua probità, il suo contegno dignitoso e modesto, la parchezza, e saggezza di sue parole, la sa¬ ga ci tà e prudenza de’ suoi consigli, la semplicità delle sue curagioni, le pre¬ dizioni sue verìdiche, 1’ arte di sapersi cattivare la fiducia e benivolenza degli infermi, di mantenere in loro il coraggio e di non levargli la speranza anche quando fossero disperati della salute, il soccorrerli con tutti i mezzi senza la sozza mira al guadagno, anzi con suo dispendio; erano tutte doti che lo co¬ stituivano medico quanto accreditato altrettanto aggradito ; e richiesto nella città e, fuori volentieri e con tutta la sollecitudine voluta da cotale esercizio prestava 1 opera sua. Nè ciò eragli di impedimento ad attendere a* suoi studi prediletti ed alle altre sue incombenze , ma coni’ ei diceva , codesto esercizio nulla to¬ gliergli di quanto intendeva di operare ad utilità e lustro delle scienze anato¬ miche da lui professate, ed essergli di ricreazione, e avevaio molto caro raas- sime negli ultimi anni del viver suo, stante che il moto, che è inseparabile da cosiffatto esercizio, contribuiva moltissimo a mantenerlo in salute. La medi¬ cina egli dunque largamente esercitò, e venne in fama di uno de’ primari me¬ dici , e molti pregiaronsi di averlo a consulente; ma questa è cosa già conta a tutti; quel che pochi per avventura sanno, si è che ei non solo alla parte tisica , ma alla chirurgica eziandio attese , e ne fanno fede due storie eh' ei pubblicò, una di un tumore della parte media della regione clavicolare con necrosi della clavicola, V altra di un tumore della tibia parimenti con necrosi, tumori eh egli pazientemente curò e condusse a guarigione, ottenuto il distacco e 1 uscita di due maravigliosi e grandissimi sequestri de’ quali fece dono al Museo di Anatomia Patologica umana della Università, e che un di essi com¬ prendeva quasi tutto il corpo della tibia , P altro della clavicola con riprodu¬ zione della parte che erosene separata e perduta (2); e come altresì ne fa lede il consulto che 1’ Eccel.mo Sig. Dott. Demetrio Rasi ebbe cura di farne conoscere per le stampe intorno ad un caso curiosissimo, di on pezzo cioè di vetro angoloso e curvo che parve fosse appartenuto ad un bicchiere, il quale pezzo si conficcò nella pianta del piede di un giovinetto in quella che correva , e benché non venisse levato , non pertanto la ferita si rammarginò , nè il gio¬ vanetto risentivano molestia ; ma a capo di un anno fu colto da dolore e da infiammazione al dorso del piede, la quale fu seguita da suppurazione, ed es- (1) Rendiconto citato an. 1842-43 pag. 72. (2) Bullettino delle Scienze Mediche Serie II. Voi. X. Bologna 1840 pag. 150-152. T. IV. 21 162 Luigi Calori seodo stato bisogno di un piccolo taglio, esci per questo in un colle marcie quel corpo estraneo con grande sorpresa del chirurgo. Alessandrini tracciò le vie che il detto corpo aveva avuto a percorrere per recarsi dalla pianta al dorso del piede, e mostrò come senza passare per uno degli spazi interossei del metatarso, non avrebbe potuto aver effetto un tale traslocamento ; ma la maraviglia si fu che essendo quel vetro angoloso non avesse lesi i vasi ed i nervi della pianta i quali nel suo tragitto aveva pur dovuto costeggiare (1). 5 97. Che vi abbiano altri scritti dell’ Alessandrini, non mi è a notizia, ma i uoverali sono senza fallo più che sufficienti a costituirlo scienziato di primo grado. E per verità un numero assai minore, alcuni soltanto, anzi uno solo di questi come quello sulK esistenza di un pancreas glandolare ne’ pesci ossei e nello Storione del Pò, quantunque provveduto di appendici piloriche; quelli intorno a’ canali idrofori delle branchie de’ pesci ossei ed all'analogia di quelli colle complicazioni proprie agli Acantopterigi a faringei laberintiformi ed al- 1’ Eterobranco anguiilare ; quelli sui muscoli dell' osso ioide e della lingua delle Testuggini, sulla struttura della loro laringe, sulle glandole salivali de’ serpenti; quelli sulla esistenza del nervo olfattorio e della valvola esofagea ne’ Delfini comuni; quelli sul coloramento delle trachee nel Baco da seta mediante pol¬ veri colorate commiste col cibo; uno solo, dissi, degli indicati scritti varrebbe a far salire chiunque a pari dignità. Con che non intendo già voler detrarre alcun valore agli altri; chè anzi son’ eliino pure da reputare moltissimo, sic¬ come quelli che contengono o nuove ed utili osservazioni o nuove ed utili illu¬ strazioni, ed anche essi soli basterebbero a sollevare molto alto chi non dirò di lutti, ma semplicemente di assai meno potesse vantarsi autore. Ma una sin¬ golarità che sublima sopra gli altri Alessandrini e che piuttosto che a’ moderni agli amichi grandi uomini lo fa somigliante, è la vastità di sua mente possevole ad abbracciare tutto lo scibile anatomico comparato, e per soprappiù la Paleon¬ tologia, la Medicina veterinaria e l’umana, dando prove certe e manifeste di essere stato in tutte queste parti eccellente. Le quali doti si rare e luminose non potevano a meno di attirar 1’ attenzione, e la stima de’ suoi coucittadini , e soprattutto degli scienziati nazionali ed altresì degli esteri, i quali tutti lo eb¬ bero in grande reverenza, ed amarono vederlo, e avere con lui commercio epistolare e aggregarlo ancora a’ loro scientifici sodalizi. E di 'alto l’Accade¬ mia delle Scienze di Torino, quella de’ Lincei di Roma, la Gioenia di Catania, l’ Agraria di Pesaro, la Medico-chirugica di Ferrara, quella di Modena, di Mi¬ lano, di Palermo, di Malta e dei Quaranta della Società Italiana furono solle¬ cite ad accoglierselo nel seno ; nè altrimenti adoperarono quelle di Bruxelles , delle Scienze di Parigi, della Nuova Orleans, di Atene e di Costantinopoli. § 98. La grande estimazione ed amore, eh’ ei si conciliò io questa sua terra natale, gli valsero i maggiori onori che avesse uom potuto di que' dì conse¬ guire. La nostra Accademia Io chiamò per ben diecinove volte alla sua Presi¬ denza, e più volte la Società medico-chirurgica e la Società agraria. Non qui- stione, non disposizione od istituzione nuova mellevasi in campo, che noi si volesse partecipe nelle determinazioni, avendosi in grandissimo conto il suo con¬ siglio anche quando non si trattasse di scienza, ma sol di pura amministrazione. (1) Ballettino cit. Serie cit. Voi. VII. Bologna 1839, pag. 18. Di un corpo estra¬ neo il quale per dodici mesi stette chiuso nell’interno del piede di un Giovanetto. Vita di Antonio Alessandrini 163 11 Gabinetto di lettura un tempo annesso alla Società medico-chirurgica fu sua proposta e direi quasi suo parto, imperocché sapendosi idea venuta da lui, tut¬ ti di buon grado ne aiutarono la istituzione, eh’ egli poi efficacemente giovò e tenne salda, e sempre finché visse, presiedette. Il Dicasterio o come dicono Commissione Provinciale delle risaje e valli fecelo di suo consorzio come uf¬ ficiale di sanità, ed in più casi moltissimo se ne approdò e quanto alla igiene e quanto a’ suoi pareri per la grande misura ond’ erano singolari. E il Muni¬ cipio lo volle del consiglio comunale, impromeltendosene di grandi vantaggi siccome fu in effetto; perchè cresciuto a stima anco maggiore appo i suoi colleghi, fu per questi prescelto a far parte della deputazione che a nome della Città e Provincia recossi nel 1846 a Roma per far sommessione ed omaggio al nuovo Pontefice. Nella quale congiuntura Alessandrini memore del suo intimissimo amico Francesco Mondini che morte avevagli due anni innanzi rapito, ed avendone pur a cuore la vedova Signora Adelaide Zaniboni, che orbata del marito viveva priva di quegli agi, ehe la sua età ed il suo grado esigevano, ed a’ quali era stata avvezza, umiliò supplica per lei nelle mani stesse di Sua Santità onde volesse graziarla di una onorevole pensione; conciossiachè i Professori avevano già fin dal 1815 fatta spontanea rinunzia che dopo lor morte avessero le vedove e i pupilli il diritto di godere di un tanto benefizio che la legge pur concedeva a tutti gli altri officiali governativi. 11 nuovo Pon¬ tefice compassionando il caso della infelice vedova , e ragguardando a’ grandi meriti del defunto ed a’ grandissimi dello intercessore fu facilmente largo della grazia, che gli si domandava. Il Governo ad ultimo nel 1836 onorò Ales¬ sandrini insignendolo di un grado cavalleresco, quello dell’ ordine dello Speron d’ oro ; esempio che molto appresso fu imitato da altro Governo, vo’ dire dal Subalpino che lo decorò di quel di ufficiale dell’ ordine de’ Santi Maurizio e Lazzaro e nel 1860 di quel del merito; al quale onore fu anche dal Go¬ verno dell’ attuai Regno d'Italia annessa una piccola pensione. S 99. L’ assunzione del Cardinale Mastai Ferretti al pontificato fu sentita con giubilo da tutti. Le sue grandi virtù, la sua moderazione, il desiderio da lui espresso di far contenti i popoli, di dare istituzioni più confacevoli ai tem¬ pi , e di legare in una federazione almen pe’ commerci tutti gli stati d’Italia avevano allargati gli animi alle maggiori speranze, e tutti lieti avevamo sul lab¬ bro Pio IX, chè così volle Egli essere chiamato. Sua prima opera fu un’ ampia amnistia pei delitti politici e suggellonne la sincerità col chiamare a sé gli amnistiali per conoscere i loro intendimenti e giovarsene laddove fossero stati per tornar veramente fruttuosi a’ popoli al cui reggimento veniva dalla Provvidenza preposto, e coll’ adoperarne alcuni anche ne’ primari uffici dello stato, nè dubitare di porli per soprappiù a capo di quelli. Alla quale genero¬ sità e fiducia senza esempio successero non guari dopo altri benefici, e pri¬ mamente furono concesse le ferrovie dall’ antecedente Pontefice avversate e {Disvolute ; poi la milizia cittadina ; e per ultimo fu promulgato lo statuto, pel quale il Governo Pontificio in gran parte secolarizzavasi e convertivasi in rap¬ presentativo; conversione alla quale già da lungo tempo per non pochi sospi¬ ra vasi, e che soddisfece i più. Egli non è a dire se a tanto insperate novità i popoli si commovessero; chè generale funne il commovimento, e tutti chie¬ sero pari libertà e franchigie, le quali non parlando che di noi furono nella maggior parte d’ Italia promosse, ed anche subito concedute, e laddove si ar- Luigi Calori 164 gomentò che il domandarle fosse stato inutile, anzi fosse riuscito pernicioso, credettesi per lo meglio scuotere il giogo dal collo e cosi venire in possesso di quelle per forza. Lieti furono i principii e sembrava ci guardasse un beni¬ gno aspetto di cielo: ci impromettevamo Italia alla perfine donna veramente di sue provincie; ci impromettevamo una nuova era d’ ogni bene civile e poli¬ tico apportatrice, e tutto ciò ci impromettevamo senza aiuto estraneo. Vane irn- promesse ! Non appena si aveva gettato il buon seme , e in quella che si veniva adoperando a farlo nascere e germogliare e produr frutti conformi, una precipitata ed impari guerra colla prepotenza dello straniero che pur teneva parte delle belle contrade, guerra indetta e guerreggiata da' popoli contro il volere de’ Principi, dal Sabaudo in fuori, I’ uccisione di Pellegrino Rossi, la fuga del Pontefice e per colmo la Repubblica tutto guastarono e subissarono. E questa molti volse e recò a suo animo, e fra molti anco Alessandrini, il quale però non credeva foss’ ella forma di Governo conveniente e duratura; ma erasi chiodato in capo che solo per essa si potesse togliere dagli artigli dell’ Aquila bicipite l’ Italia eh’ egli tanto amava e voleva libera e potente. Non è quindi maraviglia eh’ egli magnificasse la Romana Repubblica pur allor sorta, che cercasse di esserne della Costituente, e che ciò essendogli andato fallito, e quà rimasto, s’ ingegnasse colla sua autorità di mantenere appo noi gli ani¬ mi saldi in lei. E quando dopo la battaglia di Novara ove 1’ Italiana indipen¬ denza corse pericolo di essere quasi del tutto spenta, gli stranieri volgevano da ogni parte a’ danni di quella Repubblica e ne invadevano il territorio e gli avevamo non lunge da questa nostra città, itosene il preside, e caduto il tutto nelle mani del Municipio, il Consiglio comunale convocato a consultare che fos¬ se da farsi, considerando nulla esservi di quanto sarebbe stato necessario per un’efficace resistenza, deliberava gli si aprissero le porte, si ricevessero con modi amichevoli e ci sottommettessimo di nuovo al Pontefice, egli quasi solo giovato dagli ordini espressi della Repubblica, si resistesse, e molto più dal po¬ polo ricalcitrante che già aveva imbrandite le armi, e sperava nell’ otto mag¬ gio rinovellar l’otto agosto dell’anno antecedente 1848, non solo non assentì, ma fu cagione che prevalesse un consiglio contrario. E poiché la somma delle cose dovevasi in caso sì difficile commettere a’ probi ed intelligenti cittadini che andassero a verso della moltitudine e insieme osservassero una conveniente mi¬ sura, creato un consiglio di tre, che valessero a correggerla ed infrenarla il più si potesse, si reputò niuno più di Alessandrini fosse acconcio a presiederlo. A Jui dunque ne proffersero la presidenza e raccomandarono la nostra città, ed ei di buon grado accettò l’ incarico e tennelo otto giorni; chè tanti la resisten¬ za ne durò ; lungo i quali provvide i combattenti come meglio i mezzi il con¬ cedettero, mantenne P ordine e la quiete, nè avemmo a deplorare gli eccidi che seguirono nel settembre dell’ anno andato. Narrasi che in quel tempo da alquanti popo ani interrogato, se ei sperasse che loro opera terminerebbe con prospero successo e che sarebbesi fugato l’ inimico, rispondesse quasi come in forma di oracolo questo dettato « chi dura, vince ». Si persuase alla perfine il popolo cn ei mai poteva contro arme disciplinate e nacquegli il desiderio di arrender¬ si, lo che ebbe effetto addì 16 maggio 1849. ed 11’^* ^.eP0sta abitato trascina rupi assai grosse che ingombrano il letto dello stesso torrente , e che potrebbero essere utilizzate nel fabbricare le sponde del medesimo con muraglia atta a sostenere una strada da ambe le ripe, che renderebbe in tutta la sua lunghezza più comodo e più decente il paese stesso bisognevole di ristauri , che oggi sono richiesti dalla civiltà moderna per vieppiù richiamare i forestieri colle agiatezze alla cura di acque tanto saluberrime. Io pertanto mi limiterò a parlare della vegetazione spon¬ tanea del Granaglione , e degli altri nominati monti , perchè Piante spontanee dei monti porrettani 179 i monti adiacenti non presentano diversità , ed anche la loro costituzione del suolo in genere è della stessa natura mineralogica. Il monte Porrettano da alcune specie rinvenute nelle sue parti più elevate opino sia alto sopra il livello del mare circa duemilacinquecento a tremila piedi , ma e de¬ siderabile che la livellazione barometrica , che io dovevo nella state passata fare assieme al mio collega Sig. Cava¬ liere Capellini , la si faccia nella prossima estate e lo con¬ fermi. Ha una base assai larga , e mostrasi più scosceso in questa che in alto, perchè nella parte superiore de’ suoi versanti principalmente settentrionale ed orientale alterna i pendìi con superfici anche molto ampie di poca inclina¬ zione , ben terrose , e perciò assai imboschite ed erbose, ed anche coltivate , per cui nella sua estensione è vestito di svariati vegetabili. Dove sono ubertosi boschi di Castagno, anche ne’ pendìi , che più si avvicinano alla cima,, dove boschi di Cerri ne’ luoghi meno fertili, dove sviluppasi Quercia da majali , dove svariati altri alberi non gregari , dove il Carpino, ed il Nocciuolo in selvette abbastanza estese. Del Faggio però appena si incontrano piccoli ce- spugli nella parte più alta settentrionale, posciachè il monte non è tanto elevato per avere estesa vegetazione di cotale specie , la quale veste di folto bosco il vicino Cavallo, il Toccacielo, e la Piella nelle alture che soprastanno al Gra¬ nagliene. La cima larga , e quasi piana del Granaglione è molto dominata dai venti impetuosi, per lo che al suo margine settentrionale è corrosa, e spogliata di vegetazione, e ben ricordo che non potei soffermarmi vi nel terzo viaggio, che vi feci, senza pericolo di essere gettato per terra dai vento. Dove questo non ha corroso la piazza, dessa è vestita da una specie di Scova fitta, che si alza dal suolo appena un piede , e fra la quale cresce qualche Scardacione e pochi Verbaschi , che saranno indicati scientificamente più sotto. Il monte è costituito per la maggiore sua estensione del macigno variamente metamorfosato, non che di albarese assai rotto, e sconnesso, e di ardesia in istrati più o meno Giuseppe Bertoloni sottili che ponno servire da tegole, poiché sono assicurato da persone del paese che le così dette Piagne, colle quali si cuoprono li tetti delle case , si ritraggono ancora dalla parte elevata dello stesso monte Porrettano nella località appellata Gastei Martino, che io non visitai , e donde si scavano come le migliori del vicinato. Il macigno ne9 luo¬ ghi scoscesi ed erti mostrasi nudo di vegetazione, e costi¬ tuente alti strati regolari , ed anche orizzontali nella parte più elevata del monte , e principalmente vicino alla cima del versante settentrionale, ed in parte ancora occidentale, dove è tagliato a picco per molta estensione in larghezza, ma di non molta altezza , e nelle screpolature degli strati nordici cresce qualche bella pianta come si dirà in appresso. I massi di alberese più o meno grandi si osservano erratici ne9 pendii scoscesi e terrosi principalmente del versante orientale. Nelle parti del monte che sono anche estesamente coperte di terra, questa è in generale fertile, e dove non sono boschi o prati naturali si esercitano coltivazioni per lo più di cereali in luoghi anche molto elevati , quali sono i campi di Lustrola. Nella parte inferiore occidentale , e nella settentrionale della base del monte il macigno è estesamente scoperto e denudato sotto l9 aspetto di orride rupi sconnesse od acca¬ tastate le une sopra le altre, fra le quali vegetano radi ed interrotti boschetti di Castagni al settentrione , ed al levante in parte, e di alberi di varie specie al ponente. Inferiormente alle rupi occidentali sta situato colla sua lun¬ ghezza in parte il paese di Porretta , che nella estremità più alta sembra minacciato dagli scoscesi e precipitosi massi accatastati gli uni sugli altri. Da questo lato inoltre è quella sporgenza del macigno, che costituisce il così detto Monte della Croce, che io considero impropriamente appellato monte perchè è appena una* piccola parte della base del monte Porrettano. Poco inferiormente alla sporgenza sopra indicata esiste al nord-ovest la cava del macigno più scuro di Porretta, di pasta poco dura, venata, e perciò di qualità assai mediocre, che anzi molto meno duro e buono del- 1 altro biancastro grigio, che si trova alla distanza di uno Piante spontanee dei monti porrettani 181 scarso miglio. Il macigno più scuro ha subito un primo grado di metamorfosi ; la quale a grado maggiore si osserva in un altro minerale copiosissimo dell’ ossatura orientale dello stesso monte, e del quale dirò più sotto. Il macigno grigio di Porretta è il migliore del Bolognese, e dal Prof. Capellini si giudica tanto buono che la pietra serena di Firenze per lastricare le strade qualora la cava fosse ap¬ profondata. Questa è vicina al ponte della Madonna o della Porretta Vecchia nelle basi del monte, che costituisce la ripa destra del Reno quasi dirimpetto alla sorgente solfo¬ rosa delle più energiche acque di questo paese. Pendii sconnessi si osservano anche nella parte inferiore sud-est del Granagliene, ma quivi sono più terrosi che al¬ trove , e perciò vi si praticano anche ristrette coltivazioni di vigneti, e di seminati come veggonsi lungo la strada rotabile. Le rupi del macigno , dove sonosi staccate dai luoghi superiori precipitarono, e si soffermarono inferior¬ mente più o meno isolate, frammiste ed immerse nella terra, ed insieme con esse precipitarono ancora massi di alberese, e pezzi più o meno grossi di un calcare alluminoso, sili¬ ceo , scuro , di pasta o grana abbastanza fina. Questo da tempo antico, senza che si sapesse donde derivava , si ri¬ cercava e raccoglieva in piccoli pezzi dall* alveo del Reno nelle vicinanze di Bologna , perchè si adoperava e riesciva buonissimo a guisa del Nero di Como come sasso scuro per la fabbricazione dei battuti alla veneziana non di molta finezza. Quando poi il tunel aperto vicino alla Porretta Vecchia fece conoscere che nello interno di quel versante il monte interamente era costituito di questo minerale com¬ patto, e che fu riconosciuto dai nostri terrazzieri per quello stesso che si raccoglie quà e là scarsamente nell* alveo del Reno fra il ponte di San Felice e Casalecchio, i mede¬ simi subito ne fecero trasportare a Bologna ne’ loro magaz¬ zini. La natura di questo minerale mi fa supporre nel me¬ desimo essere avvenuto un maggior grado di metamorfosi del macigno scuro di Porretta , del quale esiste la cava sullo stesso monte come dissi più sopra. Spetta ai Mine- ralogi , e Geologi di parlare più positivamente della natura Giuseppe Bertoloni mineralogica di questi terreni, che io soltanto indico per incidenza. Ma torniamo alle rupi che soprastanno all’ estremità su¬ periore del paese. Nel lato opposto ai dirupi inferiori al Monte della Croce, che formano la ripa destra del Rio Maggiore , sono altri macigni disposti in istrati con fendi¬ ture perpendicolari, i quali mettono limite alla ripa sini¬ stra dello stesso torrente. Sembrano alte e tetre muraglie, che stanno sopra al locale dell’ acqua salata del Leone , e del Bove. Le anzidette fenditure si mostrano più o meno larghe ; da alcune di queste esce il gas infiammabile an¬ che in abbondanza , perlochè per esempio sopra la porta del detto bagno del Leone evvi uno spiraglio di cotal gas condottato dal Signor Spiga che alimenta da molti anni senza interruzione un lume sempre acceso notte e gior¬ no , che durante la notte dà luce alla piazza degli sta¬ bilimenti termali ; che anzi più al nord quasi allo stesso livello si ponno accendere altre piccole fontinali di gas , e più in alto nella stessa rupe , dove il macigno si eleva e sporge quasi rimpetto al monte della Croce in un posto che appellasi Sasso Cardo, sono pure altre sorgenti ed una maggiore di tutte dello stesso gas infiammabile, e che es¬ sendo più cospicua i paesani denominano il Vulcano . Qualche scrittore delle terme nostre ha chiamato Monte Porrettano le due sporgenze del Monte della Croce e del Sasso Cardo supponendo che un giorno fossero riunite in¬ sieme, e poi si fossero aperte per una stretta separazio¬ ne praticatavi dallo sforzo e corrosioni delle acque preci¬ pitose del Rio Maggiore, o da altra causa. Io invece le considero quello che realmente sono, e cioè parte delle basi, forse un giorno congiunte insieme, dei monti supe¬ riori, e per monti Porrettani intesi principalmente quello di Granatone non che gli altri sunnominati, ma il primo ha diritto di essere appellato cotale più degli altri perchè le sorgenti delle acque medicate scaturiscono tutte dalle basi del medesimo compresevi quelle del Leone e del Bove, che con una condottazione artificiale sotterranea alla platea del Rio Maggiore si fanno sortire alla sinistra del Rio stesso, mentre in realtà le loro origini sono alla destra. Piante spontanee dei monti porrettani 183 Ciò premesso, passo ad esporre scientificamente la vege¬ tazione Porrettana. A raggiugnere questo scopo percorsi il monte di Granagliene da tutte le sue parti tanto fertili e terrose che sterili e nude, e non trascurai di visitare tutto 1’ alveo del Reno che ne lambe la maggior parte della base. Le specie più interessanti al botanico si rinvengono risa¬ lendo il monte all9 occidente col costeggiare sempre il Rio Maggiore erborizzando in ambe le sue ripe destra e sini¬ stra. Nell9 alveo del medesimo primamente si scarica il fosso della Scova, più in alto il così detto Canal Cavo, ed anche più in sù il Canal Buja, che tutti tre raccolgono le acque del versante occidentale del Granaglione. Anche sulle ripe e nelle vicinanze di questi torrenti minori si osserva una bella vegetazione che qua e là è interrotta da terreni sas¬ sosi, e sconnessi. In questo versante rimpetto alla villa chia¬ mata Torretta sono i così detti Boschi di Fonti quasi tutti di Cerri frammisti a poche Quercie della specie Eschia. Più in alto poi si incontrano boschi anche maggiori costituiti di soli Cerri , i quali si appellano di Gontrorio , e che si estendono sino al crine delle Capanne di Granaglione anzi sino alla strada detta del Poggio delle Capanne. I boschi maggiori e veramente utili del monte Porrettano sono i me¬ ravigliosi Castagneti , che occupano la massima parte del suo terroso versante settentrionale. Dove è più fertile il suolo gli alberi sono più giganteschi, quali tu scorgi sotto Lustroia, ed attorno al paese delle Capanne; ma anche più in alto e per così dire fino quasi' alla cima del monte non lascia il bosco di Castagni di essere bellissimo. In mezzo ai boschi di Castagni , non che di Cerri , e di Eschia si osservano quà e là a seconda delle località alberi di qualche altra specie come Aceri, Tigli, Frassini, Olmi ecc. Nel versante occidentale di questo monte prima di rag¬ giugnere la cima sonovi fresche praterie ripide, abbastanza estese , bizzarramente da natura disseminate e guernite di cespugli di Nocciuoli , di Carpini , e di qualche Ginepro , i quali arbusti si rinvengono anche più in basso, ed in abbondanza osservansi i Nocciuoli attorno ai campi di Lustroia- 184 Giuseppe Bertoloni Premesse queste poche generalità, passo ad esporre le specie che vi ho trovate spontanee, ed in ciò fare mi valgo della distribuzione naturale, per cui trovansi seriate sotto le rispettive famiglie. FAMIGLIA. RANUNCULACEE Tribù Clenatidee Clematis Vitalba L. Pianta comune ne’ luoghi folti e reconditi , poiché nasce fra cespugli , e per entro le siepi , che sormonta, e quasi soffoca coi suoi lun¬ ghissimi sarmenti fogliosi. Questi servono per intrecciare graticci da seccare le frutta. Attorno al Bagno è comunissima, e la raccolsi dietro alle Donzelle in fiore al finire di giugno, ed ai primi di luglio. La Clematis recta L. dal Beccari fu trovata nelle vicinanze della Porretta, ma nella mia collezione man¬ co di esemplare , perchè forse non P ho trovata in fiore. Tribù Anbmonee Talictrum flavum L. Pianta erbacea, che colla sua pannocchia di fiori gialli alzasi dal suolo anche i tre piedi lungo i rii , e ne’ luoghi umidi nella fine di giugno. La vidi frequente, e raccolsi lungo il Rio Maggiore, e fu trovata co¬ mune sul monte di Granagliene nel Bagioledo presso il Rio delle Croci. Non ha uso, ed è rifiutata dagli animali domestici. Anemone nemorosa L. Piccola erba de’ poggi freschi, ed umidi, ed è una delle prime a guernirsi di bianchi fiori, delicati, coi quali adorna e tappezza qualche estensione di suolo, perchè è pianta che vive gregaria. È comune nelle ripe ombrose e cupe lungo il Rio Maggiore, ed anche in alto sul monte, e la vidi frequentissima nei campi di Lustrola sotto ai cespugli il 24 di Aprile del 1847. Anemone Hepatica L. Quest’umile pianticella è frequente sul Granagliene, e nei castagneti più elevati. Col suo fiore azzurro in primavera adorna i poggi ed i prati. Adonis aeslivalis L. Questo bel fiore de’ seminati è meno comune ne' campi di Porretta che in quelli de’ colli, e monti inferiori. Lo raccolsi il 21 Mag¬ gio 1864 lungo la passeggiata o strada diretta verso Bologna e che è subito fuori di Porretta. 11 nome di autumnalis adottato da varii autori è improprio a questa pianta perchè sviluppasi annua e fiorisce di primavera. Tribù Ranuncci.be Ranunculus acris L. Lo rinvenni sul monte della Croce ne’ luoghi erbosi e freschi poco sopra il bagno delle Donzelle, in alto fra il Cavallo ed il Gra¬ nagliene , e lungo il Rio Maggiore nel versante occidentale del Granaglione. Il 30 Giugno 1864 era già sfiorito ed in semente. L’erba alzasi da terra coi suoi fiori gialli un piede e mezzo circa , è di azione acre corrosiva ; pe¬ stata ed applicata sulla pelle corrode, ed impiaga. Piante spontanee MONTI PORRETTANI 185 É pianta molto comune ne’ prati , che infesta Trovasi pure lungo le strade, ne’ poggi, e lungo i rivi. Il suo stelo guernito di fiori gialli in primavera prima del taglio de’ fieni predomina nei prati. Appellasi piede di Gallo dai Bolognesi. Ne raccolsi esemplari lungo il Canal Cavo. Questo stelo dopo la fioritura presto vien meno, e poco per for¬ tuna ne resta mescolato al fieno ; perchè è di nessuna nutrizione. Ranukculus repens L. La sua erba allunga stolloni radicanti , che strisciano sul terreno. É frequentissima lungo i fossati, i rivi di acqua corrente, gli alvei de’ fiumi e canali, non che per ogni dove ne’ luoghi massimamente umidi. Lo raccolsi in pieno fiore in alto ancora sotto il Cavallo il 30 Giugno in un luogo detto Lovajola, ma Io osservai comunissimo vicino al paese. Ranunculus bulbosus L. E comune ne’ luoghi erbosi , e prati assieme al R. lanuginosus. Lo raccolsi sul Sasso Cardo il 24 di aprile in pieno fiore, sul monte della Croce ed attorno ai campi detti i Munchini nella seconda quin¬ dicina di maggio. Anche questa pianta chiamasi Piede di Gallo dai Bolognesi. Ranunculus parviflorus L. È specie più piccola de' sunnominati. Trovasi co¬ munissima per ogni dove ne’ campi di Porretta. La raccolsi in pieno fiore il 24 di aprile 1847 sul Sasso Cardo vicino al Vulcanetto, sul muro lungo la strada, che conduce alla Porretta Vecchia, e lungo la strada che dallo stesso paese conduce al fiume Seia. É infestante i seminati. Ranunculus Ficaria L. Pianta umile a foglie larghe, splendenti, e per la forma di dette foglie chiamata dai Bolognesi Badile. È comunissima in tutti li prati , e lungo le strade , dove in principio di primavera si adorna di grandi fiori gialli, e lucidi. La raccolsi in alto sui Campi di Lustrola, ove era an¬ cora io fiore il 24 di aprile, mentre in basso era sfiorita. Tribù Ellebobee Helebborus viridis L. Specie comune ne’ monti Porrettani, e predilige cre¬ scere lungo le siepi, e vicino ai cespugli. Ne raccolsi esemplari sul Monte della Croce , e sul Sasso Cardo alla fine di aprile, ed in maggio già sfiorita perchè appena finito il gelo e la pungente brina , è una delle prime piante che si adorna di fiori , i quali olezzano di fragranza spiritosa, ed analoga all’ alcoo- Jica. Da que’ del paese appellasi Casca dente maschio , e dai Bolognesi erba del Mal Citone. La radice è corrosiva e caustica; e serve di vescicante nelle ma¬ lattie degli animali domestici tanto bovini che suini. Helleborus foetidus L. È comune nelle vicinanze della Porretta anche più dell’ altro. Lo raccolsi sul Sasso Cardo, sul Monte della Croce, sulla cima del Granaglione al mezzodì , ed anche nelle ripe del Reno. Da’ Porrettani appel¬ lasi Cascadente f emina. Ha proprietà analoghe all’ altro. Aquilegia vulgaris L. Si rinviene nella parte alta del Granaglione ne’ di¬ rupi occidentali sotto la cima, e la raccolsi ancora nelle ripe del Canal Cavo, ed in quelle del Rio Maggiore in alto. Alla fine di giugno era già sfiorila ed in fruttificazione. 11 suo fiore riesce adornante i giardini, ne’ quali la pianta si coltiva. Delphiuh Consolida L. Cresce ne’ campi vicino alla Porretta, dove si ammanta del suo bel fiore per lo più turchino carico nel mese di giugno. t. iv. 24 Giuseppe Bertoloni FAM. PAPAVERACEE Papaver Rhoeas L. Il Rosolaccio in maggio fiorisce ne’ seminati vicini al paese, ma non tanto frequente che nelle terre più vicine alla pianura. Lo rac¬ colsi nei coltivati detti Munchini. Chelidonium majus L. Quest’ erba osservasi frequente nelle vicinanze del paese ne’ luoghi ombrosi , sotto ai cespugli ed alle siepi , ed a piedi delle rapi. Ne raccolsi esemplari in frutto sul Monte delta Croce subito sopra il bagno delle Donzelle , e dal Sasso Cardo sopra alle terme del Leone alla fine di giugno ed ai primi di luglio. È pianta che sviluppasi presto, e che con¬ tiene un succo di colore croceo penetrante, e tenacissimo anche sulla pelle umana quando ne sia intrisa. Dicesi che attacca Io smalto dei denti, e che questi con tal mezzo alla perfine cadono in pezzi. FAM. CROCIFERE Tribù Arabideb Barbarea vulgaris R. Brow. Cresce nel praticello del Bagno delle Donzelle , ma la raccolsi ancora ne" campi di Granagliene, e nell’ alveo del Rivo Cavo. In giugno ed in luglio era già in fruttificazione. Arabis alpina L. È non frequente ne’ luoghi alti del Granaglione fra’ sassi e nelle fessure delle rupi di macigno. Alla fine di giugno era in frutto nelle ripe del Rio Cavo, ed in quelle del Rio Maggiore vicino alla sua origine. Arabis hirsuta Ait. Specie comunissima alla base del monte di Granaglio¬ ne , predilige i luoghi sassosi, le macerie, i margini delle strade. È in pieno fiore alla fine di aprile sui muri lungo la strada, che conduce alla Porretta Vecchia, donde la raccolsi siccome sulla cresta del Sasso Cardo, sui dirupi della cima del Granaglione all’occidente, nelle ripe sassose del Canal Buia, e sul Monte della Croce. Arabis muratis Bertol. Predilige i luoghi elevati e sassosi. La raccolsi alla fine di giugno in frutto sul monte Cavallo in luogo detto Lovajola , e fu pure raccolta ed a me portata dalla Còsta della Serra. Arabis Turrita L. Specie non rara, ma non frequentissima. Predilige cre¬ scere nelle fessure delle rapi: la raccolsi in fiore sul Sasso Cardo nel- luogo detto i Munchini alla fine di aprile, ed in fruttificazione sul Monte della Croce poco sopra il Bagno delle Donzelle alla fine di giugno. Cardatine impatiens L. Trovasi non di frequente lungo i canali ombrosi ne luoghi elevati. La raccolsi in frutto alla fine di giugno nelle ripe del Rio Maggiore, vicino alla Cascata, e nel Rio Cavo. . Cardatine hirsuta L. È specie comunissima per ogni dove anche in basso vicino al paese ne’ campi , nelle screpolature delle rupi , sulle macerie, e luoghi sassosi. La raccolsi in fiore ed in fruito alla fine di aprile sul monte di Gra¬ nagliene in allo sopra tutte le rupi; in basso nel Sasso Cardo sotto il Greppo vicino al Vulcanelto, nel luogo detto i Munchini, e sui muri lungo la via, che conduce alla Porretta Vecchia. Lardamihb Chelidonia L. Rinviensì piuttosto raramente sopra i monti Por¬ re ani. bita sempre in alto ne’ luoghi ombrosi. Fiorisce ai primi di giugno ; Piante spontanee dei monti porrettani 187 fra il Cavallo ed il Granaglione la raccolsi in frutto alla fine di detto mese, come pure nel Canal Buja, e nelle ripe del Rio Maggiore vicino alla Cascala. Dentaria pianata Lam. E rara assai questa bella specie, che rinvenni nelle ripe ombrose e cupe del Rio Maggiore molto iu alto già in seme maturo il 3 0 giugno 1864. Dentaria bulbìfera L. Rinviensi non di frequente ne’ boschi ombrosi delle parti inferiori del Granaglione. La raccolsi con bulbetti bene sviluppati sotto il Monte della Croce subito sopra il bagno delle Donzelle alla fine del giugno. Draba muralis L. Specie comune in basso nelle vicinanze del paese più che sull'alto dei monti, però la rinvenni anche sugli alti campi di Luslrola in fiore alla fine di aprile; la raccolsi poi sul Poggio di Capugnano, non che dalle fenditure del macigno del Monte della Croce , e dai muri e macerie lungo la strada, che conduce alla Porretta Vecchia. Draba verna L. Anche questa pianta predilige i muri e le rupi, dove si sofferma poca terra, ma vi è meno frequente della prima. La raccolsi alla fine di aprile in frutto e fiore all’ occidente del Monte della Qoce sulle rupi appena erbose, e sui muri lungo la strada che conduce alla Porretta Vecchia . Thlaspi arvense L. Negli alti coltivati di Lustrola alla fine di giugno questa pianta io raccolsi già colle semeuti mature ; certamente rinviensi anche ne’ col¬ tivati inferiori e bassi del paese, perchè si trova anche negli orti e campi della pianura Bolognese. Sisymbrium Alliaria Scop. È non raro ne’ luoghi pingui vicino alle abitazioni in basso del Granaglione. Lo raccolsi poco sopra il paese della Porretta con foglie sviluppatissime all’ occidente, il 30 giugno già sfiorito. Sisymbrum Thalianum Gay. Trovasi di frequente sui muri diroccati; sulle macerie, e sulle rupi appena terrose. Alla fine di aprile è in fiore e frutto sui muri lungo la strada, che conduce alla Porretta Vecchia. Capseila Bursa pastoris Caes. È comunissima da per tutto, predilige li margini delle strade, ed i coltivati, e si trova anche molto io alto, perchè la raccolsi anche ne’ campi di Lustrola in frutto alla fine di giugno, ma in basso vicino al paese è pianta infestante i coltivati. Lepidium campestre R. Brow. Lo raccolsi negli alti campi di Luslrola alla fine di giugno ed ai primi di luglio io frutto , e più in basso sul Monte della Croce , ne’ campi dei Munchini , nell’ alveo del Reno, e lungo la strada fra la Porretta ed il fiume Seia. Tribù Brassicbe Sinapis arvensis L. È specie frequente ne’ coltivati, ne’ quali prende sol¬ lecito sviluppamento al principio di primavera. I campagnoli bolognesi la chia¬ mano Ravanello selvatico , ed è una delle prime erbe , che fresche si strappano dai seminati per alimentarne il bestiame principalmente in que’ luoghi , dove nasce abbondantissima , ed infestante. Vegeta anche fuori de’ campi e lungo le strade , e ne’ luoghi pingui : la raccolsi in basso al margine de’ campi del versante occidentale del Granaglione , ed anche più in allo nel Canal Buja , alla fine di giugno in semente. 188 Giuseppe Bertoloni Tribù Zillee Calepina Corvini Desv. Pianta che predilige i luoghi sterili, ed i sassi, fra i quali radica, ma si trova ancora ne’ terrosi non isterili. La rinvenni nel Poggio di Capugnano vicino alia Casa Grande, e sopra al Sasso Cardo vicino alla Casa Diroccala . FAM. RESEDACEE Reseda luteola L. Non è frequente sul Granagliene. La rinvenni in pieno sviluppo e fiore i primi di luglio del 1848 nei dintorni del paese delle Ca¬ panne. Si estrae dall’erba di questa pianta una bella tinta gialla, che serve per tingere lane, tele di cotone, e di lino, non che drappo di seta. FAM. CISTINEE Heliantuemum volgare Gaert. var. §. Bertol. Pianta comunissima per tutti i monti, e pianure: predilige i luoghi sciutti , e quasi sterili. La raccolsi in pieno fiore nella seconda metà di maggio lungo i viottoli sassosi poco sopra i Monchini salendo al Sasso Cardo , e lungo la strada che dal fiume Seia con¬ duce alla Porretta , siccome era comune , e sfiorita alla fine di giugno attorno ai Campi alti di Lustrola. Heliantemum Fumana Miller. È molto più raro del precedente ne* monti Porrettani. Predilige crescere nelle fessure del macigno. Lo raccolsi in fiore dai macigni del Sasso Cardo nelle vicinanze del Vulcanetto nella seconda metà del maggio 1864. FAM. VIOLACEE Viola odorata L. Le violette odorose di primavera sono meno frequenti nei poggi dei monti porrettani che ne’ poggi de* colli bolognesi. Ne raccolsi esem¬ plari sul Monte della Croce , e ne osservavo in molti luoghi delle vicinanze del paese. Col fiore disseccato si fa infuso a caldo per graziosa bibita , diaforeti¬ ca, valevole nelle infreddature. Viola canina L. È mollo più comune della precedente in tutti i poggi. Vi fiorisce per tempo più lungo cioè dall’ aprile a tutto giugno secondo l’ esposi¬ zione, nella quale si trova. La raccolsi in pieno fiore in aprile sul Monte della Croce, ed attorno agli alti campi di Lustrola, ed in giugno e luglio nella parte alta delle ripe del Rio Maggiore , all’ occidente del Canal Cavo, e di¬ sopra al paese delle Capanne. Viola tricolor L. Frequente è questa specie ne* coltivati più alti dei monti porrettani, dove riesce quasi infestante i seminati. La raccolsi in pieno fiore di giugno e luglio negli alti campi di Lustrola, a Lovajola sotto il Cavallo, e sopra il paese delle Capanne nelle macere e muricciatoli , che sono di limite ai campi. Il decotto della Jacea è giovevole nelle eruzioni erpetiche della cute, e nella crosta lattea de* bambini. Piante spontanee dei monti porrettani FAM. DROSERACEE Parnassia palustris L. Rinvenni questa bella piantina adorna del suo gra¬ zioso fior bianco in un sol luogo elevalo, ed acquatrinoso sulla ripa sinistra del Rio Maggiore nella fine di giugno. FAM. POLIGALACEE Polygàla flavescens Dee. Comunissima è questa bella specie alle falde dei monti porrettani. Predilige i poggi erbosi e le selvette. Ne raccolsi esemplari nella seconda metà del maggio nel luogo detto i Manchimi, alle basi del Monte della Croce, nella ripa destra del Rio Maggiore, ed anche in giugno ve la raccolse il Beccari. Polygala mlgaris L. Questa specie è anche più comune dell’ altra ne’ monti di Porretta, ne’ quali si trova a tutte le altezze. Adorna li prati, ed i poggi colle sue rosee spiche di fiori. La raccolsi attorno ai campi di Lusirola alla fine di giugno già in fruttificazione. FAM. CARIOFILLEE Tribù Sileneb Dianthus Carthusianorum L. È un Garofano selvatico non raro nelle rupi dei monti porrettani. Lo osservavo pendere dalle rupi delle terme del Leone, ed altrove nelle fessure del macigno. Fu raccolto in fiore nella stale del 1847 sulla Costa della Serra, nelle ripe del Rio Maggiore più in alto del Canal Buja non era ancora fiorito alla fine di giugno del 1848, e nel versante oc¬ cidentale del Granaglione in alto non ancora fiorito nella fine dello stesso mese del 1864. Dianthus prolifer L. Lo rinvenni già sfiorito nell’ alveo del Reno vicino alla Porretta nella prima metà del luglio del 1852. Saponaria offìcinolis L. Rinviensi nell’ alveo del Reno un poco più in alto del paese, donde la trassi non fiorita ai primi di luglio del 1852. Saponaria Ocymoides L. È non frequente nelle fessure delle rupi di are¬ naria, nelle esposizioni fresche, o semiombrose. La raccolsi il primo di luglio già sfiorita lungo la strada vicino al paese delle Capanne ; e nella seconda metà di maggio del 1864 in pieno fiore dalle fessure dei macigni dal lato occiden¬ tale inferiore del Monte della Croce. Silene infiala Smith. Pianta assai comune ne' monti di Porretta, come nei nostri colli e monti superiori a questi. Predilige i poggi erbosi. Fiorisce in giugno. Ne raccolsi sul Cavallo in alto nel luogo detto Lovajola , attorno ai Campi di Lustrola , sul Monte della Croce poco sopra il bagno delle Donzelle, e nelle ripe del Rio Cavo. Silene italica Persoon. Predilige ì luoghi selvosi ed erbosi. Alla fine di giugno, ed al principiare del luglio ora già sfiorita ed in fruttificazione sul Monte della Croce , e nelle ripe del Rio Cavo, da’ quali luoghi la raccolsi, Lychnis Flos cuculi L. Trovasi ne’ prati. Nella seconda metà di maggio era in pieno fiore ne’ prati porrettani, ne raccolsi esemplari vicino al Sasso Cardo in luogo detto i Manchimi. 190 Giuseppe Bertoloni Lychnis alba Mill. Specie frequentissima da per tutto nei nostri colli, e monti di mediocre altezza. Predilige i luoghi erbosi vicino ai cespugli , ed alle siepi. Ne trassi esemplari in fiore ai primi di luglio dai luoghi erbosi frapposti alle rupi soprastanti le terme del Leone , e dall’ alveo del Reno rimpetto al paese. Lychnis sylvestris Hopp. Bellissima pianta che predilige i monti alti, ed i luoghi selvosi delle alpi. Non è rara al disopra del paese di Porretta salendo lungo il Rio Maggiore. Nella seconda metà di aprile del 1846 per la prima volta la rinvenni adorna de* suoi splendidi fiori sopra il bagno del Leone fra le rupi, e nella fine di giugno del 1864 la raccolsi pure in pieno fiore a diverse altezze lungo il Rio Maggiore. Tribù Alsinbb Sàgina procumbens L. Erba cortissima, che nasce anche fra i muschi , e che raccolsi alla fine di giugno lungo le ripe del Rio Maggiore in fiore, e nei ver¬ sante occidentale del Granaglione. Arenaria serpyllifolia L. Piccola erba, che nasce al margine delle strade, e ne’ luoghi poco fertili. È comune sulla sporgenza del Sasso Cardo , donde la raccolsi nello aprile del 1847 e nel 1864; non che dai viottoli dei Mun- chini, dalle ripe del Rio Maggiore a diverse altezze, e dai campi alti del Granaglione. Arenaria tenuifolia L. Altra piccola erba come la precedente, che nasce sul macigno terroso, o nelle fessure del medesimo sul Sasso Cardo. Moehringia trinervia Clairv. Predilige i luoghi freschi, ed umidi. Ai primi di luglio la raccolsi in perfetto sviluppo al dissopra del paese delie Capanne, ed in alto lungo il Rio Maggiore. Stellaria nemorum L. Trovasi ne’ Luoghi erbosi ed ombrosi delle ripe del Rio Maggiore a diverse altezze, ve la raccolsi in pieno fiore alla fine di giugno. Stellaria media Vili. Pianticella , che predilige i luoghi erbosi freschi , pingui, e che si interna e sostiene fra le erbe: è comunissima tanto nelle pianure che ne monti. Resta fiorente dall’ aprile al giugno. La raccolsi sulla cima del poggio di Capugnano, sopra il Sasso Cardo , sotto il Monte della Croce dietro alle terme delle Donzelle , sullo stesso Monte della Croce, ed in alto nel Rio Cava. Stellaria Holostea L. Ne’ luoghi erbosi del margine della strada che dal Seia conduce alla Porretta si rinviene non rara, e dove fiorisce la seconda Stellaria graminea L. Ne’ prati selvosi del Granaglione è comune questa specie, ed in generale predilige i luoghi erbosi freschi, e pingui. La raccolsi m fiore alla fine di giugno in alto lungo il Rio Maggiore, ed attorno ai campi di Granaglione. Cera strim glaucum B. quaternellum Gren. Piccola pianta a stelo dritto, c e nasce lungo le rive muscose del Rio Maggiore nel versante occidentale e Granaglione, ed era già sfiorita nella fine di giugno , quando la rinvenni. E conosciuta per lo più sotto il nome di Moenchia erecta Smith, Lerastium vtscosum L. E comune sui monti di Porretta fra I’ erba. Lo rac- coisi io giugno ne prati alti vicini a Lovajola, nelle ripe del Rio Cavo , nei la SiA*lS°8LdJ i* dd Maggiore e sopra il paese delle Capanne. La vauetà 0. Bertol. rinvenni nei viottoli dei Munchini vicino al bagno. Piante spontanee dei monti porrettani 191 Cerastium vulgatum L. È specie molto vicina all’ altra, la raccolsi sul Sasso Cardo vicinissimo al Vulcanetto , e ne’ prati sotto il Greppo alla fine di maggio. Cerasti™ repens L. Cresce fra 1’ erba ne’ luoghi pingui , ed umidi lungo i viottoli , e nelle sponde dei rivi. Lo raccolsi in pieno fiore nel versante occi¬ dentale del Granagliene alle ripe del Rio Maggiore. Cerastt™ arvense L. Pianta comune sui monti , dove fiorisce d’ estate. Pre¬ dilige i luoghi mancanti di vegetazione: lo raccolsi vicino alia cima del Gra¬ nagliene, e nelle ripe del Rio Maggiore più alto del Canal Buia in fiore alla fine di giugno. Polycarpon tetrapyllum L. È non raro lungo i viottoli ; lo raccolsi ne’ luo¬ ghi erbosi e sassosi delle ripe del Rio Maggiore nella stale. Spergola saginoides L. Ne’ primi di luglio fiorisce ne’ luoghi sterili , e sco¬ perti in alto fra il Cavallo ed il Granaglione, donde ne raccolsi esemplari. E una piccola erba, che pochissimo si alza da terra. FAM. L1NAGEE. Radiola linoides L. Piccolissima pianticina, che difficilmente si scorge dove nasce. Trovasi al limite delle selvette sulla terra sciolta, sabbiosa, umida e poco fertile. La trovai e raccolsi nel versante occidentale del Granagliene alla fine di giugno in pieno sviluppo. Linum angustifolium Huds. Specie non frequente ne’ prati dei monti porrettani ; ne raccolsi nella seconda metà del maggio esemplari non perfettamente fioriti nel luogo detto i Munchini lateralmente al Sasso Cardo. Lm™ catharticum L. Pianta molto comune ne’ prati fra le erbe dei monti sino alla regione del Faggio. In giugno e luglio è nel perfetto suo sviluppo; raccolsi esemplari in fiore e frutto nelle ripe erbose del Rio Cavo , attorno ai Campi di Lustrola , sopra il paese delle Capanne, e lungo il Rio Maggiore. Lw™ viscosum L. É molto meno frequente dell’ altro ne’ luoghi erbosi. Il suo bel fiore, grande, violaceo spicca fra il verde. Lo raccolsi lungo le ripe del Rio Maggiore alla fine di giugno. FAM. MALVACEE. Malva alcea L. Si incontra di frequente ne’ boschetti radi dei monti. Alla fine di giugno adorna quà e là coi suoi bei fiori le ripe del Rio Maggiore, le piaggie del Monte della Croce, la Costa della Serra, ed altri luoghi, dai quali ne trassi esemplari. Malva sylvestris L. Nei dintorni della Porretta questa salubre erba è meno frequente che a Bologna. Predilige gli orti, i luoghi pingui, il margine delle strade; ne raccolsi lungo la via che conduce alla Porretta Vecchia. Malva ahheoides W. Nella fine di giugno è in pieno fiore: la raccolsi nel versante occidentale del Granaglione, e ne ebbi esemplari dalla Costa della Serra. FAM. TIGLIACEE. 192 Giuseppe Bertoloni pingui. Lo osservai fra i dirupi soprastanti al bagno delle Donzelle , ne trassi esemplari dai dintorni dei campi di Lustrola,e d in alto lungo le ripe del Rio Maggiore. FAM. IPERIC1NEE. Hypericuk perforatimi L. Specie comunissima ne’ monti porrettani , come altrove. Alla fine di giugno ed ai primi di luglio vi è in pieno fiore. L’ ebbi dal monte di Capugnano, lo raccolsi sul Monte della Croce poco sopra le Don¬ zelle, nelle ripe del Rio Maggiore, e nell’ alveo del Reno. É pianta medicata , e balsamica. Hypehicuk quadrangulum L. Lo rinvenni nel versante occidentale del Gra¬ nagliene un poco più alto della ripa destra del Rio Maggiore , dove una sor¬ gente d’ acqua impaluda dando sviluppo nelle sue melme sommerse ad alcune specie palustri. Al margine era un cespo di detta pianta non fiorita ancora. Hypericuh humifusum L. Specie piuttosto rara sopra questi monti. Alla fine di giugno vi fiorisce, ne trassi esemplari dal versante occidentale del Granagliene. Hypericuk kirsutum L. Non è raro ne’ monti porrettani. Vi fiorisce alla fine di luglio, e lo raccolsi spi Monte della Croce. Hypebicdm montanum L. E comune quà e là ne’ boschi di Castagno prin¬ cipalmente. Vi fiorisce tra giugno e luglio. Ogni stelo trovasi isolalo. Ne rac¬ colsi esemplari vicino alla foce fra il Cavallo , ed il Granaglione , attorno ai campi di Lustrola, nell’ alveo del Rio Maggiore sopra al Canal Cavo, vicina alla cima del Granaglione, e sul Monte della Croce. FAM. ACEREE. Acer Opalus Mill. Alberetto di bella foglia , che cresce non raro attorno al paese di Porretta. Ne raccolsi esemplari lungo il Rio Maggiore , sul Monte della Croce fra i dirupi di macigno poco sopra il Bagno delle Donzelle, nel versante occidentale del Granaglione, ed in alto sopra il Canal Buja. Acer campestre L. Cresce spontaneo nei dirupi occidentali del Monte della Croce , ed in altre località, ma ancora si coltiva quest’ albero ne’ campi di Por- retta per maritarvi la vite, come si pratica in altri monti bolognesi. FAM. GERANI ACEE. Erodhjm cicutarium V Her. Erba comune, che si osserva ne’ luoghi freschi fra le rupi. La raccolsi alla fine di Aprile in semente sul poggio di Capu - gnano, e fra i macigni del Sasso Cardo vicino al vulcanetto. Geraniuh nodosum L. Pianta erbacea frequente ne’ luoghi semiombrosi e freschi. L.’ ebbi dalla Costa della Serra, la raccolsi sulle ripe del Rio Cavo già quasi sfiorita alla fine di giugno, e dalle ripe del Rio Maggiore. Geranium molle L. È comunissimo ne' prati freschi, e pingui, ai margini delle strade, e fra i dirupi semiombrosi. Fiorisce dall’ aprile al giugno. Lo rac¬ colsi fra le rupi del Sasso Cardo , e del Monte della Croce. Piante spontanee dei monti porAéttani 193 Geranium dissectum L. Altra specie che ama i luoghi pingui, e freschi. Vi fiorisce in aprile. La raccolsi dalle rupi superiori alle terme del Leone, e nelle selvette ombrose, e prati delle vicinanze dei Munchini. Geranium Roberti anum L. È pianta più grande delle già nominate apparte¬ nenti al genere Geranio : predilige i luoghi freschi e di terriccio buono. Fio¬ risce in aprile. È frequente sul Sasso Cardo , e nel luogo detto i Munchini , fra i dirupi del Monte della Croce poco sopra il bagno delle Donzelle , nelle rupi del Canal Cavo, da’ quali luoghi tutti io la raccolsi, ma l’ebbi ancora dalle vicinanze del paese di Granaglione. FAM. OSSALIDACEE. Oxalis Acetosella L. Molto in alto nelle ripe del Rio Maggiore, dove finisce il Castagno e comincia la selva di Faggio nel terriccio de’ tronchi fradici del- l’uno e dell’altro albero cresce questa pianta, la cui erba è sapida, disse¬ tante, rinfrescativa. Fiorisce in giugno, ma non vi è così comune come nei più alti boschi di Belvedere. FAM. DIOSMACEE. Dictamnus albus L. Questa pianta, che si adorna di un bellissimo fiore, è co¬ mune ne’ boschetti di Querciuali che stanno alla base orientale delle colline poste lungo la strada rotabile fra il Seia e la Porretta. Il Sig. Demetrio Loren- zini farmacista, cultore della botanica mi indicò dette colline, e mi vi condusse a raccoglierne. Io le indicai al Beccari, che subito si partì da Bologna per ve¬ dere cotal pianta in fiore , spontanea , e ne trasse esemplari. Questo è vero amore di scienza, il quale oggi lo trasporta all’ inospitale isola di Borneo. La Frassinella è pregevole per adornare i giardini. Lo stelo suo tutto quanto è coperto di glandole secernenti un aroma volatile, graveolente, che nelle gior¬ nate più calde della state costituisce un’ atmosfera attorno alla pianta infiam¬ mabile coll’ appressarvi un lume. FAM. CELASTRINEE. Evonymus europaeus L. Comune è V arbusto Fusano dei Bolognesi nelle siepi , e ne' boschetti vicini alla Porretta. Ne raccolsi esemplari sul Sasso Cardo sotto il Greppo , lungo la strada fra il Seia ed il paese , e nelle selvette orientali vicine al luogo detto i Munchini . Vi fiorisce alla fine di maggio, il suo legno serve per fare li steccadenti. Evonymus latifolius Scop. Questa specie più grande della precedente è assai rara nei monti porrettani. La rinvenni in una sola località elevata della regione del Faggio lungo il Rio Maggiore vicino alla Cascata in un luogo ombroso ed opaco. Vi fioriva alla fine di giugno. FAM. AGRIFOGLIACEE. Ilex Aquifolium L. Bellissimo alberetto sempreverde a foglia lucida, acuta¬ mente spinosa, e coi frutti del colore di un rosso vivo di corallo. È spontaneo lungo il Rio Maggiore prima del Canal Cavo sul poggio della strada. 11 suo t. iv. 25 194 Giuseppe Bertolonì legno è bianco, durissimo, serve per filettare gli intarsi. J frutti sono mangiati dagli uccelli, ed il nocciuolo abbroslolito serve per imitare il caffè. FAM. PAP1LIONACEE. Ononis Natrix L. /?. Berlo). Fiorisce ne’ primi giorni di luglio , ed è co¬ mune nell’ alveo del Reno nelle vicinanze della Porrelta. Ononis spinosa L. Altra specie anche più comune della prima. Raccoglievo esemplari di Bulimache in fiore alla fine di giugoo ed in luglio sulla cima del Granaglione all’ occidente , sul Monte della Croce ne’ querceti sterili , e nel- r alveo del Reno. Le sue radici lunghe, e profonde, tenacissime hanno credito di diuretiche. La puntura de’ suoi spini riesce assai molesta. Sparthjm junceum L. Volgarmente in Italia quesla pianta appellasi Ginestra. Ne’ monti e colli porreltani è molto più rara che in quelli vicini alla pianura. 1 suoi rami sono tenacissimi e servono come i giunchi , ed i vimini per legare ; macerati danno un buon tiglio, e fortissimo. Fioriva alla fine di maggio all’ oc¬ cidente sotto il Monte della Croce; il fiore è assai odoroso nel primo mattino. Spartium scoparium L. Nei nominati monti mostrasi comunissimo per ogni dove a diverse elevatezze. Vi fiorisce alla fine di maggio. Serve come la prima per fare granate o scope , e per legare invece de’ vimini. Ne raccolsi esemplari dall’ alveo del Reno , dalle ripe del Rio Maggiore sopra il Canal Buja , nelle selvette attorno al paese, e dai dirupi occidentali sotto la cima del Monte della Croce. Quando è in pieno fiore, adorna molto la selva. Genista pilosa L. Arbuslino di fusto tenace, che si sdraja anche sulla terra nelle ripe de’ canali , e tra i sassi. Fiorisce in maggio , ed è carico di pelosi piccoli legumi in giugno ; ne raccolsi esemplari in questo stalo all’ occidente del Rio CavOj ed in fiore in aprile e maggio lungo la strada, che dal paese conduce alla Porretta vecchia , sulla cima del Monte della Croce , e sotto la stessa più in basso , non che sul Granaglione ne’ luoghi scoperti , sterili , e soleggiati. Genista tinctoria L. Comune per tutti i monti è questa pianta nota ai cam¬ pagnoli sotto il nome di Corniola o Coroniola. Serve ai tintori per tinge¬ re in giallo e poi in verde. Le reggitrici delle famiglie coloniche la raccoL gooo per proprio uso, ma vi è chi fa il mestiere di raccoglierla all’ epoca circa della fioritura in grande per ismerciarla ai tintori legata in fasci , e ben disseccata. Predilige crescere ne’ boschi radi, e ne’ prati selvosi non più alto della regione del Castagno. La raccolsi in pieno fiore alla fine di giugno, e di luglio sul Monte della Croce fra i Querceti, attorno ai Campi di Luslrola, e Ira le rupi sopra le terme del Leone. Cytisds Laburnum L. Questo bell’ alberello fiorisce in maggio con lunghi e pendenti grappoli di fiori gialli. Volgarmente si appella il Maggio. Non è tanto frequente nelle parti basse de’ monti porreltani come nei nostri colli. Ne trassi esemplari dai Iato occidentale del Monte della Croce poco sotto la cima. Il suo legno è verdognolo, duro, e può servire per lavori di tornio, co¬ me manichi, e simili. Cmsus alpinus Mill. É piuttosto raro nella parte alta dei nominati monti, Piante spontanee dei monti porrettani 195 lo raccolsi fra le due cime del Cavallo nei dirupi di macigno ai primi di lu¬ glio, dove era già in frutto. É alberello che ha il portamento dell’ altro. Cytisus sessilifolius L. Piccolo arbusto comune principalmente nelle basi dei monti porrettani , ma lo rinvenni ancora a media elevatezza. Ne raccolsi esemplari nelle siepi, e selvetle vicine ai Munchini ed attorno ai campi del paese delle Capanne. Vi fiorisce in • maggio. Cytisus prostralus Scop. Rinvenni e raccolsi questo arbusto sdrajato nella base delle colline lungo la strada fra il Seia , e la Porretta quasi del tutto sfiorito ed in fruttificazione nella seconda metà di maggio. Anthyllis Vulneraria L. Erba che cresce ne’ poggi anche sterilì. La raccolsi ne5 Querceti radi e sterili sopra il Monte della Croce , e nel versante meridio¬ nale del Granaglione all’ elevatezza dei Campi di Luslrola. Vi fiorisce in giugno, e luglio. Qualche agricoltore Marchigiano propone la coltivazione di questa leguminosa per foraggio. Medicago lupulina L. Erba frequente anche ne’ terreni sterili , sui quali si sdraja col suo caspetto. Ne trassi esemplari fra il Cavallo ed il Granaglione nella foce, nel Rio Cavo, nello sterile Poggio di Capugnano vicino alla Cà Grande e nel versante occidentale del Granaglione. Vi fioriva in aprile, e vi era in fruito di giugno e luglio. Medicago orbicularis All. La raccolsi alla base occidentale del Monte della Croce poco sopra le terme lungo il Rio Maggiore, in fiore e frullo nella se¬ conda metà di Maggio. Medicago denlicalata W. sotto il Sasso Cardo è comune questa erba, ne raccolsi esemplari dai prati , e strade dei Munchini già in fruito nella seconda metà di maggio. Melilotus vulgaris W. É comune nell’ alveo del Reno vicino al paese, come ancora sulle ripe del Rio Maggiore ; dai quali luoghi lo raccolsi i primi giorni di luglio in pieno fiore. I Bolognesi appellano questa pianta come altre dello stesso genere Tirabue per cagione della lunghissima radice non strappabile dal dente. Trifolium pratense L. 11 Trifoglio de’ prati non si rinviene tanto spontaneo per ogni dove alla Torretta come nelle vicinanze di Bologna. Era in pieno fiore nella seconda metà del maggio ne’ prati e luoghi erbosi dei Munchini, donde trassi esemplari , ma lo osservai ancora nell’ alveo del Reno, ed altrove. Trifolium medium L. É comune in questi monti sui poggi e luoghi erbosi, ne’ quali si estende; lo raccolsi attorno ai campi di Luslrola alla fine di giu¬ gno in pieno fiore. Trifolium ochroleucum L. Fiorisce in luglio su que’ monti. Lo ebbi dal Gra¬ naglione, ed io lo raccolsi nella sommità occidentale del medesimo, ed in basso nelle ripe ed alveo del Reno, e sul Sasso Cardo e dai prati dei Munchini . Fiorisce dal maggio al loglio ,in questi luoghi inferiori. Trifolium incarnalum L. É comune ne’ prati, e luoghi erbosi dei monti porrettani, ne’ quali a prima vista si scorge ne' mesi di aprile e maggio pei suoi fiori rossoincarnati. Lo raccolsi da luoghi erbosi dei Munchini , e da altre adiacenze del Sasso Cardo . Trifolium arvense L. Trovasi spontaneo nel Granaglione principalmente al margine de’ campi , e delle strade. Lo ebbi dal Raggioledo Ruina della Piarea. Trifolium slriatum L. Non è rara sul Granaglione questa pianta, e ne rac¬ colsi esemplari in seme alla fine di giugno attorno ai Campi di Lustrola. 196 Giuseppe Bertoloni Trifolium fragiferum L. Anche questa specie é non rara nelle vicinanze di Porretta. La raccolsi in fiore nel luglio dall’ alveo del Reno , ed in maggio nelle sponde terrose del piccolo rio superiore ai Munchini. Trifolium montanum L. È piuttosto raro in detti monti. Nasce isolato nelle piaggie scoperte; lo raccolsi alle basi orientali delle colline poste fra il Seia e Porretta in fiore nella seconda metà del maggio. Trifolium repens L. Piccola erba, che si estende sulla terra. La raccolsi in fiore dall’ alveo del Reno nella prima metà di luglio ed alla fine di giugno nel Rio Cavo. Trifolium caespitosum Reyn. Predilige crescere fra i sassi : lo raccolsi in alto fra i monti Cavallo e Granaglione nella foce, dove fioriva i primi giorni di luglio. Costituisce un9 erba assai fitta e raccorciata al suolo. Trifolium procumbens L. É specie comunissima ne’ luoghi erbosi. In maggio fiorisce su que’ monti. Lo raccolsi alla base meridionale del Sasso Cardo I. d. P Orto sopra il Ragno , sotto il Monte della Crocè T ne’ prati dei Munchini , ed in giugno in semente dai campi di Lustrola. Trifolium elegans Sav. Lo incontrai alP occidente del Granaglione ne’ luoghi erbosi delle ripe del Rio Cavo. Dorycnium herbaceum Vili. Mostrasi frequente ne’ luoghi erbosi , e scoperti. Lo raccolsi in fiore fra i querceti sterili sopra il Monte della Croce, e dall’ al¬ veo del Reno vicino alla Botta Capponi. Lotus corniculatus L. Specie comunissitina nel Porrettano per ogni dove. Vi fiorisce di estate. Ricuopre col suo caspo largamente il terreno, sul quale si sdraja, ed adorna de’ suoi fiori gialli. La raccolsi in luglio dall’ alveo del Reno nelle vicinanze del paese, ed alla fine di maggio ne’ prati dei Munchini. Tribù Galegee. Galega officinalis L. Pianta comune de’ luoghi freschi ed umidi. É legumi¬ nosa rifiutata dal bestiame, e perciò buona per lettiera. La raccolsi di svi¬ luppo grandissimo sotto il Monte della Croce nella seconda metà di maggio non ancora fiorita, ed ai primi di luglio in fiore sopra la terma del Leone . Astragalus purpureus Lam. Trovasi molto in alto sopra questi monti. Lo raccolsi alla fine di giugno in frutto dai greppi lungo il Rio Maggiore sotto il Cavallo, dai greppi delle vicinanze della cima del Granaglione, e sopra la re¬ gione del bosco nello stesso monte. Astragalus monspessulanus L. È comunissimo in basso sugli stessi monti. Vi fiorisce in aprile, e maggio. Lo raccolsi dal Poggio sterile di Capugnano , sul Sasso Cardo, ed al margine della strada, che dal Seia conduce alla Porretta. Astragalus Glyciphillus L. Specie che si espande sul terreno col caule sdra- jato. Si trova alla base ed anche abbastanza in alto di questi monti porrettani. Lo raccolsi lungo il Rio Maggiore in luogo basso, ombroso, e fresco in pieno imtfr / fine giu800’ ed in frult0 ne,,a slessa st»giooe dagli alti campi di Tribù Vicieb. Piante spontanee dei monti porrettani 197 Ervum hirsutum L. var. leiocarpon Moris. Nella fine di giugno deli’ estate passata lo trovai assieme al Beccari nel'versante occidentale del Granaglione poco in alto e pieno di frutti quasi maturi. Vicia hybrida L. La raccolsi in frutto alla fine di giugno nel versante set¬ tentrionale del Granaglione dagli alti Campi di Luslrola. Vicia cassubica L. É piuttosto rara, come la precedente, attorno ai Campi di Lustrola ; alla fine di giugno ve la raccolsi in fiore. Vicia Gerardi Vili. Specie assai comune sui monti porrettani. La raccolsi alla fine di giugno ne’ luoghi erbosi e scoperti in pieno fiore lungo il Rio Maggiore , attorno ai Campi di Luslrola , ed attorno ai coltivati inferiori al Ca¬ vallo, ed alla cima del Granaglione. Vicia grandiflora Scop. Non è tanto comune ne* monti porrettani come nei boschetti dei colli bolognesi. Ne raccolsi esemplari in fiore nella base setten¬ trionale del Monte della Croce nella seconda metà di maggio, ed alla fine del giugno nelle sei vette ombrose più in alto lungo il Rio Maggiore , Vicia saliva L. È comune attorno ai coltivati di Porretta. Ne raccolsi alla fine di aprile sul Sasso Cardo, e nel luogo detto i Munchini in frutto. Vicia hirta Pers. È pure non rara ne’ luoghi erbosi, e ne’ boschetti radi delle vicinanze del paese. Ne trassi esemplari dal Sasso Cardo nel luogo detto i Munchini alla fine di aprile in pieno fiore. Vicia Ervilia L. È comune nelle vicinanze dei coltivati di Porretta. Nella seconda metà di maggio ne raccolsi esemplari in fiore da luoghi erbosi dei Munchini ; ma opino che si sia resa selvatica dalle sementi sfuggite dai campi , ne’ quali i così detti Vezzi dei Bolognesi si coltivano. Lathyrus Aphaca L. Comune è la Grapella de’ bolognesi ne’ campi di Por- retta, ne trassi esemplari in frutto alla fine di giugno dal versante occidentale del Granaglione. Lathyrus pratensis L. Nella seconda metà di maggio lo raccolsi in fiore dai prati, e luoghi erbosi dei Munchini, ma è comune assai anche altrove. Lathyrus Cicero L. Le Cicerchie si coltivano, e più si coltivavano in passato ne’ campi di Porretta. Ne’ prati e luoghi erbosi dei Munchini nel maggio inol¬ trato raccolsi esemplari spontanei in fiore, ma dubito che sieno effetto delle sementi sfuggite dalle coltivazioni. Orobus variegatus Tenor. È non raro ne’ boschetti radi. Lo raccolsi in fiore nel versante occidentale del Monte della Croce nella seconda metà del maggio, e nelle ripe del Rio Maggiore poco sopra al paese. Orobus niger L. È comune nelle parti inferiori di questi monti. Ne trassi esemplari da luoghi erbosi e selvosi inferiori ai Munchini nella seconda metà di maggio in pieno fiore. Tribù Edisaree. Coronilla varia L. Specie comune in basso ed in alto in questi monti. Vi fiorisce di giugno e luglio. La raccolsi dall’ alveo del Reno attorno agli orti confinanti col medesimo, lungo il Rio Maggiore, e n e’ Campi di Lustrola. Athrolobiuh scorpioides Desv. È comune ne’ prati sterili dei Munchini, e ne’ luoghi poco erbosi del Sasso Cardo. Vi fiorisce nella seconda metà del maggio. 198 Giuseppe Bertoloni Onobrychis $ativa Lam. Ne9 luoghi coltivati de9 Monchini cresce spontaneo forse perchè è lo avanzo di anteriori coltivazioni del medesimo. I Bolognesi l9 ap¬ pellano Lupinella, ed è un eccellente foraggio. Vi fiorisce nella seconda metà del maggio. FAM. ROSACEE. Tribù Amiddalee. Prunus institia L. Arbusto frequente nelle selvette, e siepi della parte infe¬ riore di questi monti. Ne staccai esemplari che cominciavano a guernirsi di foglie nella seconda metà di aprile sul Sasso Cardo sotto il greppo vicino al vulcano, e perfettamente fogliosi alla fine di giugno sul Monte della Croce poco sopra il bagno delle Donzelle. Prunus spinosa L. Arbusto spinoso comune tanto in alto che in basso su questi monti. Ne tolsi rametti non ancora guerniti di foglie nè di fiori nella seconda metà di aprile dagli alti campi di Lustrala , ed in pieno fiore più in basso sul Monte della Croce del 1846. I frutti sono astringenti ed acidi. Sono mangiati maturi freschi, ma più disseccati. Servono per fare la conserva di Diapruno. Prunus domestica L. Le susine domestiche principalmente nere si coltivano ne9 campi porrettani. Prunus Cerasus a L. li Ciliegio salvatico è non raro tanto in alto che in basso su questi monti. Nella seconda metà di maggio staccai rami fogliosi da alberetti cresciuti nella base occidentale del Monte della Croce fra i dirupi di macigno, e nella fine di giugno ne staccai lungo il Rio Maggiore in alto sotto il Cavallo. In alcune villette del Granagliene si coltivano molto le Ciliege, e di molte varietà , non escluse le Marrasche ; e tanto vi prosperano bene che io suggerirei ai proprietari di estendere molto questa coltivazione allo scopo di produrre Kirscen , come fa la Svizzera pel commercio ; inoltre oggi vi si potrebbero introdurre le coltivazioni delle migliori e più grosse ciliege di Fi¬ renze, e di Bologna perchè vi maturerebbero in stagione tardissima quando le vicinanze delle città non ne danno più, e dove colla facilità del trasporto si possono far pervenire : per Io che tale industria della parte alta de9 monti por- rettam avrebbe certamente un buon risultato anche per questa parte. Tribù Spiree. Svuaba Arimcus L. Abita i luoghi folti in alto lungo il Rio Maggiore , e boschi adiacenti di Faggi, dai quali presi esemplari in fiore nella fine di giugno. Ne ottenni anche dalle vicinanze del paese di Granaglione. È una bella pianta da adornamento anche pei giardini, poiché si acclimatizza e vive quindi in basso. Tribù Driadee. Geum urbanum L. Si trova ne9 luoghi ombrosi, ne9 boschi , lungo le stra- de e e siepi. Raccolsi esemplari della Cariofillata già sfioriti alla fine di giu¬ gno dal versante occidentale del Granaglione da luogo poco inferiore alla sua hól'n T\f° n „*$*?*> non che dal Monte della Croce poco sopra il bagno delle Donzelle. Rmviensi anche in basso. Piante spontanee dei monti porrettani 199 Rubus idaeus L. II Lampone non mollo comune sul Granaglione , ed altri monti porrettani , è comunissimo ne' gioghi più alti , e che succedono subito a quelli di Porretta. Dai monti toscani principalmente vengono còlti e traspor¬ tati tutti que’ mollissimi frutti di cotal pianta, che si commerciano in Porretta allo scopo principalmente di confezionarne le conserve rinfrescalive. Io ne rac¬ colsi esemplari dalle ripe terrose, e mal ferme del Canal Buja salendo verso il Cavallo, e lo osservavo nelle ripe del Canal Cavo, ed in vari altri luoghi. Più in basso non trovasi. Rubus tomentosus Borckh. E specie assai comune sul Granaglione e monti adiacenti tanto in basso che in alto. Lo raccolsi in fiore alla fine di giugno fra i macigni del Monte della Croce , e dalle vicinanze de’ campi del paese di Granaglione. Trovai ancora non rara la varietà §. di mio padre nelle vicinanze de’ Campi di Lustrola , dalle quali tolsi esemplari io fiore alla fine dello stes¬ so mese. Rubus glandulosus W. Anche questa pianta è comnne in basso ed in alto dei monti summentovati. Nella fine di giugno era appena sfiorita nel versante oc¬ cidentale del Monte della Croce , e lungo il Rio Maggiore vicino al Rio Cavo, da’ quali luoghi trassi esemplari. II suo frutto è saporitissimo, e gustoso più delle more prodotte dal R. frutiscosus delle colline bolognesi. Fragaria vesca L. Comunissima è la Fragola ne’ boschetti radi, e ne’ prati alti del Granaglione , e monti adiacenti. La raccolsi nelle ripe del Rio Mag¬ giore, dove alla fine di giugno aveva già i frutti maturi, ed in fiore nella se¬ conda metà del maggio dal versante occidentale del Monte della Croce. Nei monti più alti però le fragole maturano in luglio ed anche in agosto, ed in molta quantità si trasportano in ceste alla Porretta in estate, dove si com¬ merciano. In parte si consumano in paese , in parte si spediscono alle città. Potentilla recta L. Specie comune. La raccolsi sul Sasso Cardo coi fiori in boccia nella seconda metà di maggio. Potentilla reptans L. Pianta infestante i terreni, comunissima ne’ monti e nelle pianure. Difficilissimo è lo estirparla dai coltivati degli orti; frequente la scorgi per ogni dove nelle vicinanze della Porretta lungo le strade, ne’ prati, ed al limite de7 coltivati. Ne raccolsi esemplari anche in alto sotto il Cavallo a Lovajola, e lungo il Rio Maggiore. Potentilla Fragariastrum Ehrh. Pianticella, che si incontra di frequente so¬ pra questi monti. La raccolsi in aprile dal Monte della Croce in fiore, e dalla parte più alta del versante settentrionale de’ castagneti di Granaglione, non che in alto lungo il Rio Maggiore alla fine di giugno. Tormentala erecta L. Specie non molto comune sui monti porrettani. La raccolsi alla fine di giugno in pieno fiore nel versante occidentale del Grana¬ glione piuttosto in alto. Agrimonia Eupatorio L. La osservai in vari luoghi di questi monti. Era in pieno fiore alla fine di giugno sotto il Cavallo a Lovajola, donde raccolsi esemplari. Tribù Sanguisorbee. Alchemilla vulgaris L. Si rinviene non di frequente fra i dirupi più alti del Granaglione. Nella fine di giugno ed in luglio vi era in pieno fiore. Ne trassi esemplari dalla cima di detto monte, dai suoi versanti occidentale, e me¬ ridionale subito sotto la cima; più in basso non la rinvenni. 200 Giuseppe Bertoloni Poteri»* Sanguisorba L. La Pimpinella è pianta comune nei dirupi terrosi, ed argillosi. Alla line di giugno la raccolsi in fiore poco sotto la cima del Granagliene all* occidente , ed in maggio sul Sasso Cardo . Tribù Rosee. Rosa canina L. Le Paterlenghe sono comuni in questi monti , come più in basso, nelle siepi, ne’ boschetti radi, e per ogni dove. Ne trassi esemplari in frutto dal Monte della Croce fra i dirupi superiori alle Donzelle, e dalla sommità occidentale del Granaglione alla fine di giugno, e dai Campi delle Ca¬ panne nella seconda metà di luglio, in fiore lungo il Rio Maggiore alla stessa epoca, ma più in alto. Rosa pomifera Smith. Alla fine di giugno anche questa specie era già in frutto nei dintorni dei campi di Lustrola, e sul Monte della Croce fra le rupi di macigno soprapposte al Bagno delle Donzelle, e lungo il Rio Maggiore, dalle quali località cavai esemplari. Tribù Pomifere. Crataegus Oxyacantha L. Lo Spino Bianco de’ Bolognesi è comune alla Porretla e ne’ suoi monti. Vi fiorisce nella seconda metà di maggio. Lo rac¬ colsi dalla base occidentale del Monte della Croce, e dai luoghi sterili del Sasso Cardo. Vedesi frequente nelle siepi. Crataegus Aria L. Albero anche assai grande quando cresce nel terreno profondo, e pingue. Per lo più sui nostri monti, eccettuali quelli di Castiglione de* Pepali, si incontra meschino, e ridotto ad arbusto nelle fessure, e dirupi del macigno, fra’ quali profonda la sua radice. Lo raccolsi dai dirupi occidentali della cima del Granaglione, da quelli che stanno fra il Cavallo e la Piella , dalle macchiette dei Campi di Lustrola, dalle alte ripe sassose dei Rio Mag¬ giore, ed anche lo ebbi da altra località del Granaglione. Pyrus communis L. 11 Pero salvatico è comune assai ne’ luoghi scoperti ed assolati di questi monti. Ne trassi esemplari dal Sasso Cardo, e da’ luoghi sterili di quelle vicinanze ricoperte da terreni alluminosi, tenaci, e duri. Pyrus Malus L. Osservavo questa specie nelle siepi di qualche località, Il Pomo coltivasi nelle ville di Porretla. Pyrus crataegifolia Ott. Targ. L’ebbi dal monte di Granaglione, ma non mi fu precisata la località. Negli altri monti bolognesi è piuttosto raro. Io lo ritrovai sul monte Mariano vicino al Sasso pendente dalle rupi di macigno, nelle fessure del quale aveva impiantata la radice. Pyrus Sorbus Gaert. Gli alberi di Sorbo si trovano sparsi quà e là sui monti Porrettani , come nei monti inferiori. Ne trassi esemplari dal Monte della Croce. FAM. OMAGRARIE. Tribù Epilobiee. Epilobio* angustifolium L. Cresce questa bellissima pianta ne' luoghi freschi , ed alti dei monti. I suoi splendenti fiori la fanno degna di essere coltivata nei giardini delle città, ma poco vi prospera perchè predilige i luoghi elevati. Non Piante spontanee dei monti porrettani 201 si osserva frequente sui monti di Porretta, la raccolsi soltanto all’oriente dei Campi di Lustrola in pieno fiore alla fine di giugno. Epilobium augustissimum W. Distinta è questa pianta dalla precedente, colla quale alle volte trovasi assieme nelle stesse località alte de’ monti. Dessa discen¬ de lungo i torrenti sino agli alvei de’ fiumi inferiori , ma l’ altra mai rinvenni in basso. La raccolsi dalle ripe de’ torrenti , e del Reno in pieno fiore, dove osservasi comune alla fine di giugno. Discende nel fiume sino a Pontecchio. Epilobium parviflorum Smith. È non raro nell* alveo del Reno ai confini degli orti , e de’ canali irrigatori de’ medesimi , non che nelle ripe ed alveo sassoso del Rio Maggiore. Da questa località trassi gli esemplari. Epilobium montanum L. Specie più piccola, ma assai più comune delle tre precedenti. Fiorisce in estate. Raccolsi esemplari dal versante occidentale del Granaglione lungo il Rio Maggiore , dall’ alveo e ripe del Rio Cavo , e del Canal Buja in pieno fiore alla fine di giugno, e da altre località alte dello stesso monte. Tribù Circer. Gircea luteliana L. Predilige i luoghi ombrosi e freschi. La raccolsi in pieno fiore lungo il Rio Maggiore nel versante occidentale del Granaglione. FAM. L1TRAR1E. Loythrum Salicaria L. Trovasi ne’ luoghi umidi delle ripe dei torrenti , e del Reno. Lo trassi in pieno fiore alla fine di giugno dal versante occidentale del Granaglione , dove una ricca sorgente d'acqua impaluda, e dalle ripe del 'Rio Maggiore. FAM. CUCURB1TACEE. Bryonia dioica Jacq. Era già in frutto alla fine di giugno fra le rupi om¬ brose del macigno sotto i \ Monte della Croce poco sopra il bagno delle Don¬ zelle, e più in alto lungo il Rio Maggiore la raccolsi in pieno fiore. FAM. CRASSULACEE. Sedum Telephium L. La Fava Grassa non è rara fra le rupi del Monte della Croce : la raccolsi vicino alla cava abbandonala del macigno, ed in fiore alla fine di giugno sotto lo stesso monte vicino al bagno delle Donzelle. Sedum rubens L. È meno frequente degli altri Sedum su questi monti. Alla fine di giugno lo raccolsi in fiore dalle rupi assolate del versante occidentale del Granaglione. Sedum monregalense Balb. Predilige i luoghi sassosi umidi , e freschi. Lo raccolsi in pieno fiore alla fine di giugno dalle macerie dei Campi di Lustrola al levante, e settentrione dei medesimi , nelle rupi dell’alveo del Rio Maggiore sopra il Canal Cavo, sulle rupi umide della parte alta del Granaglione, e so¬ pra quella del così detto Monte della Croce. Sedum album L. Nella fine di giugno io raccolsi in fiore dalle rupi del ver¬ sante occidentale del Granaglione , dove non è raro. 202 Giuseppe Bertoloni Sedum dasyphyllum L. Trovasi non raramente sulle rupi di questi monti, dove soffermasi poca terra. Lo raccolsi alla fine di giugno in pieno fiore sul Monte della Croce. Sedum gallioides La Tour. Alla fine di giugno era in fiore in questi monti. Cresce tra i sassi principalmente. Lo raccolsi sull' alto del Granagliene in luoghi diversi, freschi, ed umidi, e lungo il Rio Maggiore in vicinanza del Rio Cavo. Sedum albescens DeC. Osservasi in fiore alla fine di giugno sulle rupi della base del Granaglione. Lo raccolsi dalle rupi che soprastanno al Bagno delle Donzelle. Sedum sexangulare L. Di questo genere è la specie più comune ne’ monti porretlani. Cresce sopra le rupi, i muri, le macerie, dalle quali lo raccolsi in giugno ed in luglio in pieno fiore all’ occidente della cima del Granaglione , nelle ripe del Rio Maggiore sopra il Canal Buja, sulle rupi del Monte della Croce , che estesamente ricuopriva de’ suoi fiori gialli, nelle ripe sassose del Reno , e lo ebbi dalla Costa della Serra. Sedum saxatile Will. Lo ebbi dalla Costa della Serra già sfiorito nella state del 1847. FAM. SASSIFRAGEE. Saxifraga Aizoon Jacq. Non è tanto comune sopra i monti porrettani quanto ne’ più alti a questi successivi. La raccolsi itì fiore dalle fessure delle rupi nel versarne occidentale della cima del Granaglione, ed in alto lungo il Rio Maggiore dalle rupi delle ripe nella fine del giugno. Saxifraga cunei folla L. È pianta assai comune sul macigno del versante settentrionale del Granaglione , ed anche nella base del medesimo, perchè si incontra di frequente sul così detto Monte della Croce fra i muschi al calcio de’ castagni, dove fiorisce in aprile; alla fine di giugno poi ne trassi esem¬ plari già in frutto dalle ripe sassose della parte alta del Rio Maggiore nelle vicinanze del Rio Cavo ; dalla parte occidentale della cima del monte stesso, e sotto il Cavallo a Lovajola. Saxifraga tridactyliles L. Piccola piantina comunissima sui muri , sulle ma¬ cerie, e sulle rupi delle vicinanze del paese. La raccolsi in fiore alla fine di aprile sul Monte della Croce , e la osservavo comunissima sul lungo muro, che sostiene il poggio sopra la strada della Porretia Vecchia . Saxifraga rotundifolia L. Anche questa è specie non rara nelle località ter- roso-sassose , e fresche dei monti porrettani. Vi fiorisce in estate. La raccolsi dalle ripe del Rio Maggiore in luogo elevato sotto il Cavallo , ed in basso nel versante settentrionale del Monte della Croce , non che dalle posizioni inferiori al paese di Granaglione. Saxifraga bulbifera L. Cresce ne’ luoghi erbosi e ne’ prati. La raccolsi in fiore nella seconda metà del maggio dal versante settentrionale del Monte della Croce, poco sotto la cima. FAM. OMBRELLIFERE. Tribù Saniculee. Sanicula europaea L. Predilige le località de’ boschi folti umide, e fresche. Alla fine di giugno la raccolsi in fiore ne* boschi del versante occidentale del Granaglione, ed in quelli delle ripe del Rio Maqniore. Piante spontanee dei monti porrettani 203 Tribù Amminee. Aegopodium Podagraria L. E comunissimo ne’ luoghi ombrosi, freschi, ed umidi; lo raccolsi in fiore alla fine di giugno dai campi di Lustrola. Bunium Bulbocastanum L. Non è mollo comune ne’ luoghi terrosi elevati, ed anche attorno ai coltivati del Granagliene. Lo raccolsi io fiore e frutto nei prati di Lovajola sotto il Cavallo, e nel versante occidentale del Granaglione alla fine di giugno. Il suo bulbo, o castagna di terra, è comestibile, e di sa* pore gradevole. Pimpinella saxifraga L. 0. alpestri s Koch. Predilige nascere e crescere nelle fessure del macigno. La raccolsi in pieno fiore alla fine di giugno, ed in luglio sopra il paese delle Capanne, nel versante occidentale del Granaglione, dalle ripe del Rio Cavo , e poco sotto la cima di detto monte, non che fra il me* desimo ed il Cavallo. Tribù Seselinee. Oenanthe pimpinelloìdcs L. Non è rara ne’ prati e luoghi erbosi del Gra¬ naglione, e degli altri monti attigui; ne trassi esemplari in fiore alia fine di giugno dal versante occidentale del detto monte. àethusa Cynapium L. La Cicuta minore è specie velenosa, facilmente la sua erba si confonde col Prezzemolo. Trovasi ne’ coltivati del versante nord- est del Granaglione, la osservai pure comune ne’ Carnai di Lustrola, da’ quali la raccolsi in fiore alla fine di giugno. Nasce spontanea anche negli orti della pianura, dove si coltivano i Prezzemoli, per lo che più facilmente può mescolarsi a questi. Tribù Peucedanee. Selinuh venetum Spreng. È comune per tutti questi monti. Era in fiore alla fine del giugno fra le rupi all’ occidente della cima di Granaglione , e ne’ campi di Lustrola, da’ quali luoghi trassi esemplari. Peucedanum Cervaria Lap. Fiorisce alia fine di agosto: è comune ne* quer¬ ceti cedui della base de’ monti posti fra il Seia e la Porretta, da’ quali luoghi trassi esemplari. Heracleum Panaces L. Non si trova che in alto in questi monti. Ne rac¬ colsi esemplari in fiore alla fine di giugno dai dintorni dei Campi di Lustrola. Tordylium maximum L. Pianta non rara su questi monti. La raccolsi alla fine di giugno in fiore e frutto sul versante occidentale del Monte della Croce poco sopra il bagno delle Donzelle, e lo ebbi dalla Costa della Serra. Tordylhjm apulum L. È comunissimo priucipalmente ne’ coltivati dei versanti orientali soprapposti al paese ; ne raccolsi esemplari in fiore e frutto nel luogo detto P Orlo sopra il Bagno, e ne’ campi e luoghi erbosi dei Munchini nella seconda metà di Maggio. Tribù Daucinee. Daucus Carota L. È comune in tutti li prati , ed i Bolognesi V appellano Ricotta. Ne ebbi esemplari in fiore presi dai prati posti sotto il paese di Gra¬ naglione. 204 Giuseppe Beiitolonp Tribù Caugàlinee. Caucalis daucoides L. Fu raccolta in giugno dai campi di Porretta , dove era già in frutto. È infestante i coltivati. Turgenia latifolia Hoffoi. Anche questa specie trovasi ne’ coltivati , ed è in¬ festante. Fu raccolta in giugno di già in frutto nelle vicinanze del paese. Torylis Anlhriscus Gmel. Lo raccolsi in fiore ai primi di luglio vicino alle terme del Leone , e ne ebbi esemplari dalla Serra della Costa. Torylis heterophylla Guss. Trovasi nelle vicinanze di Porretta , dove fiorisce alla fine di giugno, ed in luglio; predilige i luoghi freschi attorno ai boschetti, e le siepi lungo le vie. Tribù Scamdicinee. Scandix Pecten Veneris L. Specie comunissima ne’ seminati , ai quali riesce infestante. Alla fine di Aprile era in fiore sul Sasso Cardo , e nella seconda metà di maggio era in frutto ai Munchini nei coltivati ed attorno ai medesimi , donde trassi esemplari. Chaerophyllum temulum L. Specie eomune ne’ luoghi freschi. Nella fine di giugno, e ne’ primi di luglio Jo raccolsi in frutto dai Campi di Lustrola, dai dirupi posti poco sopra il Bagno delle Donzelle, nell’ alveo del Reno, nel ver¬ sante occidentale del Gramghone e sopra il Monte della Croce. Chaerophyllum aurevm L. Non è raro ne’ luoghi pingui elevali , e ne’ luoghi sassosi, che arrestano terra leggera, vegetale, e fresca. Nella fine di giugno ne trassi esemplari in frutto tanto dai dintorni degli alti Campi di Lustrola , che dalle ripe sassose e fresche della parte alta del Rio Maggiore. Chaerophyllum hirsutum L. É più comune del precedente, e predilige le stesse località. Ne trassi esemplari dai contorni dei coltivati di Granaglione in fiore e frutto ai primi di giugno, dalle ripe del Rio Maggiore, ed attorno ai Campi di Lustrola. Tribù Smirnee. Conium maculatum L. Questa mile pianta medicinale, e velenosa cresce spon¬ tanea ne luoghi freschi, e pingui del paese delle Capanne. Ai primi di luglio ne raccolsi esemplari in fiore. In questi monti però è piuttosto rara. Da tutti è conosciuta col nome di Cicuta maggiore. FAM. ARAGL1ACEE. Hedera Helix L. È comune nelle vicinanze del paese, e su tutti i monti adiacenti, e sulle rupi che ricuopre. Ne trassi esemplari dal Monte della Croce . FAM. CORNACEE. Piànte spontanee dei monti porrettani 205 Cornus mas L. Il frutto di questa specie si porta a vendere alla Porretta sotto il nome di Cornioli , o Corniole. Ne raccolsi esemplari dal Sasso Cardo, e dal Poggio di Capugnano. FAM. LORANTACEE. Loranthus europaeus Jaq. 11 Vischio è parassito del Castagno. Nella parte più elevata della selva del Granagliene feci raccogliere dai Castagni esemplari della parassita in discorso il dì 24 di aprile del 1847 mentre non si era ancora adornata di foglie. Ma più che in questi monti infesta i Castagneti di monti da questi poco lontani, dai quali sì ritrae la sostanza per la fabbrica¬ zione o manipulazione del Vischio da caccia. FAM. CAPRIFOGLIACEE. Sambucus Ebulus L. È comune ne’ boschi, ne’ luoghi terrosi, pingui, umidi •e freschi. Fiorisce in giugno e luglio: lo ebbi dal Boggioledo Ruma della Piarea del Granaglione , lo osservai fra i dirupi sotto il Monte della Croce , ed altrove, e Io raccolsi nel versante occidentale dello stesso monte di Granaglione. Sawbuccs nigra L. Alberetto che osservasi nelle selvette fresche, e lungo le siepi ombrose. Ne trassi esemplari dal Monte della Croce, e dalle vicinanze del Vulcanetto sul Sasso Cardo. Il suo legno bianco è durissimo, buono da in¬ tarsio, perchè prende bel pulimento. Lo infuso del fiore disseccato è diaforetico, il decotto della scorza, e della foglia serve per detergere le piante, e gli abiti dagli insetti immondi, le bacche mature, come quelle della specie precedente, si adoperano per fare il così detto Roob. Viburnum Lontana L. II Cantano è arbusto di questi luoghi, come de* monti inferiori , e de" colli. Ne trassi esemplari col fiore in bottone e le foglie esor¬ dienti alla fine di aprile dal Monte della Croce, e fogliosi guerniti di frutti acerbi nella seconda metà del maggio dalla base dello stesso monte lungo il Rio Maggiore. Lonicera Caprifolium L. La Madreselva non è rara alle basi di tali monti. Quando è in fiore da lungi V olfato la riconosce dalla grata fragranza, che spande. Predilige crescere nelle selvette, e nelle siepi ombrose. La raccolsi fra le rupi di macigno del Monte della Croce poco sopra il bagno delle Donzelle, e sul Iato orientale del Sasso Cardo lungo la strada dell’ Orto sopra il Bagno in fiore nella seconda metà del maggio, ma seguita a fiorire anche più tardi. Lonicera Xylosteum L. Anche il Xilosteo era fra queste stesse rupi poco sopra il bagno delle Donzelle , donde lo raccolsi , ma Io osservavo altrove an¬ che più frequente della Madreselva. FAM. RUBIACEE. Tribù Stellate. Shkradia arvensis L. Erba che predilige i seminali, ed i prati radi. Fiorisce fra 1’ aprile ed il maggio. La raccolsi sulla cima del Sasso Cardo, ed attorno ai campi dei Munchini. 206 Giuseppe Bektoloni Galium Cruciatimi Scopol. Erba comunissima vicino alle rupi, ed ai cespu¬ gli ne’ luoghi poco soleggiali. La raccolsi in aprile coi fiore sul Sasso Cardo , ma la osservavo per ogni dove. Galium vernum Scopol. Specie assai vicina alla precedente, predilige le stesse posizioni, ma si trova anche più in allo. La raccolsi in fiore alla fine di mag¬ gio sotto il Monte della Croce , lungo le ripe del Rio Maggiore, sulla cima del Sasso Cardo, e sfiorita alla fine di giugno attorno ai Campi di Lustrola. Galium Aparine L. Trovasi ne’ luoghi erbosi, intricato ed attaccato alle erbe. Alla fine di giugno lo raccolsi dai Campi di Lustrola in frutto. Galium parmense L. Trovasi ne’ prati , e luoghi erbosi. Alla fine di giugno 10 raccolsi in fiore dal versante occidentale del Granaglione non molto in alto. Galium palustre L. È assai comune ne’ prati e luoghi erbosi umidi e freschi. 11 suo fiore bianco sebbene sia piccolo, pure spicca assai fra il verde delle erbe. Lo raccolsi nel versante occidentale del Granaglione , dove una sorgente d' a- cqua impaluda, in pieno fiore alla fine di giugno, e lo osservavo non raro sulle ripe erbose del Rio Maggiore. Galium verum L. Comunissima è questa specie ne’ prati. Lo raccolsi in fiore nella seconda metà del Maggio sotto il Monte della Croce in un praticello di esposizione meridionale, ma Io vedevo per ogni dove vicino al paese. Galiuh purpureum L. Anche questa specie è comune più o meno in alto nei monti porrettani. Vi fiorisce di giugno e luglio. Ne trassi esemplari già alla fine del luglio 1848 dai dintorni della Porretta Vecchia erborizzando as¬ sieme all’ Illustre Conte Don Giovanni Gozzadini , ne raccolsi pure dal versante occidentale del Granaglione alla fine di giugno, e la ebbi dalla Costa della Serra. Galium Mollugo L. Frequentissimo si incontra questo Galio sopra gli stessi monti ne’ luoghi erbosi , e semiombrosi. Alla fine di giugno ed in luglio ne raccolsi esemplari dalle ripe del Rio Cavo, da quelle del Rio Maggiore , dalle vicinanze del Canal Buja, dai dintorni dei campi di Granaglione , dal versante occidentale del monte dello stesso nome, e dal Monte della Croce . FAM. VALERIANEE. Vàlerianella mixta Dufr. Nasce ne’ luoghi erbosi, lungo le vie, vicino alle abitazioni. La raccolsi in maggio in pieno fiore lungo la strada fra la Porretta ed il Seia, ed alla fine di giugno in semente dal Monte della Croce , e dai Campi di Lustrola. Valeriana officinalis L. E frequente su questi monti. Predilige i prati om¬ brosi , freschi , ed umidi. Vi fiorisce alla fine di giugno. Ne raccolsi esemplari dalle selve interrotte, che sono lungo il Canal Buja salendo verso il Cavallo, e ne’ pendii freschi del versante occidentale del Granaglione assai in alto. Me¬ dicina di molta importanza è la sua radice. Valeriana tripteris L. Specie che non vegeta in basso. La raccolsi dalle fessure dei macigni nel lato occidentale della cima del Granaglione , e da quelle dei macigni posti fra le due cime del Cavallo, come pure molto in alto nelle ripe scogliose del Rio Maggiore. FAM. D1PSACEE. Knaitia sylvatica Duby. È comune nei boschi inferiori di questi monti. La raccolsi in fiore alla fine di giugno nel versante occidentale del Granaglione, nelle ripe del Canal Cavo , ed attorno ai campi del paese di Granaglione. Piante spontanee dei monti porrettani 207 Scabiosa columbaria L. È comunissima sù questi monti. Vi fiorisce in luglio. La raccolsi ne’ querceti sopra il Monte della Croce , dalle ripe dal Rio Mag¬ giore prima di arrivare al Canal Cavo, e dall’ alveo del Reno in vicinanza al paese : 1’ ebbi dal Baggioledo presso il Rio delle Croci , e dalla Costa della Serra. Scabiosa Succisa L. In una sola località del Granaglione, rinvenni questa specie cresciuta nell’acqua di una sorgente, che impaluda a non molta eleva¬ tezza. Alla fine di giugno non era ancora in fiore, perchè fiorisce ai primi di settembre soltanto anche al basso delle alpi piemontesi, donde la raccolsi re¬ candomi ad Oropa colla Sezione Botanica del primo Congresso de’ Naturalisti Italiani tenuto in Biella. FAM. COMPOSTE. SOTTOFAMIG. CoRIMBIFERE. Tribù Eijpatorinee. Eupatorium cannabinum L. Predilige crescere ne’ luoghi freschi , umidi , e semiombrosi. Lo raccolsi in fiore alla fine di giugno fra i dirupi del Monte della Croce sopra il Bagno delle Donzelle. Adenostyles alpina Bluff, et Fing. È rara in alto ne' dirupi ombrosi ed umidi lungo il Rio Maggiore , dove la raccolsi in fiore alla fine di giugno. Petasites offìcinalis Moench. È comune ne’ luoghi acquosi lungo i rivi. La raccolsi in fiore alla fine di aprile sotto la Torretta nelle ripe bagnate del Rio Maggiore, in quelle del Canal Cavo, e in molti punti dell’ alveo dello stesso Rio Maggiore fra le rupi , non escluso il tratto che attraversa per lo lungo il paese di Porretta. Petasites albus Gaertn. Predilige i luoghi assai ombrosi, freschi, ed umidi, ne’ quali rinviensi fittamente gregaria. Alla fine di giugno ne raccolsi esemplari , che avevano i semi quasi maturi dalle ripe della parte alta del Rio Maggiore, ed anche più in basso, ma vi è sempre molto meno frequente della prima. Tussilago farfara L. Pianta comunissima ne’ terreni argillosi, forti, e ba¬ gnati. Alla fine di aprile era già in semente sul Sasso Cardo, ed in altre località vicine , non escluso 1' alveo del Reno, e del Rio Maggiore ; da’ quali luoghi trassi gli esemplari. Tribù Asteroidee. Erigeron acre L. È specie piuttosto rara sopra questi monti. Mi fu portata di estate già in semente dalla Costa della Serra. Bellis perennis L. E comune il Margaritino sui monti Porrettani. Lo rac¬ colsi in fiore alla fine di maggio sul Sasso Cardo, io estate sul Cavallo a Lo- vajola , e lo ebbi dalle vicinanze del paese di Granaglione. Solidago Virgaurea L. Pianta comune ne’ boschi dei monti, dove fiorisce in estate. In basso e nelle terre pingui alzasi dal suolo anche dite piedi, ma negli altissimi appennini, dove cresce allo scoperto nel fitto prato di Nardus strida resta pigmea. Ne raccolsi esemplari alla fine di giugno lungo le ripe selvose del Rio Maggiore. Giuseppe Bertoloni Inula Conyza Dee. Conyza squarrosa L. Fiorisce tardi nella state. Rinviensi ne’ poggi de9 boschi isolata. La trassi in pieno fiore da9 campi del paese delle Capanne, e da9 campi di Lustrola in giugno. Colla foglia falsificavasi la Digi¬ tale delle farmacie. Inula salicina L. Specie comune ne* prati, ne9 poggi, ed al margine delle strade. Fiorisce in estate. La raccolsi in maggio lungo la strada tra la Porretta ed il Seia non ancora fiorita. Tribù Senecioni dee. Anthemis Cola L. Predilige crescere ne9 coltivati. Ne trassi esemplari in pieno fiore dai campi del paese delle Capanne , e da quelli di Lustrola in estate, più in basso in maggio e giugno dai luoghi erbosi dei Munchini , e dalle ripe scoperte del Rio Maggiore. Achillea Millefolium L. II Millefoglio è comunissimo da per tutto. Fiorisce di estate. Ne raccolsi dall9 aheo del Reno in luglio, e lo osservai comune an¬ che nell9 alto di questi monti. Achillea ligustica All. Predilige crescere in alto. Al principio di luglio la raccolsi in pieno fiore al dissopra del paese delle Capanne , e fra il Cavallo ed il Granaglione. Leucanthebub volgare Lam. Alla fine del maggio ed in giugno trovasi in pieno fiore sopra questi monti , ne9 quali è comune. Ne raccolsi esemplari dalle ripe del Canal Cavo , dai Campi di Lustrola , dal Monte della Croce , dai campi dei Munchini , e lo ebbi dalla Costa della Serra. Pyrethrum Achilleae Dee. Specie poco comune ne9 boschetti di questi monti. Alla fine di giugno ed in luglio la raccolsi in fiore dai poggi , che stanno lungo il Rio Maggiore , e poco sopra il paese delle Capanne al margine selvoso della strada. Coi suoi corimbi di fiori bianchi, e gialli alzasi sopra la verzura circostante. Pyretruj# Parthenium Smith. La Matricaria è veramente spontanea ne9 boschi elevati del Granaglione , ma raramente si rinviene anche in basso alle basi del detto monte. La raccolsi in pieno fiore dalle macerie, che mettono limite ai campi attorno al paese delle Capanne a9 primi di luglio, ed alla fine di giugno in aito ne9 boschetti cedui del versante occidentale dello stesso monte , ma la osservavo vicino al paese nell9 alveo del Rio Maggiore , o lungo la strada , che conduce alla Porretta Vecchia. I Farmacisti per avere più energico fiore di Matricaria del coltivato potranno procurarselo da questi monti. Artemisia camphorata Vili. Predilige i pendìi di esposizione assolata , sas¬ sosi , e sterili. In varie esposizioni delle parti inferiori de9 monti porrettani si incontra l9 Erba Regina. In aprile ne trassi esemplari in basso ed in alto dal Piante spontanee dei monti porrettani 209 Helicrysum Stoechas Dee. Specie comunissima de’ luoghi scoperti , sterili , sassosi , assolati di questi monti. Vi fiorisce dal giugno all’ agosto. Lo raccolsi dall’ alveo e dalle ripe del Reno nelle vicinanze del paese , dal Monte della Croce , dalle ripe scoperte e sassose del Rio Maggiore , dal Sasso Cardo , e lo ebbi ancora dal Raggioledo presso il Rio delle Croci. Antennaria dioica Gaert. Non è rara ne’ prati sterili , e nudi che stanno al dissopra del Monte della Croce , e che sono attraversati dalla strada, che sale sul Granaglione. Fiorisce di estate avanzata. Non ancora fiorita la raccolsi da altri prati sterili dello stesso monte alla fine di giugno. Filago germanica L. Cresce anche ne’ luoghi sterili, sui sassi, e sui muri. Fiorisce dal giugno al luglio. Ne raccolsi esemplari alla Porretta Vecchia , sul Sasso Cardo , e 1’ ebbi dalle vicinanze del paese. Filago minima Fries. È meno frequente sui monti Porretlani della prece¬ dente. Predilige nascere gregaria fra le erbe di prato sterile, e quasi nudo. La raccolsi in fiore alla fine di giugno nel versante occidentale del Granaglione. Doronicuk caucasicum Mr. Bbrst. Fiorisce alla fine di giugno nelle posizioni assai elevate , e settentrionali dei monti di Porretta , ne’ quali però è piuttosto raro. Lo raccolsi dalle fessure del macigno nelle ripe della parte più elevata del Rio Maggiore , dalle fessure dei dirupi occidentali della cima, e de’ luoghi poco inferiori alla cima del Granaglione. Doronicum austriacum Jacq. Trovasi assai raro ne’ boschi di Faggio lungo le ripe del Rio Maggiore. Vi fiorisce dal giugno al luglio, e ve lo raccolsi in una sola località. Senecio vulgaris L. Specie comunissima per ogni dove. Fiorisce appena finito il freddo in primavera. In aprile lo raccolsi sul Sasso Cardo, e nel luogo detto i Munchini già co’ semi maturi , e Io trassi alla fine di giugno pure in se¬ mente dal Monte della Croce . Spesso si vede lungo le strade , ne’ coltivati , e negli orti. Senecio erralicus Bertol. Osservasi frequente nelle ripe del Reno vicino al paese, e sui monti porrettani lungo i rivi. Lo ebbi dal Granaglione. Senecio lacinialus Bertol. Sviluppasi in alto sui monti. Lo raccolsi in pieno fiore alla fine di giugno ed in luglio vicino ai coltivati fra i monti Cavallo e Granaglione , dalle ripe del Rio Maggiore, da quelle del Canal Cavo, dal Monte della Croce, ed ancora dall’ alveo del Reno. Senecio brachychaetus Dee. Cineraria longifolia Bertol. È raro nella parte più alta del Rio Maggiore, dove lo raccolsi in fiore e semente dalle ripe sassose ed umide alla fine di giugno. Sotto-Famiglia Cinaree. Echinops sphaerocephalus L. Non è frequente Io incontrarlo ne’ monti por¬ rettani. Lo raccolsi una sola volta alla fine di luglio coi fiori in bottone nelle vicinanze della Porretta Vecchia nel 1848. Carlina acaulis L. Non cresce che nelle parti più alte dei monti in discorso. Fiorisce fra il luglio e lo agosto, ne ebbi esemplari dal Baggioledo del Gra¬ naglione, e la osservavo ne’ luoghi sassosi i più elevati dell’ origine del Rio Maggiore. 11 ricettacolo del fiore è saporito. Si mangia, sebbene sia duro, come quello del Carcioffo. 210 Giuseppe Bertoloni Carlina vulgaris L. Specie sul Granaglione più comune della precedente. La raccolsi in fiore alla fine di giugno ed in luglio dalla foce tra il Cavallo, ed il Granaglione, dalla località detta Lovajola sotto lo stesso monte Cavallo, e sulle ripe nude e scoperte lungo il JRio Maggiore. Centaurea amara L. Pianta comune ne’ prati, e ne5 luoghi poco fertili, ed anche magri. Fiorisce in estate. La raccolsi dell’ alveo del Reno in luglio, e dai Munchini, ma è comune da pertutlo. Centaurea nigrescens Will. È piuttosto frequente su questi monti. La raccolsi in fiore dai Campi di Lmtrola \, e dal versante occidentale del Granaglione nella fine di luglio. Centaurea Cyanus L. Comunissimo in tutti i seminati è il Ciano. Fiorisce in maggio e giugno nei coltivati di questi monti a seconda della loro altezza. Lo trassi in maggio dai campi dei Munchini ed alla fine di giugno da quelli elevati di Luslrola, e di Granaglione. II suo bel fiore riesce assai gradito alla vista fra il verde dei coltivati. Carduus nutans L. Spesso osservasi comune ai margini delle strade , e dei viottoli dei monti. In giugno ed in luglio lo raccolsi in fiore dall’ alveo del Reno rimpetto al paese nel luogo detto Botta Capponi, poco sotto il Cavallo ne’ luoghi erbosi di Lovajola, e lo ebbi dalla Costa della Serra. Carduus pycnocephalus L. Anche questa specie negli stessi monti si trova principalmente lungo le strade. Nella seconda metà di maggio la raccolsi in fiore nei viottoli dei Munchini , ma la ebbi ancora da altre vicinanze della Porretta. Cirsium lanceolatum Scopol. Questo spinosissimo Cardacione non è raro in tali monti. Alla fine di giugno lo trassi in pieno fiore dagli erbosi di Lovajola poco sotto il Cavallo. Cirsium Erisithales Scop. Predilige svilupparsi ne' luoghi freschi, umidi, opachi , e reconditi de* boschi. Non è raro sul Granaglione , e monti vicini. Alla fine di giugno era in pieno fiore nei dirupi occidentali della cima del detto monte, nelle ripe cupe del Rio CavOj dalle quali località trassi esemplari a fiori rossi, ed a fiori giallo-pallidi. Cirsium arvense Scopoli. Pianta comunissima ed infestante i seminati delle vicinanze del paese. Si osserva ancora nel selvatico lungo le ripe de’ canali. In giugno raccoglievo lo Stoppione dei Bolognesi nel Rio Cavo. La sua radice è saporita, ed in passato si confezionava nei siroppo d’ uva per la composizione del così detto Sapore , che all’ epoca della vendemmia si preparava dalle fami¬ glie, ma che dopo la malattia dell* uva poco più si pratica fare. Cirsium acaule. Trovasi soltanto sull’ alto di questi monti lungo le strade , ne’ luoghi sassosi ed anche sterili , e duri. Alla fine di giugno lo raccolsi in fiore dalle ripe del Rio Maggiore, ma lo osservavo altrove, però meno fre¬ quente che nei monti soprastanti più elevati. < Lapp a officinalis All. La Bardana non è rara in questi monti. Alla fine di giugno vi si trova già in fiore. Predilige i terreni buoni , e profondi , uè’ quali la sua radice sprofondasi. Ne trassi esemplari dall’ alveo del Rio Maggiore , dal Monte della Croce } dai Campi di Lustrola e ne ebbi dal fosso posto tra Gra¬ naglione ed il Baggioledo. 1 farmacisti del paese hanno modo di provvedersi di radice. Piante spontanee dei monti porrettani 21 1 Sotto-Fam. Cirgoreacee. Lapsana comunis L. Pianta comune ne’ luoghi ombrosi e freschi dei bo¬ schetti, e lungo i rivi, e canali. Alla fine di giugno la raccolsi in fiore dalle selvetle lungo il Rio Maggiore, ed in frutto dai dirupi del Monte del¬ la Croce. Rhagadiolus slellatus Dee. Trovasi frequente lungo i margini delle strade, e ne’ coltivati. Lo raccolsi in frutto alla fine di maggio alla base dei colli posti fra il Seia, e la Porretta. Hypocheris radicata L. Cresce ne’ luoghi erbosi , ed al margine de’ campi , e delle vie. La raccolsi in fiore alla fine di giugno dal versante occidentale del Granaglione 3 ed in seme maturo dai Campi di Lustrola. Trincia hirta Rolh. Assai comune è questa specie ai margine delle strade, e ne’ luoghi non molto erbosi. La raccolsi in pieno fiore nella fine di giugno e nel luglio fra il Cavallo ed il Granaglione , sotto il Cavallo , nei dirupi occi¬ dentali della cima di detto monte, dalle ripe del Rio Cavo, dall’ alveo del Reno, e dalle vicinanze della Porretta Vecchia. Ebbi poi la varietà §. Bertol. dal monte di Capugnano. Leontodon Vtllarsii Los. È piuttosto raro nelle vicinanze della Porretta. Vi fu raccolto alla fine di giugno dal Beccari. Podospremum laciniatum Dee. §. Moris. Lo raccolsi nella seconda metà di maggio in semente alla base de’ colli posti fra il Seia e Porretta. Tragopogon pratense L. È comune ne’ prati di Porretta come in quelli della pianura. Lo raccolsi in pieno fiore nella seconda metà del maggio da quelli dei Munchini, e ne ebbi alla fine di giugno esemplari in semente da altra vicinanza del paese. Si conosce in Italia sotto il nome di Barba di Becco, e di Sassefrica. 1 teneri polloni, e la radice cotta si mangiano diversamente con¬ diti ne’ manicaretti. Picris hieracioides L. Specie comunissima ne’ luoghi terrosi e scoperti. Alla fine di giugno ne raccolsi esemplari in fiore sul Monte della Croce, sulle ripe del Rio Maggiore, e del Canal Cavo, dai Campi di Lustrola, e dall’ alveo del Renoj ma la osservavo quà e là per ogni dove. Helmusthia echioides Gaertn. Non è rara su questi monti. Ne trassi esem¬ plari già in semente alla fine di giugno dai Campi di Lustrola. Sonchus tenerrimus L. Lo raccolsi poco sviluppato lungo la strada tra il Seia e Porretta nella seconda metà di maggio. Sonchus laevis Bart. S. oleraceus L. La Cerepisa dei Bolognesi è pianta co¬ mune in tutta la provincia per non dire in tutta Italia, dove appellasi Cicer¬ bita, e dove alla fine del verno la sua erba giovaue e fresca si mangia in in¬ salata. Sviluppasi ne’ luoghi coltivati, lungo le strade, i canali, e ne’ prati. Ne trassi esemplari in pieno fiore alla fine di aprile dal Sasso Cardo fra il Vulcanetlo ed i coltivali, dalle ripe del Rio Cavo, dal terrazzo o praticello del Bagno delle Donzelle , e sopra e sotto al Poggio di Capugnano. In semente poi lo raccolsi dai Munchini alla fine di maggio. Lactuca muralis Fresen. Prenanthes muralis L. Predilige crescere ne muri diroccati e vecchi , e nelle rupi umide e fresche voltate al settentrione. Non è rara nelle rupi ombrose del Rio Maggiore, dalle quali la raccolsi in fiore alla fine di giugno, ma 1’ ebbi ancora dalle macerie inferiori al paese di Granaglione. 212 Giuseppe Bertoloni Taràxacum officinale Wigg. a oleraceum Schlect. Leontodon Taxacum L. Il Piscialetlo porta colai nome perchè )a sua erba è diuretica, rinfrescati™, deostruente. Mangiasi in insalata come i radicchi. È comunissimo per ogni dove. Fiorisce prestissimo e per molto tempo. Lo raccolsi alla fine di aprile già coi semi sfuggenti e maturi dal Sasso Cardo ; ed in maggio lungo la strada fra il Seia e la Porretta. La varietà § arenarium. Schlect. alla stessa epoca era in fiore sul Monte della Croce , e la varietà y paludosum Schlect. era pure in fiore nell’ alveo e nelle ripe lavinose, ed acquatrinose del Rio Maggiore , e ne trassi li esemplari da arabe le località. Crepis foetida L. Ai primi di luglio la raccolsi in semente dalle ripe del Reno vicino alla Puzzola, ma ne ebbi esemplari ancora dalla Serra della Costa. Crepis leontodontoides All. Trovasi piuttosto in alto. La raccolsi in fiore alla fine di giugno dalle ripe terrose del Rio Cavo, e da quelle del Rio Maggiore. Crepis vescicaria L. È comune ne’ prati , e lungo le strade. La raccolsi nella seconda metà di maggio in fiore ne’ luoghi erbosi dei Munchini, ne" prati superiori ai Munchini, ed alla base dei colli posti fra il Seia e la Porretta. Hieràcium Pilosella L. Trovasi per lo più sui poggi colla sua erba sdrajata e strisciante al suolo. Lo raccolsi in fiore sotto il Sasso Cardo lungo la strada che conduce all' Orto sopra il Bagno nella seconda metà di maggio , ed alla fine di giugno più in alto dal versante occidentale del Granaglione. Hieràcium praeallum Vili. H. florentinum Savi. Lo raccolsi ne’ luoghi om¬ brosi e sassosi della base settentrionale del Monte della Croce , ed alla base del Sasso Cardo in fiore nella seconda metà del maggio. Hieràcium murorum L. Nelle rupi, tra sassi, e su muri vecchi vedesi di frequente in lutti i monti italiani. Lo raccolsi in pieno fiore dalle fessure dei dirupi occidentali della cima del Granaglione , da quelle dei dirupi di macigno nella parte più alta del Rio Maggiore , ma lo osservavo anche in basso, nei muri e rupi dell’ alveo del Rio Maggiore, che traversa il paese, ed in tutte le vicinanze semiombrose del medesimo. Hieràcium amplexicaule L. È raro sul monte Porrettano: non lo rinvenni che nei dirupi occidentali della cima , perchè predilige crescere nelle fessure del macigno, e ne raccolsi esemplari in fiore ed in semente alla fine del giugno. FAM. CAMPANULACEE. Iasione montana L. E comune in alto ne* luoghi erbosi. La raccolsi in fiore ne’ primi di luglio attorno ai campi del paese di Granaglione. Phyteumà Michelii All. È poco frequente su questi monti. Alla fine di giugno lo raccolsi in fiore fra il Cavallo ed il Granaglione ed attorno ai Campi di Lustrola . Campanula glomerata L. Non è rara nelle vicinanze delle terme. Ai primi di luglio ne raccolsi esemplari in fiore fra le rupi sopra il bagno del Leone. Campanula Trachelium L. Specie molto più comune della precedente sul monte Porrettano. Predilige i boschetti, ed i luoghi selvosi di terreno fertile. Alla fine del giugno ne trassi esemplari in fiore dal Monte della Croce , dalle ripe del Rio Maggiore, dai luoghi ombrosi poco inferiori al Cavedio, e dai dintorni delle Capanne. Campanula rotundifolm L. Fiorisce in luglio; predilige le posizioni elevate di questi monti. L’ ebbi in fiore dalle vicinanze del paese di Granaglione nel Piante spontanee dei monti porrettani 213 Campanula persicifolia L. Trovasi sul monte Porreltano ne* boschetti ombrosi , e ne' luoghi erbosi e freschi che ammanta de’ suoi bei fiori celesti. La rac¬ colsi alla fine di giugno in pieno fiore a Lovajola sotto il Monte Cavallo, nell e ripe del Rio Maggiore in alto pure sotto il Cavallo, dai dirupi Occidental i della cima del Granagliene, e dai dintorni del paese di questo nome. Campanula Rapunculus L. Sono comunissimi i Raperonzoli , che si mangiono in insalata alla fine del verno, ne’ luoghi erbosi del monte Porreltano tanto in alto che in basso , non esclusi i dintorni del paese. La specie vi fiorisce in giugno, e luglio ; ne trassi esemplari dal versante occidentale del Granaglione . e da altre località dello stesso monte. Campanula speculum Veneris L. È frequente attorno al paese ne’ seminati , che adorna coi suoi molti fiori. È pianta annuale che fiorisce alla fine di giu¬ gno, e ne raccolsi attorno ai coltivati , e ne’ coltivati stessi del versante occi¬ dentale del Granaglione . FAM. VACC1NIACEE. Vaccinium Myrtillm L. Alla fine del giugno era questo piccolo arbustino già in frutto maturo sul versante settentrionale del Granaglione nel bosco di Castagni più allo, donde raccolsi gli esemplari, e mangiai molti frutti, perchè mi dissetavano. Nella stessa località Io avevo trovalo ancora senza foglie già nello aprile. Quivi il terreno è assai fertile, ed il Baggiolo vi si sviluppa molto piu di quello de’ luoghi scoperti superiori alla regione degli alberi ne’ vicini monti di Belvedere, ne’ quali però è la pianta predominante in quei prati detti Baggioledi. FAM. ER1CACEE. Calluna vulgaris Sai. Comunissimo è questo arbusto piccolo sui monti porret¬ tani, e principalmente sul Granaglione. Predilige i luoghi scoperti che esso oc¬ cupa quasi per intiero escludendo le altre piante. Si rinviene però tanto in basso che in alto ne’ boschetti cedui , attorno ed anche internamente ai boschi diradati. Alla fine di aprile comincia a mostrare i bottoni del fiore. Il piano o piazza della cima del Granaglione , dove ha vegetazione, non presenta che folta Cal¬ luna alta un ginocchio. Tutte le sporgenze alte e scoperte del monte in discorso ne sono più o meno vestite, ma 1’ ho raccolta ancora nella parte più alta e entro la selva di Castagni del versante settentrionale ; e più in basso dal piano sterile superiore alla cima del Monte della Croce, dal versante occidentale del Granaglione , vicino al paese poco sopra le ripe scoperte del Rio Maggiore, ed alla base delle colline poste fra il Seia e la Torretta. II suo fusterello ramoso foglioso riesce morbido, e fresco: serve per lettiera ai bestiami. Erica erborea L. La Scopa sviluppasi molto meno in questo appennino e sui monti inferiori in confronto di quella che cresce ad alberello anche alto due e tre uomini nel versante meridionale dei monti e colli Toscani , e Lunesi. Ne raccolsi esemplari non ancora in fiore alla fine di giugno dalle piagge sterili del versante occidentale del Granaglione, ed in generale è scarso il suo ri¬ prodursi su tali monti. Erica carnea L. Si ritrova di rado ne’ boschetti cedui, sui poggi quasi nudi di altra vegetazione alle basi del Granaglione. Ne raccolsi esemplari da una sola località, dove era frammista alla Calluna volgare. 214. Giuseppe Bertoloni FAM. P1ROLACEE. Pyrola sccunda L. É comune nel limite superiore della selva di Castagni del versante settentrionale del Granagliene. La raccolsi la prima volta al confine del bosco coi campi superiori di Lustrola nella seconda metà di aprile non ancora fiorita , dove assieme al Sig. Professore G. G. Bianconi la trovai gre¬ garia, quando in cinque sole ore salimmo erborizzando sino all’ apice del Gra¬ nagliene e ridiscendemmo alla Porretta, spinti a questa smodata e faticosa corsa dal desiderio dello raccolte. Più tardi poi alla fine del giugno ve la raccolsi in fiore ma la rinvenni anche inferiormente ai Campi di Lustrola tra il Vaccinio al confine del bosco di Castagni. Primula acaulis R. Sch. P. vulgaris fi. caulescens Koch. Specie comune per ogni dove ne’ poggi ombrosi delle vicinanze del paese , e delle parti alte dei monti. La raccolsi in fiore alla fine di aprile dal Monte della Croce , ed in agosto dagli alti Campi di Lustrola sfiorita. Cyclamen hederaefolium W. Comune è il Pan Porcino di tali monti. Pre¬ dilige i poggi erbosi, e le selve ombrose e fresche. Lo raccolsi sul Monte della Croce nella seconda metà di aprile, sfiorito. Lysimachia vulgaris L. Non è rara ne’ luoghi freschi ed umidi del Grana¬ gliene. La raccolsi sul suo versante occidentale in fiore alla fine di giugno. Lysimachia punctata L. È più comune della precedente sui monti di Porretta. Predilige analoghe località. La raccolsi alla fine di giugno in fiore dal Canal Cavo, ed in luglio in semente delle vicinanze della terma del Leone. Lysimachia Nummularia L. Non si rinviene tanto di frequente su questi monti. Il suo caule sdrajato striscia nel fondo e sui margini de’ fossati umidi e bagnati, La raccolsi in fiore alla fine di giugno da uno scolo o fossato del versante occidentale del Granaglione. Ahagallis arvensis L. È comunissima ne’ seminati inferiori di questi monti, e sebbene piccola si può considerare qual pianta infesta ai coltivali. Alla fine di giugno ne raccolsi esemplari in frutto dai campi del versante occidentale del Granaglione. FAM. OLEINEE. Fraximjs Ornus L. L’ Orno è non raro ne’ boschetti del Granaglione. Ne raccolsi esemplari dai dirupi del Monte della Croce, che soprastanno al Bagno delle Donzelle, da quelli del lato occidentale della cima del monte, e rinvenni la varietà rotundifolia in alto lungo il Rio Maggiore. Ligustrum vulgare L. Ne' boschetti, e nelle siepi delle vicinanze del paese è frequente quest’ arbusto. Alla fine di giugno ne raccolsi esemplari in fiore dalle rupi soprapposte al Bagno delle Donzelle. FAM. APOC1NACEE. Vinca minor L. La Pervinca cresce dietro le siepi, fra i cespugli , e ne’ bo¬ schetti dei pendìi ombrosi e freschi. Comune è nelle vicinanze del paese. La raccolsi in fiore nella seconda metà di aprile dal versante settentrionale del Monte della Croce. Piante spontanee dei monti porrettani 215 FAM. GENZIANACEE. Erytrhaea Cenlaurium Pers. La Genziana Minore trovasi comune ne* prati, e luoghi erbosi de5 monti porrettani. Alla fine di giugno la raccoglievo in pieno fiore lungo il Fosso dì Scova , per la strada che conduce al paese delle Capanne, lungo il ifo'o Maggiore più in alto del Canal Cavo, ne’ querceti sterili del ri¬ piano superiore al Monte della Croce , e V ebbi ancora dalla Costa della Serra. Chlora perfoliata L. Non è rara ne’ prati di questi monti. La raccolsi in pieno fiore ai primi di luglio ne’ querceti sterili che succedono al Monte della Croce nel salire al Granaglione. Gentianà asclepiadea L» Quest’ utile pianta medicinale è piuttosto rara sui monti porrettani, mentre nelle vicine terre modenesi, che sono oltre Gabba e Grecia evvi ne’ boschi assai comune , e donde gli erborai o rizotomi ponno trarre molta radice per le farmacie. La rinvenni in un sol punto del Rio Mag¬ giore assai ombroso, e cupo dal soprastante folto bosco di Faggio. Non era ancora in fiore alla fine di giugno, perchè ne’ monti dell’ Italia fiorisce nel- 1’ agosto. Gentiana Cruciata L. Si incontra di frequente su questi monti, ne’ quali fiorisce in luglio. La raccolsi in giugno non ancora fiorita ne’ prati alti del versante occidentale del Granaglione, e 1’ ebbi in fiore dal Baggioledo Ruina della Piarea raccoltavi in luglio. FAM. CONVOLVULACEE. Cuscuta europaea L. Non è rara sul Granaglione , ed alla sua base questa micidiale parassita delle coltivazioni. La raccolsi dalle falde del nominalo monte poco sopra le Donzelle in pieno fiore alla fine di giugno da piante selvatiche di medicalo Tanaceto, che ricuopriva, e più in alto nel versante occidentale dagli stoloni striscianti della Potentina reptans, che teneva ingraciliti. FAM. BORRAGINEK. Tribù Borragee. Echium vulgare L. In generale vegeta ed è comune ne’ luoghi scoperti ed assolati dei monti. Nella fine di giugno ed in luglio trovasi in pieno fiore sui monti porrettani. Ne trassi esemplari dal Monte della Croce subito sopra le Donzelle, dal Reno, e dai coltivati alti posti fra il Cavallo ed il Granaglione . Syhphitum officinale L. Non è molto comune la Consolida Maggiore ne’ luo¬ ghi ombrosi di questi monti. Ne trassi esemplari in fiore nella seconda metà del maggio dai boschetti alla base dei colli posti lungo la strada fra il Seia e la Porretta. Lithospermum officinale L. É comune in questi monti ne’ luoghi erbosi. Fio¬ riva nell’ ultima metà di maggio sul Sasso Cardo, ed era già in seme maturo alla fine di giugno e di luglio sul Cavallo , nell" alveo del Reno, e nelle ripe erbose del Rio Maggiore, da’ quali luoghi trassi gli esemplari. Lithospermum purpuro-coeruleum L. Il suo mazzetto di fiori riesce vaghis¬ simo allo sguardo presentando per lo più il color rosso porporino e ceruleo a 216 Giuseppe Bertoloni seconda della maturanza dei fiori diversi, che lo compongono. Nella seconda metà di maggio si incontra di frequente fiorito nelle selvette rade, e vicino alle siepi e cespugli. Lo raccolsi dagli erbosi imboschiti del Sasso Cardo inferior¬ mente ai Munchini, e lo osservavo altrove. Polmonaria officinali* L. Comunissima è la Polmonaria terrestre ne’ luoghi ombrosi ed imboschiti di colali monti, come è frequente nelle nostre colline. La raccolsi nella seconda metà di aprile in pieno fiore dagli ahi campi di Lu- strola, fra i dirupi del Monte della Croce , ed alla fine di maggio ed alla fine di giugno ne traevo esemplari non più fioriti a foglie intensamente macchiate di bianco dal versante settentrionale dello stesso Monte della Croce, e dall' oc¬ cidentale del Granaglione. Myosotis palustri s Willi. 11 Non ti dimenticar di me mentre è comunissi¬ mo entro 1* acqua delle nostre paludi p. e. di Saletto, che adorna col suo bellissimo fiore, rinvenni pure nel versante occidentale del Granaglione entro l’acqua di una sorgente, che impaluda, e ve lo raccolsi in fiore alla fine del giugno. Myosotis sylvatica Hoffm. M. alpestris W. Comune è sull’ alto di questi monti nella regione del Faggio, o poco inferiormente alla medesima. Predilige i luoghi pingui e dove si sofferma buon terriccio, che gregaria occupa lutto quanto producendo fra il giugno ed il luglio un bellissimo tapetlo di fiori ci- lestri. Ne raccolsi li esemplari a detta epoca fra il Cavallo ed il Granaglione , in alto ne’ faggeli lungo il Rio Maggiore , poco sotto il Cavallo , e la ebbi da’ luoghi poco inferiori alla cima dello stesso monte porrettano. Myosotis arvensis L. Si rinviene ne’ coltivati in abbondanza , e riesce quasi infestante i medesimi. In alto fiorisce alle fine di giugno, in basso nel maggio. A dette epoche ne raccolsi esemplari in fiore sotto il Cavallo lungo il Rio Mag¬ giore, dal versante occidentale del Monte della Croce, e dal Sasso Cardo nei coltivati dei Munchini. Eciiinospermum Lappula Lehm. Myosotis Lappula L. È non rara ne’ boschetti assolali , e ne' luoghi erbosi del Granaglione , e degli altri monti vicini. Alla fine del giugno la raccolsi imr orite della Croce poco sopra le Don¬ zelle, ed in luglio I’ ebbi dal Raggioledo dello stesso monte Granaglione. Cynoglossom officinale L. È comune su questi monti. Ai primi di luglio raccolsi esemplari in semente dal Monte della Croce, attorno ai campi del paese di Granaglione, e lo osservai in molti luoghi più o meno alti. FAM. SOLANACEE. Solanuji Dulcamara L. La Dulcamara trovasi ne’ boschetti ombrosi , e fra i cespugli principalmente delle parti inferiori di questi monti. Ne raccolsi esem¬ plari in fiore alla fine di giugno dal Monte della Croce sopra il Ragno delle Donzelle, e dalle ripe del Rio Cavo. Li stipiti di essa sono valevole medicina. Solanuji nigrum L. Il Solatro o Erba Mora de’ Bolognesi predilige le terre pingui ed ombrose, e principalmente quelle degli orti. Alla fine del giugno era in fiore ne’ dirupi del Monte della Croce, da’ quali trassi gli esemplari. Atropa Belladonna L. La Belladonna è rarissima in questi monti. La trovai in un sol luogo ombroso e cupo in alto lungo il Rio Maggiore, dove era ap¬ pena sfiorita alla fine del giugno. Lungo i torrenti sempre ombrosi del bosco Piante spontanee dei monti porrettani 217 di Faggio dei monti maggiori di Belvedere , e di Castiglione ho trovata la stessa pianta indigena. Questa è la più velenosa delle piante italiane, dalla quale la medicina ritrae energico e salutare rimedio. I Farmacisti potrebbero, onde ot¬ tenere medicina più attiva, fare raccogliere le foglie piuttosto dalle piante sel¬ vatiche che da quelle coltivate negli orti. FAM. SCROFULAR1NEE. Verbascum Thapsus L. É non raro sopra questi monti. Ai primi di luglio ne raccolsi esemplari in fiore dal bosco di Castagno sopra il paese delle Ca¬ panne, ma lo osservavo altrove. Verbasco» phlomoides L. È più frequente dell9 altro. Lo raccolsi in semente alla fine del giugno dalle ripe del Rio Maggiore. Verbascum montanum Schrad. Più frequente dell’ altro è questa specie negli stessi monti. La raccolsi in fiore fra il giugno ed il luglio dal Monte della Croce poco sopra le Donzelle e dall’ alveo del Reno rimpetlo alla Botta Capponi. Verbascum Lichnilis L. Trovasi quà e là ne' boschi degli stessi monti. Ne trassi esemplari in fiore ai primi di luglio dai castagneti superiori al paese delle Capanne ; ed in giugno lungo il Rio Maggiore .in alto. Linaria vulgaris Mi II. Antirrhinum Linnaria L. E comune ne’ campi. Ne trassi esemplari dalle vicinanze delle terme del Leone ai primi di luglio non ancora in fiore. Linaria minor Desf. Antirrhinum minus L. Trovasi pure ne’ campi, lungo le strade, e ne’ pendìi erbosi. Lo raccolsi in frutto alla fine del giugno dai luo¬ ghi assolati del versante occidentale del Granaglione , e nelle ripe scoperte del Canal Cavo. Antirrhinum Orontium L. Trovasi per lo più ne’ coltivati , ed è frequente. Lo raccolsi alla fine di giugno già io frutto dai Campi di Lustrola , e dalle ripe del Canal Cavo. Scrophularia nodosa L. Predilige crescere ne' luoghi umidi e freschi. Alla fine di giugno la raccolsi in fiore dall’ alveo del Rio Maggiore, e di luglio 1’ ebbi dall’ alto del Granaglione in frutto. Scrophularia eanina L. É frequente fra le rupi, e macigni di questi monti. La raccolsi in fiore tra il maggio ed il giugno sotto il Monte della Croce dalle rupi, che soprastanno al Bagno delle Donzelle , dalle ripe sassose del Reno vicino alla Puzzola , e dalle ripe del Rio Maggiore. Digitalis lutea L. È pianta che si trova isolata nelle selve dei monti. Alla fine di giugno la trassi in fiore dal Monte della Croce subito sopra le Donzelle , dalle ripe selvose del Rio Maggiore più o meno in alto, e dalla Costa della Serra. Veronica Anagallis acquatica L. Sul versante occidentale del Granaglione, dove una sorgente impaluda, la trovai in fiore alla fine del giugno, ma in altro luogo di questi monti mai la viddi, mentre è comunissima nelle nostre pianure at¬ torno ai maceri da canepa. Veronica Beccabunga L. Nella sorgente poco sopra la detta acqua, che im¬ paluda, era la Beccabunga in qualche quantità ma non ancora in fiore, e la os¬ servai pure altrove e nell’ alveo del Rio Maggiore entro 1’ acqua. Questa erba che è un saluberrimo antiscorbutico rimedio cresce nelle acque chiare di lento corso delle pianure, ed in quelle delle maggiori elevatezze del nostro appennino. t. iv. 28 218 Giuseppe Bertoloni Veronica officinali s L. Comune è nelle selve piuttosto alte di cotali monti. 11 suo caule è strisciante sulla terra. Oggi non ha quasi più uso nelle far¬ macie sebbene porti il nome di officinale. La raccolsi in alto ne’ boschi lungo il Rio Maggiore in fiore e semente alla fine del giugno. Veronica urlicaefolia L. fil. Non è molto frequente, e soltanto in alto ne’ bo¬ schi e luoghi ombrosi di questi monti. La raccolsi lungo il Rio Maggiore in fiore, e frutto alla fine di giugno, e nel Rio Cavo. Veronica Chamaedrys L. Si trova comune nelle vicinanze della Porretta nei luoghi semi-ombrosi e nelle selvetle. Alla fine di giugno ne traevo esemplari in fiore e frutto da diversi luoghi lungo il Rio Maggiore. Veronica agresti s L. È comunissima per ogni dove ne’ campi e lungo le strade. La raccolsi in aprile in fiore sul Sasso Cardo ne' campi dei Monchini, sul vicino poggio di Capugnano , ed alla fine di giugno in frutto dai Campi di Lustrola, dal Monte della Croce , e da altre località del versante occidentale del Granaglione. Veronica Buxbaumii Tenor. Anche questa specie è come l’ altra frequente ne’ luoghi coltivati, e lungo le strade. In aprile la raccolsi in fiore dal pog¬ gio di Camugnano, e dal versante nordico-orientale del Monte della Croce. Qual¬ che botanico moderno distrugge questa specie ed altre, perchè hanno caratteri che le avvicinano fra di loro. Euphrasia officinalis L. §. Bertol. L’ Eufrasia specie è comune in tutti i prati dei monti sino alle ultime elevatezze superiori alla regione degli alberi nel Belvedere nostro. Raccolsi la varietà suddetta dal versante nord-est del Granaglione , e negli erbosi dei Campi di Lustrola in fiore alla fine di giugno. Rinanthus Crista Galli L. Comunissima è quest’ erba in tutti i prati dei monti porrettani tanto in alto che in basso. Ne trassi esemplari in fiore dal versante meridionale del Monte della Croce da un prato posto un poco più allo del Rio Maggiore , dai prati meridionali del Sasso Cardo , dalla base erbosa delle col¬ line poste fra il Seia e la Porretta nella seconda metà di maggio, ed- alla fine di giugno raccolsi esemplari in semente dagli alti campi di Lustrola. Melàmpyrum cristatum L. Anche questa specie predilige i luoghi erbosi, ed i poggi dei monti. In luglio la raccolsi in pieno fiore nei castagneti posti sopra al paese delle Capanne , I’ ebbi dalle vicinanze della Porretta ed alla fine di maggio la trassi dai prati orientali del Sasso Cardo. FAM. OROBANCOIDEE. Orobanche major L. Rinviensi assai di rado. La raccolsi col fiore un poco trapassalo dai campi di Granaglione ai primi di luglio. Orobanche caryophyllacea Bertol. 0. Galiì? Un solo esemplare trovai in fiore fragrantissimo di garofano ai primi di luglio nei campi di Granaglione . FAM. VERBENACEE. Verbena officinalis L. Negli orti, ne’ prati, lungo le strade è comunissima la Verbena. Ne trassi esemplari in fiore alla fine di giugno dalla base occiden¬ tale del Monte della Croce. Piante spontanee dei monti porrettani 219 FAM. LABIATE. Mentha macrostachya Tenor. M. rotundifolia L. ? Predilige crescere vicino alle acque de9 canali , e de9 fiumi. La raccolsi uelle acque del Rio Maggiore in alto quasi fiorita alla fine del giugno, e dall9 alveo del Reno e sue ripe bagnale ai primi del luglio. Mentha hirsuta L. Anche questa specie predilige i luoghi aqualrinosi. La raccolsi in alto lungo il Rio Maggiore da luogo sempre bagnato da sorgenti d9 acqua, e dal versante occidentale del Granagliene, dove una sorgente d9a- qua impaluda. Non era ancora in fiore alla fine del giugno. Lvcopus europaeus L. Anche questa pianta predilige i luoghi umidi e bagnati. Ne trassi esemplari dall9 alveo del Reno nelle vicinanze del paese ai primi di luglio, e dal versante occidentale del Granaglione attorno ad acqua stagnante alla fine di giugno non ancora in fiore. Oryganum vulgare L. L9 Acciughero, o Erba da Acciughe, detto anche in italiano Regamo è comune ne* colli, e monti sino a non molta elevatezza. Si incontra di frequente sul Granaglione. Predilige i poggi assolati , e margini dei fossi , e le ripe asciutte dei rivi. Alla fine di giugno ed in luglio lo raccolsi in pieno fiore ne9 campi di Granaglione , nei dirupi del Monte della Croce, lungo il Rio Maggiore inferiormente al Canal Cavo, e l9 ebbi ancora dalla Costa della Serra. II suo fiore disseccato serve presso i liguri, ed i toscani per condire le acciughe salate. Thymus Serpyllum L. 11 Serpòllo o Semolino salvatico è comunissimo ne9 poggi sterili , e ne9 prati assolati dei monti , e dei colli. In giugno e luglio lo rac¬ colsi in pieno fiore dalle ripe sassose del Reno, dalla cima del Granaglione, dalla strada, che passa fra il Granaglione ed il Cavallo , dalle rupi del Sasso Cardo , dal Monte della Croce, e dal versante occidentale del Monte Porrettano. Calamintha grandiflora Moench. Thymus grandiflora Scop. Incontrasi molto raramente sui monti porrettani nella regione alta del bosco di Faggio. Ne rac¬ colsi bellissimi esemplari in pieno fiore alla fine di giugno dalle selvetie rade lungo il Rio Maggiore. Calamintha parviflora Lam. Thymos Nepeta Smith. È comunissima V Erba da Funghi ossia Nepitella lungo le strade, ne9 prati, e poggi poco erbosi. La raccolsi in pieno fiore dalP alveo del Reno rimpetto alla Porretta. In Lu- nigiana, e nella Toscana i venditori dei così delti Funghi d * Albero, o Pioppini (Agaricus Piopparello Viv. ) mescolano i rametti e le foglie di questa pianta odorosa alla loro merce. Non sò poi se questa foglia serva a confezionare il saporitissimo manicaretto di cotali funghi. Calamintha arvensis Lam. Thymus Acynos L. É comune ne9 poggi e luoghi erbosi , e scoperti di tutti i monti. In giugno e luglio ne raccolsi in pieno fiore, ed anche in semente dalle ripe del Rio Maggiore, da quelle sassose del Reno, in maggio dal Sasso Cardo, dal Monte della Croce, e lo ottenni ancora dalla Costa della Serra. Calamintha Clinopodium Benth. Clinopodium vulgare L. Specie comunissima vicino alle siepi , e ne9 luoghi ombrosi tanto dei monti che delle pianure. Ne trassi esemplari dal Monte della Croce, dalle vicinanze del paese delle Capanne , dall9 alveo del Reno, dalle ripe ombrose del Rio Maggiore, dal monte di Ca- pugnano in fiore nei mesi di giugno, e luglio, e la ebbi ancora della Costa della Serra. 220 Giuseppe Bertoloni Melissa officinali $ L. Per lo più si trova all’ ombra delle siepi e dei cespugli. U Erba Limona, o Cedronella non è così comune nella parte bassa de’ monti di Porretia come ne’ colli bolognesi. Alla fine del giugno già sfiorita la trassi dal versante occidentale del Granaglione, e dai boschetti del Monte della Croce . Salvia glutinosa L. Predilige nascere ne' luoghi ombrosi , freschi , ed umidi dei terreni pingui. Nel giugno è in pieno fiore ne’ poggi ombrosi del Granaglione . Ne trassi esemplari dalle ripe del Rio Maggiore , da quelle del Canal Cavo , e 1’ ebbi ancora dalla Serra della Costa. Salvia Sclarea L. È rara su questi monti 1’ Erba Moscadella. La trovò il Prof. G. G. Bianconi sulla Costa della Serra di estate appena sfiorita ed in fruttificazione. I fiori disseccati si adoprano per dare 1’ odore di moscadello al vino, ed ai gelati. Si coltiva negli orti, ed il suo fiore è bello più per le sue brattee. Salvia pratensis L. Pianta comunissima per ogni dove e ne’ monti e nelle pianure pei prati, e luoghi erbosi. Ne raccolsi esemplari in pieno fiore nella seconda metà del maggio dal Monte della Croce , dai prati dei Munchini nel Sasso Cardo, c nel luglio in semente dai prati soprapposti al paese delle Capanne. Salvia Verbenaca L. Anche questa trovasi ne’ prati. La raccolsi in fiore da quelli del Poggio di Capugnano nella seconda metà di aprile. Nepeta Glechoma Benth. Glechoma hederacea L. Erba comune ne’ prati om-l brosi vicino ai cespugli, ed alle siepi. La osservavo ai Munchini e nelle altre vicinanze del paese, e ne raccoglievo esemplari in fiore alla fine di aprile in¬ feriormente al Poggio di Capugnano alla Cà Grande. Prunella vulgaris L. Trovasi piuttosto comune alle ripe de' canali , e del Reno. Ne ebbi di estate esemplari in fiore dalle vicinanze del paese. Prunella laciniata L. Gol Bentham alcuno considera questa pianta una va¬ rietà della precedente. La raccolsi in luglio in fiore più in alto del paese delle Capanne, ed in giugno in luogo inferiore sul versante occidentale del Granaglione. Scutellaria Columnae All. Alla fine del giugno la raccolsi in semente dai dirupi occidentali del Monte della Croce poco sopra le Donzelle. Predilige i luoghi ombrosi. Melitis Melissophyllum L. Pianta comunissima in tutti i boschi de’ monti e de’ colli. Ne trassi gli esemplari in fiore dai dirupi settentrionali del Monte della Croce, dai luoghi erbosi ed imboschiti dei Munchini alla fine di maggio, ed alla fine di giugno dai dirupi soprastanti alle Donzelle colla semente. 11 bel fiore suo adorna le selvette. Stachys heraclea All. Non è molto comune sù li monti di Porrelta. Ne trassi esemplare dal versante occidentale del Granaglione in fiore alla fine di giugno. Stachys germanica L. Specie molto più comune della precedente su gli stessi monti. Trovasi ne’ prati al contorno dei boschetti. Ne trassi esemplari fra il giugno e luglio in pieno fiore dalle vicinanze dei coltivati orientali del Grana¬ glione, dalle ripe del Rio Maggiore, dai prati di Lovajola poco sotto il Cavallo, e da quelli posti al disopra del paese delle Capanne. Stachys sylvatica L. Predilige le selve, ed i luoghi ombrosi. È comune su questi monti. La raccolsi in fiore alla fine di giugno da boschetti posti lungo •l Canal Cavo, e da altri del versante occidentale del Granaglione. Stachys recta L. Specie che cresce ne’ luoghi scoperti. Ne trassi esemplari in fiore ai primi di luglio dall’alveo del Reno nelle vicinanze della Porretia. Piante spontanee dei monti porrettani 221 Galeopsis Ladanum L. È pianticella comune in alto ed in basso dei monti. Fra il giugno ed il luglio la raccolsi in fiore dal Monte della Croce poco so¬ pra le Donzelle, dal monte di Capugnano , e dall’ alveo del Reno. Galeopsis Tetrahit L. Su V alto di questi monti come negli adiacenti è co¬ munissima questa pianta infestante i seminali. Alla fine di giugno ne trassi esemplari in fiore dagli alti campi di Lustrola , dove ne infestava i coltivati. Lamium purpureum L. Erba comunissima dietro le siepi ombrose , ed i ce¬ spugli. Alla fine di aprile la raccolsi in fiore dal Monte della Croce, dal Sasso Cardo vicino alla Casa Diroccata, e dalle vicinanze del Bagno delle Donzelle. Lamium Galeobdolon Crantz. Galeobdolon luteum Smith. Alla fine del giugno Io trassi in fiore dalle vicinanze dei Campi di Lustrola in semente, e dal Monte della Croce poco sopra le Donzelle. Ballota nigra L. Pianta comune e nelle pianure e ne’ monti. Predilige cre¬ scere all’ombra delle siepi, de’ cespugli , e de’ boschetti. La raccolsi in mag¬ gio non ancora fiorita lungo la passeggiata subito fuori di Porrelta andando verso Bologna, ed in pieno fiore alla fine di giugno dal Monte della Croce poco sopra le Donzelle. La sua erba col toccarla lascia nelle mani un’ odore grave e per me sgradevole. Da pochi anni è adoperata nel Romano come feb¬ brifuga a guisa del Marrubio. Teucrium Scorodonia L. È comune ne’ pendìi di media elevatezza in questi monti. Alla fine di giugno ne raccolsi esemplari in fiore dalle ripe del Canal Cavo , da quelle del Rio Maggiore, e 1’ ebbi da luogo inferiore al paese di Granaglione. Predilige le esposizioni non molto folle ed ombrose. Teucrium Scordium L. Predilige le sponde bagnate de’ canali. Alla fine del giugno lo raccolsi non ancora in fiore dall’ alveo del Rio Maggiore più in alto del Canal Buja. Si .sviluppagregario occupando larghi spazi di suolo acqua- irinoso. Teucrium Botrys L. Non è comune su questi monti. Lo raccolsi sul ver¬ sante occidentale del Granaglione da un luogo sterile, scoperto, ed assolato non ancora in fiore alla fine del giugno. Teucrium Chamaedrys L. U Erba Querciuola è comunissima ne’ poggi semiom¬ brosi de’ colli e de’ monti del Bolognese, ed anche nelle ripe de' canali e fiumi della pianura. Sui monti di Porretta si rinviene di frequente ne’ luoghi erbosi . non cupi e coperti molto dal bosco. Ne trassi esemplari alla fine di giugno in fiore dai querceti sterili superiori al Monte della Croce, dalle ripe del Rio Maggiore in alto, ed in basso, e nella seconda metà del Maggio non fiorito dalla base del Sasso Cardo 1. d. l’Orlo sopra il Bagno, e dal versante occi¬ dentale del Monte della Croce. Ajuga reptans L. L’ Erba Mora, o Laurentina detta ancora Morandola, Con¬ solida e Soldola, Erba di S. Alberto de’ Bolognesi , è comunissima per ogni dove nelle pianure, e ne’ monti. Predilige i luoghi erbosi ed i prati. Ne raccolsi esemplari fioriti nella seconda metà di aprile dalia cima del Sasso Cardo vici¬ nissimo alle sorgenti di gas infiammabile, ed in maggio quasi sfiorita sotto il Monte della Croce nelle ripe umide del Rio Maggiore poco sopra il Bagno. Ajuga Chamaepitys Schreb. V Ivar letica, o Jvarlritica detta pure Camepi- s io, è comune principalmente ne’ letti de’ fiumi , e de’ torre/ili, ma nasce ancora negli orti , e coltivati di tutta la provincia. Ne tolsi esemplari quasi sfioriti nella prima metà del luglio dall’ alveo del Reno in vicinanza del paese. 222 Giuseppe Bertoloni FAM. GLOBULARI ACEE. Glomjlaria vulgaris L. Specie che predilige i poggi di terreni forti e com¬ patti, e cresce pure nelle fessure del macigno e delie rupi. Alla fine di aprile la trassi dai macigni del Sasso Cardo, ma assolati di questi monti. uvai di frequente ne" luoghi FAM. P1ANTAGINEE. Plantago major L. Pianta frequente lungo le strade. Ai primi di luglio la raccolsi in semente lungo il Rio Maggiore poco sopra il Bagno. Plantago media L. Comune come la precedente in questi monti e negli al¬ tri della provincia. Nella seconda metà del maggio vi è in fiore. La raccolsi da’ prati della base meridionale del Monte della Croce, e da quelli della base dei colli posti lungo la strada fra il Seia e ia Porretta. Plantago lanceolata L. La Piantagine è comunissima delle pianure , e dei monti. Tra P aprile ed il maggio fiorisce su questi. Ne trassi esemplari dal Sasso Cardo vicino al Vulcanetlo, e lungo la strada tra il Seia e Porretta. Plantago Cynops L. Sopra i monti porrettani dall’ aprile al luglio è in fiore questa specie, che predilige i luoghi scoperti e denudati di altra vegeta¬ zione, anzi sassossi, e sterili. Ne raccolsi esemplari dal Sasso Cardo sotto il Greppo vicino al Vulcano , dal Monte della Croce lungo la strada, che conduce alle Capanne, dalle ripe del Rio Maggiore, dalle vicinanze della Porretta Vec¬ chia, e dall’ alveo del Reno. FAM. CHENOPODIACEE. Chenopodium Bonus Hericus L. Trovasi solamente in alto su questi monti, e ne’ luoghi di terreno pingue attorno alle abitazioni de’ pastori, e delle mandre. Lo raccolsi in luglio dai Campi di Granaglione, ma lo osservai ancora nelle vicinanze de' Campi di Lustrola. \J erba cotta costituisce una saporita insalata, che rammento di aver mangiato sul Pisanino delle Alpi Apuane nella cena de’ pastori , che mi ricoverarono entro una grotta da loro abitata a molta ele¬ vatezza sul livello del mare. FAM. POLYGONACEE. Polygonum Hydropiper L. Il Pepe d’ acqua abita ne’ luoghi umidi , e nei fossati. Ai primi di luglio lo raccolsi in fiore nell’ alveo del Rio Maggiore poco sopra al Bagno. Polygonum aciculare L. Nasce sdraiata lungo le strade e ne’ terreni are¬ nosi la Centinodia, o Centimorbia, delta dai Bolognesi Curzola. Nella prima metà del luglio la raccolsi in fiore nelle vicinanze del Leone. Polygonum Convolvulus L. È comune del piano e del monte. Lo trassi in fiore alla fine del giugno dai Campi di Lustrola, e da altri luoghi elevati sul versante nord-est del Granaglione. Rumex crtspus L. Pianta comune lungo le strade, ne' prati , e ne’ poggi. La trassi in fiore alla fine di giugno dal versante occidentale del Granaglione, dalle ripe del Rio Maggiore nella parte alta, ed in semente dai Campi di Lu¬ strola, ma l’ebbi ancora da’ luoghi inferiori al paese di Granaglione. Piante spontanee 'dei monti Eorrettani 223 Rumex acutus L. Ne trassi esemplare io luglio col fiore dall’ alveo del Reno vicino alla Botta Capponi. Rumex alpinus L. Lo raccolsi non fiorito nelle ripe della parte più alta del Rio Maggiore alla fine di luglio. Rumex Acetosa L. L’Acetosa, od Erba Brusca de’ Bolognesi trovasi ne’ prati , ne’ campi , e ne' poggi di terreno fresco, e buono. Alla fine del maggio ne rac¬ colsi esemplare in fiore ne’ prati delle vicinanze di Porrelta , negli erbosi della base del Monte della Croce lungo il Rio Maggiore , ed alla fine di giugno in semente dai Campi di Lustrola . Rumex Acetosella L. L’ Acetosella cresce lungo le strade , ne’ poggi , sulle macerie, e tra sassi , e rupi. Alla fine di giugno la raccolsi in fiore dalle ripe del Rio Cavo, ma la osservavo alia base delle colline poste lungo la strada tra Porretta e Seia. FAM. T1MELEACEE. Daphne Laureola L. Predilige i boschi ombrosi, e cupi. Alla fine di aprile la raccolsi in fiore dal limile superiore de’ castagneti di Granaglione al confine de’ campi di Lustrola, lungo il Rio Maggiore sui poggi delle selve di Castagno, e lungo lo stesso Rio più in alto del Canal Buja. FAM. ELEAGNACEE. Hippophoe Rhamnoide s L. Ne' luoghi sterili, e lungo i canali inferiori dei monti Porreltani cresce questo bianco arbusto. Ne trassi esemplari dallo ste¬ rile Poggio di Capugnano. Lo vidi comuue alla base dei colli posti fra la Porrelta ed il Seia, e nell’ alveo del Reno. Può servire per piantare siepi, perchè è spinoso. FAM. ARISTOLOCHIACEE. Asabum europaeum L. Trovasi sempre in alto sopra questi monti di poca elevatezza. Predilìge il terriccio de’ boschi assai ombrosi e cupi. Per lo più si osserva fra le erbe al calcio degli alberi e dei cespugli. Alla fine di aprile della Baccarà, o Asaro raccolsi esemplari in fiore dagli alti Campi di Lustrola, ed alla fine di giugno lo raccolsi in fruito dalle cupe Faggete, che sono lungo le ripe della parte alta del Rio Maggiore, e sotto il Cavallo tra sassi al con¬ fine delle macchie. La polvere di quest’ erba disseccata è errina. Abistolochia rotunda L. Ne’ poggi erbosi e vicino alle siepi trovasi V Erba Astrologa. Nelle vicinanze di Porretta la raccolsi in fiore alla fine del maggio dai luoghi erbosi inferiori ai Munchini, dalle selvelte nelle basi delle colline poste fra il Seia ed il detto paese; e dal versante settentrionale del Monte della Croce lungo la strada che conduce alla cava del macigno abbandonata. FAM. EUFORBIACEE. Euphorbia helioscopia L. L’ Erba Rogna o Lattarola dei Bolognesi è una delle prime che vegetano alla fine del verno. Cresce ne’ poggi , e nelle espo¬ sizioni assolate. Ne trassi esemplari in semente nella seconda metà del mag¬ gio lungo la strada, che corre tra il Seia e Porretta, e dalla cima del Poggio di Capugnano. Giuseppe Bertoloni 22 i Eophorbia Cyparissias L. V Erba così detta Rogna da muro è comunissima ne’ poggi delle colline, e dei monti, ma ancora ne’ margini de’ fossi , e lungo le strade della pianura. Ne raccolsi esemplari in semente dal Monte della Croce nelle vicinanze della cava del macigno alla fine di maggio, ed in luglio dal- I’ alveo del Reno. Euphorbia exigua L. La raccolsi ne’ luoghi erbosi del versante occidentale del Granaglione già in semente alla fine di giugno. Euphorbia Peplus L. Come la precedente è meno comune delle altre Euforbie su questi monti. Alla fine del giugno la raccolsi in fiore alla base occidentale del Monte della Croce poco sopra le Donzelle. Euphorbia purpurata Thuil. Specie che si ritrova comune su questi monti. Nella seconda metà del maggio ne trassi esemplari già in fruito dal Monte della Croce poco sopra le Donzelle , e dalle ripe del Rio Maggiore a diverse elevatezze alla fine del giugno. Euphorbia amygdaloides L. É piuttosto poco frequente su questi pendìi. Alla fine di giugno la raccolsi . in fiore dal Rio Maggiore nelle vicinanze inferiori del Canal Cavo. Buxus sempervirens L. Il Bosso, arbusto sempre verde, trovasi sul Poggio di Capugnano , dove alzasi poco. Ve Io raccolsi in fiore nella seconda metà di apnle‘ FAM. CANNABINEE. Humulus Lupulus L. V Orticacci detto dai Bolognesi Luvertise predilige crescere ne* luoghi ombrosi e freschi di terra buona. Si arrampica da per tutto ■coi suoi lunghi sarmenti. Alla fine del giugno non ancora fiorito ne trassi esem¬ plari dalla base occidentale del Monte della Croce fra le rupi soprastanti al Ba¬ gno delle Donzelle. FAM. ORTICACEE. Pàrietabia officinalis L. La Vetriolo è comunissima nelle fessure ed alla base de’ muri umidi ed ombrosi, e delle rupi che presentino le stesse circo¬ stanze. Alla fine del giugno ne trassi esemplari in fiore sviluppatissimi dai di¬ rupi occidentali del Monte della Croce, ma la osservavo da pertutto sui muri vecchi, anche dentro il paese. L’erba fresca si adopera per ripulire i cristalli ed i vetri. Ubtica membranacea Poir. Non è comune sopra questi monti. La trovai in una sola località del versante occidentale del Granaglione un miglio circa più alto della Porretta all’ ombra di una casa poco lontana dal Rio Maggiore , ed attorno alla quale era estesa coltivazione di squisite ciliege. Urtica dioica L. L’ Urtica a tutti nota è comune ne’ luoghi freschi, ombrosi, e pingui. La raccolsi in alto lungo il Rio Maggiore in luogo ombroso alla fine del giugno già in semente, ma la osservavo comune sotto i Campi di £«- stroia, nel paese stesso di Porretta, ed altrove. FAM. OLMACEE. Piante spontanee dei monti porrettani 225 FAM. CUPOLIFERE. Ostria carpinifolia Scop. Carpinus Ostrya L. Il Carpino è comune sopra questi monti, e vi costituisce cespugli o macchiette più o meno estese. Ne raccolsi esemplari dal Monte della Croce fra i dirupi del macigno soprastanti al Bagno delle Donzelle; lo osservavo attorno ai Campi di Luslrola, ne’ prati occidentali sotto la cima del Granaglione, e lo raccoglievo in semente alla fine di giugno in alto lungo le ripe del Rio Maggiore sotto il più folto bosco di Corylus Avellana L. Anche i Nocciuoli sono assai comuni su questi monti, dove costituiscono macchiette anche estese, e ceppaje sparse nelle praterie na¬ turali. Comunissimi sono attorno ai Campi di Lustrala, donde trassi esemplari colle gemme assai ingrossale nella seconda metà di aprile ma ancora privi di foglie; ne raccolsi esemplari con frutto grosso dai dirupi di macigno, che so¬ prastanno alle Donzelle nel versante occidentale del Monte della Croce, e dalle ripe del Rio Maggiore più o meno in alto. I frutti selvatici in generale sono piccoli , si mangiano, ma non si commerciano in paese. Quercus sessiliflora Sai. Q. aesculus L. L’ Eschia, che somministra la migliore ghianda da majali, non è tanto comune sui monti di Porrelta quanto ne’ monti inferiori , e ne’ colli bolognesi. Ne raccolsi esemplari dagli alberi , che sono fra le rupi del Monte della Croce soprastanti al Bagno delle Donzelle’, la os¬ servavo ai Munchini , sul Poggio di Capugnano, ed in altre località, nelle quali però predominava il Cerro. Querccs Cerris L. Il Cerro è molto comune ne’ monti porrettaui , sui quali costituisce selve anche ben estese sino ad una certa elevatezza. Dopo questa zona della Quercia, succede quella del Castagno e da ultimo sino alle cime quella del Faggio. Ne trassi esemplari dal Monte della Croce , dove si trova vicino e mescolalo all’ Eschia: lo osservavo ai Munchini, ed in moltissime località più alte. Castakea sativa Scopol. G. vesca Gaert. Questo grande e bellissimo albero cresce per ogni dove principalmente nel versante settentrionale del Granaglione , e de’ monti adiacenti. Più che in basso in alto costituisce uno dei più gran¬ diosi boschi della provincia, nel quale i tronchi vi sono giganteschi, e danno un prodotto, che è il maggiore di quel paese. Ne trassi esemplari in basso dagli individui dei dirupi del Monte della Croce poco al dissopra delle Don¬ zelle , ed in alto dalle ripe del Rio Maggiore. Fagus sylvatica h. Altra bellissima pianta è il Faggio, che costituisce nel- 1’ appennino la più alta ed ultima zoua degli alberi. Il Granaglione nemmeno nella più alta sua cima è vestito di Faggi, ma poco sotto la medesima qual¬ che cespuglio di Faggio si trova nel versante settentrionale fra i dirupi di ma¬ cigno. Ne raccolsi esemplari colle foglie coperte di galle contenenti nell’ in¬ terno allo stalo di larva 1’ animale sconosciuto, che le produce, dalle ripe della parte più alta del Rio Maggiore al disopra del Canal Buja, e dai boschi fra il Granaglione ed il Cavallo. Questo ultimo monte poi, siccome il vicino Toc- eacielo , e la Piella, è vestilo tutto quanto sino alla cima di Faggi. 226 Giuseppe Bertoloni FAM. SALICINEE. Salix incana Schrank. S. riparia W. La Veretice è comune ne’ luoghi a c- qualrinosi alti e bassi di questi monti entro i rivi. Ne raccolsi esemplari dalle ripe del Rio Maggiore inferiormente al Canal Cavo , ed anche nelle vicinanze del paese, e dall’ alveo del Reno. Salix nigrescens Smith. É specie comune ne’ monti porrettani. Predilige cre- scere ne’ luoghi umidi ed acqualrinosi alti e bassi, ed anche assolati. Raccolsi in fiore la Veretica Botlara , così chiamata da que’ del paese, alla fine di aprile dai Campi di Lustrola non ancora guernita di foglie. Dagli stessi cespugli trassi esemplari fogliosi alla fine del giugno. Ne raccolsi sopra il Bagno alla fine di maggio dalla ripa destra del Rio Maggiore, e da altre posizioni alte. Salix purpurea L. E comune nelle ripe del Rio Maggiore, ed in quelle del Reno, dalle quali trassi esemplari affetti da una galla nell’ apice de’ rami. Que¬ st’ apice si converte in una testa fogliosa grossa circa come una noce comune. Non vidi e perciò non conosco l’ insetto, che ne è la cagione. Salix Cuprea L. E la più bella specie di questo genere delle indigene su cotali monti. Costituisce un' arbusto a foglie ellittiche, nel disotto bianco-tomen¬ tose, superiormente di un bel verde. Cresce in generale nelle posizioni di ter¬ reni freschi, e vicino ai canali. Ne trassi esemplari da due località delle vi¬ cinanze dei Campi di Lustrola , dalle ripe del j?ro Maggiore tra il Fosso della Scova ed il Canal Cavo. Dai paesani del luogo si appella Veretica Canina. Pofllus alba L. V Albarello cresce ne’ canali , e nell’alveo del Reno alle falde dei monti porrettani; ed anche nei pendii umidi de’ medesimi. Populos Tremula L. Altra specie assai frequente lungo i rivi, e ne’ pendìi scoscesi di terreno umido su questi monti. Ne trassi esemplari alla fine di maggio dalla ripa destra dirupata del Rio Maggiore poco più in su del Bagno , e dalla sfessa ripa molto in alto sopra il Canal Buja. Populus nigra L. Il Pioppo comune, o nero, detto ancora Albaro si osserva coltivato, o piantato lungo i fiumi, e canali, e ne’ rilasci de’ medesimi, ma S1 •r°Ta aDcora poppato quà e là spontaneamente nel Porrettano. Anche la varietà p. pyramidalis Roz. delta appo noi Pioppo Cipressino si pianta in questo paese, e la vidi nelle ripe ed alveo del Seia vicino al ponte nuovo, ed altrove. ‘ FAM. BETULINEE. Piante spontanee dei monti porrettani 227 e che guarnivano corte cime o rami di poco elevati sopra il suolo. Questa circostanza destava in me meraviglia non sapendone dare quella spiegazione che ebbi dalla mia guida, la quale assicuravano che quelle cime fruttifere erano di un' alberello successivamente e progressivamente seppellito dalia terra , che colle pioggie discendeva dalle parti superiori del monte. Questa spiegazione mi per¬ suase subito rammentando quello che racconta Decandolle del prato costituito dalle cime del Salia j herbacea in certi pendii delle Alpi, dove continuamente dalle pioggie viene depositata la terra , che discende dall’ allo, e che ricuopre lo allungamento annuale de9 ramicelli di questo albero che con ciò resta pro- fopdamenle seppellito. Ne trassi esemplari dai querceti, che sono al di sopra del Monte della Croce lungo la strada che conduce alle Capanne ; ne raccolsi anche più in alto sopra il Canal Buja andando verso il Cavallo , e lo osser¬ vavo in cespuglio vicino alla cima del Granaglione , ed in mollissimi altri luoghi. MONOCOTILEDONALI. FAM. ORCHIDEE. LimoDORUM abortivum Swartz. Lo trovai in alto lungo il Rio Maggiore sul versante occidentale del Cavallo col fiore trapassato e gli ovai già abboniti alla fine di giugno. Non è molto frequente in questi boschi. Cephalanthera rubra Rich. É non rara ne’ boschi di questi monti. Alla fine del giugno la raccolsi in fiore da varie altezze del versante occidentale del Granaglione. Epipactis latifolia All. La raccolsi in fiore alla fine di giugno dal versante boscoso occidentale del Granaglione , dalle selvetle delle ripe del Rio Maggiore, e P ebbi da luoghi inferiori al paese di Granaglione. Epipactis microphylla Swartz. È mollo meno comune della precedente su questi monti. La raccolsi dalle selve del versante occidentale del Granaglione , e da quelle che sono lungo il Rio Maggiore. Listerà ovata R. Brow. Ophrys ovata L. La ebbi dal monte di Capugnano. È piuttosto rara in questi boschi. Gyhnadenia conopsea R. Brow. Orchis conopsea L. Non è molto rara nei boschi di questi monti. La raccolsi in fiore dai versante occidentale del Gra¬ naglione alla fine di giugno. Per cagione de* tuberi palmati di questa pianta, che sembrano due piccole mani opposte P una all9 altra , le donne bolognesi del volgo chiamano la stessa Concordia e Sconcordia Femmina, ed attribui¬ scono superstiziosamente ai medesimi la facoltà di rendere felici gli amori, di chi li possiede assieme al maschio, per la qual cosa vanno in cerca delle piante che li producono e le acquistano anche a caro prezzo, mentre lo astuto giar¬ diniere od il rizotomo ne ritrae anche molto guadagno quando incontra la su¬ perstizione in donna di mente volgare ma denarosa. La Concordia e Sconcordia Maschio poi ritrae il rizotomo dai due tuberi testicolati o dell9 Orchis Morio L. o dell9 Orchis fusca Jacq, che smercia assieme alla femmina col dichiarare la grandissima difficoltà di ritrovarne ne9 nostri monti, mentre le due ultime specie sono comunissime, ed un poco meno frequente è la Gymnadenia conopsea. Plananthera bifolia Rich. Orchis bifolia L. La raccolsi ai primi di luglio ne9 pendii della sommità del Cavallo occupati dalla Collana volgare. 228 Giuseppe Bertoloni Anacamptis pyramidalis Ridi. Orchis pyramidalis L. È comune ne’ prati dei din torni di Porr ella , come in quelli de' colli Bolognesi. La raccolsi alla line di maggio in fiore dal versante occidentale del Monte della Croce in basso lungo il Rio Maggiore , ed in giugno dagli erbosi del versante settentrionale del Granaglione. Orchis Morto L. Comunissima è questa specie di Salep ne’ prati de* monti porreltani, come ne’ prati degli altri monti, e principalmente de’ colli bolo¬ gnesi. É la prima Orchidea che fiorisce in provincia. Sviluppasi gregaria. Alla fine di aprile la osservavo in fiore ne' prati del Sasso Cardo , ne raccoglievo esemplari dal Poggio di Capugnano sotto il Greppo vicino al Vulcanetto , ed in maggio dal versante settentriooale del Monte della Croce , e dalla base del versante occidentale dello stesso monte sopra il Bagno lungo il Rio Maggiore. I tuberi o testicoli di questa Concordia e Sconcordia maschio del volgo Bo¬ lognese costituiscono un buon Salep. Orchis /usca. J acq. 0. purpurea Huds. E non comune ne9 monti di Porretta , mentre rinviensi comunissima ne’ boschi radi, e dietro le siepi de’ nostri colli. La raccolsi in fiore nella seconda metà di maggio dai boschetti della base delle colline poste fra il Seia e la Porretta. I tuberi di questa specie costi¬ tuiscono, perchè sono assai grossi un buon Salep ; e sono 1’ altra Concordia e Sconcordia maschio del nostro volgo. Orchis provincialis Balb. 0. pallens Savi. Non è rara ne’ luoghi erbosi ed ombrosi di questi monti. Nella seconda metà del maggio la raccolsi in fiore alle falde del Monte della Croce sopra il Bagno lungo il Rio Maggiore. Orchis palustris Jacp. Predilige i prati di colle, di monte, e di piano nei quali continuamente ristagni umidità, o sorga acqua dal sotto-suolo. La rac¬ colsi in fiore alla fine di maggio da un prato umido meridionale posto sotto il Monte della Croce lungo il Rio Maggiore poco sopra il Bagno , nel quale era assai comune. Orchis mascula L. È rara sa questi mouti. Nella seconda metà di aprile la rinvenni in bottone sul monte porreltano, la trasportai intatta nelle nostre serre del giardino botanico, dove fior» alia fine delle prima metà del maggio. Orchis maculata L. L’ ho trovata non rara ne’ boschi della sommità del Ca¬ vallo, da’ quali la trassi in fiore ai primi di luglio. Predilige i luoghi ombrosi, e folti. Ne’ boschi dei versanti settentrionali de* monti e colli delle vicinanze di Bologna è molto più comune. Ophrys apifera Huds. Alla fine del giugno la raccolsi lungo il Rio Maggiore ne’ luoghi erbosi delle selve diradate. Non è comune sù questi monti. Ophrys arachnites Host. Sviluppasi ne’ prati , ne’ luoghi erbosi dei boschetti , e vicino alle siepi. È nn poco più comune della precedente. La raccolsi in fiore alla fine di giugno lungo il Rio Maggiore, e la osservavo in altre loca¬ lità degli stessi monti. FAM. 1RIDEE. Crocus vernus All. In alto sul Granaglione trovai questa bella specie. Nella seconda metà di aprile la raccolsi in fiore dai prati e boschetti che attorniano i campi di Lustrola. Gladio ii s communis L. I campagnoli bolognesi al bulbo di questa pianta danno il nome di Castagnola, perchè i raajali la ricercano, e scavano dal ter- Piante spontanee dei monti porrettani 229 reno, e ia mangiano come fosse una castagna. I Sarzanesi chiamano la stessa pianta Galletto dei grani , perchè ne assomigliano il fiore, che sempre alzasi fra i grani, alla cresta de’ galli. La trassi in fiore nella seconda metà del mag¬ gio dai seminati di grano dei Munchini , dove non era tanto comune come in quelli delle nostre colline; la osservavo ancora in altri campi porrettani, ma sempre scarsa. Ibis germanica L. Comunissima è questa pianta ne’ luoghi ombrosi delle rupi soprastanti al paese. La raccolsi sul lato orientale del Sasso Cardo lungo la strada, che conduce all’ Orto sopra il Bagno } dove è assai comune ne’ poggi , ma lo osservavo guernire le rupi sopra la (erma del Leone , ed altrove. II suo fiore olezza con frangranza, la sua radice disseccala tramanda odore di viola, e serve, come quella dell’ Iride fiorentina per polverizzare e mettere in com¬ mercio sotto il nome di polvere di Iride , dalla quale la Toscana ritrae gran profitto, perchè si spedisce anche in China. Iris graminea L. Trovasi entro le selvette cedue, ed ombrose. Lo raccolsi non ancora fiorito nella seconda metà di maggio dalle selvette nella base dei colli posti fra il Seia e Porrata , ma il Beccari alla fine del giugno da questo stesso luogo ne trasse esemplari fioriti. La gratissima e delicata fragranza, che tramanda il suo fiore, Io rende ben degno di essere coltivato ne’ giardini, e posto negli appartamenti signorili, come presso qualche famiglia gentilizia si costuma in Bologna. FAM. AMARILLIDEE. Galanthus nivalis L. Il Foraneve trovasi soltanto in alto di questi monti. Lo raccolsi in fiore nella seconda metà di aprile fra i cespugli che attorniano gli alti Campi di Lustrola , dove è piuttosto comune. FAM. DIOSCORKACEE. Tamnus communis L. Ne raccolsi esemplari ne’ luoghi ombrosi delle selve sul versante occidentale del Granaglione, dove alla fine di giugno non era in fiore. Questa pianta volubile non vi è molto frequente. FAM. ASPARAGEE. Asparagus tenui folius Lam. A. sylvaticus W. Nella seconda metà del mag¬ gio lo raccolsi in fiore dai boschetti della base delle colline poste lungo la strada rotabile fra il Seia e Porrata . Polygonatum multiflorum All. Convallaria mulliflora L. Fu ritrovata al mar¬ gine de’ seminati di grano in terreno forte delle colline assolate, che restano fra il Seia e Porrata , dove cresce con meschino sviluppo. 11 farmacista Signor Lorenzini mi vi condusse a raccorglierla, ed era appena riconoscibile. Sebbene non ancora fiorila nella seconda metà di maggio, ne certificai la specie coi con¬ fronti di altri esemplari. Non sapevo che discendesse in basso de’ monti, perchè P avevo trovata in alto nelle selve superiori al paese di Castiglione de ’ Pepoli ; e nelle altissime poste al di sopra dell’acero in Belvedere , e sempre di bello, e grande sviluppo. 230 Giuseppe Bektoloni FAM. GIGUACEE. Erythroniux Deus canis L. È comune ne9 poggi settentrionali erbosi, freschi ed ombrosi di questi monti. Alla fine di aprile era già col fiore trapassato quando lo raccolsi ne’ boschi inferiori e confinanti coi Campi di Lustrola , e lo trassi ancora sfiorito dai dirupi settentrionali del Monte della Croce nella seconda metà di maggio. Liliuh Marlagon L. E raro sui monti porrellani. Lo raccolsi alla fine di giugno poco sotto la cima del Granaglione dai dirupi ombrosi, occidentali, non fiorito. Lilium bulbiferum L. Comune si incontra questo Giglio ne' boschi ombrosi dei monti. 11 suo grande fiore color scorza di arancio lo fa scorgere da lon¬ tano ira il verde delle selve principalmente settentrionali. Lo raccolsi in fiore alla fine del giugno dalle selve occidentali del Granaglione , da quelle che sono fra le due cime del Cavallo già sfiorito ai primi di luglio, dalle vicinanze bo¬ scose dei Campi di Lustrola. Ornithogalum pyrenaicum L. Non è raro sui monti di Porretta. Predilige i luoghi erbosi, ed i prati. Alla fine di giugno lo raccolsi in fiore dai contorni de’ Campi di Lustrola, e più in basso dal versante occidentale del Granaglione. Ornithogalum narbonense L. Anche questa specie trovasi frequente nelle parti inferiori di questi monti. Predilige i prati , ed i limiti de’ campi lavorati, ed anche i seminati. Alla fine di giugno ne trassi esemplari in fiore da’ prati del versante occidentale del Granaglione. Scilla bifolia L. Non è rara in certe località di dirupi settentrionali, e fre¬ schi di questi monti. La raccolsi adorna de’ suoi bellissimi fiori cerulei nella seconda metà di aprile dai luoghi erbosi, sassosi, che attorniano i Campi di Lustrola. Bellevalia^ comosa Kunt. Muscari comosum Mill. Hyagwthus comosus L. Lomune è ne coltivati, e ne’ prati questa specie. Nella seconda metà del mag¬ gio trovasi in fiore su questi pendìi. Ne trassi esemplari dalla base delle col¬ line poste fra il Seia e Porretta, dalla base occidentale del Monte della Croce, e ia osservavo ne campi vicini al paese. Botryanthus odorus Kunth. Muscari racemosum W. Ne’ coltivati, e lungo le strade comunissima osservasi questa specie, il cui fiore tramanda alito di formaggio piacentino. Nella seconda metà di aprile ne trassi esemplari dal Pog¬ gio dt Capugnano, e lo vedevo quà e là ne’ campi assai frequente. Alluib penduhnum Ten. Nella sola località dei dirupi settentrionali del Monte (letta Croce rinvenni questa piccola specie di Aglio fiorito nella seconda metà del maggio. 9 FAM. MELANTACEE. Colchici^ autumnale L. Il Colchico è comunissimo per tutti i prati delle pianure e principalmente dei monti. In autunno guernisce que’ verdi tappeti d ifion rosseo-carnei. Allora è privo di foglie, che poi sviluppa la primavera, quando I ovajo grande, o pericarpio sorge dal sopì» a maturare e perfezio- are le sememi. Ne raccolsi esemplari fogliosi e col frutto nella seconda metà .lei ™ ■ Sa,s? Card“,"elle ™inanze <*«• Vulcanetto, e da’ praticel li bassi versante occidentale del Monte iella Croce, praticelli che stanno lungo il Piante spontanee dei monti porrettani 231 Rio Maggiore poco sopra il Bagno. 11 suo bulbo è una valevole medicina de¬ primente, col quale si fanno alcune preparazioni farmaceutiche. FAM. GIUNCACEE. Luzola Forsteri Dee. Trovasi ne* pendii poco erbosi e nelle terre forti. Nella seconda metà di aprile la trassi col fiore dall’ alto del versante settentrionale del Granaglione, dalle ripe del Rio Cavo, e dalla base orientale delle colline poste fra il Seia e la Porretla. Luzola albida W. L. pedemontana Boiss. et Reut. Alla fine del giugno la trassi in fiore dall’ alveo del Rio Maggiore sopra il Canal Buja , ed inferior¬ mente dalle ripe dello stesso Rio. Luzula nivea W. È comuue ne’ boschi radi di questi monti. Col suo bianco fiore splende fra 1’ erba. Alla fine del giugno ne trassi esemplari dall’ alto del versante occidentale del Granaglione, dai luoghi erbosi posti sotto la cima del Cavallo , e compresi fra le rupi di macigno, lungo il Rio Maggiore più in alto del Rio Cavo ed inferiormente a questo. Juncus inflexm L. È specie comune ne’ terreni, dove sopra questi monti ristagna acqua. La raccolsi in fiore fra il maggio ed il giugno dal versante occidentale del Granaglione, dove una sorgente d’ acqua largamente impaluda , dalle terre forti e sempre bagnate della base de’ colli posti fra il Seia e la Porretta , ed in alto fra il Cavallo ed il Granaglione vicino ed inferiormente ad una fonte. , Juncus effusus L. Lo trovai alla fine di giugno nel versante occidentale del Granaglione, dove largamente impaludano scoli , che discendono dall’ alto. Juncus conglomeratus L. Si incontra più di rado ne’ luoghi umidi degli stessi monti. Lo ebbi dai terreni lavinosi della Ruina detta Piarea nel Baggioledo del monte Porrettano. , . T Juncus articulatus L. Altra specie comune ne’ luoghi umidi ed acquosi. La raccolsi in fiore fra il giugno ed il luglio dall’ alveo del Rio Maggiore più in alto del Canal Buja, al disotto di questo, dalla sommità del Granaglione, e dal fianco occidentale del medesimo monte, dove una sorgente impaluda. FAM. AL1SMACEE. Alisma Plantago aquatica L. Cresce entro ai fossi acquosi, e ne’ ristagni d’ acqua questa specie , le cui foglie si vantarono , ma inutilmente , contro la rabie canina. La raccolsi fiorita alla fine di giugno nel versante occidentale del Granaglione, dove acque che discendono dall’ alto impaludano. FAM. AROIDEE. Abum italicum Lamark. È non raro lungo il Rio Maggiore a piè delle rapi nel folto del bosco di Castagni e di Faggi, dove sviluppasi più gracile che nei luoghi scoperti di altre località italiane. Era già sfiorito alla fine di giugno. Giuseppe Bertoloni FAM. TIFACEE. Sparganiu* ramosum Huds. Non ancora fiorito alia fine di giugno sorgeva da un piccolo stagno di acqua impaludata nel versante occidentale del Grana¬ gliene poco distante dal Rio Maggiore. FAM. CIPEREE. Tribù Sgirpee. Heleocharis palustri s R. Br. Anche questa specie già in fiore alla fine di giugno cresceva nel summenlovalo piccolo stagno del versante occidentale del Granagliene , donde trassi esemplari. Scirpus sylvaticus L. Da questa località sunnominata, e dallo stesso impalu¬ damento d’ acqua lo raccolsi alla fine di giugno in fiore. Ebiophorubi pubescens Smith. Ai primi di luglio lo trovai già in semente e coi pappi volanti in un luogo alto, acquatrinoso, ed erboso posto fra il Cavallo e Granaglione nella foce sotto la sorgente. Carex praecox Jacq. Si vede di frequente ne9 prati in primavera, e lungo i margini erbosi delle strade. La raccolsi in fiore alla fine di aprile dal Sasso Cardo, sul Poggio di Capugnano, e sul Monte della Croce . Carex pendala Huds. Cresce sempre vicino all’ acqua, e colle radici per lo più immerse in essa. La trassi alla fine di giugno colle sementi quasi mature dalle ripe bagnate del Rio Maggiore, e la osservavo nell’ alveo del Reno so¬ pra i margini de’ canaletti degli orti. Carex glauca Scopol. C. recurva Huds. É non rara su questi monti. Pre¬ dilige i luoghi umidi , e gli scoli de’ terreni tenaci. La raccolsi sul Sasso Cardo vicino alle sorgenti di gas accendibile alla fine di aprile in fiore, e nella se¬ conda metà di maggio in semente dalle ripe umide del Rio Maggiore , e dalla base dei colli posti fra il Seia e Porr ella. Carex distans L. Predilige i terreni forti, umidi o bagnati. La tolsi in semente dal piccolo rivo, o scolo superiore ai Munchini nella seconda metà del maggio. FAM. GRAMIGNE. Tribù Falàrtdee. Arrhenantheriim avenaceum Roera. Sch. Nei primi di luglio lo trovai nel- 1 alveo del Reno vicino alla Porretta colle sementi già mature. Tribù Fleoidee. Alopecurus agrestis L. Lo raccolsi in fiore ne’ prati e nelle vie erbose del Sasso Cardo ai Munchini nella seconda metà di aprile. È specie comune in traesti monti. r F Piante spontanee dei monti porrettani 233 Agrostis canina L. Non è rara so questi monti. La trassi dalle ripe erbose del Rio Maggiore più alto del Canal Buja in semente alla fine di giugno, ma P ebbi ancora dalla Costa della Serra. Tribù Avenee. Aira cariophyllea L. Predilige i prati sterili e quasi denudati di erbe, ed il margine delle strade. Raccolsi alla fine di giugno in semente dal versante oc¬ cidentale del Granaglione, dove non è rara, questa delicata e tenue graminacea. Trisetum flavescens Pai. Avena flavescens L. É comune su questi monti. Alla fine di giugno era già in semente matura nell’ alveo del Canal Cavo , e nei contorni erbosi dei Campi di Luslrola , da’ quali luoghi trassi esemplari. Holcus lanatus L. Lo osservai frequente quà e là ne’ lunghi erbosi , e nei prati. Mi fu portato dalla Ruina della Piarea nel Baggioledo del Granaglione. Meliga ciliata L. Cresce ne’ luoghi erbosi e freschi fra i dirupi. Nella fine di giugno, e nella prima metà del luglio la raccoglievo in semente dal Monte della Croce subito sopra le Donzelle , e fra le rupi soprastanti alle terme del Leone. Meliga uniflora W. Fra le erbe delle selve cresce questa Melica. Alla fine del giugno la trassi in semente dai boschetti attornianti i Campi di Luslrola. Tribù Sesleriee. Sesleria coerulea Arduin. Non è rara ne’ poggi erbosi de’ monti porrettani. La raccolsi in fiore nella seconda metà di luglio vicina alla Porretia Vecchia assieme all’ Illustre Don Giovanni Conte Gozzadini, ed alla fine del giugno dal versante occidentale del Granaglione assieme al Beccari. Tribù Festucee. Koeleria cristata Pers. La trassi in fiore dal versante occidentale del Gra- naglione , e da’ poggi lungo le ripe del Rio Maggiore alla fine del giugno. Cynosorus echinatus L. È comune in alto di questi monti come in tutto P apennino. Ne raccolsi esemplari in semente alla fine del giugno dai Campi di Lustrola. Poa bulbosa 0. Bertol. Era comune ne’ luoghi scoperti , ed erbosi del Pog¬ gio di Capugnano, donde trassi esemplari in bulbetti alla fine di giugno, ma la osservavo in altri prati. Poa compressa L. Alla fine del giugno il Beccari la raccolse da’ margini de’ fossati nelle vicinanze del paese appena sfiorita. Poa rigida L. Comunissima è questa specie lungo le strade, ne’ luoghi sas¬ sosi e sterili, ed anche sui muri, e sulle macerie. La raccolsi in fiore dal Sasso Cardo nella seconda metà del maggio. Poa nemoralis L Frequentissima trovasi ne’ boschi quest’ erba. La trassi in fiore alla fine del giugno sotto al Granaglione all' occidente del Rio Cavo , lungo le ripe del Rio Maggiore , e nel versante occidentale del detto monte. Molinia coerulea Schrank. Meliga coerulea L. La trassi dal poggio soprap¬ posto alla terma del Leone in semente matura nella prima metà dej luglio. Glyceria fluitane R. Brow. Per lo più sta colla radice entro 1* acqua del- 234 Giuseppe Bertoloni |» alveo dei rivi. Alla fine del giugno la trassi in fiore dal versante occiden¬ tale del Granagliene , dove uno scolo superiore impaluda largamente la sua acqua in un piano appena concavo a guisa di catino. Bryza media L. Trovasi quà e là ne’ prati, ed ai margini delle vie. Ne trassi esemplari in fiore dai contorni dei boschetti cedui delle colline poste fra il Seia e Porretta nella seconda metà del maggio, ed in giugno coi semi maturi dal versante occidentale del Granaglione. Serrafalcus secalinus Bab. Bromus secalinus L. E comune ne’ prati di Por- retta. Dal maggio al giugno vi fiorisce, e lo raccolsi negli erbosi dei Munchini , nelle ripe del Canal Cavo, e negli erbosi delP Orto sopra il Bagno. Serrafalccs arvensis Godr. Bromus arvensis L. È non raro nelle vicinanze del paese, donde lo trasse il Beccari in fiore nel mese di giugno. Bromus sterilis L. Lo raccolsi colle sementi più o meno mature dal maggio al giugno lungo il Rio Maggiore poco sopra il Bagno, e dal versarne occi¬ dentale del Granaglione. Bromus asper L. fil. Alla fine del giugno lo trassi in fiore già trapassato dalle ripe del Rio Maggiore. Festuca myuros L. Vaipia myuros Grael. É comunissima in certe località sterili, ed assolate, dove vegeta gregaria. La raccolsi alla fine del giugno dai prati magri del versante occidentale del Granaglione. Festuca duriuscula L. Specie comune per ogni dove. La raccolsi alla fine del giugno in semente dal versante occidentale del Granaglione. Festuca elatior L. Cresce ben alta questa graminacea ne’ boschi radi, che stanno lungo il Rio Maggiore , da’ quali trassi esemplari già sfioriti alla fine del giugno. Dactylis glomerata L. Comunissima è questa specie nelle ripe de’ canali, e de’ fiumi, ne’ poggi e pendìi di terreno duro e forte. Alzasi col suo colmo lungo, duro, e tenace sopra le altre erbe, che le stanno vicine. La raccolsi in diverse località dal maggio al luglio in fiore ed in semente. Ne trassi esem¬ plari dalla Costa inferiore al Rio Cavo, dalle ripe dello stesso Rio Cavo, dal- l’ alveo del .Reno vicino ai paese, e dalla base dei colli posti fra il Seia e detto paese di Porretta. Brachypodium distachyon Roero. Sch. Anche questa specie è comune ne’ luo¬ ghi scoperti, e poco fertili, sui quali vegeta gregaria in molta estensione. La raccolsi alia fine del maggio alle falde del Monte della Croce lungo il Rio Maggiore poco sopra il Bagno, ed in luglio colle sementi mature fra i sassi dell’ alveo del Reno. Triticum repens L. La Moleccia dei Bolognesi, che mai si estirpa dai col¬ tivati, è una delle gramigne, che somministra la sua radice alle farmacie. Co¬ munissima è nel territorio di Porretta, siccome in tutti gli altri paesi della provincia nostra, e dell’ Italia. Ne raccolsi esemplari in fiore ed in semente dal giugno al luglio dalle ripe del Rio Maggiore sopra al Canal Buja ,* dal- 1 alveo e ripe del Canal Cavo, e dall’ alveo del Reno. La sua radice ser¬ peggia da perlutto sotterra. Aegilops neglecta Requi. Predilige i luoghi scoperti dei poggi assolati, ed il margine delle strade, e de’ campi. Nella seconda metà del maggio ne raccolsi esemplari in fiore dagli erbosi dei Munchini , e dalle falde orientali del Sasso Cardo poco sopra il Bagno. L’ Aegilops triaristata W. distinguesi per me qual varietà della neglecta pel modo delle ariste, e per 1’ abito. Piante spontanee dei monti porrettani 235 Hordeum murimum L. Specie comunissima per tutta Italia. Predilige nascere gregaria e fitta alla base delle muraglie., lungo i margini delle strade e nei prati e luoghi pingui. Quando il suo seme è maturo, la rachide si disarticola in tanti pezzi quante sono le inserzioni dei fiori. Questi pezzi si impian¬ tano e penetrano entro alle vestimenta dell’ uomo, e principalmente nel tessuto delle calze, irritando la pelle. Per questa singolarità tutti cono¬ scono P Orzo de* muri. Ne raccolsi esemplari nella seconda metà del mag¬ gio sul Sasso Cardo , ed anche ben in alto sul Granaglione colle spiche non ancora mature. Lolium perenne L. La Loliessa è comune in questi monti come da pertutto nella provincia. Predilige i terreni ed i prati pingui. Ne trassi esemplari dalle falde delle colline poste fra il Seia ed il paese in fiore nella seconda metà di maggio, e dall’ alveo del Reno iu semente matura ai primi di luglio. Nàrdus strida L. Specie particolare e predominante ne’ prati dei monti più alti d’ Italia, e nelle alpi. In basso non discende., anzi trasportata nel giardino botanico di questa R. Università Bolognese non visse che un anno. Non P ho mai trovata in luoghi più bassi della sommità occidentale del Granaglione , donde ne trassi esemplari in semente alla fine del giugno, e da’ prati confi¬ nanti cogli alti Campi dì Lustrola. Ne’ monti più elevali del Bolognese, e del resto del culmine di appennino, siccome sulle Alpi Maritime, e anche sulle Alpi Apuane costituisce più o meno ampie praterie, c pingui pascoli per le pecore e per le capre. La sua erba è sottile, lunga circa una spanna. Vive stretta e foltissima nel prato, che perciò esclude la maggior parte delle altre erbe, e potentemente si impossessa di quel suolo alpino, e non lo cede che a pochis¬ simi altri vegetabili, che vi crescono framezzo. Per due mesi dell’ estate le nostre mandre lanute e villose si nutrono principalmente di quest’ erba, che in Italia predilige vivere all’ elevatezza dei 6000 ai 6000 piedi sopra il livello del mare. ACOTILEDONALI. FAM. FELCI. Tribù Ofioglosseb. Ophjoglossum vulgatum L. Lo rinvenni alla fine del giugno colla fruttifica¬ zione lungo il Rio Maggiore in allo sopra un piano selvoso, ed umido tra le foglie marcite, e le erbe assai rade. Tribù Ciateacee. Cyathea fragilis Smith. In alto sopra questi monti, e fra le rupi ombrose è felce assai comune. Alla fine di giugno ed in luglio la raccolsi colle frutti¬ ficazioni ne’ luoghi elevati, ed a piedi delle rupi lungo le ripe del Rio Mag¬ giore, e fra le due cime del Cavallo. Rinvenni pure frequente la varietà Bertol. in alto a piè delle rupi opache lungo lo stesso Rio. Athyricm Filix femina Roth. Polypodiuk Filix femina L. Il Felce Femina è comune ne’ boschi di questi monti principalmente fra le rupi ed i sassi. Ne 236 Giuseppe Bertoloni trassi esemplari in fruttificazione alla fine di giugno dalle ripe del Rio Mag¬ giore, e dai Campi di Lustrola. Tbibù Polipodiàcee. Asfidum Filix mas Swarz. Polypodium Filix mas L. II Felce Maschio è assai comune ne' boschi di questi monti. Alla fine di giugno ne raccolsi esem¬ plari in fruttificazione dal Monte della Croce , dalle ripe selvose del Rio Mag¬ giore, e da’ boschi posti sopra il Canal Buja andando verso il Cavallo. Il suo fusto raccorciato rasente terra^ ed impropriamente detto rizoma, è vermifugo. Aspidum aculeatum Swartz. Forse è la felce più comune di questi monti, perchè cresce assieme alle altre ma in maggiore quantità. La raccolsi colle fruttificazioni alla fine di giugno ed in luglio dalle selve di Faggio poste fra il Cavallo ed il Granagltone, dalle ripe ombrose del Rio Maggiore, del Canal Cavo, e dal versante settentrionale del Monte della Croce senza fruttificazioni nella seconda metà dei maggio. Aspidium Lonchitis Swartz. Polypodium Lonchitis L. Specie piuttosto rara nei monti porreltani. Ne rinvenni una varietà a pinne profondamente dentate alia fine di giugno in alto non ancora in fruttificazione nelle macerie del ver¬ sante occidentale del Granaglione. Scolopendrium officinarum Swartz. Asplenium Scolopendrium L. Meno fre¬ quente che nei monti più alti d’ appennino è quesra speeie in quelli di Por- retta. La trassi in fruttificazione alla fine di giugno dai dirupi ombrosi ed umi¬ di delle ripe del Rio Maggiore assai in alto. Asplenium Adianthum nigrum L. La sua fronde costituisce una delle cinque Erbe Capillari. E specie non rara alla base dei tronchi fradici, e fra le rupi muscose delle selve di Castagno e di Faggio lungo il Rio Maggiore, donde ne trassi esemplari alla fine di luglio in piena fruttificazione. Asplenium Trichomanes L. Comunissima è quest’ altra Erba Capillare di tutti questi monti, e degli inferiori ancora non esclusi i nostri colli. Cresce dalle fessure de’ muri vecchi, dalle rupi, e dalle macerie umide ed ombrose. Nella seconda metà del maggio la raccolsi dalle rupi del versante settentriona¬ le del Monte della Croce, e più in alto da quelle del versante occidentale del Granaglione lungo il Rio Maggiore alla fine di giugno in piena fruttificazione. Ceterac officinarum W. Asplenium Ceterac L. Specie che coabita insieme alla precedente, e predilige le stesse circostanze di località. La trassi dagli stessi luoghi alle medesime stagioni. Pteris aquilina L. É la Felce più grande di tulle in Italia. Nel Bologne¬ se è assai comune. Per lo più vive estesamente gregaria sopra pendii sterili. Alzasi da terra anche due terzi di uomo. É cosa difficilissima tro¬ varla io fruttificazione. Ne’ monti porrettani si incontra di frequente. La rac¬ colsi ne’ boschi del versante occidentale del Granaglione, dove acquista un alto sviluppo. Polypodium vulgare L. La Liquirizia Salvatica è comune delle rupi umide ed ombrose di questi monti tanto in alto che in basso. Ne raccolsi esemplari in fruttificazione dalla fine di aprile al giugno dal Monte della Croce, dalle ripe sassose del Rio Maggiore, dalle rupi del Granaglione, e dalle macerie su¬ periori ai Campi di Lustrola. Piante spontanee dei monti porrettani 237 FAM. EQUISETACEE. Equiseto» arvense L. Lo trassi dall’ alveo acquatrinoso del Canal Buja sotto ìi Granaglione, e dall' alveo del Reno vicino alla Porretta dal giugno al fuglio non in fruttificazione, perchè questa sorte dal suolo in primavera. Equiseto» fluviatile L. La Coda di Cavallo , detta Gavone dai Bolognesi è comune per ogni dove nelle terre sempre umide, e bagnate, anzi la presenza di essa è sintomo certo dell9 umidità costante del sottosuolo. Alla fine di giu¬ gno trassi esemplari ramosi dalle ripe umide del Rio Maggiore nelle vicinanze superiori ai Bagno. Gli individui colle fruttificazioni escono dal suolo senza rami nel principio di primavera. Quest’ erba si mangia dai cavalli, ma il lun¬ go uso riesce loro nocivo perchè produce la diarrea, e non li nutrisce. FAM. MUSCHI. Dicranuk scoparium Hedw. È comunissimo in alto sopra questi monti. Lo raccolsi in fruttificazione nella seconda metà di aprile alla base degli alberi, dalle macerie dei Campi di Lustrola, ed al settentrione dal limite superiore de’ castagneti del monte porrettano. Oncophobus glaucus Bruch. Dicramjm glaucum Hedw. Sviluppasi sulle ripe umide ed ombrosissime del Rio Maggiore , donde lo trassi alla fine del giugno senza fruttificazioni. Barbula muralis Schultz. Tortola muralis Hedw. É comunissima in questi monti sulle rupi, sulle macerie, e sui muri, da’ quali la raccolsi in fruttifica¬ zione alla fine di aprile nei contorni de’ Campi di Lustrola , e nella seconda metà di maggio dai margini della strada, che dal Seia conduce alla Porretta. Racomitrilm ericoides Brid. Trichostomu® ericoides Schwaegr. È frequente alla base dei tronchi, e su la terra lungo le ripe del Rio Maggiore, e sul Granaglione, da' quali luoghi Io trassi alla fine di giugno ed in estate inoltra¬ ta senza fruttificazioni. Bartraihia pomiformis Schimp. Bryum pomiforme L. Sulle rupi umide, e sulla terra della base de' castagni del bosco alto del Granaglione raccolsi esem¬ plari in piena fruttificazione nella seconda metà di aprile. Pogonatum urnigerum Shimp. Polytrichuh urnigerum L. Specie comune de’ boschi alti di questi monti. Cresce sulla base de’ tronchi, e sulla terra, che li attornia. Ne trassi esemplari in fruttificazione nella seconda metà di aprile dai Campi di Lustrola. Polytricum piliferum Schreb. P. comune y. L. Nella seconda metà di apri¬ le Io raccolsi da’ castagneti i più elevati del Granaglione, dove cresce sulla terra alla base dei tronchi promiscuamente al musco precedente. Neckera crispa Hedw. Hypnum crispum L. É I’ Erba Presepia più grande di questi monti. Predilige il bosco di Faggio il più folto, e costituisce larghi tappeti verdi sui terreno. Ne trassi esemplari da’ boschi cupi lungo le ripe del Rio Maggiore alla fine del giugno non in fruttificazione. Le fabbricatrici di fiori finti ponno ritrarre da queste località 1’ Erba Presepia più grande che adoperano per ricuoprire i vasi entro i quali impiantano i loro adornanti lavori; posciachè questa è una specie che ha il color verde più gajo delle altre consimili, e Io conserva lunga pezza essendo rediviva. Anche gli imbalsama¬ tori di animali ponno provvedersene per fare le imbottiture che non tarlino. 238 Giuseppe Bertoloni Leucodon sciuroides Schwaegr. Hypnum sciuroides L. Trovasi in alto su questi monti. Lo raccolsi in fruttificazione dall’ aprile al giugno dalla base terrosa del pedale de’ Castagni, dalle rupi terrose, dalia terra umida de’ boschi del Granaglione, e dalle ripe del Rio Maggiore nella parte più alta. Anomodon vitieulosus Schimp. Hypnum viticulosum L. Neckera viticulosa Hedw. Alla fine del giugno rinvenni questa specie senza fruttificazioni da al¬ cune posizioni alte delle ripe del Rio Maggiore, nelle quali cresceva fittamente al calcio degli alberi. Isothecium myurum Brid. Hypnum myurum PoIIich. H. myosuroides Hedw. Alla fine di aprile Io trassi dai prati de’ Campi di Lustrola senza frutti¬ ficazioni. Homalothecium sericeum Schimp. Hypnum sericeum L. Leskea sericea Hedw. Cresce sulla base de’ tronchi, e sulle foglie decomposte. Lo raccolsi senza fruttificazioni alla fine di giugno in alto lungo il Rio Maggiore per entro a boschi. Hypnum cupressiforme L. É comunissimo stilla terra alla base dei tronchi. Lo trassi in fruttificazione nella seconda metà di aprile più in alto dei Campi di Lustrola. Hypnum cuspidatum L. Cresce entro l’acqua sopra rupi quasi sommerse del Rio Maggiore in alto, dalle quali lo trassi senza fruttificazioni alla fine del giugno. Hylocomium splendens Schimp. Hypnum splendens Hedw. Specie comunissima ne prati ombrosi, ed al calcio degli alberi. Dall’aprile all’ agosto ne raccolsi esemplari senza fruttificazioni dall’ estremità superiore de’ castagneti del Gra¬ nagliene, dall' apice del versante occidentale dello stesso monte, ed in alto dalle ripe del Rio Maggiore. FAM. EPATICHE. Marchantja comica L. Sulle rupi gocciolanti acqua delle ripe del Rio Mag¬ giore non è comune il ritrovarla. Io va la rinvenni alla fine di giugno senza fruttificazione. Tribù Jungermanniacee. Jungermannia complanata L. La raccolsi senza fruttificazioni dalle ripe umide j Maggiore alla fine di giugno, ed era strettamente frammista al conno dell Anomodon vitieulosus. Junhermannia platyphylla L. E comune sulla terra da per tutto negli alti drl^Se* ^ Grana^ione e monl* vicini* Ve la raccolsi nella seconda metà Jungermannia dilatata L. La rinvenni ne’ poggi umidi lungo il Rio Mag¬ giore alla fine di giugno. ^ Jungermannia tamarisci L. Frullania tamarisci Nees. Comunissima incontrasi ne poggi ombrosi, cupi, ed umidi. La raccolsi in aprile sul Granaglione nella selva al confine de Campi di Lustrola , ed in giugno dalle ripe del Rio Maggiore. FAM. FUNGHI. Thibù Acaricini. Agaricus caesareus Caesalp. È abbondantemente spontaneo ne' castagneti porrettani il così detto in Italia Ovolo Rosso, o Bulidr dai Bolognesi. Questo Piante spontanee dei monti porrettani 239 riliensi pel migliore e più pregevole fungo comestibile, per cui era cibo de¬ lizioso nelle mense dei Cesari. Agaricus muscarius Clus. L. Nella stessa stagione autunnale principal¬ mente comparisce questa specie non di rado ne’ boschi summentovati. Essa so¬ miglia assai alla precedente sanissima ed esquisita, ma ne diversifica perchè è velenosissima, e micidiale. Nel Bolognese, che io sappia, non sviluppasi che sui monti di Porretta, perchè mai la rinvenni ne’ colli nostri che sono sì pro¬ duttivi di svariatissime specie negli autunni umidi e piovosi. Le persone che non sono versate nella scienza micologica pure distingueranno il buono o cesa¬ reo dalle lamelle gialle, ed il cattivo o muscario dalie lamelle bianche. Non so se i Porrettani al velenoso diano un nome, ma so che lo conoscono per tale, e che, quando lo incontrano, schiaccianlo sotto i piedi, perchè non riesca micidiale agli ignoranti. Agaricus pantherinus J. Bauli. L. Lo rinvenui alla fine di giugno ne' boschi di Porretta in poca quantità, ma certamente in autunno vi sarà comunissimo, come ne’ boschi de* nostri colli, e monti inferiori. Desso è velenoso, e qualche volta appo noi avvelena i ragazzi de’ contadini, che lo confondono con una specie comestibile detta dai villici bolognesi Sblisgone , e che corrisponde al- P Agaricus mginatus Buxb. , del quale dirò qui sotto. L’ A . pantherinus poi dai campagnoli si appella Sblisgone dalla rogna , perchè somiglia a quello che viene appresso ma è cosperso di verruche o rogna nel disopra del suo cinereo cappello. In generale è conosciutissimo per velenoso dai campagnoli anche per¬ chè alla sua stagione è uno de’ funghi più comuni delle nostre selve. Agaricus vaginatus Buxb. Di frequente si incontra in autunno ne’ boschi tutti del bolognese questa specie assai appetita, ma mangiata soltanto dai cam¬ pagnoli, che ne arrostiscono il cappello sulle bragie condito con sale ed olio, e che riesce saporitissimo. Nei mercati di città non si commercia. Lo rinvenni alla fine di giugno sul versante occidentale del Granaglione. Agaricus volemus Fries. Non è comestibile. Nella fine di giugno Io raccolsi dal versante occidentale del Granaglione . Agaricus piperalus Scop. Masticato crudo riesce piccante come il pepe. Alla fine di giugno lo raccolsi dal versante occidentale del Granaglione. Probabil¬ mente in autunno vi sarà comunissimo come ne’ monti inferiori, e ne’ colli bolognesi. Non si mangia appo noi, ma, se ben rammento, il chiarissimo Ot- taviani di felice ricordanza dicevami che nell’Urbinate si mangia sotto il nome di Beta Caprina. Agaricus sanguineus Wulf. Alla fine di giugno lo trovai ne’ boschi del Granaglione in poca quantità, ma nel piovoso autunno certamente vi sarà in abbondanza come ne’ colli nostri e monti inferióri. Cantharellus cibarius Fries. Agaricus cantharellus L. Lo trovai alla fine di giugno ne’ boschi del Granaglione in poca quantità; ma in autunno vi si svi¬ lupperà in quella stessa abbondanza che lo si osserva in tutte le selve di Castagno , e di Faggio dell’ Italia. É di buon sapore, sano, e comestibile. Il suo colorito si degrada dal rosso al giallo dilavato. É ben noto ai montanari. Si appella Gallinaccio , e dai Bolognesi Galletto. Lenzites betulina Fries. Agaricus betulinus L. Daedàlea betulina Batt. Nella seconda metà di aprile la raccolsi ne’ castagneti del Granaglione staccandola probabilmente da legno di pioppo marcito, la qual cosa non mi curai di certificare. 240 Giuseppe Bertoloni Polyporus leptocephalus Jacq. Lo trovai alla fine di giugno nel versante occidentale del Granaglione. Boletus luridus Schaeff. Lo raccolsi dalle selve del Granaglione alla fine del giugno. Vi era allora in poca quantità, ma certamente in autunno abbon- deravvi, perchè è il fungo più comune de9 boschi dell9 Italia. 11 suo aspetto lurido, e la sua spezzatura che subito annerisce lo fa credere velenosissimo dagli ignoranti, ma non è tale perchè riesce soltanto insano, e perciò non si mangia appo noi. Veri Boleti velenosi io non conosco. I Sarzanesi Io appellano Ferrone. Boletus edulis Bull. Ne9 castagneti de* monti porrettani come in quelli di tutta Italia alla fine della state, ed in autunno principalmente è comunissimo questo squisito, e salubre fungo, del quale si fa il maggior consumo in tutta Italia, ed anche al di fuori, perchè principalmente i Genovesi lo disseccano e mettono in commercio. 1 mercati di Firenze, di Bologna, delle città lombarde, di Genova e di tulli i paesi e città delle sue riviere in autunno ne sono esu¬ beranti. I Porrettani lo appellano Ciopatello , i Toscani Porcino o Morecchio, i Bolognesi Cuzzella, i Sarzanesi Selvi o Servi. Forse porta ancora altri nomi a me ignoti presso le diverse popolazioni. Hydmjm Erinaceum Bocc. Dal Sig. Ingegnere Lorenzo Lorenzini mi fu man¬ dato questo fungo come una produzione meravigliosa, e non comune del Gra¬ naglione sino ^daiF autunno del 1853. Certamente è specie piuttosto rara. Una sol volta io I9 ho trovata sopra un tronco d’ Olmo fradicio vicino a Bologna sul colle di Gaibola nel podere detto gli Olmi. È bianco, di delicato aspetto, ha buon odore, buon sapore, si mangia, ma di rado perchè è scarsissimo. Sterkum hirsutum Fries. Lo trovai sul versante occidentale del Granaglione sul legno fradicio alla fine di giugno. Stereum disciforme Fries. Lo staccai dal tronco di Quercia morta alla fine di giugno sulle ripe del Rio Maggiore. Tribù Elvelacee. Morchella esculenta Pers. Nella seconda metà di aprile la trovai sulla terra umida del Monte della Croce. Le Spongiuole tanto appetite dai Bolognesi non si mangiano alla Porretla forse perchè vi si trovano in pochissima quantità. «elvella esculenta, Pers. .Rinvenni questa specie nella seconda metà di apri- e ne piu elevati castagneti del Granaglione. Sebbene sia comestibile, ed abbia uon sapoie, ma non squisito tanto che quello delle saporitissime Spongiole, pure in l orretta non si mangia, e non è conosciuta con Dome particolare. i ez'za Jjapulum Bull. Nella seconda metà d9 aprile la raccolsi dai più alti Campi dt Lustrola sopra terra pingue e morbida. Tribù Gasteromiceti. Hypoxilon glomeralum Bull. Sviluppasi sui ia„ del Faggio elevandosi sulla cuticula in tante pustole de. E comnuissirao nella regione de9 Faggi, e lo rac Maggiore alla fine del giugno. caduti a terra „ scure, e roton- raccolsi in alto lungo il Rio Piante spontanee dei monti porrettani 241 Stemonitis fusca Rhot. Sopra legno marcito di Faggio si ritrova di frequen¬ te in alto questa oscura e polverosa specie. La trassi da luogo ombrosissimo del bosco di Faggio lungo il Rio Maggiore alla fine di giugno. Oidium Touckeri Ree. Anche alla Porretta questa terribile parassita dell’uva fece i suoi non piccoli danni, però non apportò tanta rovina come ne’ colli della vicina Toscana. FAM. LICHENI. Evernia prunastri Vaili. Lichen prunastri L. Lo raccolsi vicino ai Campi di Lustrola da’ rami morti degli alberi, su’ quali si sviluppa a cespuglietto. Non era in fruttificazione alla fine di giugno. Ramalina polymorpha fraxinea var. parva Mass. Lichen fraxineus L. La tolsi da’ rami de’ faggi in alto lungo il Rio Maggiore senza fruttificazioni alla fine di giugno. Peltigera horizontalis Hoff. Lichen horizontalis L. La raccolsi alia base muscosa degli alberi ne’ castagneti del versante settentrionale del Granaglione nella se¬ conda metà di aprile, e poco sopra i Campi di Lustrola in fruttificazione. Peltigera conica Hoff. Lichen caninus L. Alla fine di giugno la trassi dalle ripe del Rio Maggiore in alto dalla base terrosa e muscosa de’ tronchi. Nephroma resupinata A eh. Peltigera resupinata Hoff. Lichen resupinatus L. Lo raccolsi senza fruttificazioni alla fine di aprile dalla base de’ tronchi di Ca¬ stagno nel versante settentrionale del Granaglione , al confine de’ Campi di Lus- Xrola , ed in alto dalla base muscosa de’ tronchi lungo il Rio Maggiore alla fine di giugno. Sticta pulmonacea Ach. Lichen pulmonaris L. La Polmonaria arborea os¬ servasi comunissima ad una data elevatezza dei monti sopra i tronchi di Ca¬ stagno, che ricuopre col suo esteso cormo. La raccolsi da’ boschi alti del Granaglione nella seconda metà di aprile, e da quelli delle ripe del Rio Mag¬ giore nella seconda metà del maggio sempre senza fruttificazioni,, perchè di rado vi si rinviene con queste. Placodiijh radiosum Ach. È comune sulle rupi dello scuro macigno del Mon¬ te della Croce, dalle quali lo ritrassi assieme al Rhizocarpum geograficum Dee. ed alla Parmelia olivacea a Ach. nel maggio. Placodium saxicolum Ach. Lo trovai comune lungo le ripe del Rio Mag¬ giore, e lo osservai ancora in altri luoghi di questi monti ma senza fruttifica¬ zioni alla fine del giugno. Parmelia olivacea Ach. Sviluppasi sulle rupi e sulle scorze degli alberi. La tolsi in allo dalle scorze de’ Faggi, ed io basso dalle rupi del Monte della Croce alla fine del giugno. Parmelia ferruginea Fries. Alla fine del suddetto mese la staccai sulle scor¬ ze de’ Faggi da' tronchi ne’ boschi, che attorniano la parte alta del Rio Mag¬ giore. * Squammaria stellaris Mass. Parmelia stellari s Schaer. La trassi da tronchi sulle scorze di Faggio in alto lungo le ripe del suramentovato rio nel giugno in fruttificazione. Variolaria faginea Pers. In giugno la tolsi da’ tronchi di Faggio in alto lungo il Rio Maggiore guernita delle fruttificazioni. T. IV. 31 242 Giuseppe Bertoloni Cladonia pyxidata Tournef. Lichen pyxidatus L. Trovasi di frequente sulla terra di questi monti. Ne trassi esemplari in fruttificazione da’ castagneti alti del Granaglione in aprile, e dalle ripe muscose del Rio Maggiore alla fine di giugno. Cladonia funata Fries. É specie comune sopra tutti i monti. Ne trassi esemplari dai castagneti del Granaglione in confine ai Campi di Lustrala, e dal versante orientale dello stesso monte, ma la osservavo ancora ne’ luoghi assolali ed alti. La varietà rangiformis Schaer vi è pure comunissima. La raccolsi da luoghi muscosi del Granaglione, e lungo le ripe del Rio Mag¬ giore in aprile ed in giugno. Cladonia endiviaefolia Schaer. È comunissima per ogni dove sulla terra nei monti di Porretla. La raccolsi sul Granaglione senza fruttificazioni nella se¬ conda metà di aprile. Beomyces roseus Pers. Sviluppasi sulla terra bianca, sempre bagnata delle ripe e dell' alveo del Rio Maggiore . Ve lo raccolsi in fruttificazione alla fine di giugno. Beomyces rufus Walenb. Anche questa specie trovasi sulle ripe del Rio Maggiore in fruttificazione alla fioe del giugno. Sviluppasi sul macigno tenero. Rhyzocarpon geographicum Dee. Nasce sulle nude rupi ad una data eleva¬ tezza degli appennini e delle alpi, e le ricuopre inlerrotlamente colorandole di varie gradazioni di giallo a modo di carta geografica. Sulle rupi de* monti porreltani sviluppasi frammisto alla Parmelia olivacea , ed al Placodium radio - smot. I\e trassi esemplari nel maggio dal versante settentrionale del Monte della Croce, e dai macigni dei Campi di Lustrola. Legidea contigua Fries. Sviluppasi sul macigno. La trovai in fruttificazione nelle rupi dei Campi di Lustrola nella seconda metà di aprile. Endocarpon miniatum Ach. Nasce sulla terra alla base de’ pedali degli al¬ fieri. La trassi nella seconda metà di maggio dal versante occidentale del Monte della Croce. Pertusaria communis Dee. Si sviluppa sulle scorze degli alberi. La trassi m alto dai boschi, che costeggiano il Rio Maggiore nella fioe del giugno. FAM. ALGHE. Tribù Confervacee. Lemanea torulosa Ag. È non rara nelle acque del Rio Maggiore, sotto le quali aderisce a. sassi «d alle rupi. Ve la raccolsi alla fine del giugno. Uadophoba glomerata Ktlzing. Cobferya glomerala L. Comunissima trovasi in alcune posizioni entro le acque del Rio Maggiore più o meno in alto, dalle SULLA TRASFORMAZIONE DEGLI ELEMENTI ISTOLOGICI NELL’ ORGANISMO ANIMALE E PIÙ SPECIALMENTE DELLE CELLULE MIDOLLARI IN CORPUSCOLI OSSEI E DEI CORPUSCOLI DEL TESSUTO CONNETTIVO IN CELLULE EPITELIALI. MEMORIA DEL PROF. CAV. G. B. ERCOLANI ( Letta nelle Sessioni consecutive 29 Dicembre 1864, e 5 Gennaio 1865 ). SOMMARIO PARTE I." ^Proliferazione e trasformazione cellulare — Trasforma¬ zione dei corpuscoli del tessuto connettivo del periostio malato in cellule midollari — Trasformazione degli elemen¬ ti del periostio normale in osso e delle cellule ossee in midollo — Ossificazione del midollo o trasformazione delle cellule midollari in cellule ossee — Ossificazione delle cavità midollari, non per proliferazione ossea dalle pareti, ma per metamorfosi successive nelle cellule ossee — Conclusioni. PARTE II.* Trasformazione dei corpuscoli del tessuto connettivo in cellule epiteliali — — La Tubercolosi della lingua dei Buoi è un cancro epiteliale — Cancro epiteliale nel pene di un Cavallo — Differenze anatomiche fra cancro epiteliale 244 G. B. Ercolani e Condilomi e Papillomi — Papillomi della pelle e del Rumine nei Buoi e Papilloma della Suola nel Cavallo _ Lesione anatomica nei vasi in diverse Neoplasie — Strut¬ tura cellulare normale delle Papille — Conclusioni. La conoscenza di fatto che la struttura e la composizio¬ ne dei tessuti e degli organi si permuta in seguito ai di¬ versi processi morbosi ai quali sono soggetti gli esseri vivi, è antica quanto Io è P uomo, e certo la conoscenza em¬ pirica del fatto precedette la stessa Medicina. Le intime ragioni però, per cui il volgarissimo fatto si produce., non furono in molta parte note, se non in questi ultimi tempi, nei quali V Istologia mostrò la struttura de¬ gli elementi componenti le diverse parti del corpo degli esseri organizzati. Ma l’arduo problema è ben lungi, anche oggi, dall’esse¬ re risoluto in ogni sua parte, e ben inteso di quelle sol¬ tanto che cadono sotto la ispezione dei nostri sensi. Riandare le incessanti fatiche che i nostri antichi Mae¬ stri sopportarono, per intendere le molte cagioni degli or¬ ganici permutamenti in seguito ad infermità, credo non porterebbe oggi a noi grandissimo frutto, giacché Essi man¬ cavano di quelle conoscenze istologiche estese, che sono la migliore e più sicura base, per un severo e rigoroso giu¬ dizio. Gioverà piuttosto accennare come oggi i Patologi per intendere le Neoformazioni morbose siano divisi in due campi. Nel l.° le di cui fila si vanno ogni giorno diradan¬ do, sono coloro che tengono alla generazione equivoca o spontanea delle cellule nei liquidi organici ed hanno a ca¬ pitano lo Schvann : nel secondo sono i seguaci di Virchow sulla di cui bandiera sta scritto: omnis cellula a cellula . Pei primi dato un liquido o essudato morboso qualun¬ que, come suol dirsi un Blastoma, in quello si formano e si organizzano le cellule organiche, che necessariamente saranno di diversa natura, e pel luogo ove si forma il Ba¬ sterna e per le condizioni dell’ organo malato e del pro¬ cesso morboso da cui quello provenne e di cento altre ra¬ gioni speciali ad ogni singola infermità. Sulla trasformaz. degli elementi istologici 245 Con questa dottrina se non si spiegano le molteplici dif¬ ferenze delle svariate Neoplasie, grossamente però e facil¬ mente si intende come nel fatto le produzioni morbose deb¬ bano essere diversissime. Pel Virchow invece ogni Neoplasia, come ogni essere organizzato, ha il suo punto di partenza da una cellula formata che ripete se stessa e subisce quella serie di mu¬ ramenti o metamorfosi per le quali i diversi tessuti si for¬ mano, tanto nello stato normale come nel Patologico. Que¬ sto processo Istogenetico fu chiamato : Proliferazione cel¬ lulare. Ma se con questa dottrina facilmente si spiegano tutte quelle Neoplasie nelle quali il processo di accrescimento patologico è interamente analogo ai processi fisiologici di accrescimento dei diversi tessuti, non s* intendono a parer mio abbastanza chiaramente, per dir solo dello stato mor¬ boso, quelle produzioni Patologiche che anche dal Virchow sono chiamate Eterologhe come p. e. delle cellule epiteliali nella sostanza musculare dei cuore. La semplice prolifera¬ zione cellulare in questi casi non può insegnare alcun che, giacché nei muscoli del cuore non esiste la cellula epite¬ liale da cui possa aver avuto luogo la proliferazione, e di dove sia venuta la prima cellula epiteliale per ripetersi indefinitamente non trovo insegnato. Nè basta il dire che vi sono delle sostituzioni Patologiche (1) quando un tes¬ suto è rimpiazzato da un altro, o quando è l9 antico tes¬ suto che ha dato luogo alle nuove masse, che così affer¬ mando con altre parole è ben vero si indica, ma non si dà la ragione del fatto : ed è lo stesso insegnando che nella Eteroplassia vi ha cambiamento nel tessuto genera¬ tore, che così affermando, o non si dà ragione di quel cambiamento che appunto si ricerca, o si insegna che da una cellula qualsiasi possono generarsi le più disparate ge¬ nerazioni di cellule, il che parmi toccare V assurdo. (1) Virchow. Pathologie Cellulaire p. 69. 246 G. B. Ercolani Ma venendo ai fatti, non sono rare le ossificazioni nel tessuto connettivo e fibroso nello stato patologico, comunis¬ sime ed anzi costanti sono tali ossificazioni nei tendini di alcune parti del corpo negli uccelli. I corpuscoli ossei che alcune volte si osservano patologicamente in alcuni tendini dei mammiferi, sono Eteroplastici, ma pel Virchow, sono T ultima evoluzione dei corpuscoli del tessuto connettivo, e facilmente così s’ intende di dove provennero : onde su¬ perficialmente guardando anche in alcuni casi di Eteroplas- sia, basterebbe la legge della Proliferazione cellulare, o quella della sostituzione patologica di elementi, che ha il suo riscontro in uguali sostituzioni di elementi fisiologici. Ma attentamente guardando, anche in questi casi è una vera trasformazione o metamòrfosi dei corpuscoli del tes¬ suto connettivo in corpuscoli ossei, il di cui significato or¬ ganico è diversissimo (1). L’ osservazione mi ha dimostrato, credo fuori di ogni dubbio, che molte Neoplasie sono il prodotto di una trasformazione o metamorfosi diretta di alcuni elementi cellulari già esistenti, ed è appunto di al¬ cune di queste trasformazioni che intendo di trattenervi. Non ho in animo di proclamare una verità del tutto nuova, che io mi so bene non essere da tanto, ma solo di richiamare Y attenzione vostra sopra una serie di fatti che a parer mio può essere valevole a formulare scientifica- mente una legge Fisio-Patologica non abbastanza chiarita e cioè la trasformazione o la metamorfosi di alcuni ele¬ menti istologici, la quale potrà guidare col tempo, meglio studiata che sia, a comprendere il vero valore ed il signi¬ ficato di molte produzioni patologiche. Vi ho detto o Signori che non intendevo dire cosa af¬ fatto nuova, e mi preme provarlo. Negli scritti di Virchow (1) Il Lieberkahn negò quest’ osservazione del Virchow, accettata e ripetuta da Forster, ed affermò che i corpuscoli ossei tanto nello stalo normale che patologico non derivano da cellule di tessuto connettivo, ma da una precedente formazione di tessuto cartilaginoso in mezzo al tessuto connettivo. Archiv flir Anatomie und Physiologie ecc. von Reichert und Du Bois Revmond. Leipzig 1860 s. 841. Sulla trasformaz. degli elementi istologici 247 e di altri seguaci della sua Scuola, troverete insegnato che i corpuscoli del tessuto connettivo ed anche le cellule epi¬ teliali delle mucose si convertono in pus : che le cellule dello strato Malpighiano si permutano normalmente in epi¬ dermide : che il tessuto connettivo si permuta in tessuto osseo ec. ec. E qui fuori di ogni dubbio si indicano fatti della stessa natura di quelli su cui^intendo trattenervi. E questi ed altri fatti ancora di simil genere furono- ricor¬ dati da valentissimi, ma era la verità che erompeva dal- T animo di chiarissimi ed espertissimi osservatori, non era la loro mente che fecondava le luminose verità che ai sensi loro si rappresentavano. Che se così non fosse stato la pa¬ rola trasformazione così spesso da tutti adoperata con senso non bene determinato, avrebbe ingenerato il precetto ge¬ nerale della trasformazione degli elementi istologici già for¬ mati ed il precetto troverebbesi non solo espresso in qual¬ che parte dei numerosi lavori che si vanno ogni giorno pubblicando ma sarebbe stato applicato, tracciando il nuo¬ vo compito che spetta alla scienza Patologica, di indicare cioè la serie possibile dei permutamenti o delle metamor¬ fosi che ogni elemento organico dei diversi tessuti può subire, cosa che per quanto mi sappia non solo rimane ancora a fare ma non è stata nemmeno fino ad ora sospet¬ tata. Che se ho mirato troppo alto col mio intendimento, bene saprete voi o Signori ritornarmi a ragione, e per Voi lo farò con gratissimo animo. Siatemi intanto indulgenti nell’ ascoltare le osservazioni che ho credute meno inde¬ gne per un così grave assunto. Riguardano esse due ordini di fatti che sebbene intera¬ mente fra di loro diversi, rientrano però e sono go¬ vernati dalla legge generale della trasformazione degli ele¬ menti istologici tanto nell’ esercizio della vita sana quanto della morbosa. Di altri fatti pei quali si dimostra che un tessuto, il tendinoso p. e. ritorna per cagione di infermità al suo primo elemento generatore, vi dirò altra volta, trop¬ po ampio essendo V incarico che oggi ho assunto. I fatti su cui intendo trattenervi ho adunque distinti in due serie; 248 G. B. Ercolani Nella prima dimostrato e confermato, come già da altri fa asserito, che nello stato normale il tessuto osseo deriva dal periostio, ed il midollo dall5 osso ió spero farvi toccare con mano per quali serie di trasformazioni di elementi il midollo possa essere direttamente generato dal periostio, e per quali permutazioni o metamorfosi le cellule ossee si permutino in midollo, e come per converso nelle cellule midollari in istato morboso, per successivi permutamenti si formino direttamente gli elementi istologici del periostio e da questi il tessuto osseo: così la semplice affermazione del Virchow « che le cellule del midollo sono l5 ultima fa¬ se delle trasformazioni delle cellule che diedero luogo al tessuto osseo » verrà dimostrata e confermata in quello che ha di vero ; e per quello che ha di vero sarà dimostrata e confermata l5 affermazione dell5 Ollier « che il midollo cioè delle ossa può ossificarsi ». Nella seconda raccoglierò alcuni fatti che dimostrano la trasformazione dei corpuscoli del tessuto connettivo in cel¬ lule epiteliali. Ho prescelto per questo due assai gravi in¬ fermità dei nostri animali domestici e che non si osser¬ vano con molta frequenza, il cancro epiteliale della lingua dei Buoi che si crede tuttora da valentissimi scrittori come una forma di tubercolosi, ed il cancro epiteliale del pene del Cavallo. Queste morbose produzioni ini spinsero a ricercare quale fosse la genesi normale dell5 epidermide, e come mi parve di chiarire la struttura anatomica normale delle papille, così a conferma delle mie osservazioni vi dirò la struttura anatomica di alcuni Papillomi negli animali domestici, che oltre al non essere bene conosciuta, varrà a segnare una nota di diagnosi clinica differenziale fra i ' cancri epiteliali e le dette produzioni morbose e condilomatose che pei caratteri esterni assai facilmente fra di loro si confondono anche nell5 umana specie. PARTE I.* Troppo lungo ed arduo lavoro sarebbe se io solo cer¬ cassi, o Signori, di toccare anche di volo tutte le gravi Sulla trasformaz. degli elementi istologici 249 questioni che hanno attinenza all’anatomia e fisiologia del¬ le ossa e peggio poi alla loro anatomia patologica. Dottis¬ simi Chirurghi e Fisiologi espertissimi, dai tempi andati ai dì nostri, tentarono la natura con vario risultamento, onde non poche gravissime questioni di somma importanza Clinica aspettano ancora una scientifica soluzione. Non è la prima volta che il vasto argomento fu in qualche sua parte trattato in questa stessa Aula, ed i lavori dei Chia¬ rissimi Professori Medici e Paolini a tutti sono noti. Ad esempio di questi Illustri, che mi onoro di avere avuti a Maestri, limiterò io pure le mie indagini e ricerche più specialmente al midollo delle ossa, intorno al cui organico significato nè Fisiologi nè Chirurghi, hanno per anche for¬ mato un sicuro concetto, onde con ragione 1’ Ollier (1) affermava « che in poche cose eravi tanta confusione come nelle opinioni emesse sull’ ufficio del midollo nella fisio¬ logia e patologia delle ossa, intorno al quale argomento gli esperi mentatori ben di sovente invece di apportare luce in tanto caos, accrebbero l’oscurità. » Come io intenda di circoscrivere le odierne ricerche già fin dalle prime ve lo dissi, ma per quanto io mi adoperi a tenere in un ordine modestissimo le mie ricerche, pure non debbo nasconder¬ mi che ho posto il dito sul nodo della questione. Dimo¬ strando come la parete interna delle ossa si permuti in midollo, e le fasi diverse per le quali trapassano le cellu¬ le midollari per convertirsi in osso, le parti più fondamen¬ tali e controverse che riguardano la fisiologia e la patolo¬ gia delle ossa vengono risolute. I fatti che parevano di¬ sparati e contradicentisi, riceveranno una chiara interpre¬ tazione. Sapete o Signori come, dopo che un illustre Chirurgo Italiano il Cav. Bernardino Larghi di Vercelli, ebbe affer¬ mato che il periostio era da riguardarsi come 1’ organo ge¬ neratore delle ossa e ne ebbe applicato il concetto alla (i) De la Moelle des Os et de son Róle dans P ossification normale et Pa- tholoeique, nel Journal de la Physiologie de Phomme et des animaux. Paris 1863. t. iv. 32 250 G. B. Ercolani umana Chirurgia, colle risezioni sotto-periostee delle ossa, risorgesse vivacissima la questione che toccava al modo col quale le ossa si riproducono e si rifanno, e come ne pro¬ fittasse la Fisiologia (1) dimostrando come trapiantando por¬ zioni di periostio di un animale nell’ organismo di altro animale, si avessero artificialmente nuove formazioni di osso nei luoghi ove erasi portato il periostio. Ripetei più volte codesti esperimenti quando ero a Torino nel labora¬ torio Fisiologico di detta Città col mio ottimo amico il Cav. Prof. Velia, e sempre con felicissimo risultamento, on¬ de non è a meravigliare se la felicità e la costanza nei risultati che ebbero tutti gli esperimentatori, ingenerò uni¬ versalmente la credenza che al periostio fosse esclusiva- mente affidata 1’ elaborazione dell’ ossea sostanza. Il mi¬ dollo, giacché oggi nessuno più sostiene V esistenza della membrana midollare, osservasi sempre nello stato normale come una dipendenza deli’ osso, onde coll5 Ollier molti af¬ fermano che non vi ha midollo senza osso. Ma se questo è vero nello stato normale, non lo è certo nel Patologico e ve ne offrirò un chiarissimo esempio fornito dalla Pato¬ logia comparata. Nello stato normale il midollo non pre¬ cede mai la formazione delle ossa, e la di lui abbondanza quando si riscontra, sta in ragione diretta della grossezza della sostanza ossea che lo circonda, per cui col Virchow anche 1* Ollier m. c. lo considera come l5 ultimo periodo dello sviluppo del tessuto osseo. Confermano questo con¬ cetto i fatti ripetutamente osservati, che tanto nello stato normale come nelle ossa ottenute per trapiantazione di periostio, che l5 osso in via di formazione comincia per essere pieno, e che il canale midollare nelle ossa lunghe, come i vacui midollari nelle produzioni ossee artificiali non si osservano se non dopo qualche tempo da che si formarono le ossa. L5 Ollier si contenta di riguardare il (1) Eecherches expérimentales sor la production artificielle des Os au moyen de la transplantation du périoste, par L. Ollier. ( Journal de la Physiologie de V ho nane et des animati*. X* 2. p. 1. An. 1859). Sulla trasformaz. degli elementi istologici 251 midollo coinè un prodotto secondario dell’ evoluzione del tessuto osseo, ma prima di lui Virchow aveva insegnato che le cellule del midollo sono P ultima fase della trasfor¬ mazione delle cellule che diedero luogo al tessuto osseo. E già sapete che è appunto codesta affermazione del Vir¬ chow che ho \n animo di dimostrare. Per quanto però possano sembrare facili e piane codeste dottrine, pure alcuni fatti di natura assai grave non la¬ sciavano nè i fisiologi nè i patologi interamente tranquilli: alimentavano il dubbio gli esperimenti di Flourens (1) pei quali pareva dimostrato che P osso fosse un prodotto tan¬ to del periostio come della membrana midollare o midollo, e alcuni antichi esperimenti del famoso Michele Troja (2) e le più recenti osservazioni del Broca (3) tendenti a con¬ fermare la possibile ossificazione del midollo delle ossa, osservazioni tutte che tendendo a dimostrare la possibile ossificazione del midollo indebolivano la credenza che il periostio avesse esclusivamente la proprietà di produrre P osso. Sui principiare infine dello scorso anno P Ollier m. c. modificando un esperimento già istituito da Dutro- chet e da Flourens, potè fuor di ogni dubbio dimostrare che il midollo artificialmente irritato può ossificarsi, o trasformarsi direttamente in osso. E come egli non disse come codesta trasformazione avvenisse, così P ufficio esclusi¬ vo del periostio ad elaborare P osso rimaneva dubbioso assai più di quello se lo aspettasse lo stesso Ollier, ed ugualmen¬ te incerta diveniva P affermazione di Virchow che il midollo rappresentava le ultime fasi di sviluppo o regressive del¬ le cellule ossee. Non debbo infine tacervi per toccare delle precipue discrepanze che hanno attinenza con queste mie ricerche, che il Robin fù il primo a vedere e a descrivere nel midollo delle ossa delle cellule semplici e delle multi- (1) Théorie experimentale de la formations des os. Paris 1847. (2) De novornm ossium in inregris et maximis ob morbos deperditionibus regenera t io ne, experimenta. Parisiis 1775. (3) Socielé Anatomique de Paris. 1859. 252 G. B. Ercolani n (ideate, che chiamò cellule midollari le prime e Mielopla- sti le seconde, ed in un recentissimo lavoro confermò quan¬ to già aveva insegnato il Paget che i Mieloplasti cioè si possono trovare in molte produzioni morbose lontanissime dalle ossa (1). Carlo Robin ha perfettamente ragione, solo che non disse di dove venivano i suoi Mieloplasti tanto nello stato normale nel midollo delle ossa, quanto nello stato Patologico in mezzo ad altri tessuti. Per cui i suoi Mieloplasti tanto nello stato normale come nel Patologico, erano problematici riguardo alla loro provenienza. Ho po¬ tuto compiere questa lacuna e vi dirò per ora nello stato Patologico. Ad ogni modo la trasformazione dei corpuscoli di tessuto connettivo in cellule midollari vi sarà manifesta, e con questo essendo le cellule del tessuto connettivo per tutto P organismo, a grande dovizia, la formazione del mi¬ dollo in parti lontane dalle ossa si potrà facilmente in¬ tendere. Assai comune è fra i nostri Buoi una malattia nelle ossa delle Mascelle che il più delle volte ha origine da una pe¬ riostite causata dalla pessima usanza dei nostri villici di per¬ cuotere i poveri animali sulle ossa mascellari, chiamandoli ad ubbidire. Alcune volte però la malattia prende origine da una lesione nella radice di un qualche dente molare. La malattia fù confrontata erratamente da alcuni colla scrofola dell’ uomo, ma i più ne discorsero chiamandola Osteosarcoma della Mascella dei Buoi. Primo che io mi sap¬ pia ad indicarne la vera natura Mieloplastica o anche come altri dicono midollare o mielloide, fu il Sig. D9 Altona al¬ lievo nella R. Scuola Veterinaria di Napoli, e sono lieto di ricordarne a Voi o Signori il nome per cagione d’onore. In alcuni casi da me veduti di codesta infermità, con¬ fermato il giudizio già dato sulla natura della malattia, trovai assai di frequente sulle gengive degli animali infer¬ ii) Sur les Elemenls anatomiques appelés Myeloplaxes dans le Journal de P Anatomie et de la Physiologie Normales et Pathologiques de V homme et des animaux. Paris 1864. Sulla trasformaz. degli elementi istologici 253 mi, di quelle Epulidi molli e fungose che da molti Chi¬ rurghi sono nell5 uomo giudicate per cancerose. Accenno a questo, giacché parmi che con ragione l5 Amabile ed il Vir- nicchi le riguardassero come produzioni Mieloplastiche (1) ma ciò che osservai di più notevole si fù, che in alcuni casi ove la malattia aveva tratto l5 origine da una perio¬ stite, il periostio aveva acquistato estesamente un notevole ingrossamento toccando per fino i due centimetri. In alcuni più rari casi, l5 ingrossamento del periostio era in alcun punto straordinario, da emulare in grossezza e per la for¬ ma quella di un arancio. Nella Tav. l.a Fig. l.a è rappre¬ sentata la sezione verticale di uno di questi tumori perio- stei e staccato dalla lamina anteriore di un mascellare infe¬ riore affetto da voluminoso Osteosarcoma o Tumore Mieloide. In b fig. cit. è rappresentata la detta lamina ossea, in c il periostio notevolmente ingrossato, e che protrude a foggia di tumore. Il derma lett. //, molto ingrossato alla base del tumore, e notevolmente atrofizzato sopra tutto il tumore, lett. e e. Su tutta P estensione del periostio malato e sporgente dalla base del tumore veggonsi moltissimi cen¬ tri lett. f che apparivano allo stato fresco d5 una materia di colore giallognolo, di mole diversa, e un infinito numero di questi si direbbe migliari verso la periferia più esterna del tumore. Esaminata al microscopio la materia giallastra tanto dei piccoli come dei centri maggiori, appariva for¬ mata in totalità da cellule midollari fig. 2.a lett. c e ri¬ cercando il periostio malato in vicinanza alle predette cel¬ lule, chiaramente apparivano i corpuscoli di tessuto con¬ nettivo nelle diverse fasi di metamorfosi per permutarsi in cellule midollari Fig. 2.a lett. a b. Che dal periostio malato si possano adunque elaborare cellule midollari e da quali elementi del periostio e come questi si permutino per formare delle masse midollari Tav. t.a fig. l.a lett. f f parmi per ora fuor di ogni dubbio dimostrato, e parmi pure dimostrato quanto affermai sulle prime, che se è ve¬ li) Dei Neoplasmi o nuove formazioni organizzate ecc. Napoli 1860. 254 G. B. Ercolani ro che nello stato normale non si ha midollo che in se¬ guito a formazione di osso, nello stato Patologico invece si possono avere notabili raccolte di midollo senza prece¬ dente formazione di osso, e quello che mi preme di porre in sodo si è che il midollo può essere direttamente ela¬ borato dal periostio. I fatti ripetutamente osservati di formazione di osso in seguito a trapiantazione di periostio in diversi tessuti del- 1* organismo di alcuni animali, e la susseguente elabora¬ zione di midollo nelle ossa di nuova formazione parlano troppo alto e troppo chiaramente perchè non si debba ammettere anche dai più riguardosi, che il periostio ha una notabilissima parte nella produzione dell’ osso, e che il midollo in questi casi tiene un posto secondario nella evo¬ luzione del tessuto osseo. Ma le ossificazioni del midollo tanto in istato patologico, che in via sperimentale ottenute dall’ Ollier turbavano come vi dicevo la semplice dottrina fisiologica del tessuto osseo. Ben a ragione il citato Dott. Ollier osservava, e fù il primo a far palese un tale rimar¬ co, che la cagione potissima delle incertezze in cui versa oggi la scienza circa la produzione e Y ufficio del midollo nella ossificazione normale, si era lo avere considerato in un fascio i fatti che riguardano la normale evoluzione for¬ mativa delle ossa e quelli che avevano luogo nelle ossa in seguito a diversi stati patologici. Ma è vero altresì che fra Io stato normale ed il Patologico non vi può essere contraddizione. Il Troja, il Broca e tanti altri erano nel vero quando affermavano che il midollo può ossificarsi, ed era nel vero interamente 1’ Ollier insegnando ad ottenere Y os¬ sificazione del midollo, ma nè egli nè altri insegnarono come il midollo si ossificava, ed è solo per questa cono¬ scenza che le infinite questioni si dilucidano e tutti i dubbi onestissimi vengono tolti. Il midollo come midollo non si ossifica come affermò Y Ollier : perchè questo av¬ venga bisogna che le cellulè midollari si trasformino in tessuto connettivo, e questo poi in osso. Nello stato nor¬ male questo non può nè deve avvenire. Lo può, e lo può facilmente in istato morboso, ma in questo caso le fasi Sulla trasformaz. degli elementi istologici 255 della vita normale delle cellule midollari ( trasformazione grassosa ) si arrestano, risalgono a metamorfosi progressive, e in breve non si ha osso se il midollo non è prima di¬ ventato periostio. Che se potrò persuadervi di questo co¬ me spero, ogni dubbiezza ed ogni contraddizione verrà tol¬ ta : il periostio nello stato normale è V organo generatore dell’ osso, come questo a sua volta lo è del midollo. Ma nello stato Patologico dal Periostio, può derivare il midollo, come dai midollo in istato morboso può prodursi P osso. La cognizione delle successive trasformazioni degli elementi istologici potevano sole insegnare una sicura dottrina, e P ossificazione dei midollo, anziché combattere P esclusiva proprietà del periostio a generare il tessuto osseo, piena¬ mente la conferma dovendo prima come vi dicevo le cel¬ lule midollari permutarsi negli elementi del periostio, onde ossificarsi. Ma veniamo ai fatti. L’ Ollier amputando qualche arto ad animali e introducendo nel cavo midollare di ossa lun¬ ghe tagliate, dei tubi di argento a modo, che le pareti esterne del tubo toccassero le pareti interne della cavità midollare e nel suo cavo il tubo comprendesse una por¬ zione più o meno lunga di midollo non offeso, ottenne assai di frequente 1* ossificazione del midollo compreso nel tubo d’argento. Alcune volte però scrisse egli « il midollo si convertì in pus, ed in altri il midollo si indurò da emu¬ lare per la durezza solo il tessuto fibroso, ed altre volte infine il midollo divenne esuberante al punto da uscirne Come in una massa fungosa dall’apertura inferiore del tubo. » Disgraziatamente Y Ollier non esaminò al microscopio que¬ sti diversi prodotti o almeno non ne fece parola, per cui io non vi nascondo che abituato per educazione e per na¬ tura più a dubitare che* a credere, dubitai che l’apparenza ossea del cilindro midollare fosse dovuta piuttosto ad ele¬ menti calcari che a veri corpuscoli di tessuto osseo. Nè sapevo darmi sicura ragione se negli altri casi citati dal- P Ollier trattavasi di vero pus, o di midollo giallognolo e cremoso, perchè in altre circostanze dai caratteri esterni non seppi distinguere il pus dal midollo, e solo lo potei 256 G. B. Ercolani colla indagine microscopica, per cui nei casi citati dall5 01- lier il midollo sarebbe sempre stato midollo, benché colle apparenze del pus. Incerti ugualmente e necessariamente si rimaneva a giudicare quell’ induramento speciale del midollo che dalle esterne apparenze soltanto., I5 Ollier ave¬ va giudicato quasi fibroso. Flourens già prima dell5 Ollier avendo infisso perpen¬ dicolarmente alla diafìsi della Tibia di un qualche ani¬ male delle cannule alte due o tre millimetri, una estre¬ mità delle quali sfiorava la superficie esterna dell5 osso e l5 altra la superficie interna, aveva osservato che il vuo¬ to della cannula si riempiva d5 osso, ora per l5 introduzione del periostio ed ora per quella della membrana midollare o midollo. La modificazione portata dall5 Ollier all’ esperi¬ mento era per questo importante, togliendo sicuramente ogni equivoco. La questione però anche dopo le afferma¬ zioni dell5 Ollier non era risoluta. Se l5 ossificazione era reale come si poteva escludere che il midollo non avesse qualche parte nell5 ossificazione delle ossa? e 1’ affermare che F ossificazione del midollo avveniva solo per il pro¬ cesso morboso irritativo e non nello stato normale, non era a parer mio un perentorio argomento ad escludere il midollo nel processo ossificante. Mi decisi per questo di verificare anzitutto se l5 ossificazione del midollo era reale, e poscia questa verificata mi proposi F indagine del pro¬ cesso istologico mercè del quale le cellule midollari si trasformavano in osso. Per riescire più breve ed ordinato non vi dirò dei nu¬ merosi esperimenti che tentai, ajutato dall5 egregio giovane il Sig. Alfredo Gotti, coll5 ordine che furono istituiti, giac¬ ché tentando di conoscere la verità, interrogando la natura mercè gli esperimenti , questi debbono essere governati dalle risposte che si vanno man mano ottenendo, e la so¬ luzione completa del problema che si ricerca non si ot¬ tiene spesso che cogli ultimi esperimenti, dai quali si sa¬ rebbe dovuto cominciare quando non si fosse ignorato quello che si ricercava coll’ esperimento. Non nego che alcune volte, assai giovi fare note ad altri le ambagi e le incer- Sulla trasformaz. degli elementi istologici 257 tezzé dalie quali è combattuto lo esperimentatore, e non giovi ad ingenerare fiducia nei risultamenti ottenuti la conoscenza dèi processo intellettuale seguito dall' esperimen¬ tatore, ma a me preme troppo di non abusare della in¬ dulgenza Vostra e vi dirò dei risultati di fatto che ottenni ordinando gli esperimenti che tentai a modo, che servir possano a fornire concisamente una risposta chiara e pre¬ cisa alle questioni che mi ero fatto. Tanto per assicurarmi che il midollo si ossificava come per ricercare le intime ragioni del fatto, adoperai sempre 1’ esperimento dell’ Ollier e lo praticai sovra cani, ampu¬ tando una tibia al terzo inferiore, e introducendovi nel suo cavo midollare un cannello d’argento. A seconda della grandezza degli animali, l’altezza dei cannelli variò dai 25 ai 30 millimetri, e dai i ai 5 quella della larghezza. Solo che per risolvere la seconda questione non aspettai che r ossificazione fosse avvenuta, ma cercai di sorprendere la natura nei diversi momenti che precedevano l’ ossificazione del midollo. I risultati più concludenti li ottenni esami¬ nando dopo 5, dopo 15 e dopo 26 giorni dacché avevo praticato 1’ esperimento. Ucciso adunque un cane 5 giorni dopo 1’ operazione e segata ed aperta la tibia amputata per il lungo, trovai che il midollo entro il tubetto d’ argento aveva acquistata 1’ ap¬ parenza e la consistenza di un coagulo fibrinoso di colore però alquanto rossiccio. Abbondante il midollo nel cavo midollare al disopra della cannula e di colore più rosso nel luogo dove il midollo superiore si continuava con quello che era stato compreso entro il cavo della cannula. Il sottile strato di midollo che era rimasto compreso fra la cannula e la parete interna del cavo midollare era di co¬ lore giallo e dalle esterne apparenze come dal nauseoso odore di rancido che tramandava potevasi già giudicare profondamente alterato come di fatto lo era e Io attestava 1’ esame microscopico. Esaminato un altro cane posto nelle identiche circostan¬ ze del primo, ma dopo 15 giorni dalla praticata operazione, trovai che entro la cannula eravi un cilindro di sostanza 33 T. IV. 258 G. B. Ercolani di colore bianco-argentino che ai caratteri esterni si giu¬ dicava come fece 1* Oliier per sostanza fibrosa. All’ estre¬ mità inferiore del cilindro e sporgente dalla cannula eravi come un fiocco di sostanza molle e rossiccia avente 1* ap¬ parenza del midollo, mentre 1’ estremità superiore del ci¬ lindro fibroso aderiva fortemente, tutt’ attorno alla parete interna della cavità midollare. Tav. 1 .a fig. 3.a II midollo superiore rimasto intatto, anche in questo caso era abbon¬ dante e di una tinta rossa di poco soltanto più vivace di quello sia nello stato normale. Fra la cannula e la parete midollare dell’ osso, non eravi traccia di midollo alterato e rancido, ina una sottile membranella di colore bianchic¬ cio unita all’ osso e sulla superficie esterna della quale che guardava la cannula, eranvi non poche cellule midollari disposte come a sottilissimo strato. Se la membrana midolla¬ re o periostio interno esistesse nello stato normale, si sarebbe detto che questa erasi notevolmente ingrossata. L’ Oliier forse perchè esperimentò sopra conigli, e per la piccolezza delle parti, non osservò questa membrana e nemmeno l’ aderenza dell’ estremità superiore del cilindro fibroso od osseo colle pareti interne dell’ osso operato. Non notò pure che dall’apertura inferiore delle cannule esciva più o meno midollo: e queste come vedrete sono tutte osserva¬ zioni molto importanti. In altro cane infine preparato come i precedenti ma esaminato 26 giorni dopo 1’ operazione trovai che entro la cannula eravi un cilindro di color bianco che presentava anche alla semplice ispezione esterna tutti i caratteri del- 1* osso coperto da periostio. All’ estremità inferiore però e sporgente dall’ apertura inferiore della cannula, eravi come un fiocco di sostanza molle e rossiccia colle apparenze esterne del midollo, e notevole quantità di midollo vedevasi pure raccolta all’ estremità fra il moncone dell’ osso e la cicatrice esterna formata dai comuni integumenti. L’ estre¬ mità superiore del cilindro osseo di nuova formazione ade¬ riva per tessuto fibroso alle pareti interne dell’osso, e tut¬ to il midollo superiore che non fù offeso, erasi pur esso permutato in osso alquanto spungioso che otturava com- Sulla trasformaz. degli elementi istologici 259 pletamente il cavo midollare di questa Tibia. Una mem¬ brana molto più grossa di quella che ho indicato nel pre¬ cedènte esperimento, trovavasi fra la cannula e la parete interna del cavo midollare dell* osso, ed ugualmente più abbondante in questo caso era lo strato midollare fra la detta membrana e la cannula d’argento come più notevole ed abbondante era il midollo che usciva dall’ estremità inferiore del tubo. Noterò da ultimo che anche 1’ estre¬ mità inferiore dell’ osso di nuova formazione che otturava la cavità della Tibia era pur essa rivestita dalla predetta membrana e che in questo luogo era anzi più grossa. Tav. l.a fig. 4.a e più abbondante era ivi lo strato midollare. Per cui tutta la cannula d’argento rimaneva così circondata da midollo ed isolata entro il cavo midollare in cui fù posta. Per essere esatto dovrei per ora limitarmi ad affermare che realmente pare che il midollo si ossifichi, ma come vi ho già detto che questo realmente ayviene come di¬ mostrerò colle ulteriori indagini microscopiche, così per¬ mettetemi di affermarlo ora recisamente, perchè mi preme di allontanare fin da ora una assai grave obbiezione. Ricor¬ derete o Signori come 1’ universalità dei Fisiologi e lo stesso Virchow abbiano affermato che il midollo rappresenta un ultima fasi della vita delle cellule ossee. Ora lo ammettere che un elemento organico in via regressiva di sviluppo e destinato nello stato normale a morire per degenerazione grassosa; posto che sia in condizioni morbose, riprenda le fasi di sviluppo progressivo per tornare osso e di nuovo, altra volta, midollo: non può essere accolto che con estre¬ ma riserva, sembrando a prima vista una contraddizione in termini fisiologici. Onde permettetemi che prima di enu¬ merarvi le evoluzioni di sviluppo progressivo delle cellule midollari io guardi più da vicino la temuta contraddizione. Il midollo delle ossa è egli da riguardarsi come un caput mortuum dell’ organismo destinato ad essere elimi¬ nato sotto forma di grasso dal corpo, per mezzo dei vasi ? Ma o Signori dopo le osservazioni fatte dal Robin nel 1849 comprovanti 1’ esistenza di cellule midollari nel midollo delle ossa, non si può più adoperare una sola parola per 260 G. B. Ercolani indicare il contenuto delie ossee cavità, se non si indicano subito gli elementi diversi da cui risulta composto. E la¬ sciando da parte per ora i nervi ed i vasi che percorrono le cavità midollari delle ossa, il midollo propriamente detto è composto di due elementi diversissimi, le cellule midolla¬ ri destinate nello stato normale a permutarsi degenerando in grasso, ossia gli organi elaboratori del grasso, ed il grasso ossia il prodotto elaborato dalle cellule midollari. Il grasso è realmente il caput mortuum del midollo, ma come tale non si potranno riguardare le cellule midollari finche sono cellule e cellule destinate a funzionare. Ma vi ha di più, cellule di tessuto connettivo in pochissimo numero facil¬ mente si scorgono nell’ esame microscopico del midollo non solo, ma con maggiore frequenza i Mieloplasti di Ro¬ bin che altro non sono che cellule midollari generanti per Endogenia altre cellule midollari. Che questi elementi deb¬ bano avere una certa misura fra di loro nello stato nor¬ male, i fatti patologici e gli esperimenti lo provano. E ta¬ cendo dei primi per dire ora soltanto dei secondi, è un fatto indubitato e pei Chirurghi e pei Fisiologi che di¬ struggendo il midollo in una porzione di un osso lungo, il cavo midollare che rimase privo di midollo ben presto si riempie per elaborazione di osso dalla superfìcie interna della parete del cavo midollare. Ora la costanza di un si¬ mile risultamento mostra fuor di ogni dubbio un rapporto fra il midollo e la cavità midollare : grossamente guardan¬ do si direbbe che è un rapporto meccanico di pressione o di equilibrio per conservare alle ossa la loro forma nor¬ male. Io non voglio e non osp rispondere e risolvere cosi grave questione che troverebbe ajuto nella Anatomia Pa¬ tologica. Mi contento solo di notare che la presenza di Mieloplasti o cellule madri generanti cellule midollari da cui poi ne viene il grasso, mostrano una vita o un’ attività nelle cellule midollari, per cui non si possono confondere col grasso. La prima e fondamentale caratteristica degli esseri vivi si è di riprodursi, e se le cellule midollari pos¬ sono assumere un9 attività proliferante e mutarsi in cellule madri o Mieloplasti di Robin, nessuno potrà riguardarle come Sulla trasformaz. degli elementi istologici 26 1 un caput mortuum, e non ripugnando ed anzi potendosi dimostrare che le cellule midollari finché sono tali, sono esseri vivi, egli è evidente che come tali possono subire le metamorfosi progressive di cui sono capaci. La contrad¬ dizione in termini fisiologici dunque non esiste. Ma assai meglio delle considerazioni che sono fin qui venuto espo¬ nendo parleranno i fatti. Esaminato il midollo 5 giorni dopo 1* esperimento ve- desi esso composto come nello stato normale di un infi¬ nito numero di cellule midollari, molte delle quali non hanno per anche subito alcun permutamento. Tav. l.a fig. 5.a lett. a. Molte però per f apparire più nettamente del nu¬ cleo, e per contenere minor quantità di goccioline di gras¬ so più trasparente, indicano una prima fasi di evoluzione progressiva allontanandosi dalla degenerazione grassosa. Tav. l.a fig. 5.a lett. b. La maggior parte del contenuto nella cannula che dissi avere 1’ apparenza di un coagulo fibrinoso, si vide risultare da cellule midollari, trasparenti a grande nucleo tenute fra di loro rifinite Tav. l.a fig. 5.a lett. c da una sostanza omogenea con pochi granuli di grasso. ( Protoplasma? ) La deficienza di cellule di tessuto connettivo mostra in questo primo periodo di evoluzione progressiva che la genesi futura dell* osso è interamente dovuta alle metamorfosi delle cellule midollari, e non alle rare cellule di tessuto connettivo che pur si riscontrano nel midollo allo stato normale, cosa che a ragione poteva essere sospettata. Il cilindro di apparenza fibrosa che trovai dopo 15 gior¬ ni dal praticato esperimento, si vide formato in gran par¬ te da fibro-cellule o cellule fusiformi che riunite fra di loro formavano tanti fasci gli uni vicini agli altri. Tav. l.a fig. 5.a lett. d . Sezionato trasversalmente il detto cilindro come mostra la fig. 5.a lett. e,t chiaramente si vide che in tutto il suo spessore gli elementi organici non avevano toccato uguale grado di sviluppo, e mescolate si vedevano alcune cellule midollari già vicine a permutarsi in cellule fusiformi di tessuto connettivo o fibro-cellule, e non po¬ che di queste calcificantisi per diventare corpuscoli di 262 G. B. Ercolani tessuto osseo. Inutile che io soggiunga che nel 3.° esperi¬ mento i corpuscoli ossei predominavano e P ossificazione era completa. Tanto nel secondo come nel terzo esperi¬ mento, vi dissi terminato il cilindro nella sua parte inferio¬ re da sostanza che pareva midollo. Esaminata questa al mi¬ croscopio, la presenza delle cellule midollari non lasciava alcun dubbio circa la sua natura. Quanto più inoltrata era la elaborazione della sostanza ossea del cilindro, in mag¬ gior copia era pure il midollo, per cui la derivazione di que¬ sto da quello rimane anche per questo modo dimostrata. A misura che la quantità dell’ osso aumenta, aumenta pure il midollo. Ma indicandovi gli ultimi due esperimenti, ac¬ cennai anche all’ esistenza di una membrana che poteva avere le apparenze di un periostio interno e che fra que¬ sta e la cannula di argento trovavasi una certa quantità di midollo. Importantissima se non erro è o Signori code¬ sta osservazione tanto per la Fisiologia come per P Anato¬ mia Patologica. Per la Fisiologia perchè dimostra come precipitando le trasformazioni della parete della cavità mi¬ dollare per mezzo dell’ irritazione, dalla detta parete in¬ terna della cavità midollare delle ossa si«»elabori il midollo; per la Patologia perchè svela come possa dalla detta pa¬ rete interna delle ossa elaborarsi della nuova sostanza os¬ sea. Il processo istologico è identico tanto nell’ osso che si converte in midollo, come nel midollo che si converte in osso, sono solo le fasi della vita delle cellule che sono opposte: re¬ gressive nel l.° progressive nel secondo: e di fatto, esaminan¬ do al microscopio la detta membrana si vede risultare essa da una scalcificazione dei corpuscoli ossei più superficiali della parete interna che a poco a poco per mezzo di una serie di metamorfosi da quella che avevano come cellule ossee, le riconduce percorrendo la stessa scala ma in senso inverso ad essere cellule midollari Tav. l.a fig. 6.a lett. a b c d. Non diversi furono dai pochi che vi ho accennati, 1 risultamenti che ebbi nei numerosi esperimenti che istituii. In nessun caso però osservai P esuberante formazione di midollo soltanto, o il permutamento del midollo in pus, come vi dissi avere insegnato P Ollier, per cui non posso Sulla trasformaz. degli elementi istologici 263 affermare quale sia il vero significato delle indicate pro¬ duzioni morbose. Non debbo tacere da ultimo di un* os¬ servazione che ripetutamente emerse dagli esperimenti che tentai, e che ha attinenza all’ umana Chirurgia. Sapete o Signori come dopo le amputazioni delle ossa lunghe degli arti specialmente, non fosse infrequente più pel passato di quello oggi giorno avvenga, pei metodi operatori miglio¬ rati, che dalla estremità del moncone dell’ osso amputato si staccasse un disco od anello osseo che prolungava di assai il processo di cicatrizzazione. Lo stesso fatto avviene anche oggigiorno se porzione del moncone dell’ osso am¬ putato rimanga scoperta, ragione per cui completamente si distrugge il periostio che vi è sovraposto, onde la ne¬ crosi della porzione di osso corrispondente ed il conseguen¬ te distacco di questa dalle parti vive dell’ osso. Anche non antichi Chirurghi consigliavano e praticavano la distruzione del midollo, nella porzione di moncone scoperto, coll’ in¬ tendimento di promuovere e facilitarne la necrosi ed il distacco. Il buon risultato che se ne aveva, fece credere a molti F utilità del mezzo adoperato, ad esso attribuendo il fatto che si doveva alla completa distruzione del perio¬ stio. Più di tre volte mi occorse che nei cani amputati per le esperienze già discorse, mi si offrisse occasione di osservare come il distacco dell’ ultimo segmento di un osso amputato possa avvenire anche senza che porzione del moncone resti scoperta. Dopo le amputazioni, il processo infiammatorio e irritativo si estende ordinariamente molto lontano dalla linea sulla quale fù eseguito il taglio, e V ir¬ ritazione del periostio è assai facile a giudicarsi e misu¬ rarsi nei suoi diversi gradi di intensità, dalla maggiore o minore elaborazione di osso. Irritazione di periostio e ela¬ borazione di osso essendo fatti inseparabili: ma in vici¬ nanza della linea dell’ osso segato, 1’ irritazione e F in¬ fiammazione del periostio è cosi intensa specialmente quan¬ do si è posta poca cura per non maltrattare troppo il pe¬ riostio staccandolo dal luogo ove si voleva portare la sega, che ne resta per alcuni millimetri completamente distrutto. Al di là della linea che segna il periostio morto, comincia 264 G. B. Ercolani T esuberante formazione di osso che gradatamente dimi¬ nuisce lungo T osso che fu amputato Tav. l.a fig. 4.a An¬ che in questi casi, il cerchietto d9 osso che rimase necro- sato dovrà staccarsi, ed essere eliminato, e con questo si dà ragione dei seni fistolosi che durano per molto tempo nelle membra degli amputati anche quando il moncone dell9 osso rimase costantemente copertole che non cedono se non dopo 1’ uscita di scheggie ossee, che si staccarono dall9 osso vivo nei modi che ho indicati. I Chirurghi po¬ tranno, per codeste osservazioni, meditare se quel momento del processo operativo nelle amputazioni che ha rapporto al distacco del periostio prima di segare le ossa, non me¬ riti qualche maggiore cautela per non svegliare nel perio¬ stio una troppo intensa infiammazione, e con questo quelle successioni morbose che ritardavano la guarigione degli in¬ fermi, e che erratamente tenevansi per accidentalità non prevedibili. Riassumendo le cose fin qui discorse mi strin¬ gerò nelle seguenti conclusioni. 1. Gli esperimenti di trapiantazione del periostio, come P esuberante formazione di ossea sostanza per V irritazione del periostio dimostrano come le ossa siano una produzione dovuta al periostio. 2. L9 atrofia delle ossa per distruzione del periostio, od anche per semplice compressione del periostio purché la di lui nutrizione sia impedita, confermano con un ordine diversa di fatti la l.a affermazione. 3. La presenza del midollo nelle ossa normali solo dopo che il tessuto osseo venne formato, come la presenza del midollo posteriore nelle ossa ottenute colla trapiantazione del periostio, dimostrano che il midollo è una produzione secondaria dell9 osso. 4. Gli esperimenti che dimostrano P ossificazione del midollo non indeboliscono le precedenti dottrine, ma anzi le confermano, dimostrando come le leggi fisiologiche che governano le ossa possono invertirsi nello stato patologico, ma non contraddirsi come temette l9 Ollier. 5. Le incertezze, i dubbi e le apparenti contraddizioni che nascevano studiando le funzioni delle ossa nello stato Sulla trasformaz. degli elementi istologici 265 normale, nei fatti patologici o negli esperimenti impro¬ priamente detti fisiologici, avevano la loro ragione di es¬ sere nella non conoscenza delle vere e reali trasformazioni degli elementi istologici che entrano nella struttura delle ossa. 6. Le produzioni di midollo dal periostio malato, di¬ mostrano come nello stato morboso alcuni elementi dell’ or¬ ganismo possano direttamente trasformarsi nelle ultime fasi della loro vita, senza percorrere quelle trasformazioni in¬ termedie segnate dalla natura nello stato normale. 7. La trasformazione in cellule midollari e Mieloplasti dei corpuscoli del tessuto connettivo del periostio malato lasciano facilmente intendere come, per Eteroplasia, lo stesso elemento si possa trasmutare in cellula midollare anche in parti lontane dal periostio e dalle ossa come nei tu¬ mori Mieloidi di Paget o Mieloplastici di Robin. 8. Nel midollo non si possono confondere le cellule ma¬ dri ( Mieloplasti di Robin ) e le cellule midollari semplici col grasso midollare che è il prodotto della degenerazione grassosa o morte di queste. 9. I Mieloplasti, ossia cellule midollari generanti per endogenia, potrebbero svelare un’ attività funzionale delle cellule midollari onde mantenere un rapporto costante di pressione meccanica (?) fra il midollo e le ossa. 10. In alcuni stati morbosi questo rapporto è rotto com¬ pletamente. Nell’ Osteite rarefacente come nell’ Osteoma- lacia, 1’ elemento midollo è in esuberanza a detrimento dell’ osso, come nell’ osteite condensante le cavità mi¬ dollari delle ossa scompajono per esuberante produzione di osso (1). (1) In alcune località, non è infrequente P Osteomalacia nei Buoi. Recen¬ temente esaminai lo scheletro di un puledro di circa 3 anni, quasi tutte le ossa del quale erano affette da Osteite condensante. La densità e per questo il peso delle ossa più malate era sensibilissimo benché poco gravi sembrassero le lesioni esterne delle ossa: eccone alcune risultanze comparate. 266 G. B. Ercolani 11. Il sospettato rapporto fra il midollo e 1* osso po¬ trebbe essere confermato dagli esperimenti dimostranti che distrutto completamente il midollo in una porzione di osso lungo, la cavità che per questo è prodotta, viene occlusa da sostanza ossea proveniente dalla parete interna del- l5 osso. 12~ L*a produzione ossea, in questi casi, segue nei pri¬ mordi le stesse fasi di trasformazione che nello stato nor¬ male subisce la superficie interna delle cavità midollari delle ossa per convertirsi in midollo, scalcificazione cioè o rammollimento dell* ossea sostanza onde l’apparenza negli esperimenti di una membrana midollare o periostio interno, e poscia trasformazione dei corpuscoli ossei scalcificati in cellule midollari e poscia di alcune in cellule di tessuto connettivo. Se non che nel caso attuale le cellule midollari invece di arrestarsi allo stadio di midollari come avviene nello stato- normale, per subire poscia la degenerazione gras¬ sosa, come appunto si vide anche avvenire negli esperi¬ menti fra la parete interna della cavità midollare delle ossa ed il tubo d’ argento, percorrono quelle stesse fasi di me¬ tamorfosi progressiva che sono percorse dalle cellule midol¬ lari per diventare sostanza ossea. Mirabile costanza ed uni¬ formità di piano, adoperato dalla natura, per giungere a due fini nelle loro risultanze opposti e diversissimi. 13. Il midollo come midollo non si ossifica: perchè que¬ sto avvenga le cellule midollari debbono come si è detto trasformarsi in cellule di tessuto connettivo e fibroso, os¬ sia ritornare agli elementi da cui risulta formato il periostio. Peso grammi grammi Cubilo destro meno malato. . 432 Cubito sinistro più malato . . 465 Ulna destra idem .... 80 Ulna sinistra idem . . . . 101 Osso innominato sinistro idem . 349 Osso innominato destro idem . 403 Tibia destra idem . 406 Tibia sinistra idem . . . . 435 Tarso Astragalo e Calcagno de- Tarso Astragalo e Calcagno sini¬ stri meno malati . . . . 212 stri più malati . 227 Metatarso destro idem . . . 297 Metatarso sinistro idem . . . 315 T — Y - • . ««cMuuiau smmru meni . . . aio Le dette differente furono ricavale sulle ossa completamente macerate ed essiccate. Sulla trasformaz. degli elementi istologici 267 14. Lo stato fibroso del cilindro, ottenuto dal midollo coli’ esperimento dell* Ollier, prima che si permuti in osso, conferma l’asserto, come la produzione di midollo all’ estre¬ mità inferiore di questi cilindri conferma la produzione di¬ retta del midollo dagli elementi del connettivo nel perio¬ stio malato. 15. Quanto più compieta ed abbondante è la metamor¬ fosi delle cellule midollari in corpuscoli ossei, ottenuta nei cilindri d’ argento, tanto più abbonda la produzione del midollo che si vide uscire dalle cannule nei cani esperi- mentati, e raccogliersi ali’ estremità dei monconi, anche quando i tegumenti avevano completamente cicatrizzato. 16. Alcuni accidenti infine che insorgono dopo le am¬ putazioni degli arti nella specie umana, come il distacco di un segmento osseo intero o a scheggie, che non avevano sicura interpretazione, restano chiariti dalle osservazioni che ho fino ad ora esposte. PARTE II* La permutazione ossia la metamorfosi dei corpuscoli dei tessuto connettivo in cellule epiteliali, benché non sia sta¬ ta fino ad ora indicata, per quanto almeno io ne so, pure è un fatto che assai comunemente s’ incontra negli orga¬ nismi animali tanto in istato sano quanto morboso (1). (1) Codesta affermazione assoluta non è più oggi interamente esatta. Nel Fascicolo 2.° del Giornale di Anatomia e Fisiologia Patologica del Prof. Gia¬ como Sangalli^ uscito sui primi del corrente mese di Decembre 1864 è in¬ serito un articolo del lodato Professore intorno allo sviluppo di nervi in un Condiloma sifilitico delle piccole labbra ove trovasi scritto « Continuando l’ esa¬ me delle parli più superficiali del condiloma in discorso, trovai che le cellule da fusate che erano al colletto, si facevano sempre più gonfie alla loro parte mediana, acquistando il carattere delle epidermoidali, di quelle sopratutto che sono più vicine allo strato mucoso dell’ epidermide. Perciò apparivano irrego¬ larmente ovali con un piccolo nucleo splendente ec. » e fra le generali con¬ clusioni che P illustre autore con non comune modestia dichiara « di non porgere come corollari generali ed inconcussi » debbo io per dovere di giusti- G. B. Ercolani Numerosi esempi ne potrei raccogliere e dimostrare che la presenza di alcuni epitelii ha appunto questo modo di origine come p. e. quello della faccia anteriore della cor^ nea lucida, ma per non abusare di troppo dell’ indulgenza vostra, limiterò le mie indagini alla pelle che considererò tanto nella vita sana che morbosa, e perchè in questo ul¬ timo stato il fatto della indicata permutazione si addimo¬ stra con molta evidenza così comincierò da questo, e stu¬ diati alcuni casi patologici dirò brevemente della struttura di alcune parti del derma e delle loro funzioni nello stato normale. CANCRO EPITELIALE DELLA LINGUA DEI BUOI. Mal del Rospo (Trutta) Lingua callosa e scirrosa ( Toggia seniore) Glossite cronica (Wagner) Tubercolosi della Lingua ( Hering, Gerlach ed altri). Primo a discorrere di questa forma morbosa nei Buoi fù il Trutta verso il principio del passato secolo. Tenne la volgare denominazione di Male del Rospo, dalla grossolana somiglianza colla pelle dei Rospi che acquista la lingua dei Buoi per P asprezza e macchie ed elevazioni biancastre, in codesta infermità. Francesco Toggia ne riparlò nel 1822 (1). Fu incerto a giudicare la malattia. Accennava però sicuramente ad essa scrivendo « quando la glossitide piega in scirro, in allora la lingua oltre che conserva parte del volume, a cui era pendente la flogosi pervenuta, si fa indolente durissima ed nìte di carattere epidermoidale od epiteliale dalle cellule del tessuto connettivo verrebbe dimostrata. » Sostenendo io con questo scritto la trasformazione diretta delle cellule del tessuto connettivo in cellule epiteliali, le osservazioni dell9 Illustre Patologo di Pavia mi sono riuscite gratissime, giacché se havvi qualche divergenza nel giu¬ dizio del fatto, il fatto stesso però rimane dirò così comprovato, e comprovato da una scientifica autorità in Anatomia Patologica. (1) Delle Malattie, cui va soggetta la lingua delle Bovine. Torino 1822. Sulla trasformaz. degli elementi istologici 269 aspra di gran lunga più che nello stato naturale » al detto morbo accenna pure altrove scrivendo « che la lingua dei Buoi fu alcune volte osservata aspra e quasi incallita da macchie biancastre durissime, e che la glossitide che tende all’ esito dello scirro e del cancro diviene dura, secca, in¬ sensibile e quasi legnosa. » Non è meraviglia se in quel torno di tempo per le dot¬ trine che governavano la Medicina, e anche pel decorso ordinario di questa forma morbosa, alcuni medici ed i ve¬ terinari tennero lo scirro ed il cancro quali esiti della in¬ fiammazione, e il Wagner che a Mullheiin, dominando que¬ sta dottrina, osservava alcuni casi di questa forma morbo¬ sa, la descriveva appunto come una glossite assai difficile a curarsi. Hering e poscia Gerlach nel 1854- (1) la giudi¬ carono pur essi come una cronica infiammazione della lin¬ gua che aveva per esito comune la tubercolosi, e sotto il nome di Tubercolosi della Lingua dei Buoi altri trattatisti ne hanno discorso in questi ultimi tempi. Ordinariamente i proprietari s’ accorgono della malattia per la difficoltà che hanno gli animali a masticare e de¬ glutire, e dallo scolo abbondante di saliva dalia bocca, ed i veterinari dalla gonfiezza e durezza della lingua, dalle esco¬ riazioni che su quella appariscono, e alcune volte dalla tumefazione dei gangli linfatici, la giudicano per il lento procedere come una glossite cronica, e quando posero più mente all’ uniforme induramento e ingrossamento dell’ epi¬ telio, o invece alle molteplici eminenze dure tondeggianti, di colore bianco giallognolo onde la lingua è cospersa* ado¬ perarono i nomi di callosità, o invece di Tubercolosi della lingua. Nell’ anno scorso fù condotta alla nostra Clinica una manza di circa due anni la quale al dire del proprietario aveva sofferto due mesi prima di una glossite che dietro una cura come suol dirsi antiflogistica locale e generale parve guarita, ma rinnovatisi gli stessi fenomeni morbosi, (1) Magazin fur die gesammte Thierheilkunde. Berlin 1854. 270 G. B. Ercolani come già occorse di vedere ad altri osservatori, dopo che credevano avere vinta la malattia, ordinariamente con pro¬ fonde incisioni nella lingua, o solo con rimedi astringenti localmente applicati, ci venne come vi dicevo condotta. È inutile che io dica che esaminando la lingua deli5 ani¬ male coi Signori Gotti padre e figlio, e vedendo che essa era tumida, dura, cospersa di .elevazioncelle di colore gial¬ liccio, alquanto irregolari benché in generale tondeggian¬ ti, e quasi immobile, facemmo noi pure diagnosi di tu¬ bercolosi della lingua, riferendoci per^questo al giudizio degli osservatori tedeschi che_ soli hanno fino ad ora di¬ scorso di questa piuttosto rara infermità giudicandola tutti per una forma di Tubercolosi. Gli antichi ed i moderni sono concordi nell5 insegnare, essere essa difficilissima a guarire: precarie secondo i più le guarigioni, facili e gra¬ vissime le ricadute. Onde nel caso nostro trattandosi già di una ricaduta e 1’ animale per gli impediti moti della lingua stentatamente mangiando, ci parve migliore partito consigliarne al proprietario l5 uccisione per utilizzare le carni, anziché tentare una qualsiasi cura. Pregai per avere la lingua che ebbi di fatto, e ne feci per quanto potevo diligente esame. Di casi ben più gravi di questo fanno cenno gli Annali della Scienza. Beiderlinden ne registrava un caso nel quale al suo dire la massa della lingua era convertita in sostanza tubercolare (I). Hollmann (2) notò pure codesto induramento che disse tubercolare esteso a tutta la lingna, ma non tacque che in altri casi il detto induramento colpiva solamente la parte anteriore, o invece la posteriore della lingua, e di glossiti parziali e generali aveva già il Toggia parlato op. cit. p. 80. Nel caso da me osservato la malattia colpiva più special- mente la lingua su tutta la su^ faccia dorsale, e tagliata (1) Hering. Jahresbericht iiber die Leistnngen in der Thierheilkunde im Jahre 1855. (2) Idem. 1857. Sulla trasformaz. degli elementi istologici 27 1 longitudinalmente si sarebbe detto che la durezza, la mole e la quasi immobilità della lingua era determinata da un astuccio di colore giallognolo uniforme benché variasse nel¬ la grossezza dai 5 ai 10 millimetri. Il nome degli antichi di callosità della lingua veniva spontaneamente in memoria; guardando meglio però, vedevarisi in diversi luoghi come delle colonnette di sostanza giallognola uguale a quella che formava 1’ indicata specie di astuccio che si approfondava¬ no e si perdevano nei muscoli della Lingua. Incompletissime sono le ricerche minute intorno agli elementi anatomici che compongono la sostanza o dirò materia morbosa di codesta infermità. Dalle apparenze ester¬ ne del morbo la dissero i volgari male di rospo, e dalle esterne apparenze il Toggia la chiamava callosità e scirro o cancro della lingua, come i moderni dalle apparenze pure la giudicarono di natura tubercolare, si mutarono i "nomi non si arrichì la scienza di nuove osservazioni di fatto. Non debbo però tacere che il Gerlach osservò che alcuni tubercoli, come egli li chiama,, della lingua in questi casi erano formati da denso pus circondato da una solida capsula, e che 1’ Hollmann insegnò che 1* accrescimento della lingua era in parte determinato da un essudato fra i muscoli di una materia callosa compatta e in parte da numerosi bernoccoli che si dissero tubercoli. Egli però non li ritenne per tali perchè non dimostrarono tendenza a quel¬ le successioni o permutazioni che secondo Rokitansky sono caratteristiche dei tubercoli. E P Hollmann come or ora vedremo aveva intera ragione affermando che non erano tubercoli, ma errava giudicando quella sostanza un essudato, e nulla aggiungeva qualificandola come una massa compatta e callosa ( compacte baliose masse ). Nè il Gurlt nè il Fuchs nelle loro Anatomie Patologiche speciali degli ani¬ mali domestici fanno menzione di questo morbo sotto una qualsiasi denominazione. Non era adunque inutile, giacché la non comune osservazione erasi offerta, che io cercassi di chiarire alcun poco 1’ argomento. Andrei troppo per le lunghe se io volessi dirvi ora o Signori quale sia il con¬ cetto che io mi sono fatto per differenziare quando si possa 272 G. B. Ercolani nel loro processo evolutivo il cancro dal tubercolo, nei primordi di loro formazione essendo per quello che ho ve¬ duto fin ora indistinguibili, e lascio volentieri una cosi ardua e grave questione giacché non è la forma del cancro epiteliale che fornisca argomenti a dubbiezze, che anzi il numero infinito delle cellule e la loro lunga vita e tenace allo stato cellulare offre la nota caratteristica differenziale fra cancro e tubercolo. Fra i diversi cancri epiteliali di animali che ho raccolto ho prescelto questo che offre uno stupendo esempio di trasformazione o metamorfosi dei cor¬ puscoli di tessuto connettivo in epitelio, nel tessuto unien- te situato profondamente in un organo, e cominciando a dirvi quello che osservai nelle parti piò profonde della lingua e che ad occhio nudo non si sarebbero con sicu¬ rezza giudicate inferme, vi dirò poi di quello che osser¬ vai alla superficie del dorso della lingua che come già vi dissi era più gravemente malato. La Fig. 3.a della Tav. 5.a rappresenta la lesione inci¬ piente negli strati profondi dei muscoli linguali tagliati tras¬ versalmente. Voi vedete come le fibbre muscolari siano più o meno allontanate fra di loro da un numero più o meno grande di corpuscoli di tessuto connettivo, di un volume maggiore di quello abbiano normalmente nella vita degli adulti e che gradatamente si permutano in cellule epiteliali. Codesta metamorfosi non si effettua solo per mu¬ tamenti del nucleo dei corpuscoli ma contemporaneamente e nel nucleo e nelle loro pareti. II nucleo aumenta di vo¬ lume e si intorbida ed oscura nel frattanto che i rami nei quali si prolunga la parete o membrana esterna dei cor¬ puscoli si perdono ed acquistano le forme di cellule ton- deggianti. Le lettere c c nella stessa figura dimostrano la terminazione di una di quelle colonnette che vi dissi in sulle prime sembrare che dallo strato morboso superficiale si approfondassero fra i muscoli della lingua. Vi dicevo al¬ lora un errore e lo lasciai correre ad arte perchè mi pre¬ meva di porlo ora in chiaro assai rettamente. É dalle parti profonde che i corpuscoli del tessuto connettivo permutati in cellule epiteliali sono spinti verso la superficie dell* or- Sulla trasformai, degli elementi istologici 273 gano, ed è a questo modo che si raccolgono e si formano nell’ interno della lingua o di altri organi quei nodi o co¬ lonne di cellule epiteliali, e si fù appunto per la fallace apparenza offerta, che molti medici e cultori della Anatomia Patologica parlarono di infiltrazioni epiteliali come se gli elementi morbosi dalla superficie scendessero al centro, mentre è interamente 1’ opposto. Le colonnette di queste cellule epiteliali si perdevano colla loro base nella faccia inferiore di quello strato giallognolo uniforme che vestiva il dorso della lingua, e quello strato non da altro era for¬ mato che da infinite cellule epiteliali grandemente fra di loro stipate e compresse. Sulla faccia anteriore o superiore di detto strato riposa lo strato papillare della lingua, e le papille e 1* epitelio di queste sono in gran parte atrofiz¬ zate per la obliterazione dei vasi superficiali della lingua e per conseguenza dei vasi delle papille stesse. L’ Obli¬ terazione di vasi in questo caso avviene per proliferazione dello strato epiteliale interno dei vasi, argomento sul quale richiamerò più avanti 1’ attenzione vostra. Per ora mi li¬ miterò ad indicare che attorno ài vasi così obliterati nel¬ la lingua trovai rigoglioso il permutamento del tessuto con¬ nettivo della membrana esterna Tav. 5.a fig. 7.a lett. a in corpuscoli di tessuto connettivo. Ho sospettato ma non ho saputo trovar modo per assicurarmene per affermarlo a Voi, che dai vasi così malafi traessero origine quelle colonnette di cui vi ho già tenuto parola. Non ho saputo ugualmente deci¬ dere colle molteplici preparazioni che feci, se in questo caso speciale la metamòrfosi della membrana esterna dei vasi in grandi corpuscoli di tessuto connettivo, che nel fat¬ to in discorso non sarebbe solo regressiva pel modo, tornan¬ do quella agli elementi da cui ebbe origine, ma anche per la forma avendo i corpuscoli la mole che sogliono avere nei periodi della vita intrauterina, non seppi decidere dissi se era essa la causa dell’obliterazione dei vasi, o se invece sus¬ seguiva all’obliterazione stessa dei vasi determinata dalla pro¬ liferazione interna dello strato epiteliale. Nel maggior nume¬ ro delle preparazioni che ottenni, pareva che la lesione nelle due membrane esterna ed interna dei vasi corresse di pari passo. 27 4 G. B. Ergolani CANCRO EPITELIALE DEL PENE IN UN CAVALLO. Non sono scarsi negli Annali della Scienza i casi di amputazione del pene nel Cavallo, e fino dai 1777 Huzard e Chaber.t la praticarono : ma in generale ne fù discorso dai diversi autori più nell’ interesse meramente Chirurgico di quello che nell’ interesse della Anatomia Patologica. Può affermarsi con sicurezza però, che in moltissimi casi 1’ operazione fù praticata per una particolare infermità del pene di questo animale che è notevolmente deformato da voluminosi tumori fibrosi sottocutanei, con ulcerazioni sulla cute in alcuni punti e papillomi anche voluminosi in altri. Un esempio di codesta infermità fù raccolto dal chiarissimo mio Maestro e conservasi in Museo al N. 1219 del nuovo o 5514 del catalogo generale del Museo Alessandrini. In alcuni casi ricordati dagli autori accennasi è vero a cancro del pe¬ ne, ma si è tanto per lo passato abusato /li questa parola dai medici dell’ uomo e degli animali, che nulla di sicuro può affermarsi riguardo a queste osservazioni, tanto più che le indicazioni che sono fornite in proposito dagli autori sono tutt’ altro che chiare e precise. Nel resoconto della Scuola di Dresda per 1’ anno 1859 trovo però fatta menzione della amputazione del pene fe¬ licemente eseguita sopra un Cavallo, perchè affetto da can¬ cro epiteliale (1) e nell’ anno 1860 rfe fù data dall’ Hau- bner la descrizione. I medici ed i chirurgi con assai più accuratezza hanno parlato del cancro epiteliale del pene dell’ uomo, ma per verità non ho trovato che si insegni a distinguere con suf¬ ficiente chiarezza i papillomi o condilomi estesi su tutto il glande ed il prepuzio dal vero cancro epiteliale di que¬ ste parti, ed anzi il generale precetto che nell’ uomo il cancro epiteliale del pene si può operare con speranza di buona riuscita quando la lesione è superficiale (2) lascia (t) Bericht iiber das Veterinarwesen im Kflnigreiche Sachsen. Dresden 18&9. (2) Forster. Handbuch der Patholigischen Anatomie. Leipzig 1863. p. 871. Sulla trasformaz. degli elementi istologici 275 dubitare, che appunto nei fatto, si siano anche nell9 uomo scambiate queste infermità. La diagnosi in alcuni casi non può esser dubbia, e questo avviene quando il cancro epi¬ teliale è molto esteso ed antico, ma quando invece il pre¬ detto cancro è recente ed è limitato, o per l9 opposto i condilomi e papillomi sono molto estesi e antichi, il giu¬ dizio o la diagnosi differenziale può essere diffìcilissima. E noto ai Chirurghi che alcune volte i papillomi formano delle escrescenze grosse come un uovo di gallina ed anche più a superfìcie disuguale per apparenti circonvoluzioni, e come per l9 analogia che hanno coi cavoli fiori così si de¬ nominino generalmente dai Chirurghi, e che alcune volte si estendono su tutto il glande e la pelle del pene ; ugual¬ mente si comportano in alcuni casi anche i condilomi. Il citato Forster op. c. ammettendo la grave difficoltà che in alcuni di questi casi s9 incontra per la diagnosi differenzia¬ le, non dubitò però di affermare che il cancro epiteliale distinguesi dalle affezioni indicate della parte papillare del derma, non per caratteri esterni che come si è detto sono molto vicini fra di loro, ma perchè nel cancro trovansi profondamente nel derma dei globi cancerosi o come si chiamano alveoli. Vi ho tenuto parola o Signori di queste affermazioni di un chiarissimo cultore l9 Anatomia Patologica che per gli assidui numerosi e diligenti suoi lavori ha acquistato una meritata autorità fra i cultori della Medicina, appunto perchè non credo esatta la base da lui insegnata per distinguere le due forme morbose, e questo si rileverà meglio dalle poche osservazioni che verrò ora esponendo. L Haubner realmente fù il primo a descrivere esatta¬ mente come vi dicevo nel 1860 un cancro epiteliale al pene di un cavallo, quasi identico a quello di cui vi offro la figura Tav. 4.a fig. l.a Osservato questo qualche anno prima (1855) di quello dell9 Haubner fù inviato al chia¬ rissimo Alessandrini per il nostro Museo dal Sig. Prof. Paohicci di Ancona e del Veterinario Agostino Alessandrini che dietro consiglio del predetto praticò con felice suc¬ cesso, pel primo che si sappia in Italia, 1’ amputazione 276 G. B. Ercolanj del pene nel Cavallo (1). Il glande che pesava allo stato fresco un Kilogramma circa, mostrasi convertito in una massa tondeggiante informe a superficie bernocoluta irre¬ golare con incavazioni più o meno profonde. La pelle del pene dopo il glande è pur essa malata ma in minor grado, ruvida ed aspra è come disseminata di condilomi piatti di varia estensione. Nessuna ulcerazione alla superficie come nel caso che fù osservato dall’ Haubner. Tagliato per il lungo nel diametro della sua maggiore lunghezza, vedevasi la pelle alcun poco di più ingrossata nelle parti meno ma¬ late del pene, mentre nel glande ove più grave e profonda era la malattia la pelle era assottigliatissima. Ragione di questo assottigliamento era una enorme quantità di ima sostanza bianco-gialliccia cospersa di punti migliari o grossi fino ad un nocciolo di ciriegia, alcuni bianchi, rossi e (1) Ecco le notizie colle quali il Veterinario Sig. Alessandrini Agostino inviava da Ancona il pezzo patologico in discorso al Prof. Cav. Antonio Alessandrini. Un Cavallo morello d’anni 18 di razza del Nord mostrò in sulle prime di essere affetto da ritenzione d’ urina, il custode ne ripuliva il glande che credette solo imbrattato da raccolta di smegma, ma ben presto s’accorse, uri¬ nando ancora il Cavallo con qualche difficoltà, che attorno al glande esiste¬ vano come tante piccole fungosità. Furono praticate delle injezioni al prepuzio con acqua acidulata, stimandosi la cosa di^ poco momento, ma il glande sem¬ pre più aumentava di volume per lo accrescersi delle anzidette fungosità. Lo stato generale della sanità dell’animale non pareva compromesso, e solo la emissione delle urine facevasi a pene reiratto, per essere il glande molto in¬ grossato e a zampilli come se I’ urina sortisse da diversi orifìci, e questo av¬ veniva per le molte escrescenze che attorniavano l’ apertura esterna dell’ uretra. Furono inutilmente applicati alla parte bagni di sostanze astringenti, ed anche polveri escarotiche. Fù più volte ma inutilmente consigliata V amputazione dal Prof. Paolucci, finché fattosi a tutti palese che trattavasi di vero carcinoma, rimanendo il glande per I’ eccesivo volume fuori permanentemente dal prepu¬ zio, il consiglio del sullodato Professore fù accolto, e da lui incoraggialo ed assistito praticai l’amputazione prescegliendo il metodo della semplice recisione della parte affetta, senza previa introduzione di cannula nell’ uretra, o apertura dell’ uretra al perineo da alcuni autori consigliate. L’Emorragia piuttosto gra¬ ve consecutiva al taglio fù frenata colla cauterizzazione. Le urine fluirono su¬ bito regolarmente e facilmente, e dopo una non lunga cura antiflogistica locale e generale si ottenne il ripristinamento della salute dell’ animale. 11 peso del glande amputato due dita circa trasverse al disotto del male era poco meno di un Kilogramma. Sulla trasformaz. degli elementi istologici 277 sanguinosi altri, ed era intersecata da linee bianchicce ; teneva essa materia il posto di tutti gli elementi organici che entrano nella composizione normale di detta parte; codesta sostanza esaminata al microscopio non vedevasi al¬ trimenti formata che da cellule epiteliali più o meno svi¬ luppate ossia più o meno vecchie. Ho amato riportarvi il disegno di una sezione microscopica della pelle del pene e ove essa appare meno malata, perchè essa offre imma¬ gine più chiara della natura della malattia e porgerà spero un dato sicuro per la diagnosi differenziale fra cancro epi¬ teliale e condilomi o papillomi molto estesi e inveterati della pelle. In questa figura adunque Tav. 4.a fig. 2.* bene manifestamente si vede come le papille sieno interamente formate da cellule e che il limite fra i bordi esterni di queste e le cellule che formano il reticolo malpighiano sia semplicemente limitato da una maggiore pigmentazione dei primi strati di queste, più vicine alle papille, e come le cellule dell’ epidermide si distinguano da quelle del re¬ ticolo da cui provengono per una diversa giacitura soltanto, per la forma elittica e laminare che acquistano per la pres¬ sione, e ciò che più monta per la perdita dei nucleo che si fa più chiara e manifesta quanto più gli strati dell* epi¬ dermide si fanno superficiali ed esterni. Fin qui non ve- desi che forse con maggiore chiarezza, quello che normal¬ mente vedesi nello stato normale, il morboso osservasi real¬ mente al disotto dello strato papillare del derma, nei quale non sole è scomparso interamente il tessuto fibroso ed elastico e solo permangono esilissimi fibre di quest’ ultimo tessuto, e questo è tanto più notevole in quanto che nel¬ lo stato normale la pelle di queste parti è fornita larga¬ mente da ampio strato di tessuto elastico. Il posto di tutti gli elementi costituenti il derma è occupato da giovani cellule epiteliali che derivanti da corpuscoli di tessiito- connettivo ora proliferano rigogliosamente. La con¬ dizione morbosa consiste adunque in ciò che non sono più le papille come è nello stato normale degli adulti che sono incaricate di elaborare il reticolo malpighiano e 1* epidermide, ma che 1’ elaborazione di questa si fa al 278 G. B. Ercolani dissotto delle papille. Le parti sono riportate in breve a quello stadio di formazione che osservasi nel periodo della vita fetale, come più avanti dimostrerò. Esaminando la pelle nei luoghi più malati del glande, ho già indicato che essa appariva anche ad occhio nudo molto più sottile e lo era per atrofia dello strato papillare e delle parti che a questo sono sovraposte, mentre invece in luogo dello strato inferiore dei derma e tutte le altre parti sottoposte del glande, erano involte e circondate da una massa enorme di cellule epiteliali a diversi gradi di sviluppo che costituiva il fondo della, massa che indicai di colore bianco gialliccio* I punti migliari o della grossezza di un nocciolo di ciliegia erano esclusivamente formati, di qualsiasi colore essi fossero, da vecchie cellule epiteliali con o senza sangue versato, avevano esse tutti i caratteri delle epidermoidali, e costituivano così i globi cancerosi del Lebert, se si ha riguardo alla loro figura, o se tagliati tra¬ sversalmente per T esame microscopico, gli alveoli dei mo¬ derni Patologi. Per questi brevi cenni voi già vedete o Signori come sia manchevole P insegnamento del Forster che dalla presenza o dalla mancanza degli alveoli si abbia solida base per un giudizio Clinico differenziale delia più alta importanza specialmente pei medici dell’ uomo. I glo¬ bi cancerosi o alveoli altro non sono che cellule epiteliali completamente sviluppate e anzi invecchiate, che necessa¬ riamente non si possono osservare se non in quei luoghi ove la malattia è più antica, o su tutta la parte malata quando tutta lo è da molto tempo., ma non bastano ad escludere il cancro epiteliale quando non si osservano in parti da poco tempo malate. Nella 'figura microscopica che io vi portai tolta dalle parti meno malate non può porsi in dubbio che non si tratti della stessa forma morbosa o di cancro epiteliale, eppure i globi cancerosi o gli alveoli mancano completamente. Il carattere però Clinico e diffe¬ renziale esiste ed è importantissimo, che la formazione epi¬ teliale cioè nei condilomi e papillomi non proviene mai dallo strato inferiore più profondo del derma, o peggio dal tessuto connettivo che a questo è sottoposto: la prò- Sulla trasformaz. degli elementi istologici 279 duzione epiteliale è sempre al disopra delle papille come lo è nello stato normale. Le papille dei condilomi e pa- pillomi sono in maggiore o minor numero malate per au¬ mentato volume soltanto o per proliferazione papillare sen¬ za però pervertire le loro funzioni, mentre nel cancro epi¬ teliale si ha enorme produzione di cellule epiteliali al di¬ sotto dello strato papillare per cui le papille possono anzi, come abbiamo veduto, essere completamente atrofizzate. DEI PAPILLOMI. La denominazione di Papillomi è stata limitata dai mo¬ derni Patologi a quelle Neoplasie che sono esclusivamente formate da una straordinaria ipertrofia di una o più papille. Una distinzione anatomica sicura fra Papillomi o Condi¬ lomi non esiste per questo. Clinicamente però può segnar¬ si una reale differenza fra queste due infermità, e consiste in ciò che nei Condilomi sono sempre moltissime e vicine le papille che sono affette e che la loro ipertrofia non è quasi mai enorme, mentre nei Papillomi ordinariamente è una sola papilla che è affetta e può toccare un notevolis¬ simo volume per proliferazione papillare, e quando sono molte le papille affette in un solo individuo ciò avviene quasi sempre a grandi distanze fra le une e le altre. I Papillomi sono poco noti ai cultori della Patologia Com¬ parata, e F intima loro struttura non è bene conosciuta dai cultori dell’ umana Patologia. Vi terrò parola o Signori dei Papillomi cutanei del Bue e brevemente dei Papillomi del Rumine nei Buoi e della Suola nel Cavallo perchè mi ba¬ steranno colle cose dette fin qui a chiarire F anatomia del derma, e mostrare come anche nello stato normale avvenga la trasformazione dei corpuscoli del tessuto connettivo in cellule epiteliali. DEI PAPILLOMI GUTANEI. Queste Neoplasie furono certamente note ai più antichi cultori della medicina degli Animali, ma le confusero con 280 G. B. Ercolani altre infermità che hanno di comune con queste 1* eleva¬ zione morbosa e circoscritta iu qualche parte della pelle (1). Fra i moderni scrittori di Anatomia Patologica compa¬ rata il Gurlt fù il primo a chiamare^col nome di Verruche le neoplasie papillari che gli antichi avevano confuse sotto la stessa denominazione e probabilmente anche distinte col nome di Porri. Il dotto Patologo di Berlino però (2) non accennò alla loro struttura limitandosi a dire che il nome di verruche dovea serbarsi a quelle morbose escrescenze della pelle o delle mucose, che sono di forma il più delle volte cilindrica a superficie rugosa o scabra e con eminen¬ ze acuminate coperte di epitelio che alcune volte è an¬ che corneo. Fù più esplicito P Hertwig (3), dichiarando le verruche essere quelle escrescenze che traggono la loro origine dallo (1) A. chi cerca negli Annali della Scienza Medica e perciò anche della Ve¬ terinaria, per cogliere il frutto di secolari osservazioni ed esperienze, non di rado occorre di meravigliare reggendo come dai remotissimi tempi ai dì nostri, alcune parole a senso indeterminato e spesso strano o ridicolo, abbiano tenuto il posto di idee chiare e precise e quali appunto convengono a tutti gli stu¬ diosi delle cose naturali. E la cosa è appunto così quando ricercasi il signifi¬ cato, ossia il concetto scientifico che devesi annettere alle parole Porri, Fichi o Verruche. Per alcuni ( Hurtrel d’ Arboval ) queste parole sono sinonirne e valgono ad indicare « piccole escrescenze dure, indolenti, quasi cornee, con peduncolo e senza che appaiono sui tegumenti degli Animali. » E di codesta sinonimia accolta da alcuni moderni non dobbiamo rallegrarci, perchè non sem¬ plifica le nostre cognizioni ma confonde fatti fra di loro diversi, e segna un vero regresso pei Zoojatri, giacché gli antichi e rozzi maniscalchi avevano appunto cercato di distinguere tali escrescenze dagli esteriori caratteri, chiamando Fichi quei tumori che pel peduncolo ricordavano le forme del detto fruito, e Porri quelli che per le barbe o filamenti sulla loro superficie ricordavano le radici del porro. Rozzi e grossolani nomi desunti da più grossolani caratteri che per certo oggi non possono più avere alcuna importanza, e che non permettono più di accogliere riverentemente le volgari denominazioni usate dai primi padri, ma meglio era conservare rozze parole a cui rispondeva un chiaro concetto, che non comprendere il concetto, e confondere, con vocaboli antichi o nuovi, quello che già si sapeva doversi tenere disgiunto, (2) Lebrbuch der Palholigischen Anatomie der Haus-Satigethiere. B. 1 S. 72. Berlin 1831. (3) Pract. Handbuch der Chirurgie. Sulla trasformaz. degli elementi istologici 281 strato papillare del derma, che sono coperte di epitelio e che nel loro interno contengono vasi e nervi. Venne in questa stessa opinione il Fuchs (1), benché non gli fosse dato di osservare per fatto proprio di queste Neoplasie negli Animali, ragione per cui ritenne che esse siano piuttosto rare negli Animali (2), ma senza volere con¬ tendere su questo, egli è indubitato che veri papillomi della pelle furono più di una volta osservati nei Buoi, nei quali animali come alcune volte osservasi nell’ uomo que¬ ste neoplasie, che anche nell’uomo hanno il nome volgare di porri, s’ incontrano in grandissimo numero sparse este¬ samente su tutto il corpo. Nei tre casi che ho osservati nei Buoi, i Papillomi erano sempre in grandissimo numero (1) Pathologiche Anatomie der Haussaugelhiere. Leipzig 1859 s. 189. (2) Pare che più particolarmente accennasse il Fuchs ai Papillomi del Bue a p. 95 dell’ opera sopra citata « Osservasi, scrisse egli, nei Buoi una specie particolare di tumori cutanei, che fino ad ora osservai occupare solo la regio¬ ne dei fianchi o dell’ addome. Accumunati fino ad ora colle verruche, hanno però solo con queste una lontana somiglianza. 1 delti tumori ordinariamente si trovano in gran numero, e di tanta mole e peso notevole, che nei casi da me veduti stiravano molto in basso la pelle dell’ addome. Generalmente sono ton¬ deggianti di varia mole e non coperti dai peli, hanno un colore rosso oscuro e dalla loro superficie geme un umore sanioso che consta di cellule epiteliali rammollite. Tagliati i tumori per il lungo, si scorge alla loro base un cingolo del derma assottigliato e nelP interno o corpo del tumore un lussureggiante tessuto irniente molle e come inzuppato di siero. Io chiamo questa specie di Neoplasia Molluscum Simplex. » In breve questi Molluscum sarebbero per Fuchs una specie della famiglia dei tumori Papillari. La denominazione però di Molluscum Simplex per certe Neoplasie non ò nuova per P Anatomia Patologica, il Forster l’aveva già adoperata nel suo Ma¬ nuale d’ Anatomia Patologica umana a p. 487 ( trad. in frane. ) dove discor¬ rendo dei Neoplasmi del Derma nota, che certe verruche carnose, o tumori rotondi del volume di un cece a quello di un uovo di piccione, a peduncolo più o meno largo, e costituiti da una dilatazione sacciforme della pelle che ò riempita da tessuto congiuntivo a tutti i gradi di sviluppo, meritano la in¬ dicata denominazione. Non posso e non debbo affermare, che i Molluscum di Forster e di Fuchs siano sicuramente identici ai Papillomi a superficie solo scabra che descrivo ora nel Bue. Può sospettarsi ed a ragione che sia così e la fig. 3.a della Tav. 2.a dà la ragione di tale credenza, ma solo osservazioni ulteriori e com¬ parate potranno risolvere con sicurezza la questione. t. iv. 36 282 G. B. EacoLA ed alcuni anche voluminosi assai, onde e pei pochi casi da me veduti e per quelli che sono registrati negli Annali della Scienza con altri nomi, potrebbe forse essere esatto 1’ affermare che quanto è eccezionale per 1’ uomo, che i detti Papillorni cioè siano grandemente diffusi sulla pelle, sarebbe pei Buoi la regola comune, non mancando gli esem¬ pi ed in uno da me veduto in cui furono asportati oltre a 12 Kilogrammi di produzioni papillari morbose dal cor¬ po di un Bue. Nel rumine invece dei Buoi, la moltiplicità dei Papillorni sarebbe eccezionale, come lo è pei Papillorni sulla pelle dell’ uomo. I caratteri esteriori di queste Neo¬ plasie anche sullo stesso animale, presentano alcune dif¬ ferenze vuoi per la mole come per le esteriori apparen¬ ze. Alcune volte sorgono dalla superfìcie della Neoplasia numerosi e intricati coni Tav. 2.a fig. l.a di mole diversa, mentre in altri la superfìcie è solo aspra o bernoccoluta Tav. 2.a fig. 2.a e 3.a La loro base è sempre ristretta e pjù o meno pedunculata. In un caso che ora sono molti anni osservai a Torino, P epitelio che copriva le escrescen¬ ze era duro e di cornea consistenza, di colore oscuro come legno di noce pulito. Disgraziatamente non ebbi più agio di ripetere una simile osservazione ed il ricco Museo del- 1’ Alessandrini non ne ha un esempio (1). Tagliati i papillorni cutanei del Bue si veggono formati nel loro interno da una sostanza che ha P apparenza di una molle gelatina diafana ( tessuto uniente come imbevuto di Siero di Fuchs nei suoi Molluscum ) Tav. 2.a fig. 3.a lett. b. Tutta la periferia o corteccia esterna è invece dura con¬ sistente e mutabile solo per quel tanto che il papilloina che osservasi ha la superficie o solo scabra, od è acumi¬ nata variamente per molte elevazioni coniche. Dal centro pedunculato del tumore entrano i vasi che volgono con molti rami verso tutta la periferia e nella quale si per¬ dono come or ora vedremo. (t) Rychner nella sua Bujatrik p. 363 accennò a questi Papillorni, indican¬ do che alcune Verruche separano una specie di sostanza cornea. Sulla trasformaz. degli elementi istologici 283 Ricercata la struttura anatomica, anche nei casi nei qua¬ li le esteriori apparenze sono diverse, la parte periferica dei papillomi è formata esclusivamente da un infinito numero di papille le quali anche nello stato morboso, seguono e ubbidiscono a quelle leggi che la natura impose e sono se¬ guite nelle diverse forme che hanno le papille normali in altre parti del corpo. Così nei papillomi a superficie liscia o anche bernoccoluta, la forma è determinata dal ripetersi su tutta la superficie della Neoplasia., del tipo che hanno normalmente le papille dermiche normali, o invece quella delle papille fungiformi della lingua. Nei papillomi cosper¬ si di coni numerosi ed elevati, le papille seguono le stes- se leggi o ripetono la struttura delle grandi papille coni¬ che che rivestono la mucosa specialmente delle guancie nei Buoi. Ma prima di andar oltre, avendovi detto che 1’ in¬ tima struttura delle produzioni patologiche in discorso non era esattamente nota agli stessi cultori dell’Anatomia Patolo¬ gica umana, così stimo mio debito riandare quali sieno gli insegnamenti in proposito che sono generalmente rice¬ vuti per meglio confrontarli cogli insegnamenti che for¬ nisce 1* Anatomia Patologica Comparata. Da quanto afferma il Wedl (1) fù primo il Kràmer a distinguere le neoplasie dell’ uomo, costituite da papille e tessuto uniente, nell’ interno delle quali trovasi un’ ansa vascolare di nuova formazione, col nome di Papillomi, e fu il Simon che primo ne ricercò la minuta struttura chia¬ mandole ancora col nome di Condilomi acuminati. Le os¬ servazioni del Simon lasciarono molto a desiderare avendo adoperati quei mezzi incompletissimi di cui 1’ arte anato¬ mica allora disponeva per le ricerche istologiche, quali era¬ no la macerazione, la cottura, e 1* azione non bene deter¬ minata di alcuni reagenti. Il Wedl accrebbe ed aumentò la dote delle cognizioni istologiche in proposito, praticando fine sezioni su tumori freschi o col rasojo, o col coltello doppio di Valentin ed anche cuocendo nell’ acido acetico (1) Grundzuge der Pathologischen Histologie. Wien 1854 s. 433. G. B. Ercolani 284 le Neoplasie, eseguendo poi tagli finissimi quando erano essiccate. Ognuno vede come adoperando per le stesse ricer¬ che i mezzi perfezionati d’indagine che oggi l’arte ana¬ tomica può disporre, la via sia divenuta assai più facile e piana per coloro che si diedero a nuove ricerche su quelle stesse produzioni morbose. Non meraviglierete quindi se adoperando i metodi insegnati dai moderni per le injezioni microscopiche, ho potuto affermare inesatta 1’ osservazione del Wedl che nell’ interno cioè delle papilla morbose esista una sola ansa vascolare formata da un unico vaso ripiegato sopra stesso a corso ondulato. La fig. 4.a della Tav. 2.a vi mostra la distribuzione dei vasi dal centro dei papillomi alla periferia, come più vasi entrino nelle papille e come riccamente fra di loro si anastomizzino, e quello che panni degno di nota si è, che le nuove e molteplici produzioni papillari che sorgono rigogliose ai lati delle papille mor¬ bose più antiche, sono direi quasi determinate dal prolu¬ dere all’ infuori di un’ ansa vascolare che rientra in se stessa. Le diverse fasi dello svolgimento dei vasi papillari nell’ accrescimento delle papille sono appunto delineate nel¬ la fig. cit. che ho 1’ onore di presentarvi. Il centro delle papille morbose si disse dal Wedl for¬ mato da fibbre delicate di tessuto uniente che mostra dei nuclei oblunghi trattato che sia coll’ acido acetico ; alla pe¬ riferia della papilla sono situate secondo lui le cellule le più giovani di tessuto uniente i di cui nuclei sono più grossi e rotondi. Descrisse inoltre e delineò op. cit. p. 86 fig. 435 uno strato che appare all’ osservatore a doppio contorno che circoscrive la papilla e separa nettamente la sostanza centrale del corpo papillare dalle cellule epiteliali che lo circondano, in breve è lo strato palino od omogeneo descritto dal Kollicher nelle papille normali il quale come vedremo non esistere nello stato normale, non esiste nem¬ meno nello stato patologico, la di lui esistenza sarà chiari¬ ta spero impossibile in ogni caso. L’ epitelio esterno dei papillomi si divide in due strati, il profondo che è il re¬ ticolo Malpighiano, e 1’ esterno o superficiale che è lo strato corneo o epidermoidale. Nelle osservazioni del Wedl in Sulla trasformaz. degli elementi istologici 285 alcune parti è adombrata ma non detta che in parte la verità, in altre fu insegnato l’errore. Adombrava la verità indicando le cellule a nucleo oblungo nell’ interno delle papille con nuclei che appariscono più grossi e rotondi alla periferia delle papille; per dire intera la verità biso¬ gnava affermare che i detti permutamenti nucleari rappre¬ sentavano le permutazioni regolari delle cellule del tessuto connettivo in cellule del reticolo per mezzo delle papille, nell’ interno delle quali la struttura cellulare è evidentis¬ sima. Le fig. l.a e 2.a della Tav. 3.a vi dimostrano questa mia affermazione per mezzo di due sezioni ; nella fig. 2.a il taglio è eseguito trasversalmente e nella fig. l.a invece è eseguito nel senso longitudinale, e nell’ una e nell’ al¬ tra figura si dimostra la struttura cellulare delle papille e come dalle cellule di queste promanino le cellule che rappresentano il reticolo malpighiano, destinate a permu¬ tarsi in cellule cornee epidermoidali. Negli strati mezzani del reticolo malpighiano, osservai pure nei Papillomi del Bue quelle canellature o ripiegature marginali delle cellule che furono illustrate dal Dott. Schròn ’(l) a cui diede il nome di Porocanali e più recentemente ancora dal Dott. Bizzo- zero che riguardò come cellule cigliate del reticolo malpi¬ ghiano, tanto dell’ epidermide, che delle mucose come nei Cancroidi (2). Fin qui o Signori ho affermato che gli strati profondi del reticolo malpighiano promanano dalle cellule delle papille e questa cosa non è ammessa da alcun anato¬ mico. Per confermare e dimostrare meglio esatte le mie osservazioni dovrei esaminare ora la struttura del derma e delle papille nello stato normale: ho lusinga di riescire più chiaro rimettendo questa grave questione più innanzi e ri¬ serbandomi allora a dimostrare che nello stato normale, il reticolo malpighiano e P epidermide non sono che fasi ul¬ teriori ed ultime del permutamento dei corpuscoli del tes¬ suto connettivo, e che lo strato papillare del derma è il vero organo elaboratore si dell’ uno che dell’ altro. (1) Giornale di Moleschott. Voi. 9. 1863. (2) Annali Universali di Medicina. Fascicolo di Ottobre 1864 p. 110. 286 G. B. Ercolani E come non mi restassero ancora molte cose a dirvi permettetemi una digressione. Fù antica osservazione che ogni giorno, oggi pure si conferma tanto nell’ umana che nella Comparata Patologia, che alcuni Neoplasmi cioè che sono cresciuti gradatamente ed anche rapidamente, tutto ad un tratto s’ arrestano e rimangono per molti e molti anni stazionari. Più comunemente fù negli animali osser¬ vato, che alcuni di questi tumori cutanei se peduncolati e specialmente i Papillomi di cui .vi ho tenuto parola, non solo cessano dall’ aumentare, ma che invecchiando, il pedun¬ colo si avvizzisce e si prosciuga per cui naturalmente cadono e lasciano sano l’ animale senza alcuna cura dell’ arte. Mol¬ ti si sono accontentati per intendere il fatto della cono¬ scenza dell’ avvizzimento del peduncolo, come se esso non fosse un effetto di una cagione che ignoravano, altri ri¬ corsero a cercare una forza medicatrice nella natura, e i più modesti accolsero e tennero la pura nozione del fatto. In molte neoplasie di diversa natura ho riscontrato più e più volte una speciale lesione dei vasi alla quale accen¬ nai discorrendo del cancro epiteliale della Lingua dei Buoi, di cui non trovo fatta parola da alcuno ma che dà la ragio¬ ne sufficiente per intendere la numerosa serie di fatti a cui ho accennato e che parmi interessare per questo tutti i cultori dell’Anatomia Patologica. Ho fatto rappresentare i diversi gradi di questa lesione dei vasi nelle fìg. 4-.a 5.a 6. 7.a ed 8.a della Tav. 5.a Nella fìg. 4.a è rappresentato il grado più lieve od incipiente e consiste in una prolife¬ razione dello strato epiteliale interno dei vasi per cui il lume di quelli rimane più o meno notabilmente diminuito. Le lettere di questa figura corrispondono anche colla fig. 8.a della stessa tavola, ove le membrane del vaso sono rap¬ presentate ad un più forte ingrandimento. Nella fig. 5.a e rappresentata la stessa malattia ma a più alto grado, se non che anche la ipembraria media è ingrossata, forse per lo sforzo maggiore che le pareti del vaso avranno dovuto subire per spingere il sangue nel lume del vaso notabilmente ristretto. Nella fig. 6.a è rappresentato sem¬ pre con sezione trasversa un vaso per la ragione sud- Sulla trasformaz. degli elementi istologici 287 detta completamente obliterato. Facilmente ognuno com¬ prende come avvenuta la intera obliterazione dei vasi, le neoplasie pedunculate possano per se stesse cadere, e come alcune neoplasie sottocutanee per la stessa ragione possa¬ no arrestarsi nel loro sviluppo. La lesione dei vasi che ho indicata ha forse una maggiore e assai più grave impor¬ tanza di quello ora apparisca, specialmente pei Medici : ri¬ corderò solo che è poco più di un anno che ebbi ad esa¬ minare i reni di un uomo morto in compendio coi sintomi di gravissima Uroemia, e nel cadavere del quale non fù trovata altra lesione che quella che ho indicato nei vasi renali. Ma tornando al mio argomento vi dirò brevemente di altri Papillorni negli Animali. PAPILLOMI DEL RUMINE. Porri o Verruche del Rumine. ( Luatti ) . I Papillorni del Rumine benché siano poco noti ai cul¬ tori della Veterinaria, non debbono però essere rarissimi. In breve tempo me ne furono portati tre esemplari dal Sig. Giordani Veterinario Municipale che li raccolse in Buoi uccisi al pubblico Macello. Altro esemplare conservavasi in Museo al N. 1366 e fù inviato al chiarissimo Prof. Ales¬ sandrini dal Veterinario Sig. Vincenzo Luatti che ne di¬ scorse particolarmente e come di caso singolarissimo, a pag. 498 del T. X. Ser. 3.a dei Nuovi Annali delle Scienze Naturali, Bologna 1854 (1). Fra gli esemplari da me os¬ servati e quello che fù raccolto dal Luatti havvi una sola differenza, ed è relativa al numero delle Neoplasie, copio¬ sissime nel caso del Luatti, uniche nei casi da me veduti benché per la mole diversissime. Nella fig. 2.a della Tav. 5.a ho rappresentato di naturale grandezza quella che conser¬ vasi in Museo al N. 1787. Altra fra quelle che ebbi, era di mole alcun poco minore, ed altra invece è di grandezza (1) Di una degenerazione Verrucosa osservata nelle pareti dello Stomaco di un Bue. G. B. Ercolani straordinaria, oltrepassando la mole della testa di un bam¬ bino neonato e la conservo al N. 1877. Nel caso osservato dal Luatti « i porri o verruche, scriveva egli, erano nu¬ merosissimi sulla faccia interna del rumine e del reticolo, di colore bianco dilavato, a superficie tondeggiante e ru¬ gosa, altri di forma bislunga cuneiforme e lisci, varia ne era la grossezza in tutti, giungendo da un acino di miglio a quella di un uovo di gallina; alcuni peduncolati, altri a base larga conglomerati in gran numero fra di loro e coprenti le interne pareti indicate, per 1* estensione di cin¬ que a sei centimetri in più e diversi luoghi. » L’ animale osservato dal Luatti aveva presentato un anno prima da che si riscontrasse T indicata lesione, disturbi non lievi nella digestione e ruminazione, ma se è proba¬ bile che fossero determinati dallo sviluppo di così grande numero di papillomi, non si può però con certezza affer¬ mare, F animale essendo stato poscia ucciso per tutt’ altra e lunga infermità senza che le funzioni gastriche si mo¬ strassero nel decorso notevolmente offese. Anche nei casi da me veduti nulla si seppe di positivo circa allo stato precedente della, sanità degli animali, che erano d’altronde in buono stato di nutrizione: non è improbabile quindi che essendo i papillomi isolati, la loro presenza non fosse sospettata perchè non diede luogo a rilevanti disturbi, en¬ trando codeste Neoplasie nel novero di quelle che offen¬ dono solo per le loro qualità fisiche e meccaniche, e nuoc¬ ciono più che per loro stesse, pei luoghi ove si sviluppano. Un papiiloma p. e. sulla doccia esofagea sarà molto più nocivo di quello lo sia un identico papiiloma nella grande curvatura del Rumine. La struttura anatomica di queste Neoplasie è identica a quella che ho già indicata nei papillomi a superficie aspra e bernoccoluta sulla pelle dei Buoi, i porocanali o ciglia delle cellule del reticolo sono quivi cortissime. Fino ad ora non si sono raccolti esempi di papillomi del rumi¬ ne che ripetano il tipo dei corpi papillari conici, ma in¬ vece solo quella dei corpi papillari fungiformi. Un’ altra particolarità che emerge per le osservazioni fatte dal Luatti Sulla trasformaz. degli elementi istologici 289 si è che nel Rumine i papillomi possono svilupparsi molto vicini fra di loro e a modo da confondersi fra di loro con una larghissima base, cosa che nei papillomi della pelle non fu per anche osservata. PAPILLOMA DELLA SUOLA NEL CAVALLO. Fico della Suola. ( Giordano Ruffo ) . Fino dagli antichissimi maniscalchi fu indicata codesta Neoplasia sotto il nome di Fico della Suola, dalle apparenze esteriori che essa ha col frutto del indicato nome. L* antica denominazione è rimasta anche ai moderni veterinari che poco si sono curati di ricercarne la struttura. É dessa un vero papilloma o iperplasia di una terminazione digitata di una delle laminette di tessuto podofilloso di cui è tanta dovizia nel derma sotto lo zoccolo del Cavallo. Or¬ dinariamente la malattia si osserva in una lamina del tes¬ suto podofilloso alla faccia interna delle barre per cui il più delle volte osservasi il fico o Papilloma della Suola fra la Suola stessa ed il fettone. In un mio lavoro sulla struttura delle produzioni cornee del corpo degli animali, discorrendo della struttura dello Zoccolo del Cavallo, non dissi della particolare terminazio¬ ne della lamine del tessuto podofilloso che si prolungano come ho detto a foggia di tante digitazioni, che sono pur esse tanti corpi papillari di forma conica allungata con cortissime papille periferiche. Poco dopo la pubblicazione del mio lavoro il Prof. Leisering di Dresda trattava lo stes¬ so argomento (1) ed il Ravitsch più tardi ne faceva argo¬ mento di un lavoro speciale (2) e come nè V uno nè V al¬ tro aggiunsero alcun che di speciale e confermarono solo in parte le osservazioni che prima di loro io avevo istituite e pubblicate (3) così non fecero parola nemmeno dell* in- (1) Der Fuss des Pferdes. Dresden 1861. (2) Ueber den feinerem Bau und das Wachsthum des Hufhorns. Berlin 1 863. (3) Osservazioni Anatomico-Fisiologiche intorno all’organo Keratogeno o gene¬ ratore delle produzioni cornee cutanee del corpo dei Mammiferi. Torino 1861. 290 G. B. Ercolani dicata terminazione papillare delle lamine del podofilloso che si confondono colle papille della Suola nella linea in cui questa si congiunge collo Zoccolo. La indicata osser¬ vazione io potei solo istituire assai tempo dopo la pubbli¬ cazione del mio lavoro, e Y indagine ne fù ajutata per mezzo delle finissime injezioni microscopiche a colla e car¬ mino disciolto nella Ammoniaca neutra. Nei Papillomi della Suola è una di queste terminazioni delle lamine del tessuto podofilloso in corpo papillare che ammala e più frequentemente nella già indicata località, le papille laterali che dissi minime nello stato normale, au¬ mentano notevolmente di mole e proliferano su tutta la loro superficie esterna, ma sono tenute riunite tutte fra di loro dalle cellule cornee che si separano dalla loro su¬ perficie e che si agglutinano fra di loro. Ecco_perchè i cosi detti Fichi della Suola hanno la loro superficie il più delle volte piuttosto liscia o solo in alcuni luoghi sporgono come delle barbe di vera sostanza cornea. Questa Neoplasia in tutti i casi da me veduti segue il tipo dei Papillomi conici, ma la forma esteriore ne rimane velata e coperta dall’ agglutinamento delle cellule cornee all’ esterno. Aver¬ rebbe lo stesso nei papillomi conici della pelle, che hanno identica la struttura con quelli della Suola, se le cellule epiteliali di un cono si agglutinassero con quelle dei coni vicini. Benché abbia già indicato che la struttura anatomica dei Papillomi e identica, pure parmi degno di nota speciale, che negli strati mezzani delle cellule cornee dei papillomi della Suola riscontrai pure su tutta la superficie marginale i Poro- canali di Schròn o Ciglia di Bizzozero e Schultze che nelle cellule cornee non erano stati indicati da altri. Mi affretto però a soggiungere che se questo era vero quando osser¬ vavo e scrivevo questa memoria, non lo è più oggi, giac¬ ché il sullodato Sig. Dott. Bizzozero ne ha pur fatto pa¬ rola avendole osservate anche nel reticolo Malpighiano po¬ sto al di sotto del Corpo dell’unghia (1). Le strie o ciglia (1) Annali Universali di Medicina fase. cit. p. 112. Sulla trasformaz. degli elementi istologici 291 furono da lui vedute in questa località notabilmente più corte e meno palesi di quelle del reticolo dell’ epidermide. Nei casi patologici da me osservati di Papilloma della Suola nel Cavallo, le strie o ciglia erano invece lunghissime. Devesi al Bizzozero il ritrovamento di un processo sem¬ plice per distaccare fra di loro le cellule cigliate in di¬ scorso, e del metodo indicato propone di servirsi onde stu¬ diare « se i prolungamenti cigliati siano una dipendenza del¬ la membrana cellulare fino dalla sua prima formazione, op¬ pure siano una produzione secondaria della membrana cel¬ lulare giunta ad uno stadio di sviluppo perfetto. » Io non intendo di preoccupare e molto meno di risolvere la que¬ stione, dico solo che per le osservazioni da me fatte sui papillomi, è molto probabile che le ciglia comincino a svi¬ lupparsi nei primordi della vita delle cellule del reticolo. Le dentature di queste cellule che ho delineato nella fig. 2,a della Tav. 3.a lett. a a sarebbero la prova di quanto ora ho affermato ed è anche per questo carattere che le cel¬ lule del reticolo si distinguono dalle cellule delle Papille dalle quali provengono. STRUTTURA NORMALE DEL DERMA E DELLE PAPILLE. Egli è un fatto già noto agli Anatomici che nei primor¬ di della vita fetale e fino quasi al termine della gravidan¬ za, trovasi un’ abbondante elaborazione di epidermide sulla pelle dei feti dei mammiferi, benché le papille del derma non siano ancora formate : e già il Kolliker ( Elements d’ Histologie Humaine. Paris 1856 p. 151 ) aveva insegna¬ to che i primi strati epidermici erano nei feti, il risultato della trasformazione delle cellule formatrici le più super¬ ficiali che costituiscono 1’ embrione nella sua origine, e che delineata poscia la differenza fra lo strato superficiale ed il profondo, erano gli strati più superficiali di questo ultimo che mutavansi in epidermide o strato corneo, onde riparare alla desquamazione continua del feto entro l’utero, 292 G. B. Ercolani come dippoi avviene nell’ adulto. Soggiungeva però che fino allora (1856) non erasi direttamente osservato come avve¬ nisse la moltiplicazione delle cellule della Rete del Malpi¬ gli, ma ammesso che questa necessariamente doveva avve¬ nire, ed escluso che avvenisse per mezzo della formazione di cellule attorno a nuclei liberi concludeva 1. c. p. 130 che il derma ed i suoi vasi erano la sorgente dei liquidi nutritivi della epidermide. Nulla poi fù detto da questo Illustre Anatomico circa al modo di formarsi delle papille ed assai poco egli inse¬ gna sulla struttura intima delle papille del derma. La loro struttura fibrosa, secondo afferma, non è palese ovunque, esse offrono 1’ aspetto di un tessuto omogeneo limitato da una membrana jalina che è impossibile di isolare completamente op. cit. p. 106. Combatte Meissner che credette di dimostrar¬ ne la struttura fibrosa mercè la potassa, indicando che le fibre delle papille— sr terminano con estremità libere. Il Kolliker credette che le dentature delle papille osservabili anche trattandole coll9 acido acetico, fossero prodotte dal ripiegamento dello strato esterno omogeneo o jalino delle papille e perciò non da riguardarsi come terminazioni li¬ bere di fibre, come Meissner aveva asserito. A completare questo brevissimo cenno intorno alle co¬ noscenze anatomiche odierne sulla struttura del derma e delle papille, ricorderò che il Virchow ( Pathologie Cellu¬ lare Paris 1861 p. 29 ) ammesso che P epidermide rap¬ presenta gli strati vecchi delle cellule del Reticolo sog¬ giunge. « Fra lo strato il più profondo della rete e la su¬ perficie della pelle non si trovano che delle cellule, non vi ha nè liquido amorfo, nè blastema nel quale le cellule si potrebbero formare, le cellule le più profonde del reti¬ colo sono direttamente impiantate sulle papille cutanee. Non vi ha adunque uno spazio fra le papille e la rete ( strato esterno jalino di Kolliker che fù anche ammesso nei Papillomi da Wedl ) non trasuda dai vasi papillari un li¬ quido generatore delie cellule. Avvierte nella Rete di Mal- pighi ciò che succede nella scorza delle piante: gli strati superficiali senza nucleo delle cellule rappresentano l9 epi- Sulla trasformaz. degli elementi istologici 293 dermide, ed i profondi o di cellule nucleate rappresentano il Reticolo. » Vi parrà strano o Signori come è sembrato a me pure che il Virchow dopo avere con tutta ragione negata F esistenza dello strato omogeneo esterno o jalino delle papille, ed anzi avendo veduto ed affermato che le cellule del Reticolo Malpighiano si impiantavano sulle pa¬ pille, non abbia scorto il rapporto che fra le papille e le dette cellule esisteva, contentandosi di confrontare l9 epi¬ dermide cogli strati esterni della scorza delle piante. Anche con questa similitudine si allontanava se vuoisi la questio¬ ne, ma l9 origine delle cellule del Reticolo rimaneva sem¬ pre un problema, ed il problema presto e sicuramente si scioglie quando la struttura cellulare e non fibrosa delle papille sarà dimostrata anche nello stato normale per cui in queste spero, che con me riconoscerete il vero organo generatore come del Reticolo cosi anche dell9 epidermide. A chiarire meglio la struttura anatomica delle papille sperai che mi avrebbe giovato non poco I9 indagine sui corpi papillari di volume assai più notevole di quello ab¬ biano le papille dermiche, come p. e. le grandi papille che rivestono la mucosa delle guancie dei Buoi. Ma queste non sono papille, ma ammassi di papille che si dispongo¬ no tutt9 attorno ad una elevazione conica del derma ricca oltremodo di tessuto elastico. Le sezioni trasverse mostra¬ no assai facilmente l9 elegante disposizione raggiata e pe¬ riferica delle piccole papille, la struttura cellulare di que¬ ste appare meglio in alcune che vengono tagliate obliqua¬ mente, nelle sezioni longitudinali delle papille la giacitura delle cellule e le fibre di tessuto elastico di cui sono ric¬ che non ne permettono una facile dimostrazione. Il reti¬ colo Malpighiano e lo strato epidermico chiaramente si di¬ stinguono nelle singole papille di questi corpi papillari. Ma dove i fatti che vi sono venuto accennando si di¬ mostrano con tutta chiarezza si è nelle sezioni verticali della pelle dei feti di mammiferi nel periodo della vita intra-uterina. Le mie ricerche versarono sopra porcellini e vitellini. Nella fig. l.a della Tav. 5.a è rappresentata la sezione verticale di una piccola porzione di pelle di un 294 G. B. Ercolani porcellino quasi a termine di gestazione: ho prescelto que¬ sto animale, perchè i primi ossia i più profondi strati del reticolo Malpighìano sono più fortemente pigmentati che nel vitello, onde le diverse parti della pelle nel porcellino meglio si distinguono. Una papilla, vedi fig. cit. comincia a formarsi, per cui abbiamo luoghi con reticolo Malpighia- no ed epidermide senza papille, e si vede la formazione delle papille stesse. Le prime cellule formatrici indicate da Kolliker nell’ embrione qui più non esistono, gli ele¬ menti anatomici sono già costituiti come con lievi diffe¬ renze si manterranno anche negli adulti. Alcuni elementi cellulari solo hanno volume maggiore, ed i loro nuclei dif¬ fìcilissimi a vedersi negli adulti qui non solo chiaramente si veggono, ma guidano coi loro graduali permutamenti a fornire un* esatta cognizione delle loro successive metamor¬ fosi. Gli elementi del tessuto connettivo ed elastico dello strato profondo del derma sono già formati, manca solo in gran parte lo strato più superficiale del derma ossia io strato papillare. Le cellule o corpuscoli del tessuto con¬ nettivo sono chiaramente discernibili, e la mole dei loro nuclei che gradatamente aumenta a misura che si accosta¬ no al reticolo Malpighiano, nel mentre che le pareti dei corpuscoli perdono le loro appendici, mostra fuori di ogni dubbio come i detti corpuscoli si permutino in uno strato cellulare uniforme, gli strati più superficiali del quale solo per una maggiore pigmentazione delle cellule del reticolo si distinguono fra di loro. Questo strato cellulare rappre¬ senta nel feto lo strato papillare del derma degli adulti, che rimane da esso interamente formato. La papilla che vedesi formata consta esclusivamente da una elevazione a foggia di cono di cellule del detto strato, per cui nessun dubbio che la struttura primitiva delle papille è cellulare e che nei primordi della vita il reticolo Malpighiano ha una identica origine tanto quando non esistono le papille come quando esse sono già formate. Negli strati più ester¬ ni il reticolo è coperto dell9 epidermide che nei feti la¬ sciasi facilmente distinguere in due strati, il più esterno e superficiale di apparenza tomentosa costituisce quello Sulla trasformaz. degli elementi istologici 295 strato che serve alla desquamazione epiteliale dei feti nella vita intra-uterina, e lo strato profondo più sottile e com¬ patto che costituisce 1’ epidermide del feto propriamente detta. Come vedemmo nei casi patologici così nello stato normale, lo strato epidermico si distingue dal reticolo per una giacitura diversa nelle cellule. Il Reticolo Malpighiano ha un significato organico assai più alto nella vita fetale quando cioè non è elaborato dalle papille di quello che sia negli adulti, giacché dalle cellule del reticolo nel pri¬ mo periodo ha origine la formazione delle glandole sudo¬ rifere come è indicato in g fig. l.a della Tav. 5.a La permutazione dei corpuscoli di tessuto connettivo in cellule epiteliali rimane così dimostrata anche nello stato normale: che se la struttura compatta del derma negli ani¬ mali adulti, la piccolezza dei nuclei e dei corpuscoli del tessuto connettivo non lasciano più in questi discernere con facilità i fatti indicati, P anatomia patologica ci ajuta e chiaramente di nuovo dimostra come nell’ adulto si ri¬ peta quello che chiaramente solo si vede nel periodo della vita fetale. Prima però di por termine a queste mie osservazioni, non posso esimermi dall’ esporvi assai brevemente un fatto di Anatomia Patologica interamente nuovo negli Annali della Scienza Medica, che mirabilmente compendia ed il¬ lustra la dottrina della trasformazione dei corpuscoli del tessuto connettivo in papille e cellule epiteliali. Mi fù portaro dal macello di città dal' Sig. Veterinario Giordani, un occhio di Bue, la di cui cornea aveva com¬ pletamente perduti i caratteri fìsici normali ed appariva di colore oscuro quasi nero. Superficialmente guardando si sa¬ rebbe giudicata una Xerosi della cornea e per tale anche la giudicò il mio bravo Collega il Dott. Magni Professore di Oftalmojatria nella nostra Università. Ricercatane però la struttura microscopicamente si notarono chiaramente vi¬ sibili in tutta la spessezza della cornea i suoi corpuscoli, i quali però perdevano della loro forma stellata acquistando quella di cellule tondeggianti verso tutta la superfìcie ester¬ na della cornea formando così uno strato cellulare sul quale 296 G. B. Ercolani sorgevano come tante papille coniche, cellulari pur esse e coperte da un epitelio oscuro. La parete anteriore della cornea è realmente permutata in derma e la fìg. l.a della Tav. 5.a può offrire una figura schematica esatta di questa cornea, quando vi si tolga la glandola sudorifera e 1* epi¬ telio di desquamazione e si aumentino le papille per nu¬ mero e per mole. Migliore e più sicuro argomento di fatto non saprei portarvi per dimostrare che la trasformazione dei corpuscoli del tessuto connettivo in derma come avvie¬ ne nello stato normale, può anche esattamente ripetersi per successive metamorfosi e colle stesse leggi nei corpu¬ scoli della cornea per causa di infermità. Riassumendo ora ed ordinando le cose discorse in questa seconda Parte, parmi che sia lecito restringermi nelle se¬ guenti conclusioni. 1. Le cellule o corpuscoli di tessuto connettivo si tra¬ sformano in cellule epiteliali in alcune parti del corpo de¬ gli animali tanto nello stato sano o normale, come nel morboso. 2. La detta permutazione è immediata nel derma dei feti dei mammiferi nel periodo della vita intrauterina, è mediata invece nella pelle degli adulti. 3. Gli organi che inservono a questo permutamento ne¬ gli adulti sono le papille del derma, la struttura cellulare delle quali è manifesta nel periodo della vita embrionale, o nello stato adulto in alcuni corpi papillari normali ( Pa¬ pille coniche della mucosa della bocca dei Buoi ) e meglio in alcune infermità del derma. 4-. Il Reticolo Malpighiano nel periodo di vita intraute¬ rina che proviene direttamente da una trasformazione dei corpuscoli di tessuto connettivo, ha un significato organico molto piu elevato di quello che abbia negli adulti quando deriva dalle Papille. Nella vita fetale hanno origine dalle cellule del reticolo, le glandolo sudorifere. 5. Il Reticolo Malpighiano negli adulti è direttamente elaborato dalle papille, che non sono rivestite alla loro esterna superficie da uno strato di sostanza omogenea o jalina. La giacitura diversa delle cellule delle papille alla Sulla trasformaz. degli elementi istologici 297 loro periferia diede luogo a quella credenza, quando la ve¬ ra struttura delle papille non era nota. 6. Il permutamento dei corpuscoli del tessuto connettivo in cellule epiteliali nel tessuto uniente degli organi o di altri tessuti è causa di gravissime infermità nell’ uomo e negli animali. La così detta, tubercolosi della lingua dei Buoi dei moderni, è dovuta alla predetta cagione ed è perciò da riguardarsi come un vero cancro epiteliale. Lo stesso processo morboso si è osservato nel cancro epiteliale del pene del Cavallo. 7. Nell’ uno e nell’ altro caso la trasformazione dei cor¬ puscoli del connettivo in cellule epiteliali si fà diretta- mente al disotto dello strato papillare, si ripete cioè per infermità quello che avviene normalmente nel periodo della vita Fetale. 8. La mancanza degli alveoli o nodi cancerosi non basta ad escludere il cancro epiteliale come aveva insegnato Forster. Essi alveoli si trovano necessariamente solo quando nel cancro epiteliale invecchiato, anche le cellule epiteliali giovani hanno avuto il tempo per compiere il loro sviluppo ed invecchiare: nel cancro giovane mancano per questo ne¬ cessariamente gli alveoli. 9. La nota clinica per una diagnosi differenziale sicura fra cancro epiteliale giovane e condiloma esteso ed invecchia¬ to, sta nella mediata o immediata trasformazione dei cor¬ puscoli del connettivo in cellule epiteliali, o in altri ter¬ mini nella produzione dell’ epidermide al disopra o al dis¬ sotto dello strato papillare. 10. I Papillomi s’ incontrano con qualche frequenza ne¬ gli animali domestici. Oltre ai Papillomi della pelle de¬ scritti nei Buoi, o indicati dagli autori come osservati sulle mucose, non è raro in questi animali il Papilloma del Ru¬ mine. Anche il Fico della Suola del Cavallo., così chiama¬ to dagli antichi scrittori, è un vero Papilloma. 11. Le grandi papille coniche e fungiformi normali del¬ la mucosa buccale e della lingua di alcuni animali sono da riguardarsi come ammassi di papille o veri corpi pa¬ pillari. La mole e la forma diversa delle papille in diverse t. iv. 38 298 G. B. Ercolan parti del corpo è determinata da elevazioni dello strato profondo del derma, tutt’ attorno ai quale si dispongono le vere papille semplici, in grandissimo numero. 12. Le apparenze esteriori diverse dei papillomi sono determinate dalle stesse ragioni, e per questo nello stato Patologico si ripetono completamente i due tipi dei corpi papillari anzidetti, anche contemporaneamente e sulle stesse parti e negli stessi individui. 13. Nei condilomi sono molte papille dì una determi¬ nata regione che aumentano straordinariamente di mole. Ipertrofia semplice o Iperplassia di Virchow. Nei Papillomi invece vi ha proliferazione indefinita di papille su tutta la superficie esterna di ogni singola papilla. La prima papilla malata rappresenta nei papillomi vecchi 1* elevazione del derma dei corpi papillari normali. 14. Nei Papillomi della pelle come in altre Neoplasie di diversa natura, s* incontra frequentemente una lesione anatomica dei vasi sanguigni che si obliterano per Iper- plasia dello strato epiteliale interno. 15. Avvenuta la completa obliterazione dei vasi nel modo indicato si ha completamente ragione del coinè e perchè alcune Neoplasie si arrestino dopo un periodo di più o menò antica o rapida evoluzione, come anche della caduta spontanea di quelle che sono esterne e peduncolate. 16. Il permutamento infine dei corpuscoli della cornea lucida osservato in un Bue, negli elementi costituenti il derma dei mammiferi, strato papillare cioè reticolo Malpi- ghiano ed epidermide, compendia e rischiara ad un tempo, la dottrina sulle metamorfosi dei corpuscoli del tessuto con¬ nettivo che si sono ricercate in questa seconda Parte della presente Memoria. DESCRIZIONE DELLE TAVOLE 299 TAVOLA l.a Fig. l.a Sezione longitudinale di un tumore formato dal periostio, situato sulla faccia esterna della branca sinistra di un osso mascellare inferiore di Bue affetto da esteso Mielloide ( Osteosarcoma degli Autori ). Grandezza naturale. a. a. Masse midollari che per aperture della lamina anteriore dell’ osso ma¬ scellare inferiore suddetto, comunicavano colle masse midollari interne del tumore formato dal periostio. b. Porzione di lamina anteriore del detto osso tolta colla sega. c. c. Periostio notevolmente ingrossato e che copriva estesamente la faccia an¬ teriore dell* osso mascellare affetto da Mielloide. d. d. Comuni integumenti, ingrossati pur essi tutto attorno alla base del tu¬ more formato dal periostio. e. t. Gli stessi notevolmente atrofizzati su tutta la circonferenza del tumore formato dal periostio. f. f. Masse midollari di grandezza diversa formatesi in mezzo al tumore del periostio e che non hanno alcuna comunicazione colle masse midollari del Mielloide nell’ interno della mascella. Fig. 2.a Metamorfosi in cellule midollari dei corpuscoli del tessuto connettivo nel tumore già indicato formato dal periostio. Ingrand. 700 diametri. a. Cellule o Corpuscoli* di tessuto connettivo tolti in vicinanza delle masse mi¬ dollari (Fig. l.a lett. f. f.) nei quali e la loro mole ed il grosso ed oscuro nucleo indicano che è cominciata la metamorfosi iu cellule midollari. b. Stadio ulteriore della indicata permutazione, i prolungamenti esteriori della membrana cellulare dei corpuscoli sono in gran parte scomparsi e si è aumentato il volume del nucleo. c. Ultimo stadio della indicata permutazione. Le cellule midollari sono già formate, e queste raccolte in mezzo al tumore formato dal periostio, erano identiche a quelle che costituivano le masse midollari del Mielloide nel- 1* interno delP osso mascellare. Fig. 3.a Sezione della Tibia destra di un cane, praticata 15 giorni dopo averlo operato col metodo di Ollier per ottenere 1* ossificazione del Midollo, a. Cilindro fibroso ottenuto entro la cannula d’argento in luogo del midollo. In b si è asportata la porzione anteriore della parte superiore del detto cilindro, per 300 G. B. Ercolani far vedere come con tutta la sua faccia esterna, subito al dissopra della cannula d’argento, tutto il cilindro aderiva alla faccia circostante ed in¬ terna dell’osso. c. Luogo in cui è avvenuta I’ indicata riunione. d. Midollo che usciva dall’ apertura inferiore della cannula d’ argento, quando essa era in luogo, e che proveniva dal detto cilindro fibroso. e. e. Pareti dell' osso della Tibia. f. Cavità midollare dell’osso predetto, dalla quale è stato tolto il midollo, per vedere meglio l’unione del cilindro fibroso colle pareti interne dell’osso. g. g. Specie di sottile membrana di nuova formazione che rivestiva tutta la cavità midollare lungo lo spazio che era occupato dalla cannula d’argen¬ to, per cui su tutta la sua circonferenza questa non era più in contatto immediato colle pareti della cavità midollare. Fig . 4.a Porzione di Tibia sinistra ugualmente di Cane preparata come la precedente, ma osservata 25 giorni dopo praticato il predetto esperimen¬ to. Grandezza naturale. a. Cilindro osseo di nuova formazione e coperto da giovane tessuto fibroso. b. Porzione superiore del detto cilindro che aderisce come il precedente al- l’ interna cavità della parete midollare per tessuto in parte osseo ed in parte fibroso. c. Midollo che usciva dall’ apertura inferiore della cannula d’ argento, quando era in luogo, ed in maggiore quantità che nel caso sopradetto. d. Pareti necrosate della Tibia, per distruzione del periostio, e che costitui¬ scono quei segmenti che anche nella umana specie si distaccano in alcuni casi dopo le amputazioni delle ossa lunghe. e. e. Osso di nuova formazione sovraposto all’antico per la infiammazione del periostio. La intensità del processo flogistico si può misurare dalla quan¬ tità del nuovo osso elaborato. f. Antica cavità midollare della Tibia riempita da sostanza ossea, al dissopra del luogo ove giungeva la cannula d’ argento. g. Cavità formatasi fra le pareti delP antica cavità midollare eia cannula d’ar¬ gento che comprendeva 1’ antico midollo, convertitosi in cilindro osseo. La cavità è tutto attorno coperta da quella specie di membrana di nuova formazione, indicata colle leu. g. g. nella precedente figura ed in que¬ sta colla lett. h . Le cellule midollari fra la detta membrana e la cannula d argento erano in questo caso assai più abbondanti che nel caso sopra¬ indicato. Fig. 5.a Metamorfosi delle cellule midollari in tessuto osseo. Le figure se¬ gnate colle lett. a. b. c. d. sono sane tolte dal midollo di una tibia di cane operato come i precedenti, ma esaminato dopo 5 giorni soltanto dopo P operazione. La figura segnata colla leu. e. è stata tolta dal cilindro fibroso Fig. 3.a lett. a. Per tutte l’ ingrand, è stato di 500 diametri. a. Cellule midollari alcune delle quali normali, in altre cominciasi a scorgere un primo grado di metamorfosi, sia pel volume che è di alcun poco au- mentato, sia perchè il nucleo è alquanto rischiarato. b. Cellule midollari nelle quali la metamorfosi è più avanzata ; i nnclei la¬ sciano vedere meglio i nucleoli ed il grasso contenuto nelle cellule, in alcune è scomparso, in altre è palese solo per alcune goccioline trasparenti. Sulla trasformaz. degli elementi istologici 301 c. Grado ulteriore della detta metamorfosi. Le cellule midbllari sono involte e tenute riunite da una sostanza diafana, finamente granulosa ed omogenea. d. Le cellule midollari completamente trasformate in cellule fusiformi di tes¬ suto connettivo. e. Questo preparato è stato tolto come si è detto dal cilindro di apparenza fibrosa Fig. 3.a lett. a. I corpuscoli o cellule ossee sono in via di for¬ mazione completa e provengono direttamente dalle cellule fusiformi deli¬ neate nella precedente figura. Fig. 6.a Colle lett. a. b. c. d. di questa figura si rappresentano le metamor¬ fosi degli elementi ossei ( corpuscoli ossei ) dell’ interna parete delle ca¬ vità midollari delle ossa lunghe per permutarsi in midollo. Queste figure sono state raccolte esaminando quella specie di membrana già indicata nelle Fig. 3.a e 4.a di questa Tavola colle lett. g. g. e h. Ingrandimento 500 diametri. a. Primo grado di permutazione dei corpuscoli ossei o scalcificazione della parete ossea delle cavità midollari. I corpuscoli ossei sono tenuti vicini dalla sostanza ossea che ha perduto gli elementi calcari. b. Grado ulteriore di questo primo permutamento. c. Secondo stadio idem. Le cellule midollari cominciano ad essere bene de¬ lineate. d. Grado ulteriore di metamorfosi di questo secondo stadio. Nei casi nei qua¬ li le cellule midollari resteranno tali, e subiranno come nello stato nor¬ male la degenerazione grassosa, passano da questo stadio a quello di cellule midollari propriamente dette. Fig. 5.a lett. a. Quando invece hanno luogo le ossificazioni delle cavità midollari per la così detta proliferazione della sostanza ossea dalle pareti interne delle cavità midollari^ come quando si privano completamente di una porzione di midollo, i corpuscoli ossei che giunsero agli stadi indicati colle lett. b. c. d . di questa figura, trapassano alle metamorfosi progressive già delineate nella Fig. 5.a di questa Tav colle lettere d. ed e. TAVOLA 2.a Fig. 1. a. Papilloma cutaneo di Bue di mole discreta. I numerosi coni di cui è irla tutta la superficie della Neoplasia, sono formali da corpi pa¬ pillari che seguono il tipo dei corpi papillari o papille coniche normali deUa mucosa della bocca dei Buoi (grandezza naturale). Fig. 2. Papilloma cutaneo tolto dal corpo dello stesso Bue che ne aveva moltissimi e di mole diversa tanto di questa che della forma precedente. La superficie di questo è mammellare perchè i corpi papillari superficiali seguono il tipo dei corpi papillari o papillè fungiformi della lingua dei Buoi e di altri animali ( idem ). Fig. 3.a Sezione verticale del predetto Papilloma. а. Strato papillare esterno colle indicate forme. б. Interno del suddetto, formato da apparente tessuto connettivo lasso come gelatinoso, o imbevuto di siero, c. Peduncolo del tumore (grandezza naturale). Fig. 4.a Sezione longitudinale di una piccola porzione di un Papilloma cu- 302 G. B. Ercolani laneo di Bue con corpi papillari conici i di cui vasi sono stati in pre¬ cedenza injettati, ingrandimento 35 diametri. F Lo strato oscuro periferico segna il limite del reticolo malpighiano e dell’ epi¬ dermide esterna dei corpi papillari. 1 a. Parte interna del tumore nella quale si distribuiscono i vasi che entrano dal peduncolo. b. Sezione trasversa di uno dei vasi predetti. c. Ramo che dal predetto vaso si porta alla periferia della Neoplasia per for¬ nire i vasi ai corpi papillari di nuova formazione proliferanti a diversi gradi di sviluppo. In lutti però sulla periferia i vasi maggiori si piega¬ no ad ansa più o meno sviluppata, a seconda che è più o meno avan¬ zata la proliferazione periferica delle papille morbose. La sezione dei cor¬ po papillare maggiore in questa figura, offre chiara 1’ idea come formata una nuova papilla, per la proliferazione periferica si permuti in un corpo papillare, ed il corpo della prima papilla che divenne poi papiiloma, co¬ stituisca la parte centrale di queste Neoplasie. d. Porzioni di corpi papillari che furono compresi nel taglio ma trasversalmente. TAVOLA 3.R Fig. l.a Sezione longitudinale di un Papiiloma cutaneo di Bue veduto coll’in¬ grandimento di 500 diametri. o. Corrisponde al centro del tumore e si vede formato da cellule fusiformi. La sostanza diafana intercellulare è più abbondante nelle parti che sono più lontane dalla periferia o strato papillare morboso. b. b. Due papille semplici di un corpo papillare che mostrano la loro strut¬ tura cellulare non solo, ina come le prime cellule del reticolo provenga- , no. direttamente dalle cellule delle papille. c. Strati profondi delle cellule del reticolo Malpighiano nelle quali non si di- stmguono i pori canali o ciglia sulla loro superficie. a. Strati più superficiali dello stesso. Le cellule hanno acquistato un volume maggiore, ed i pori canali o ciglia sono palesi su tutta la loro superficie, e. Strati dell’Epidermide esterna. Fig. 2. Sezione trasversa dello stesso Papiiloma ( iogrand. 500 diametri ). a. a. a. a. Papille tagliate trasversalmente; a seconda che il taglio le ha col¬ pite pm in alto o invece verso la loro base, la loro struttura cellulare . i ° ™e.D q«asi certamente si sarebbero perdute ; quindi compiutane 1’ estrazione furono necessarie parecchie setti¬ mane di cure pazienti, per giungere a restaurare le varie parti quali ora si trovano nel museo di questa regia uni- versi tà. Z1 & Ma per renderci conto delle vicende alle quali andaron soggette quelle ossa, prima di essere ricoperte e protette dai sed, menti argillosi, è duopo vi accenni in qual modo giace va n sepolte, ciò che del resto si può rilevare diretta- mente dalla fig. 2* Tav. I tolta da un disegnino del ° or Foresti. Quando il tre novembre 1862 informato Balenottere fossili 321 della scoperta di ossa gigantesche nella balza di S. Loren¬ zo mi recai immediatamente sul posto, trovai che un gros¬ so masso contenente alcune vertebre cervicali era già stato tolto, ed una mandibola la quale si era resa sporgente per la sua estremità posteriore era stata mutilata e ridotta in così piccoli frammenti che disperai di riescire a ricompor¬ re quel brano. Compiuta la scavazione del rimanente di quell’ osso che trovai essere la mandibola destra, dalla sua posizione potei argomentare che verosimilmente ivi esistes¬ se il rimanente del cranio che però non potea sospettare fosse così guasto come fu trovato a lavoro finito. Assicuratomi che durante 1* inverno la denudazione non avrebbe potuto nuocere a quanto restava ancora sepolto, la escavazione fu sospesa, come già dissi, fino alla seconda metà del giugno dell’ anno seguente. Persuaso che il cra¬ nio non dovesse essere quasi scomposto, fu tracciato un primo lavoro in guisa che si potesse mettere allo scoperto superiormente, e si trovò la mandibola sinistra nella posi¬ zione che doveva occupare relativamente alla destra, ma a questa molto ravvicinata e portata in un piano un poco superiore V. Tav. I fìg. 2a b. Nessun frammento del cranio o delle mascelle si incontrò in quella direzione, ma avanzando verso sud-est fu trovato P occipite che occupa¬ va una posizione quale il dottor Foresti ha procurato di rappresentare nella figura già ripetutamente citata; que¬ st’ osso trovavasi saldato alla mandibola sinistra mercè un pezzo di legno incrostato da sostanza calcareo-ferruginosa. L5 escavazione che si praticò per liberare quel grosso fram¬ mento di cranio fece scoprire che altre ossa si trovavano tuttavia sepolte nella direzione poc’ anzi accennata, per cui ingrandito successivamente il nostro scavo, il piano finale presentava una superficie di metri quadrati 24, 22 non calcolando quanto si era fatto per accedere agevol¬ mente alla località (1). (1) La linea che contorna la fig. 2a segna il piano esatto dello scavo ridotto ad rèe. T. IV. 41 3*22 Giovanni Capellini Quest’ ultimo lavoro mise allo scoperto gran parte del vomere, il quale era piantato quasi normalmente al piano di stratificazione, distante circa quaranta centimetri dal frammento di occipite già accennato. Lo spazio interposto era ripieno di un impasto di argilla e di minuzzoli di ossa le quali si potè arguire che provenissero da uno dei mascellari, il sinistro, di cui si ebbe soltanto un piccolo frammento. Da ultimo il mascellare destro, che con molta pena si è potuto restaurare, stava quasi orizzontalmente^ poggiando la sua estremità posteriore verso la porzione in¬ feriore del vomere cui probabilmente erano saldate alcune porzioni degli intermascellari come si può meglio vedere nella già citata figura. Da tutto ciò si rileva che anche in questo caso, come altra volta ebbi occasione di fare osservare per i resti di delfino, le argille turchine nelle quali si trovano i resti di cetacei carnivori si depositavano tanto lentamente da lasciar campo alle ossa di slegarsi ed essere sconvolte e deteriorate per il movimento delle onde o delle correnti ; giacché dall’ insieme dei fatti sono inclinato a sostenere ciò che esposi altra volta, cioè che una gran corrente avesse appunto la direzione nella quale trovaronsi quasi allineati i resti del delfino, quelli della balenottera, una quantità di frammenti di legno e strobili di pino che ri¬ conobbi spettare al Pinus Haidingeri V. Tav. I fig. 3a. In favore di questa lentezza di interrimento sta un altro fatto che cioè alcuni grandi balani e parecchie ostriche furono trovati aderenti alle ossa, specialmente alle mandi¬ bole ed alle vertebre ; dei legni poi che dissi accompa¬ gnare le ossa e che già ebbi opportunità dì indicare come una traccia per ritrovare altri resti fossili, alcuni presen¬ tavano un fatto piuttosto raro, di esser cioè essi pure tutti ricoperti di balani di una specie diversa da quella che in¬ crostava le ossa e molto più piccoli. Era già stato rimarcato dal Cortesi che ove si trovano scheletri di grandi cetacei, generalmente non mancano den¬ ti di squali, perduti forse in occasione che questi animali divoravano quei colossali cadaveri ; ed infatti in uno dei Balenottere fossili 323 massi con vertebre trovati da principio scoprii un piccolo dente riferibile al Carcharodon sulcidens , Agass. V. Tav. I fig. 4-% specie già segnalata dall’ Agassiz come trovata in analoghe circostanze a CastelP Arquato. (1). Il dottor Foresti poi, tenendo conto degli altri denti di pesci che accompagnavano le ossa delle quali diresse lo scavo, ha notato le seguenti specie: Galeus aduncus , Agass. Tav. I fig. 7* a b c Galeus ? Tav. I fig. 6 * a b Sphcerodus parvits^ Agass. Tav. I fig. 5 * a b Di queste credo più che sufficiente 1* aver qui riportato le figure rimandando al lavoro di Agassiz per le descrizioni. DESCRIZIONE dei resti della, balenottera fossile trovata a S. Lorenzo in collina. Venendo ora a trattare partitamente dei resti della ba¬ lenottera trovata a S. Lorenzo, e cominciando dalla testa, collocati al loro posto relativo i diversi frammenti e pun¬ teggiando le ossa che andaron perdute prima ancora che le altre fossero seppellite, o forse disperse in seguito alla denudazione delle balze prima che i paleontologi vi por¬ tassero la loro attenzione, si avrebbe quanto si osserva nella Tav. II fig. la. Ma perchè meglio si possano apprezzare i rapporti e le differenze fra i resti che possediamo, e quelli pregevolissi¬ mi scoperti dal Cortesi e dal dottor Podestà, conservati nei musei di Milano e Parma, converrà che mi intrattenga in una particolare descrizione delle singole parti. (1) AGASSIZ. Poimns fossile s. Voi. Ili pag. 254 Tav. 30a fig. 3-7. 324 Giovanni Capellini fisso Occipitale Quest’ osso Tav. II fig. 2a molto deteriorato special¬ mente nella porzione superiore e nel lato destro, misurato transversalmente offre un diametro di sessanta centimetri circa. Il foro occipitale di forma ovale, presenta le seguenti dimensioni : Diametro maggiore ossia verticale. ni. 0, 115 Diametro minore ossia trasversale. » 0, 087 I due condili i quali verso la base del foro occipitale sono separati da un solco di m. 0,050 — 0,055 se si consi¬ dera il loro margine interno, in alto confluiscono e si fon¬ dono nella cresta occipitale, della quale resta appena una traccia nel nostro esemplare. Questi condili di forma gros¬ solanamente ovale, presentano una superficie mediocremen¬ te convessa ; alcune misure prese sopra uno di essi, il de¬ stro, darebbero circa il seguente risultato : lunghezza, ossia misura della faccia articolare del condilo destro dall’ alto in basso e seguendone la convessità m. 0,20; larghezza ossia misura transversale della faccia in corrispondenza del diametro trasversale del foro occipitale m. 0,095. II basilare è scavato a doccia come nei delfini, e si è potuto in gran parte mettere allo scoperto. Le ossa del- 1’ udito non si sono trovate, probabilmente si erano stac¬ cate prima dell’ interrimento del cranio e rimaste sepolte a qualche distanza da esso saranno andate smarrite fra i massi creduti non fossiliferi. Che queste ossa non sieno state trovate, deve tanto più dispiacere in quanto che principalmente coi caratteri che si possono desumere dal¬ la cassa dell’ udito, nei cetacei ed in particolare nelle balenottere si riesce a ben precisare le differenze specifi¬ che, come si può ricavare dagli studi in proposito fatti dal professor Van-Beneden, il quale da cetotoliti più o meno rotolati trovati nelle argille del bacino di Anvers riesci a constatare la presenza di parecchie specie di balenottere Balenottere fossili 325 diverse da quelle dell’ attualità. Il prof. Owen con lo stes¬ so mezzo ha segnalato non poche specie di balenottera nel erag d’ Inghilterra, ed il prof. Gervais ne ha così consta¬ tato una specie nel miocene di Poussan ( Herault ), ed al¬ tra nelle sabbie marine di Montpellier (1). Ossa Mascellari Dei mascellari superiori non ci resta che il destro come già ebbi occasione di notare, e questo essendo fragilissimo atteso P estrema sua sottigliezza relativa, s’ ebbe non poca pena per riescire a conservarlo. Quest’ osso V. Tav. Ili fìg. la 2a ha la forma di un triangolo isoscele allungatis- simo, il margine esterno offre una linea leggermente con¬ vessa, ed altrettanto può dirsi del margine interno; la faccia inferiore se si considera sezionata trasversalmente è appena convessa verso 1’ estremità anteriore, indi conser¬ vandosi tale verso il margine interno comincia a farsi con¬ cava verso il lato esterno, e sotto questa forma ci si pre¬ senta decisamente nella estremità posteriore. Esaminato su¬ periormente Tav. Ili fìg. 2a alla porzione concava soprac¬ cennata corrisponde una forma affatto diversa; vedonsi in¬ fatti due piani che partono dai margini interno ed ester¬ no, e tutt’ ad un tratto s’ innalzano per formare uno spi¬ golo che corre longitudinalmente dall’ apice verso V estre- (1) Alcune settimane dopo la presentazione di questa memoria, ricercando attentamente fra i resti scavali a S. Lorenzo vi trovai frammenti delle ossa dell’ udito. Con essi potei ricomporre due porzioni delle casse, delle quali la meno sciupata è disegnata nella Tav. 11 fìg. 6% ed una delle apofisi del- 1’ osso pietroso che è rappresentata nella Tav. II fìg. 3a 4a vista per due lati onde apprezzarne le scabrezze della superficie nei punti d' attacco con la cassa timpanica e col cranio. Essendo questi resti incompleti e molto guasti non si può decidere la spe¬ cie; ma è facile riconoscere quanta differenza vi abbia fra la cassa dell udito di una balenottera e quella di un delfino, e come per queste ossa sia facile distinguer subito i due generi anche quando manchino altri avanzi. 11 lavoro di Van-Beneden sulle Cetotoliti non è pubblicalo, quindi mi riesce impossi¬ bile giovarmi di quegli studi per ulteriori ravvicinamenti. 326 Giovanni Capellini mità posteriore, ove si dilata s’ ingrossa e finisce per bifor¬ carsi. Questa specie di cresta determina verso il lato ester¬ no una superficie triangolare molto allungata ; il triangolo interno doveva essere ricoperto in gran parte dall’ inter- mascellare. Mutilato anteriormente ed un poco posteriormente, 1’ os¬ so che noi esaminiamo ha una lunghezza di in. 1,45, la sua larghezza misurata verso la porzione mediana è di m. 0,22 ; verso 1* estremità anteriore si vede esser rotto trasversalmente mentre stava per essere sepolto, la rottura si saldò in seguito, con piecolo spostamento, mediante un cemento di argilla e carbonato di calce. Del mascellare sinistro resta un frammento insignifican¬ te; abbiamo anche una grossa porzione del vomere, ma in così cattivo stato da meritare appena d’ essere ricordata. Delle ossa nasali e dei parietali non si è trovato alcun avanzo, e solo si è potuto conservare un frammento di frontale ed altro di apofìsi zigomatica i quali figurano al relativo loro posto nella Tav. II fig. la. Il cattivo stato di conservazione delle mandibole ne ha resa estremamente penosa la restaurazione. Una parte della mandibola destra dai contadini era stata ridotta in minuz¬ zoli, dei quali poscia me ne furono consegnate tre piccole ceste; ad onta di ciò si potè aggiustare e ricostruire dal- F estremità anteriore fino all’ apofìsi coronoide, cioè per una lunghezza di m. 2,10, ai quali aggiungendo quaranta cinque centimetri circa per la porzione che manca, desun¬ ta da una proporzione stabilita col confronto di un cranio di balenottera comune, si avrebbe per la lunghezza totale delle mandibole m. 2,55, misurando il lato esterno e se¬ guendo la curva delle medesime. Il ramo sinistro è il meglio conservato, ma anche di que¬ sto manca la porzione posteriore, non avendo in totale più di metri 1 ,95 di lunghezza : V. Tav. III fig. 3a. Balenottere fossili 327 Per quel che si può dedurre da resti cosi imperfetti, la maggior circonferenza di queste ossa corrisponde a circa un metro dalla estremità anteriore, ove V ho trovata di 0,34 ; a. cinquanta centimetri dall’estremità stessa è soltanto di 0,30, ed ho calcolato che a soli ventisei centimetri circa si riducesse verso V apice. Questa mandibola oltre alla curva principale nel piano orizzontale, è appena piegata nel piano verticale, e mostra benissimo una specie di in¬ flessione verso il lato esterno a principiare dall’ultimo ter¬ zo anteriore, nel qual tratto conservando ancora una forma tondeggiante superiormente diviene acuta a guisa di grossa costa nel lato inferiore : Y estremità anteriore è notevol¬ mente compressa. Queste due ossa riportate approssimativamente al loro posto formano un ovale mollo allungato che però non mi è dato di stabilire con precisione per le cose finora espo¬ ste. Nelle brevi mie escursioni a Milano ed a Parma non ebbi modo di procurarmi le necessarie misure per con¬ frontare la balenottera bolognese con quelle di Castell’ Ar- quato, però ritengo che il nostro esemplare avesse un mu¬ so molto più allungato della bellissima e quasi completa balenottera di Cortesi la quale si osserva al museo civico di Milano (1). Ma se è possibile un ravvicinamento qualunque, questo mi parrebbe si dovesse fare con la balenottera trovata dal signor Podestà, ed ora facente parte della collezione del museo di Parma; stupendo esemplare che avrebbe bisogno di un lungo lavoro e di essere in parte disotterrato perchè si potesse convenientemente studiare. Vertebre cervicali In un masso che si vede accennato nella Tav. I fig. 2a si trovarono le sette vertebre cervicali e le due prime dorsali. (1) Cortesi — - Saggi geologici pag. 52 Tav. IH fig. la. Piacenza 1819. Cuvier — Ossements fossiles. pag. 309 Pi. XXVll fig. la. 328 Giovanni Capellini Dell’ atlante si ha appena un frammento nel quale però si ravvisa quasi completa una delle due cavità articolari. Questa vertebra era perfettamente indipendente dall’ asse il quale fu trovato nella sua naturale posizione rispetto al frammento della prima vertebra, ma esso pure notevole mente mutilato. Di questa seconda vertebra importantissima e tanto caratteristica Tav. II fig. 6a e fig. 7a abbiamo infatti il corpo sprovvisto dell9 anello e di tutte le apofìsi trasverse notevolmente guasto nel lato destro. L9 apofìsi odontoide è pochissimo sviluppata e forma appena una piccola pro¬ tuberanza piuttosto ottusa quasi sul centro della faccia del corpo della vertebra. La lunghezza è 0,055 ; l9 altezza misurata sulla faccia posteriore 0,11; la larghezza o diametro trasverso della stessa faccia si può ritenere che fosse 0,17 : questa faccia postoriore è leggermente concava. La terza e la quarta vertebra di forma un poco ovale, assomigliano grandemente fra loro. La terza è notevolmen¬ te danneggiata avendo perdute le apofìsi, tranne la sinistra superiore la quale si presenta schiacciata, piantata obliqua¬ mente, curvata in arco dall9 avanti all9 indietro. Questa ver¬ tebra era fornita di apofìsi anche inferiormente e se ne ve¬ de infatti un rudimento nello stesso lato sinistro che è il meglio conservato; le apofìsi inferiori doveano esser più corte delle superiori. Le faccie della vertebra un poco rav¬ vicinate nel centro si fanno convesse verso la periferia e lateralmente tornano ad avvicinarsi. La lunghezza misurata nel centro è m. 0,040; ove corrisponde il rigonfiamento arriva fino a 0,045. Non si è trovato alcun resto del- 1 anello che probabilmente anche in questa specie come nella pluralità delle balenottere sarà stato saldato con la porzione corrispondente dell9 asse (1). (1) Colgo questa opportunità per correggere, prima che alcuno se ne avveg¬ ga, un errore incorso nel mio lavoro sui delfini. Anche nel delfino di S. Lorenzo l9 atlante è saldato con P asse, come nel Balenottere fossili 329 La quarta vertebra Tav. II fig. 8a offre qualche diffe¬ renza nella forma delle apofisi superiori delle quali è con¬ servata la sinistra, le apofisi inferiori doveano esser cortis¬ sime e non ne resta traccia. La lunghezza del corpo di questa vertebra si può ritenere da 0,035 a 0,040; la larghezza 0,155; l’altezza 0,112. Le due vertebre ultime accennate come anche le seguenti erano separate da dischi di calcare argilloso il quale ci rap¬ presenta i corpi intervertebrali ; la grossezza di questi di¬ schi è in media: 8-12 millimetri. Come la terza si accorda con la quarta, così la quintà vertebra cervicale assomiglia grandemente alla sesta, alme¬ no per quel che riguarda la forma e le dimensioni del corpo; poiché nell’ esemplare di S. Lorenzo riferibile alla sesta cervicale mancano tutte le apofisi e sulla forma di queste non possiamo istituire confronti. Per la quinta si hanno le seguenti misure : lunghezza del corpo della ver¬ tebra 0,040 — 0,045; larghezza 0,150; altezza 0,115 — 0,120. A queste misure corrispondono anche sensibil¬ mente quelle del corpo della sesta cervicale che tutt’ al più ne differisce per una lunghezza maggiore di quattro a cinque millimetri. L’ ultima delle vertebre cervicali Tav. II fig. 9a 10a ha una lunghezza di 0,052 — 0,056; larghezza 0,160; al¬ tezza 0,112, apofisi robuste simili a quelle della prima dorsale. La quinta, la sesta e la settima cervicale delle balenottere mancano di apofisi trasverse inferiori e nessuna traccia in¬ fatti se ne osserva nei nostri esemplari ; giova però notare che nella quinta le apofisi trasverse inferiori sono ancora accennate da una specie di tubercolo che ne tiene il posto. D. Cortesii e probabilmente nel D. Brocchi ; quindi il frammento di corpo di vertebra creduto spettare all' asse, sarebbe invece porzione della terza cervi¬ cale. V. Capellini Delfini fossili del Bolognese ; pag. 22. Bologna 1864. 330 Giovanni Capellini Vertebre dorsali Delle vertebre dorsali, che doveano essere in numero di quattordici, sono riescito a raccapezzare soltanto i resti di sei, delle quali per le prime quattro ho potuto assicurar¬ mi dei loro rapporti scambievoli, ma per le altre non oso accennare 1* esatta lor posizione. La fig. 4a Tav. Ili rappresenta la prima dorsale vista posteriormente ; questa vertebra per la forma non si scosta molto dall’ultima cervicale, la sua lunghezza è di 0,060; la larghezza 0,155; F altezza 0,110. Della quarta dor¬ sale si ha soltanto il corpo sprovvisto delle apofisi, la fig. 5& Tav. Ili ci rappresenta F esemplare visto dal Iato inferiore ed obliquamente; le misure calcolate come nelle prece¬ denti mostrano come avanzandosi verso le vertebre lomba¬ ri, le dorsali crescano rapidamente in lunghezza, la quale nell’ esemplare in discorso è di 0,082 ; la larghezza si può ritenere di 0,152 e l’altezza 0,125 — 0,130. Una delle apofisi doveva esser rotta quando avvenne 1* interri¬ mento, poiché la frattura è incrostata di argilla e sabbia cementate come il rimanente della roccia nella quale que¬ sti avanzi si trovano sepolti. Vertebre lombari Ritenendo come spettanti allo stesso individuo tutte le vertebre trovate nel rio corrispondente alla balza ove fu¬ rono disotterrati i resti della balenottera, si sarebbero rac¬ colti sette corpi di vertebre lombari dei quali i meno sciu¬ pati sono disegnati nella Tav. Ili fig. 6a-9\ Impossibile sarebbe di precisare il relativo loro posto e mi contenterò di darne le misure. L’ esemplare rappresentato dalla fig. 6a è lungo 0,130; largo 0,160; alto 0,135, e benché sia dei meglio con¬ servati è sprovvisto di tutte le apofisi. Nelle figure 7a 8a è disegnata la meno guasta, e certa¬ mente una delle più grandi delle vertebre accennate, e su di essa ho creduto poter fare la restaurazione indicata nella Tav. Ili fig. 9a. Balenottere possij 331 La sua lunghezza è di 0,132; la larghezza 0,160; l’altezza 0,135; gioverà notare che l’altezza e la lar¬ ghezza sono state sempre misurate sulle faccie delle verte¬ bre, le quali come si rileva dai disegni, specialmente nelle lombari ultime accennate, presentano una espansione e quin¬ di non esprimono la dimensione media del cilindro della vertebra. Tutte queste vertebre, ed in modo particolare le ultime indicate, sono compenetrate da sostanze minerali e sopra¬ tutto da carbonato di calce che le ha petrefatte e ne ha elevato moltissimo la densità. L esemplare della fig. 6a pesa grammi 3420; quello del¬ le figure 7a-9a grammi 3600. Coste Ammettendo che le vertebre dorsali nelle balenottere arrivino al numero di quattordici, altrettante doveano esse¬ re le paia di coste del nostro esemplare; quindi farà me¬ raviglia che di una quantità così grande non si abbiano che appena alcuni frammenti, i quali atteso la loro graci¬ lità inclino a credere spettanti ad alcune delle ultime po¬ steriori considerato l’animale nella ordinaria sua posizione. Altri frammenti sono stati trovati i quali presentavano grande difficoltà per esser liberati dalla roccia ; mentre li¬ mitatissimo sarebbe stato V interesse scientifico che se ne avrebbe avuto anche occupandosi della loro restaurazione. Si trattava per la maggior parte di frammenti di apofisi di vertebre, porzioni di coste, qualche frammento delle ossa della mano, insieme con conchiglie e resti di vegeta¬ li, il tutto cementato da carbonato calcare ed argilla, for¬ mando così una specie di breccia. Dovrei ora riepilogare, e sarebbe questo il momento di domandarci a qual genere ed a quale specie sieno da ri¬ ferirsi tutti questi ossami che siam venuti brevemente de¬ scrivendo ; ma poiché ho già anticipatamente detto che si trattava di una balenottera, e le cose esposte sono venute a convalidare la mia asserzione, mi limiterò a ricordare come questi animali diversifichino dalle vere balene. 332 Giovanni Capellini Il nome generico di balenottera o balenoptera parrebbe desunto dalla protuberanza dorsale pinnatiforme che è una delle caratteristiche per distinguere questi animali dalle balene ordinarie. Quanto al nome latino Rorqualus col qua¬ le si indicano nelle classificazioni, pare si debba derivare dalla parola rork-wale che in lingua norvegica significa ba¬ lena a pieghe, perchè appunto il corpo di questi animali nella porzione anteriore è inferiormente tutto pieghettato, ciò che non si verifica nelle grandi balene. La testa è di forma ottusa, e P occhio relativamente assai piccolo; il solo esemplare che io abbia avuto occasio¬ ne di osservare in Europa è quello che trovasi al Giardi¬ no delle piante di Parigi, il quale fu pescato nel medi- terraneo. Le mascelle sono anche in questo genere guernite di fanoni, i quali però sono piccoli e non hanno quasi alcuna importanza industriale. Riguardo poi alla specie cui si dovrebbero riferire i re¬ sti descritti, per potere emettere un giudizio senza esita¬ zione, bisognerebbe per lo meno possedere una parte del- P apparato auditivo oppure una mandibola completa; ma nel caso postro bisogna limitarci a dei ravvicinamenti e a, delle induzioni, augurandoci che altre scoperte ci mettano1 in grado di riconoscere se vi hanno vere ed essenziali dif¬ ferenze fra questo nostro esemplare e quello del museo di Parma indicato col nome di Rorqualus Cortesii , Desmoulins ; specie alla quale riferirò intanto dubitativamente i resti che ho creduto interessante di farvi fin d* ora conoscere. Un5 ultima notizia credo bene di aggiungere ed è : che per una proporzione fra le mandibole della balenottera bo¬ lognese e quelle del Piacentino, si avrebbero m. 7,40 per la lunghezza totale dello scheletro cui le prime sono da riferirsi, cifra che però intendo si debba riguardare solo co¬ me approssimativa. Balenottere fossili 333 Altri resti di balenottere nel Bolognese Nel tomo quarto dei Commentari dell’ Accademia bolo¬ gnese s. ha una memoria di Giacomo Biancani intitolata « Ve quibusdam animalium exuviis lapidefactis » nella qua¬ le sono descritti e figurati quattro corpi di vertebre, evi- dentemente spettanti ad una balenottera. Dette vertebre furon trovate nelle balze di Monte mag¬ giore, ed è a notare che 1* autore della Memoria dice es¬ sere state raccolte da un contadino intento a scavar pietre per farne calce, le quali pietre ordinariamente si scavano in mezzo alle argille scagliose, ove oltre ad una infinità di altre rocce e minerali si incontrano massi di calcare al¬ berese proveniente da strati eocenici e cretacei sconvolti e rimpastati insieme con le argille. Si potrebbe credere adunque che nelle argille scagliose si fossero trovate vertebre di balene, se non si sapesse che a queste argille, per la massima parte riferibili all' eocene superiore, in più posti sono sovraincombenti le sabbie gialle o le argille turchine plioceniche dalle quali ultime detti avanz! doveano certamente derivare ; oltre che si può In ogni caso argomentare che fossero state trasportate dalle acque ben lontane dal posto in cui originariamente giace¬ vano sepolte. Biancani sospettò che quelle quattro vertebre fossero da riferirsi ai cetacei, tanto più che sapeva essere state sco¬ perte nel Bolognese altre ossa che i dotti aveano giudicato ossa di cetacei; quanto poi al loro valore osteologico le giudicò da riportarsi alle vertebre caudali, il che non pare da contraddire se esatta è la figura che ce ne ha lasciata, non essendosi più trovato 1’ esemplare che dubito se mai abbia esistito nelle collezioni del museo (1). Nel 1751 poi, sulla riva destra del rio Cavrula, non molto distante dal Balzo del Musico , trovò lo stesso Bian- (?) De Bononiensi Sdentiamo) et Artium Instituto atque Academia. Commen¬ tari! — Tom. IV. Bononi* MDCCLVII. Giovanni Capellini 334 cani un osso in parte ancora sotterrato, e fatta scavare una fossa quatuor et ultra pedes profonda, totidem fere lata, ne estrasse un frammento di osso lungo che giudicò una costa di un immenso cetaceo, ma che ho ragione di credere fos¬ se porzione di mandibola di una balenottera. Quell’ osso figurato nella Tav. Ili della memoria citata era lungo di- cianove oncie e largo dieci in misura bolognese, ossia 0,60 in lunghezza e 0,32 in larghezza; nella stessa loca¬ lità trovò altri frammenti dello stesso genere, ina molto più piccoli e da ritenersi come porzioni di quel primo, V. Mem. citata Tav. Ili e IV. Franimento di ISiandibola trovato a. Pradalbino Nel febbraio del 1863, nel rio che corre in fondo alla balza di Pradalbino trovai un frammento di osso lungo, il quale mostra di essere stato per molto tempo rotolato dal¬ le acque non solo dopo che fu disotterrato dai depositi argillosi dei quali sembra aver fatto parte, ma eziandio in tempi molto più remoti. Infatti quest’ osso lungo circa trenta centimetri, è rotto nel senso della sua lunghezza, e la parte rotta si mostra tutta incrostata di sabbia finissima ed argilla conglutinata, e vi si osserva aderente anche un’ ostrica, ciò che prova quanto quella rottura sia antica. Del resto benché sia impossibile di precisare a quale animale debbasi riferire quest’ osso, la sua struttura emi¬ nentemente spongiosa, e la mancanza di grandi mammiferi terrestri nelle argille turchine dei dintorni di Pradalbino, mi fanno credere che si tratti anche in questo caso di una balenottera, e che il frammento in quistione non sia altro che piccola porzione di una mandibola riferibile ve¬ rosimilmente ad un esemplare molto più grande di quello trovato a S. Lorenzo. Balenottere fossili 335 Vertebra caudale trovata a Monte vecchio Nell’ autunno dello scorso anno 1864 il dottor Foresti perlustrava i dintorni di S. Lorenzo in collina, sia per ac¬ crescere la ricca collezione dei molluschi fossili che già possiede di quella località, quanto ancora per osservare se la denudazione spontanea aveva messo a giorno qualche avanzo di vertebrati che ci potesse guidare a nuove sco¬ perte. In quella circostanza, nelle vicinanze di Montevec¬ chio e precisamente ove comincia la balza che è presso la casa Isolani trovò una bellissima vertebra, la quale per le sue dimensioni non ha bisogno di una illustrazione per esser riconosciuta come una delle ultime caudali di un ce¬ taceo il quale non poteva esser altro che una balenottera. Questa vertebra la cui larghezza è m. 0,058 è poi relativa¬ mente assai corta poiché misura appena m. 0,035 ; le sue faccio anteriore e posteriore sono un poco convesse conside¬ rate nel loro insieme, e la superficie loro è piuttosto irrego¬ lare specialmente la posteriore. Sulla periferia, in corrispon¬ denza della posizione che occupano le apofisi trasverse, vi sono alcuni fori che peraltro non attraversano direttamente il cilindro vertebrale da una parte all’altra, come è in molti casi per vertebre di questa sorta. Le fig. 10a-lla Tav. Ili possono darci una idea esattis¬ sima di questo esemplare, il quale avuto riguardo alla po¬ sizione in cui fu raccolto, non posso credere che neppur esso spetti allo scheletro intorno al quale ci siamo princi¬ palmente intrattenuti; ma unitamente agli altri resti dei quali dissi da ultimo, ci prova che gran numero di bale¬ nottere come di delfini perirono o vennero a depositarsi in quei paraggi del mare pliocenico ove ora sorgono le col¬ line che si comprendono fra il Lavino e la Samoggia, ed hanno quasi per centro Monte Avezzano del quale già al¬ tra volta vi feci conoscere le condizioni orografiche e geo¬ gnostiche. 336 Giovanni Capellini SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE TAVOLA I. Fig. la Porzione della balza della chiesa in cui si vede 1’ esatto giacimento dei resti della balenottera scoperta nel 1862. Il piano dello scavo è a 247 metri sul livello dell* Adriatico. Fig. 2a Pianta dello scavo nella scala di rés nella quale si vede come si tro¬ vassero sepolti i diversi avanzi della balenottera, a mandibola destra, b mandibola sinistra, c occipite, d mascellare, e masso in cui si scopri¬ rono le vertebre cervicali. Fig. 3a Strobilo di Pinus Haidingeri. Fig. 4a Piccolo dente di Carcharodon sulcidens Agass ; faccia esterna. Fig. 5a Sphcerodus parvus , Agass. a visto di lato, b superiormente. Fig. 6a GaleusP a faccia esterna, b profilo. Fig. 7a Galeus aduncus, Agass. a faccia interna, b faccia esterna, c profilo. TAVOLA II. Fig. la Restaurazione del cranio del Rorqualus Cortesii trovato a S. Lorenzo. Le porzioni punteggiate mancano; scala &. Fig. 2a Osso occipitale; scala }. Fig. 3a-4a Apofisi dell’ osso pietroso ; scala §. Fig. 5a Frammento della cassa dell’ udito ; scala £. Fig. 6a Vertebre cervicali viste di lato; b asse, c terza vertebra, d quarta, e quinta, f sesta, g settima. Fig. 7a Corpo dell’ asse visto anteriormente per apprezzarne I’ apofisi odontoide. Fig. 8a Quarta vertebra cervicale vista anteriormente, manca l’anello e 1’ apo¬ fisi destra, riportando i pezzi al loro posto. Fig. 9a Settima vertebra cervicale vista posteriormente e con la restaurazione dell’ anello. Fig. 10a Settima vertebra cervicale vista anteriormente. TAVOLA III. Fig. la Osso mascellare destro visto inferiormente; scala £. Fig. 2a Osso mascellare destro visto dal lato superiore. Fig. 3a Mandibola sinistra vista dal lato esterno; scala £. Fig. 4a Prima vertebra dorsale vista posteriormente; scala £. Fig. 5a Quarta vertebra dorsale vista dal lato inferiore. Fig. 6a Vertebra lombare vista superiormente. Fig. 7a Vertebra Iómbare vista dal lato inferiore. Fig. 8a Vertebra lombare vista dal lato posteriore. Fig. 9a Vertebra lombare con la restaurazione delle sue apofisi. Fig. 10a Una delle ultime vertebre caudali di balenottera vista di faccia. Fig. tla La vertebra indicata nella fig. precedente vista di lato. lem. Tom. IV. Ser. 2. G. Capellini -Balenottere fossili del Bolopese. Tay. L O Ninniia àù* i»l vero • inpietra. R0RQUA1US CORTESII. iato.m G Capellini - Balenottere fossili del Bolognese. Tav. E f Mem. Tom IV. Ser. 2. li 3. RORQUALUS CORTESE là G.’ffenl G. Capellini - Balenottere fossili dd Bolognese, favi. lem. Tom.ff.Ser. 2. . . ESAME CRITICO 0 DUBBI SULLA TESI 1 MESTRUI DERIVANO DALLI 0V0LUZ10NE DISCORSO DEL PROF. CAV. CAMILLO VERSARI Onorevoli 1 i. Av veva io divisato, o Signori, di trattenervi oggi in un tema sperimentale ; e la materia propostami era di os¬ servazioni fisiche, microscopiche, e di analisi chimiche in¬ torno la cotenna del sangue, colla intenzione di vie meglio stabilirne le specie per me (1) già studiate da lustri e lu¬ stri; e avrei voluto, mercè gli ajuti della emoscopìa, ten¬ tare di trarne i criterii probabili che valessero a soccorrere le diagnosi essenziali, le terapeutiche indicazioni, ed i giu- dizii pronostici. Ma il difetto del tempo e delle commodità necessarie alle tante, diverse e minute ricerche domandate „ (1) leggasi la mia giunta all’Articolo Cotenna nel Dizionario ec. d’ Hurtrel d Arboval volgarizzato per cura del Doti. Tommaso Tamberlicchi. Forlì 1841. t. iv. 43 Camillo Versari dovendovi in ogni modo tenere discorso di medico argomen¬ to, piacquemi tra i corsimi alla mente eleggerne uno che si aggira più in un dubbio, che in una verità confermata per esperienze, che è più fisiologico, che attinente alla parte di Scienza eh* io professo. Nè per ciò stimo debba a me venir meno la grazia vostra ; spero anzi siate per condescendere, e comportare, che, fra le cose da me a me di gran tempo dubitate, Vi presenti la ovoluzione così det¬ ta spontanea ; e non già per sè stessa; sì bene in quanto all’ esser’ ella, da Négrier in poi, posta ad unica assoluta sorgente dei mestrui muliebri. Su di che m’accingo, senz’ al¬ tro, a sottoporvi una breve critica inspiratami dal dubbio sopra quanto intorno a tale proposito i più tengono per vero. E in ciò mi starà a cuore di procacciare a me stesso di tenermi così lontano da spirito di parte e di sistema, da potere fin d’ ora confidare : che la mia critica non sia per riescire ad alcuno nè odiosa, nè odiabile. 2. Però, innanzi tutto, converrà stabilire, che cosa abbia da intendersi per ovoluzione. Vollero i Cultori delle Scienze Mediche con questo vocabolo significare il grande atto or¬ ganico disposto da Natura alla genesi, alla maturazione, al distacco, ed alla escita delle uova dai loro ricettacoli, o dalla ovaja, alla scesa di quelle per le tube all’ utero, per gli ovidutti alle cloache, ossia un atto organico, che per varii mezzi raggiugne 1’ altissimo fine della perenne ripro¬ duzione di quasi ogni specie viventi. E in vero ciò si ve¬ de, e sono per dire si tocca, in pressoché tutti gli anima¬ li, ed eziandio, in maniere abbastanza consimili, (1) nel maggior numero dei vegetabili, ne’ quali fu già contraddi¬ stinto col nome di germinazione ; nè a torto, posciachè Na¬ tura provvide anche moltissime piante di organi sessuali, e tra i femminei, degli ovarii, i quali preparano e serbano i germi in condizioni opportune a rinnovare con identità di specie una grande moltitudine di piante, siccome è delle (1) Analogìa notata da Empedocle di Agrigento. Forse fu egli il primo a supporla fra i semi dei vegetabili, e le uova. Esame critico ec. ovaja per altrettanta riproduzione di animali. Non torna lecito adunque recar dubbii sulla ovoluzione, riescendo ben chiara, evidente, e dimostrabile per Y umana fisiologia, per la comparata, per la vegetabile ; tantoché errerebbe chi non la tenesse vera, anzi accertata per vastissima serie di fatti biologici. Ma la ovoluzione è proprio nella donna la causa de’ suoi tempi ? Ecco il principalissimo punto, sul quale ho dubbio : questa la dimanda, cui m’ ingegnerò di rispondere soddisfacentemente, per quanto sta in me. E non temo già di riescire increscioso coll’ uno e coll* altra, vista T importanza del tema; e considerato: che T accompagnarsi della critica alle scientifiche nozioni torna stimabile, sicco¬ me bene sentenziava l’ illustre Mugellano dintorno Cocchi (1), ed era già di qualche guisa avvertito anche dal gran Can¬ celliere di Verulamio nel seguente 3.° Aforismo (2) « Su- » mus omnes in arte nostra tamquam in Senatu constitu- » ti, in quo non ut pedarii statim pedibus in aliorum sen- » tentiam ire debemus, sed ut prudentes Senatores videre » quid conveniat, atque ita ingenue proferre de rebus quod » rationi consonum arbitfamur. » 3. Dopo ciò divido i miei dubbi in due serie/ o cate¬ gorie; in una cioè relativa a fatti, e nell’altra relativa a ragioni. Io dunque avverto da prima: vastissimo il fatto del¬ la ovoluzione : solo muliebre quello de’ mestrui. Seconda- mente : che Ashwel assicura avvenute perdite mestrue sen¬ za emissione di ovicini. In terzo luogo : che Ritchie , Paget, e Carus attestarono : di avere all* opposto osservato ma¬ turi ovicini esciti dalle pudende di amenorroiche , e di impuberi. In quarto luogo : la scesa dei medesimi ( e ciò nota perfino^ un Coste) accade in generale alla fine de’ me¬ strui, o poc’ oltre. Onde veggo avversar questi fatti alla ovoluzione in risguardo della ipotesi indicata ; e chiaramen- te veggo 1 ultimo valevole ancora a spiegare la facilità di concepire le donne datesi in quelle circostanze all* amor ili ^ suo — Discorso sopra P istoria naturale. (2) De Interpret. Natura. 340 Camillo Versari tìsico. Continuo ora a scorrere altri fatti; e alludo quindi agli offertici dalle divenute madri, quantunque prive intera¬ mente di mestrui, delle quali non fu, nè è scarso il nu¬ mero, quanto ben di leggieri i Dissenzienti opporranno. Alcuni a me stesso ne occorsero : altri leggonsi negli Ar¬ chivi delle Scienze Mediche ; e sono per accennare a po¬ chi. Una Giovane senza essere mestruata si sgravò di due figli. Poi le sopraggiunse altra gravidanza. Nella terza ebbe mestrui, ed abortì (1). Frank invece si abbattè nel caso di una senza mestrui, nè prima, nè poi ; e che nondimeno mandò alla luce tre figli (2). Rondelet , e Joubert citano pure varii consimili esempi. Questi casi provano presenza di mestrui senza ovicini, scesa di ovicini e mancanza di mestrui. Mi limito a pochi relativi ricordi per essere di non lieve importanza; e perchè Voi siete in grado di ag- giugnerne altri. Che se a taluno fra i Discordanti piacesse tacciarli di eccezione; anche per tali avuti non sarebbero in ogni modo privi di qualche valore. E non sarebbe poi ragionevole giudicarne così, quando è comune il difetto di mestruazione nelle Brasiliane ( credasi, o no con G . G. Zimmermann conseguenza dell’ adempiervi esse le faccende che gli uomini assumono altrove). Nemmeno fa eccezione lo stesso difetto per le donne del Groenland e della Lap- ponia. É ben vero, che in risguardo di queste ultime Lin - nèo osservò : avere le riccorrenze nei mesi di estate. Ma è vero altresì, che quelle donne ingravidano ; e queste pur anche fuori di tale stagione; vuol dire, che in loro stac¬ cami gli ovicini maturi, e scendono senza mestrui. Avvie¬ ne altrettanto nelle donne delle tribù rosse verso la parte orientale del Tacazzè, e ad altre di gente selvaggia, per te¬ stimonianza del Dott. Rush. Ond’ ecco regola, anziché ec¬ cezione per le donne quivi indicate. Fanno piuttosto ecce¬ zione, e non pertanto sono meno considerabili, i fatti di donne mestruate sol quando siano incinte, singolarità no- fi) Transazioni Filosofiche del 1817. (2) Enciclopedia Inglese della Medicina Pratica all’ articolo Amenorrèa. Esame critico ec. 341 tata da Maigrer , e dal Dott. Dewees (1), occorsa pure nel¬ la terza gravidanza della giovane cui poc9 anzi alludeva : singolarità, che, insieme anche alle poche cose discorse fin qui, vale, secondo il mio parere, ad opporre alla evoluzio¬ ne, rispetto a9 mestrui muliebri. 4. Nè si vuole tra i fatti omettere il rilevante che ci porgono le giovani femmine degli animali, quello vo9 dire dello staccarsene a quando a quando ovicini, e deporrè uova, senza che, da poche scimie in fuori, offrano mai al¬ cun cenno di mestrui. Ed è pur d9 uopo intorno a queste riflettere : non accaderne il caso di vera mestruazione • e di fatto si ha solo in poche della medesima specie quello di perdite irregolari, brevi, scarse, e a colore diverso, tali in somma da non consistere propriamente in uno scolo san¬ guigno analogo al periodico uterino muliebre; e sì da non tornare neanche lecito sospettarle pseudo-mestrue. Or dun¬ que dimando io : se i mestrui fossero veramente prodotti dalla ovoluzione, come mai potrebbero essi mancare alle giovani femmine de9 bruti, e a quelle principalmente di grado zoologico poco inferiore al nostro ? Non se ne avreb¬ be causa in potenza, e mancanza del suo legittimo, anzi necessario, effetto? Che più? Si trovano vescichette di Graaf, \ e con ovicini nelle neonate, nelle infanti, nelle fanciulle (2). Chiunque contempli tutti questi veri incline¬ rà a non accogliere quella ipotesi, anzi inclinerà forse a crederla assurda, ed in ispecie, se egli non dimentichi pu¬ re la massima reale somiglianza tra i genitali delle donne in corso de9 mestrui, e quelli delle femmine di molti bru¬ ti sagrificate lungo il loro stato di fregola ; chè una tanta somiglianza rimane a chiare note comprovata per anatomi¬ che dissezioni, ed in particolare per quelle di Kooper , di (1) Quanto al primo nel Dictionaire dei Sciences Médkales ; secondo nella Enciclopedia c~ quanto ai x ..... ora citata. (2) Traiti Elémentaire de Physiologie ec. di Blécard. Paris 1862 p. 1054. Carus fu il primo che vidde ovicini anche nel feto: dopo ne viddero Bischoff, Coufty, e Costi. Mgrie i pure 342 Camillo Versari Maygner , De Martino , Cruikshank, e di altri. Di tale ana¬ logia in relazione alle epoche accennate si avea sentore da un pezzo, per essersi già notato : sì quelle che queste fem¬ mine soggiacere ad una smania particolare, ad un accresci¬ mento di moti organici, a sensibilità esagerata, ed a san¬ guigna congestione negli organi riproduttivi. Ma ora, per le indicate dissezioni, quella simiglianza è fatta più chiara, anzi evidente. Ed evidente pur* è, in grazia dei fatti per¬ corsi, e delle certe nozioni conseguite pei medesimi, il caso di una non lieve incoerenza, e di contraddizione colla ipo¬ tesi Négrier , e a grado tale, da non potersi in questa ac¬ chetare sì di leggieri. E come acchetarsi essendo assioma: che il vero di qualunque massima può essere conosciuto per la consonanza dello spirito di un gran numero di fatti colla medesima ? Che se non pochi fatti avversano la stessa ipotesi, non dovrà dirsi ella contraria a debito di ragione? Rammentiamoci senz’ altre dimande la bellissima sentenza di Vico: la verità è il fatto; e questa ancora: che ipotesi vale supposto, non vero. Nè dimentichiamo tuttavia, che il fatto, secondo il diverso indirizzo della nostra preoccupazio¬ ne, suole riescire variamente interpretabile; e che, più o meno, a sostegno delle persuasioni, e di qualunque massi¬ ma che s’ abbia in grado, ci raccomandiamo ai fatti ; così conducendo il nostro criterio sopra i medesimi, da indurne E apparenza del vero, o la stessa loro verità in prò del carezzato concetto, anche quando possa d’ altra parte rice¬ verne contrarietà. Lascio andar questi, ed ulteriori gene¬ rali riflessi ; e debbo lasciarli per aver io assunto un tema speciale. Pure collegando que* riflessi al medesimo, dico : il falso consistere negli opposti relativi ad un qualunque concetto, e nelle contraddizioni, che il saldo ragionamento, e le più salde notizie gli possono opporre. Sospetto, anche per queste idee, dubitevole V ipotesi Négrier . E tale è pu¬ re fors* anche pel numero degli o vicini, ( e più precisa- mente delie vescichette, o dei follicoli di Graaf (1) conte- li) Fu ii primo, che le uova muliebri dicesse contenute in vescichette: me¬ glio dei Predecessori le illustrò; ecco il perchè ne hanno il nome. Esame critico ec. 343 nuli nelle ovaja muliebri; e tanto più sottoscrivendosi alla massima ricevuta nella Scienza: non potersi delle vesci¬ chette illustrate dall Anatomico Olandese or nominato giu- gnere a noverarne che venti, in condizione di vario sviluppo. 5. Giudicarono alcuni Fisiologi, tra’ quali L. Martini , che Natura alle uova staccatesi altre poi non ne sostituisca. Io nondimeno, e massime nellp donne fecondissime, conce¬ derei ne rinnovasse a volta a volta una qualunque elabo¬ razione. Pure, quanto non ne dovrebbe essere maggiore il numero, se ogni flusso mensile dipendesse dal distacco pur anche di un sol’ ovicino? Però la elaborazione di nuovi ovicini non è forse frequente nella donna; chè in generale concepisce, come ognun sa, un sol figlio per ogni gravi- danZa’ e parte le azioni centralizzate nell’ utero, lo sviluppo dell’ embrione, 1 aumento del feto debbono distrarre le riproduttive delle ovaja. In vece nelle femmine degli animali più feconde, a meno lunga gravidanza, e che in ogni parto si sgravano di piu feti, contansi le uova in maggior numero, e se ne può credere meno infrequente la rinnovazione; ciò tanto più, sì nella donna che in queste femmine, pel fatto dello svol¬ gersi, del crescere, e del maturare grado grado le uova, ossia per effetti di un processo di sviluppo e di aumento molto simile, se non identico, al sospettato da me. Ora senz’ altro intorno a tale proposito, consideriamo un poco, se tra il numero delle vescichette muliebri e quello de’ flussi men¬ sili v abbia proporzione. La donna, dalla pubertà all’epoca critica, conta in generale trecento di quelle perdite, e più ancora e più, se le anticipano; se le riabbia due volte al mese, casi che occorrono pure, e non radamente. E in que- st! oh quanti ovicini non si staccherebbero dalle vescichet- ,-n l E 86 ne staccherebbero più numerosamente in altre donne, ossia in quelle, che quantunque vecchie, continuano ad avere mestrui regolari, di che non mancano esempi. Io stesso m’ imbattei in tali ; e se ne leggono vani. Alluderò principalmente al veduto, e registrato da uno p * "°St" PllJ diligenti e sinceri Osservatori, da Andrea asta, ligi,, nella sua Dissertatone sovra i mestrui 344 Camillo Versahi di averli verificati periodici fino all’ età di settantasette anni in una Monaca, molto sanguigna, morta poi di apo¬ plessia nel suo ottantesimo quinto (1). Ed ivi accenna, e manda ad altri fatti somiglianti raccolti dagli Autori, e oc¬ corsi in donne più vecchie. Quante vescichette di Graaf in sì longeve, sempre mestruate! Oh almeno quanti ovicini non se ne sarebbero distaccati ! Come ciò potrebbe accor¬ darsi colla realtà dell’ impicciolire le ovaja muliebri verso 1* epoca critica generale, a maggior grado più oltre, e colla massima che le donne a cinquantanni perdono la ovoluzione? E con questa si accorda il fatto delle mestruazioni per vie insolite, o delle menossenie , o menoplanie , significato pure colla frase mestruazioni vicarie? Esso, per quanto a me sembra, avversa grandemente P ipotesi Négrier. E in vero quale rapporto di circolo sanguigno esiste mai tra le ovaja, tra la funzione loro di apparecchiar ovicini, e P incremen¬ to, e P escita dei medesimi dalle vescichette di Graaf co¬ gli occhi, cogli orecchi, colle narici, colle gengive, coi ca¬ pezzoli, coi pulmoni, coll* apice delle dita, colle intestina, colla pelle, collo stomaco, coll’ ombellico, colla vesci¬ ca, ec. ec. ? Disse Boerhaave (2) a ragione : non darsi par¬ te del corpo muliebre, dalla quale i mestrui non possano stillare. Io più che a stille ebbi a vederli spicciar a sotti¬ li zampilli da’ vasi del canto interno di un occhio in una giovane accolta nella Clinica Medica di Padova, quando io ci era a continuare i miei studii teorico-pratici, ovvero nel- P anno scolastico 1824 e 25. E allora mi tornarono alla memoria i casi consimili letti in Mercato , ed in Holler. Ne viddi anche escire a gettiti per le vie de’ bronchi in alcune con intermittenza ; e ad esatti periodi in certa Si¬ gnora Barbara Aleottì , mia concittadina. Di somiglianti, e di altre specie vicarie mestruazioni, o menoplanie, citano esempi Lusitano , Orstio , Stahl, Amb ergerò, Wedel, Triller , Niezhiy e anche altri. Raymond narra di una donna, alla Esame critico ec. 345 quale i mestrui scaturivano per 1’ alveolo di un molare che le mancava ; e se ne ebbero pure di ricorrenti per ulceri sparse qua e là. E in questi casi chi direbbe: ci entra la ovoluzione? A parer mio, forse nissuno. 6. Concedo bene che una cotanto insigne funzione si compia per le ovaja ; ma non concederei : che i mestrui siano dispensati dalle medesime, e nemmeno derivino dai distacco dell’ ovici per esserne regolare, nè preciso lo sviluppo ; e per competere in vece questi due caratteri alla mestruazione, in generale almeno. Dissi già delle me- noplanie, ed inclinai a stabilire : che a promuoverle non intervenga la ovoluzione. Aggiungo ora: niuno tra quelli che tentarono di spiegarle pensò mai ad una qualunque influenza delle ovaja, per quanto almanco m’ è noto. An¬ che le menoplanie ci si presentano quasi sempre a mensile intervallo, talvolta ancora con assoluta precisione (1), e spessissimo senza veruno antecedente indizio di malattia alle ovaja. I mestrui, a mio avviso, non provengono adun- que, nè possono provenire, dalla rottura delle vescichette di Graaf. Ella è minimissima, e su cosa minima. Il pochis¬ simo sangue che le membranelle della vescichetta ne per¬ dono ( saranno poche, pochissime goccioline ) riempie il picciol vano conseguitone. Quel po’ di sangne ben presto si coagula, e aderisce ai tenuissimi veli di quella tenuissi¬ ma membranella, e per la propria elasticità alla esterna tumchetta de’ follicoli di Graaf; con che si dispongono poi, e formano i così detti corpi lutei , o gialli. Ne rimar¬ rà dunque chiusa ad un tratto la minima rottura, e senza indugio succederà la cicatrice rappresentata realmente dai corpi suddetti. Conseguentemente direi : il passaggio alla tu- ba, rispetto ai mestrui, non sembra di gran valore : la tuba adempie solo all’ ufficio di un canale ; e un ovicino non può indurre afflusso sanguigno, nè erosione di vasi ; si pel suo minimissimo diametro di % di millimetro; sì per la lentezza, colla quale pian piano discende P ovicino ; e an- (1) Veggasi quest' ultimo paragrafo, pel caso della Signora B. Aleotti. T* iv. u 346 Camillo Versaci cora perchè acquista lungo la scesa un tenuissimo involu¬ cro di semplice albumina. Sembra consentaneo a ragione credere altrettanto del suo giugnere ali’ utero. Allora è appena, appena, cresciuto di sua picciola mole. E senza ciò, non iscorderemo: che escirono ovicini da amenorroiche^ da im-puberi ; e che non sono poche le gestazioni di donne sen¬ za mestrui. Nè scorderemo quant’ altro in proposito accenna¬ no questi paragrafi 3.° e 4.° Ciò ritenuto ; e pel riflesso ancora: che i follicoli, o le vescichette, di Graaf sogliono aprirsi, ( giova ripeterlo ) ad avanzata mestruazione, non vedrei irreprensibile la sentenza : che 1’ ovicino abbia il potere d’ indurre afflusso sanguigno nell’ utero ; e che di ciò conseguano alla donna i catameni. Certo che senza rin- gorgo di sangue a questo viscere ella non potrebbe averli: certo pure che fluiscono per minimissimi pertugii, pei quali si fa via il sangue che in capo di ogni mese, più o meno, distende e rigonfia i vasi della mucosa interna dell’ utero. Lo stesso sangue, oltre i vasi della mucosa uterina, ne di¬ lata fors’ anche i pori. Tale è il riconoscibile effetto della mestruazione ; e da ciò ancora par lecito sospettare : non nasca pel distacco dell’ ovicino, per la sua scesa, nè dal pervenire all* utero, siccome all’ opposto sarebbe giusta il parere di Négrier , e de* tantissimi seguaci. Lasciamoci con¬ durre dai fatti e dalla ragion delle cose, non dalle autori¬ tà, vecchie, o nuove, nè dal gran numero loro ; e nè anche lasciamoci trarre da scientifiche apparenze. Almeno su que- stex ci ajuti il dubbio ; e la sana critica ne preservi dai pos¬ sibili erronei conseguenti. Ne rinnovo l’antico voto; e, per la fiducia che non torni vano, soggiungo altri dubbii intorno al nostro argomento, e degnateli di attenzione. T. Ora ve ne sottopongo alcuni anche sulle antecedenze alla pubertà di molte giovanette, e sulle relative ad ogni mestruazione di non poche già puberi. Quelle non escite ancora di adolescenza, e ornai prossime a raggiugnere la pubertà, presentano, nella più parte loro, varii segni di non lontano fìsico e morale cambiamento; e sono pure a volta a volta comprese da cefalalgia, da convulsioni, da assalti epilettici, e da efflorescenze cutanee : sintomi e mali, che Esame critico ec. 347 quasi sempre coll’ apparire de’ primi mestrui scemano, o si risolvono. Quei segni, questi sintomi, e mali non posso¬ no essere spiegabili per la ovoluzione. Almeno pel maggior numero loro, io li riferirei volontieri ad una causa organica generale, a quella di mutazioni, direi quasi a rivolgimenti del sistema nervoso e deli’ angio-sanguigno ; che apparec¬ chiano e compiono la pubertà ; a cambiamenti, che dipen¬ dono dall’ intero organismo, anziché da una sua parte, da una spia funzione; che si collegano coll’ordine di succes¬ sioni prescritte ai diversi periodi della vita umana; che accennano al tipo biologico proprio alla donna, piuttosto che alla speciale funzione delle sue ovaja. E chi mai si terrebbe contento di ascriverle a queste, se d’ innanzi al- T intelletto avesse Jo spirito delle avvertenze toccate nel paragrafo antecedente ; ed in ispecie pensasse : che la ovo¬ luzione non manca nella più tenera età, e nella fanciullez¬ za ; e che nel caso ora qui contemplato non di altro si tratterebbe, se non di svolgimento succeduto a poco a poco di uno o due ovicini, e della rottura, e scesa dei medesi¬ mi, ossia di minima causa, ristretta, circoscritta, eppure in realtà promotrice di non piccioli effetti, e universali al muliebre organismo P E si rifletta ancora : che accade con¬ similmente in alcune già puberi ad ogni lor mese. Ne dan fede i segni precursori comuni : le occhiaja, l’intumidire del¬ le mammelle, i dolori ai lombi, alle coscie, le alterazioni di spmto, ec. Ed altre donne non vanno forse soggette a sofferenze maggiori, ed in particolare, oltre le toccate dian¬ zi, a febbri, a vomiti, a diarree, alle coliche così dette ute¬ rine, e perfino a delirii periodici? Si; e bene rammento di avere assistito a gravi dismenorrèe ; e che ebbi a notar¬ ne singolari convellimenti , vicende d’ individuale tempe¬ ratura, necessità di voltolarsi con isroania per terra, e le piu strane attitudini, le più disperate movenze, e tetanici parossismi, e grandi mutamenti di fisionomia, e contorsioni nella faccia, negli occhi, e nelle labbra. Scene patetiche che si trasmutano in calma per 1’ escita di poco sangue dai vasi della mucosa uterina. E dovrà credersi, che tutti quegli effetti, osservati lungo il difficile scolo de’ mestrui 348 Camillo Versari stiano in corrispondenza, ed in proporzione col crescere, collo staccarsi, e scendere di un ovicino, e coll’ esserne pur anche irregolari i modi? Quegli effetti sarebbero in¬ tensi per picciola causa, e per irregolarità di poco momento. Sembra in vece, che essi derivino dalle azioni conturbate dell’ utero, dalle sue simpatiche influenze sulla intera eco¬ nomia, ed anche dalle riflesse; piuttosto che dalla ovolu- zione, la quale può bene esercitare alcuna organica modi¬ ficazione, però piu idiopatica che generale, lieve anziché grave, e forse senza il concorso di azioni nervee riflesse. Me ne persuade la sproporzione, che converrebbe ammet¬ terne implicitamente, e la serie de’ casi che mi occorsero, a’ quali, per la memoria della osservazione loro qui rinfre¬ scata, volsi or ora la mira, e ben lo doveva. 8. Volgiamola insieme anche ai mali, che in genere suc¬ cedono alle donne quando cessano in grazia della età ( di¬ stinta per ciò coll’ epiteto di critica ) di essere mestruate. Stando alla ipotesi Négrier la fine dei mestrui dipenderebbe necessariamente da quella della ovoluzione. Però sappiamo per grande raccolta di antichissime osservazioni, sempre poi raffermate, consistere que’ mali in vampe al capo, in verti¬ gini, in sudori ricorrenti, massime dopo il pasto. Sappiamo che consistono in pletora, in cancri e scirri di mammelle, e di utero, in malattie della midolla spinale, dei nervi lombari, dei sacri, della porta , del fegato, in ematemesi, enterorragia, flussi ernorroidarii, dermatosi, isterismi, e fin anche in alienazioni mentali. Nè solo 1’ osservazione obbli¬ ga a ritenere que’ mali prodotti dalla critica età, nè solo a tale credenza induce il consenso de’ Medici ; ma P argo¬ mento ancora di non potere gli stessi mali riferire quasi mai, o proprio mai, a verun’ altra cagione sufficiente, da quella in fuori. Ebbene^ deriveremo da una condizione ne¬ gativa tante, e sì gravi morbose positività? Come non re¬ putarle in vece addotte principalmente da sconcerto di circolo addominale, da flussioni sanguigne al seno, all’ ute¬ ro, ai nervi suddetti, da risentimenti del sistema nervoso, ed anche dalla abitudine d’ essere ogni mese da tanti anni il sangue in affluenza all’ utero? E sembra che proprio Esame critico ec. 349 traggano origine da quei disordini. D’altra parte il cessare di funzioni non necessarie alla vita segue senza niuno, o piccioi danno; dalla infanzia per esempio alla adolescenza col disparire il timo, che deve pure adempiere alcun uffi¬ cio ; e del pari coll9 impicciolirsi dei reni succenturiati. Di¬ rò di più. La castrazione nell9 uomo e negli animali, ed altre estirpazioni di organi ignobili, passano sovente non solo senza gravi patologiche conseguenze, ma in molti casi ancora tornano utili. In oltre sopraggiunge nella inoltrata maturità la virile impotenza : gli organi generativi si atro¬ fizzano; eppure a ciò non conseguitano speciali malattie. AH opposto in sequela della crìtica età, e per 4a ritenzione di altre periodiche emorragie, inferma l9 uno e l9 altro sesso. Circostanza considerabile, che milita anch9 essa contro Fipo- tesi Négrier, e massime in rapporto al punto di critica qui¬ vi fermata. Intorno al quale non debbo con Voi troppo distendermi; con Voi, che bene dirizzate la vista della mente a penetrare il valore de9 fatti ; con Voi, che da po¬ chi sapete _ raggi ugn ere le efficienti ragioni di molti ; con Voi, che discerneste l9 affinità degli effetti tra k il cessare dei mestrui, e. quello di altre periodiche emorragie; con Voi che in ciò pure scorgerete una ulteriore difficoltà ad am¬ mettere nella evoluzione la sorgente assoluta dei mestrui Dopo trent anni circa mancati questi mensili ripurghi e pu pm se a poco a poco non Scemarono, e con una sor¬ ta di rada regolarità, gli Osservatori di ogni tempo viddero in non poche donne conseguire una iliade, e talvolta mag- fXseró-Tv, I»STamraentOVatÌ- E a'CUnÌ saviamente ne * j ® ?.• ,che 1 elemento nervoso e l’ emoaulico non solo altre co'nSr6"0 '\T qUe"0J anCOra di abltut|ine, in tante f'nfri cond,z:°nl abile a rendersi morbifero, e senza che il sima «• 6 d; “na funzione’ 0 ;i termine della mede- cZ J aPPar3‘ a,CCaSionabili * diritto di sano patologico enterro, cose pur degne di considerazione. P S e deter, n- " "°n Rer VoÌ’ gÌoverà Per a,tri riflettere, abSTne /SSere pr°prÌO Un fatto: cb* suddetta Sordin l, T° P01’ cessatane Ia Perdita mestrua, di- m nei vosi, pletora sanguigna, e congestioni. E conviene 350 Camillo Versari stabilire questi patologici concetti ognor più, ali’ uopo di meglio intendere le ragioni de5 mali propri i alla critica età, a riconoscerne, che i mestrui non nascono dalla ovoluzio- ne, a riconoscerne, che il terminare di questa non baste¬ rebbe a spiegarci que’ disordini, la pletora, e le sue con¬ seguenze (1). Credo, che quanto alle nevropatie qui con¬ template saremo tutti d’ accordo. Potremmo non esserci sul proposito delle asportazioni non ha guari accennate j sicché stimo di non dovere passarmi delle poche di un ovajo rie- scite ad esito prospero ; nò che alcune di tali donne fu¬ rono più mestruate. Però scarso ne sappiamo il numero delle avventurose^ e che varie tra loro, anche prima della ovariototnia, erano prive dei mestrui, e sebbene malate ad un solo ovajo ; e il più delle volte al sinistro, siccome Mor¬ gagni notò, ed io ebbi occasioni di rettificare (2). Nè un solo, ovajo adempie alla ovohizione. Però senza malattie dell’ uno e dell’ altro i casi di amenorrea non sono rari, ossia la mancanza della mestruazione occorre non infrequen¬ temente senza potersene accagionare quegli organi. Però an¬ che per le malattie dei medesimi non sempre i mestrui mancano ; talvolta fluiscono con eccesso ; e tanto da simu¬ lare metrorragia. Però senza ovariotomia, e senza che niun ovajo appaja malato, si ebbero menoplanie, o vicarie me¬ struazioni. Questi son fatti di non lieve valore, e che stan contro al maggiore argomento addotto in sostegno della ipotesi Nègrier. Senza ciò, potrebbe taluno opporre, al con¬ cetto della pletora la sentenza di Becquerel , e Rodier ; ossia : i globuli rossi del sangue difettano al cessare della mestruazione per la critica età. Al che risponderei : la ple¬ tora non consistere solo nell’ aumento di que’ globuli : es¬ sere invece nella età qui menzionata le azioni angiosangui- gne e la ematosi spesso accresciute : apparentemente illan¬ guidirsene gli organici successivi movimenti ; e risorgere (1) Paragrafo antecedente. (2) Storia anamnestica e necroscopica di un enorme tumore fibroso perito¬ neale ec. Forlì 1838. p. 43. Poi ebbi di ciò ulteriori conferme. Esame critico ec. 351 dopo il sanguisugio, ed il salasso, richiesti dalle morbose entità, e dalla antica perdita, piu o meno abbondante, dei mestrui ; non dare le stesse sottrazioni a vedere 1’ aglobu- lismo del sangue; e potersi quindi con alcun buon fonda¬ mento dubitare della sentenza riportata di Becquerel , e Rodier. Quell aglobulismo s’ incontra piuttosto per le clorosi, e sebbene con lunga amenorrèa; e tanto in quelle prodotte dà mala o insufficiente nutrizione, da luoghi bassi, umidi, bui, quanto nelle altre succedute a grave terrore, od a passioni deluse, erotiche in ispecie. Ognuno discerne agevolmente nelle prime, come 1’ aglobulismo conseguiti; non così per le ultime; e di fatto se ne ha discrepanza di interpreta¬ zioni. Ora avanti di significare il mio parere su ciò, non voglio, ne debbo perdere la opportunità di riflettere- che anche questi casi non sorreggono la ovoluzione, principal¬ mente rispetto agli ultimi, e sempre in risguardo dell* ame¬ norrea. E in vero chi tenesse la ovoluzione promotrice de’ mestrui, ne sarebbe astretto a giudicare quell’ aglobulismo e 1 amenorrèa effetti dell’ essere ella rimasta comunque soppressa, od interrotta. Se non che per la interruzione di una perdita sanguigna abituale dovrebbe la massa del sangue, accrescersi piuttosto che sminuire; e di più non è a dimenticare che alcune clorotiche rimasero incinte ; e in oltre che all’ interrompimento di una funzione, la quale non sia mostrata necessaria alla vita, parrebbe incredibile dovesse sopraggiungere tanto sindromo, tanta emodiscrasia in somma tante conseguenze, più o meno indirette, e spro¬ porzionate, piu o meno lunghe e gravi, e talora anche fu- B^aiccome riescono; laonde non sarebbero da ascriverei doJSb c ovoluzlone- E l’ aglobulismo del sangue non dovrebbe r, ferirsi a tale mancanza; posciachè, qiLdo in Z12 ha e continuo a chiamarla cosi, perchè non conosceva, nè ho lette fino ad oggi le Memorie Fisiologiche riguardanti la Mestruazione pub¬ blicate ne 1854 dal Prof. Gabriele Minervini di Napoli. Egli, per quanto mi scrive co la sua 7 maggio anno corrente, inserita in questo Bulleltino e man- data in luce il 6. giugno, ne avrebbe diritto di priorità. Se l’abbia pure: chè al vero io non contrasto. Rispettai, e rispetterò sempre, e in tutto, le pro¬ prietà altrui. Egli rifletta però : che nell’ epoca suddetta non pochi Napoletani ™ °ntà dl feCarSÌ 3 NoÌ’ dicevano: verremo in Italia. Quasi un ninnn ™alCh,M C1 sePara!a’ ed a™he per alcuni anni noi. Rifletta: che a Diuno è dato conoscere ogni cosa, nè leggere tutto che si stampò; e in fine: ’ altro" .neSCe,"UOVO d! Amori, i quali, senza che I’ uno sappia del- , ^a,che Pensiero s’incontrino. Pure, se Ei vuole, reddo Cwsari, si EE est • 0ra cl?e» P0™ ,nnanzi ,a di Luglio mi si pubblica questa raemona, vegga poi, se il giudizio, che sopra al sunto della medesima 5 menu o no altra sentenza. A Lui me ne ap~"- ' r * * anche per 1* affetto, e la stima che Gli porto. i Lui mi accheterò, h STORIA D’ ECHINOCOCCO E D’ ATROFIA GIALLO-ACUTA DEL FEGATO DEL DOTT. FERDINANDO VERARDINI (Lotta nella Sessione 16 Marzo 1865 . Ho scelto a tema di oggi, o Signori, il racconto di due istorie mediche le quali reputo di tale e tanta importanza, da non essere indegne di Voi, e da sperare siate per assentire non debbano andar perdute pel grande valore scientifico che esprimono i due fatti relativi, e per P altro di utile applicazione all’arte. Così almen me ne pare; e stimo an¬ cora che rispetto all’ Anatomia Patologica, a9 nostri dì pur finalmente risorta a maggior culto, siate per concedermi n* esca luce di conferma ad alcune verità non abbastanza in generale riconosciute, e sì da poterne conseguire buon frutto. Vogliate per queste ragioni e per P ossequio col quale oltroyi questa mia fatica, essermi cortesi di quella tanta gentilezza Vostra colla quale mai sempre m* incoraggiaste. Entrava la mia Sala Fisica nello Spedale Maggiore il giorno 18 ottobre 1864, certo Trebbi Valentino, campa¬ gnolo, in età d’ anni 21, e veniva collocato nel letto di¬ stinto col numero diciasette. Era di buona derivazione, di t. iv. 47 370 Ferdinando Verardini costituzione robusta, non aveva abitudini viziose di sort’ al¬ cuna avuto mai a quanto asseriva, e come potei in pro¬ gresso di tempo chiarire io stesso assumendone informazio¬ ni da varj che ben lo conoscevano. In tempo di sua vita non andò soggetto che a poche febbri intermittenti a tipo terzanario, però non gravi, e pare fossero facilmente vinte colla chinina. Veduto in letto e sotto coltri questo infermo, avresti det¬ to a primo aspetto che ben lieve dovea essere il suo ma¬ le, in quanto, tranne di mostrare un po’ giallognole le ai- buginee, e lievissima tinta sub-itterica, spiccava in lui un colorito roseo del volto, aveva occhi vivaci, era pronto a rispondere, e sempre il faceva con grazioso sorriso che ti mostrava denti di belle forme, bianchissimi, ed uguali. Ma queste apparenze di salute, quanto ingannevoli si fossero, e come distanti da realtà, Voi Signori il comprenderete di lèggieri, porgendo benigno ascolto al seguito della mia nar¬ rativa, la quale mi conduce all’ esposizione dell’ esame ob¬ biettivo dell’ infermo di cui ci occupiamo. Levati i pannilini che lo cuoprivano, e posto a nudo il petto ed il basso ventre, offrivasi alla vista un’ enorme tùmidezza che cingeva tutta la parte inferiore del costato, è rendeva arcuate e sporgenti le ultime coste vere e le spurie d’ ambo i lati ; tùmidezza indolente ed immobile, la quale contrastava in modo meraviglioso alla poca dimen¬ sione dell’ ambito pelvico, e massime colla povertà di car¬ ni e col poco sviluppo di tutto il sistema de’ muscoli che servono ai moti del tronco, non che di quelli delle brac¬ cia e degli anti-bracci. Gli arti inferiori invece erano ben formati e robusti, tali insbmma quali addiconsi a giovane sano e vigoroso, che sia abituato a lungo cammino, o ad esercizi faticosi. La lunghezza di tutto il corpo era di me¬ tri 1 : 73, ed al fine che le cose esposte fin ora si renda¬ no a Voi più manifeste, pregovi osservare la Tav. I. fig- h che presento. Notate che anche il colorito di tutta la pel¬ le del nostro infermo era a tinta giallastra, o sub-itterica, e che marcatamente apparivano più sviluppate 6 cerulee le vene cutanee serpeggianti fra la cute la quale cuopriva la cavità ventrale. Storia d’ echinococco 371 Innanzi però che segua oltre a ragionare estesamente in¬ torno alla tumidezza di cui feci motto, ( e che avete adesso anche sott’ occhi mercè un esatto disegno che Ve la rap¬ presenta, ad un quarto però della sua naturale grandezza, e così gli altri pezzi patologici disegnati e che descriverò ) permettetemi Vi dica sul nostro Trebbi le poche generalità seguenti : oltre all’ albuginea adunque d’ ambo gli occhi che vedevasi giallastra, e così la cute, e il dissi, osserva- vasi la lingua impaniata sebbene lievemente, e ad orli ros¬ sastri ed un po’ frastagliati ; posta la mano sulle radiali percepivasi un polso eguale ne’ suoi ritmi, regolare nelle sue pulsazioni, che si contavano a 65 per minuto, e le re¬ spirazioni a 36; finalmente la temperatura era pur essa normale e segnava 37 */2 al termometro Centigr. Le defeca¬ zioni si eseguivano regolarmente ed erano fisiologiche ; esa¬ minate le urine, notaronsi lievemente acide, con qualche traccia d’albumina, pochi fosfati ossei, ed erano abbondan¬ ti in pigmento, scarsissime di biliverdina. La copia poi del¬ le urine emesse essendo piuttosto considerevole, si assag¬ giarono co’ metodi e del nostro illustre Malagutij e del Trommer, e del Bòttcher per chiarirci se contenessero zuc¬ chero; ma le reazioni riescirono negative. Poste queste necessarie avvertenze, e tornando all’ esame del tumore, dico dunque seguitatamente che la percussione esercitata sull’ ambito toracico dava un suono perfettamen¬ te muto cominciando dalla terza alla quarta costola, dalla parte destra, e dalla quarta verso la quinta dalla sinistra ; tale suono mantenevasi eguale in tutto questo esteso tratto di circuito toracico sia anteriormente che posteriormente, in maniera da far credere all’ esistenza come quasi di un masso che tutta 1’ interna cavità toracica riempisse non solo, ma si estendesse anche al disotto delle ultime coste spurie. E questo in quanto al suono muto vero ; chè il relativo portavasi anche più in basso di qualche centimetro. A maggiore esattezza, ed affinchè più spiccata riesca la mole straordinaria di questa tumidezza, aggiungerò che volli misurare in diversi punti la circonferenza toracica del Treb- m; ed eccone i risultati ottenuti. Sotto le ascella la di- 372 Ferdinando Verardini mensione del torace era di Centimetri 80; quella al livello delle mammelle 90 ; alla base del torace era di Centime¬ tri 101 ; finalmente un po’ al disotto delle creste iliache raggiungeva i Centimetri 82. Queste cifre, o Signori , par¬ lano a sufficienza, e tornano a risparmio di non poche pa¬ role per chiarire: e la ristrettezza del torace nella sua parte alta: la grande sua dimensione alla base: e la poca ampiezza pelvica, come già più indietro aveva io accennato. La rarità e la gravezza delle apparenze morbose, le qua¬ lità morali del giovane che ne poteva essere vittima, il de¬ siderio d’ appurare il diagnostico, fecer sì tutte queste co¬ se insieme apprezzate che con molta pazienza e con repli¬ cati esami, tentassi ottenere mercè la percussione e P a- scoitazione varie altre risposte. Trovai di fatto il cuore spo¬ stato ed in posizione orizzontale, e sentivasi la sua punta circa a due centimetri di distanza ed a sinistra della pa¬ pilla mammaria ; postura che mi valse siccome notevole indizio per chiarire la diagnosi; e oramai vengo ad appa¬ lesarne il perchè. L’ ascoltazione poi confermava questi ri¬ sultati e mJ insegnava tuttavia che P aria penetrava libe¬ ramente sì in ambo i polmoni e nel davanti e posterior¬ mente; solo che le superiori vescichette polmonali erano obbligate a più ampia dilatazione, certo per il motivo del costringimento a cui soggiaceva P inferiore apparecchio re¬ spiratorio, spinto in su dalla tumidezza notata. Se, dissi, adunque il cuore è spostato obbliquamente , in alto , e dal di dentro allo infuori , la ragione deve es¬ sere che un qualche tumore trovandosi dal destro lato, ab¬ bia spinto quel nobilissimo organo inverso la sinistra parte. Tornandomi quindi alla mente il colorito particolare che notai della pelle, dell5 albuginea \ più, verificando la mag¬ giore elevatezza ed arcuazione delle coste dal destro lato, e la presenza della biliverdina nelle urine , questi segni tutti mettevanmi sull’avvertita che l’alterazione fosse nata e cresciuta nel fegato, il quale è appunto quel viscere che piu frequentemente degli altri può raggiungere e raggiunge proporzioni rimarchevoli di sviluppo. Fermato questo concetto, allora con sempre maggiore di- Storia d’ echinococco ec. 373 ligenza palpai, percossi, ripercossi su quel tumore, e dise¬ gnandone i limiti, venni a tracciare una forma che dava r idea del fegato, però smisuratamente ingrandito. Di fatto ni’ accertai che ne’ suoi diametri verticali, e precisamente nella linea parasternale ragguagliava centimetri 19; nella mammillare centimetri 20 ; nell’ ascellare pur 20. Avvertirò ben anco eh e a sei dita circa dall’ apofìsi xifoide ed a sinistra, ricavai quel suono particolare che dà lo sto¬ maco, il quale tutto era cacciato di contro le pareti da quel lato del ventre. Per quanto mi studiassi rinvenire lo splene, non ottenni mai d’ arrivarne a capo, rimanendo coperto da porzione di quella tumidezza che internavasi nell’ ipocondrio sinistro. Ma ho parlato, Signori, d’ alterazione del fegato; e non avrebbe potuto occorrere invece che un qualche tumore fessesi svolto nella regione ipocondriaca destra, e che aves¬ se poi man mano acquistato le imponenti dimensioni de¬ scrittevi ? A me non sembrava che ciò potesse isolatamente ammettersi, avuto riguardo alla levigatezza del tumore, alla sua forma specialmente, all’ arborizzazione venosa a cui al¬ lusi dapprima, e pur, come avvisai, al colorito dell’ infer¬ mo, e proprio proprio in fine all’ubicazione del tumore medesimo, e valutati i risultamenti uroscopici ottenuti. In ogni modo poi concesso anche fosse stato un tumore nato in quelle parti, certo era il fegato e non altro quel corpo il quale manifestavasi ai nostri sensi, e che determi¬ nammo mercè le nostre disamine, sicché faceva d’ uopo ritenerlo causa delle apparenze morbose annotate. Se non che ulteriori ragionari mi guideranno, spero, a dilucidare vieppiù quest’ argomento, e verrò a stabilire, eliminando altre cagioni, che 1’ alterazione patologica di cui c’ interes¬ siamo, era per la massima parte da attribuirsi al fegato, e determinerò quale ella si fosse. Ebbene adunque, diceva io col mio egregio assistente Dott* Agìde LanzerinU e pur a que’ giovani praticanti 1 Ospedale che s’ erano interessati del caso, ebbene, quali sono le infermità cui va soggetto il fegato, le qnali possano equipararsi all* attuale ? Veggiamo di passarle a rassegna. 374 Piipuaiioo Ve* a adivi Se noo che urna mi mi conduca a ciò, e Vi ripeta tali quali gli «ludi latti al letto del mio infermo, permettetemi o Signori che in seguito all* ora espostovi esame obbiettivo. Vi racconti pur anco in brevi note la storia ana innestici retatila al uostro infermo. É a Mpeni adunque che il Trebbi circa due anni prima di ridurti allo Spedale area notato un tento molesto, mas¬ sime terminato di mangiare, rppoi dopo protratto cammino, fervo il lato sinistro; senso molesto che indi a qualche mese avvertiva all* i|iocoi»drio destro, e qui si rese in se¬ guito maggiormente incomodo. Da ultimo poi il Trebbi era qualche volta astretto a dare di stomaco, in causa d* un senni di ripienexja del quale non sapeva allegarne ragio¬ ne, molto più clic appetì iva il cibo. Questi sconcerti però non accadevano che a lunghi intervalli, laonde egli li la¬ sciava correre scusa tentare di porvi riparo. Sappiate an¬ cora che la madre sua aveva marcato ( e di che non s’ac¬ corgono le amorose madri ? ) che il suo Valentino il quale le dormiva nella cameretta vicina, era nel tempo del di lui sonno, inquieto, smanioso, e di frequente mandava la¬ gni, per Iucche tutto lacerasi timorosa sul conto suo, e «pesto spesso non lasciava d* interrogarlo circa la di lui salute. Il figliuolo però rispondeva alle premurose do¬ mande della genitrice che non s’ accorgeva d* essere ir¬ requieto nella notte, e che svegliato e postosi al lavoro sentivasi bene ed in ferie. Nullameno, soggiungeva, sono da mesi che panni dimagrare, e, cosa veramente curiosa, per 1* opposto duro fatica ad abbottonarmi in cintura i cationi, ami stretti che li abbia ne sento molestia sicché I» rallento. Concludeva in fine di esser bene, e davvero n’ aveva sul volto le appararne, le quali rassecuravauo pur la madre. Fallo si è però che grado grado aumentandosi il volume del tumore da impedirgli il libero camminare, fu astretto chiedere soccorso pe’ suoi mali, e riparò nello Spedale Mag¬ giore nello stato che Voi, Signori, adesso dovete ben cono* scere, se male non rn* espressi sin qui. Ora pertanto sembrami giunto il tempo d’ accennare all* Storia d’ echinococco ec. 375 disamina di quegli alteramenti cui allusi poter andare sog¬ getto il fegato, come pure di studiare se altri morbi aves¬ sero potuto simulare quello intorno cui ci occupiamo, e così giungere in via d’ eliminazione a trovare quella forma mor¬ bosa che proprio proprio caratterizzava la malattia della quale ho creduto tessere la presente istoria. Innanzi tratto si presentava alla mente, a mio crede¬ re, P ipertrofia epatica. Giova avvisare però che tale pato¬ logica morbosità non suole mai essere che parziale in quest’ organo, nè suole d’ ordinario raggiungere una esten¬ sione ragguardevole di maniera, come nella fattispecie che m appartiene; inoltre P ipertrofia è quasi sempre occasio¬ nata o da infiammazione epatica, o da trombosi in causa d’ ascessi all’ imo ventre. Nel nostro infermo non si ebbero a determinare sintomi sicuri, ì quali potessero condurci nel sospetto di pregressa flogosi, ed avemmo per lo contrario indizi tali da esclu¬ dere non fossesi verificata mai, massime che il Valentino potè accudire alle faccende del proprio mestiere anche po¬ che settimane innanzi d’ essere ricevuto in questo maggiore Nosocomio, ove accedettevi co’ suoi piedi. Arroge poi, os¬ serverò adesso, che non ebbe fenomeni febbrili se non po¬ chi giorni prima della sua morte. Circa al trombo, dirò che non ebbi motivi da supporre vi fosse esistito nè per causa d ascessi sviluppatisi nel basso ventre, nè nel fegato, e lo mostrerò, ritengo, più oltre parlando in genere degli ascessi; non per flebite di qualche vaso isolatamente, no¬ tando che se un trombo fossesi formato p. e. nella vena cava ascendente, in seguito di rallentamento di circolo, i tenoni em susseguenti sarebbero stati gravi a modo da in¬ durre 1 edemazia almeno della metà inferiore del corpo, e sconcerti rilevanti negli organi addominali; se invece nelle vene sopra-epatiche, allora sarebbesi potuta bensì avere ipertrofìa limitata al fegato, ma non sarebbero mancati neppure i relativi alteramenti morbosi, ed in particolar mod0 , astute ; e le dejezioni alvine sarebbersi notate li- qu.de. Avviserò infine, per tacer d’altri segni, come per i, P nel trombo, a tenore anche delle osservazioni dell’ il- o/coda , non manchino fenomeni pioemici. 376 Ferdinando Verardini Per tutte queste cose adunque rimaneva e parmi riman¬ ga escluso che ad ipertrofia epatica franca dovessesi ascri¬ vere la rilevante tumidezzu che notavasi nel nostro infermo. L9 epatite interstiziale, a seconda di quanto ne scrissero celebri nosologi, può determinare e determina di fatto un ingrandimento dell9 epate a modo alcune volte d9 acquista¬ re estese proporzioni. Ma quand9 è che ciò accade? Allora proprio che l9 epatite interstiziale è ne9 suoi primordi, o poco ne dista; mentre per lo contrario seguendo il male le sue fasi, nasce quello stato particolare di rimpiccolimen- to del viscere, ossia la cirrosi, che occorre in seguito della retrazione del tessuto connettivo formatasi nel primo stadio, e pur della trasformazione delle cellule epatiche in depo¬ sito grassoso , e quindi l9 ostruzione dei vasi capillari che determina vieppiù l9 atrofia dell9 organo medesimo. Or bene, ne basta l9 esposto per asseverare che da epatite interstiziale non fosse affetto il nostro. Trebbi, ponendosi mente al tempo che durava in essolui il male, vai dire a quasi due anni ; perlocchè non già ne9 primordi, sibbene l9 epoca dell9 atrofia avrebbe raggiunta, se raggiungerla P a- vesse potuta, accompagnata poi da tutte quelle successioni morbose che sono : ed il marasmo, e l9 ascite, e via via, come pur troppo ne veggiamo oggi frequenti, e frequen¬ tissimi casi. Altra cagione d9 ingrandimento epatico la si può verificare negli ascessi i quali non poche volte s9 in¬ contrano in questo viscere. Di vero osserva tìaspel che alloraquando si formano ascessi profondi nel fegato, in que¬ sti incontri i fenomeni morbosi sono molto subdoli, lenti, e difficilmente caratterizzabili; però osservasi aumento con¬ siderevole di quest9 organo. Se gli ascessi per lo contrario sono superficiali, generalmente "la malattia offre caratteri di somma acutezza. Ebbene, per me tanto non saprei vedere negli ascessi del fegato, siano essi superficiali o profondi, che od una conseguenza di pregressa infiammazione di quel viscere, o sibbene effetti di generali disordini dell9 organismo, come p. e. accade nelle febbri suppurative ec. , laonde per quan¬ to insidiosi siano, non si può a meno non abbiano mani- Storia d* echinococco ec. 377 festati, o nell’un modo o nell’altro^ segni di loro presen¬ za, e disturbi gastro-enterici. Noi abbiamo saputo invece che il Valentino, a meno di aver patita qualche molestia in¬ tercorrente alle regioni ipocondriache, e di avere dovuto qualche rara volta dare di stomaco, pure ordinariamente sen- tivasi bene in salute, tranne il poco tempo che precesse il suo ingresso nello Spedale; d’altronde questi or ripetuti feno¬ meni morbosi, possono trovare e trovano la di loro spie¬ gazione da cause puramente meccaniche, come più innan¬ zi sarà chiarito quando sarò giunto al termine di questa mia Storia, la quale mi condurrà alla descrizione de’ re¬ perti necroscopici. Avviserò ancora nondimeno in rispetto degli ascessi epatici qualora siano superficiali, che la pal¬ pazione e la percussione non potrebbero a meno di ve¬ rificarne 1 esistenza. Queste avvertenze intendo Valgano an¬ cora per gli ascessi della cistifellea, la quale vescichetta è addimostrato acquistare in date circostanze cospicua di¬ latazione, massime in causa dell’ otturamento del condotto cistico, quando cioè, come dice 1’ illustre Skoda , fosse per¬ messa 1’ entrata della bile, ma impeditane 1’ escita. Tale ettasia, osserva il citato autore, è sempre preceduta da una malattia della cistifellea. Cose tutte queste assai lontane dal fatto che ci è proprio. E qui nel trattare in genere degli ascessi, cade in ac- concio ricordare che in grazia degli esami posti alla cavità toracica, rimossi qualsiasi sospetto che potesse nasconder- visi tumore di sorta alcuna; e rammentai come, sebbene avessi osservato qualche volta che raccolte tubercolari, od ascessi per congestione, erano giunti a notevole grandezza, non pero da equipararsi alla mole del nostro tumore, nul- ladimeno era a valutarsi, per maggiore schiarimento del atto, che nè il Trebbi aveva avuto mai fenomeni i quali accennassero a tubercolosi ossea; nè la spina, nè le coste allontanavansi dalla loro fisiologica struttura. Esclusi pur anco un copioso essudato plueritico quale cagione de’ fenomeni morbosi che : - si osservavano ; rammemorai però d’ avere cu¬ rato nella sezione donne, una, nella quale, appunto in seguito ai versamento toracico destro copiosissimo, effettuossi un ab- 378 Ferdinando Verardini bassamento del fegato che per la pressione erasi di non poco espanso ed a maniera da lasciare qualche dubbietà circa 1* ipertrofia epatica primitiva, per chi non avesse ben bene esaminato quel fatto. Ma in questi casi, sog¬ giunsi, oltre che hanno sempre preceduto fenomeni ge¬ nerali febbrili, che v’ è stata tosse, dolore puntorio, e via via, differisce poi alla percussione quel contrassegno che prevaleva nel caso nostro, voglio alludere alla gene¬ rale estesissima mutezza in ambo i lati toracici ; avvisa¬ va che nè 1* essudato ho visto giammai, nè giammai m’ oc¬ corse leggere producesse divaricazione delle coste in grado sì pronunciato come nel caso che ci occupa ; e più che la divaricazione si marcasse da tutte e due le parti. Ri¬ muoveva quindi nel caso nostro pur il dubbio di essudato pleuritico, -finche per la mancanza de’ precedenti anamne- stici relativi, e per 1’ esame obbiettivo fatto che portò i ricordati particolari. Toccate queste cose, e stimo non inutilmente, venni e or vengo da ultimo a parlare delle due forme morbose le quali pe’ loro caratteri fenomenici potevano lasciare in for¬ se , se il caso clinico nostro all' una meglio che all’ altra dovesse ascriversi. E ciò è tanto vero che ed io stesso in sulle prime, e non pochi certamente valentissimi colleghi i quali vennero ad osservare il mio infermo, mostraronsi inchinevoli alcuni all' una , altri all' altra morbosità. Valga ciò a chiarirvi , o Signori , se realmente il caso era ed è raro, e quindi degno d’ esservi presentato. Le due forme morbose cui intendo riferirmi sono : il carcinoma, od infil¬ tramento carcinomatoso, e 1’ echinococco del fegato. E per vero il carcinoma dapprima non induce rimarche¬ voli disturbi, e corre i suoi periodi quasi inosservatamente. Giunto però a maggiore svolgimento, vengono in iscena e la difficoltata digestione, e la facilità a restituire dallo sto¬ maco il cibo, e la ripienezza, ed il gonfiore alla regione ipocondriaca destra, ed epigastrica. Indi più innanzi comin¬ cia a soffrirne visibilmente la nutrizione; F infermo assu¬ me un abito cachettico, e poco stante lo si conosce in preda ad una mortale cachessia. L’ infiltramento carcino- Storia d’ echinococco 379 matoso poi di frequente cresce a dismisura , e non poche volte lascia la superficie del fegato in istato di levigatezza, sicché potrebbero nascere dubbiezze intorno alla sua na¬ tura , perchè la regola generale nello sviluppo dei cancro quella si è di presentarsi od a bernoccoli , od a punti ram¬ molliti , siccome negli encefaloidi. Suvvia adunque, nel caso nostro non era ogni ragione di credere si potesse trattare appunto d’ infiltramento car¬ cinomatoso? Occorre però avvisare che P età deli’ individuo, la denutrizione sì esistente, ma non al grado come la si sarebbe dovuta verificare dopo quasi due anni di malattia, eppoi che non era generale ma piuttosto relativa alle parti superiori del tronco; la non ereditarietà sotto qualsiasi rapporto esaminata; la fisionomia del nostro infermo che si mantenne sin quasi agli estremi serena e vivace ; la gio¬ vialità sua, essendo noto che gli affetti di cancro mostransi quasi sempre difficili a trattarsi , irosi , ed intolleranti ; que¬ sti segni ed altri che or taccio, ma che a suo luogo noterò, mettevano in forse la diagnosi di carcinoma. Restava alla per fine quella propria alP echinococco del fegato; e giova ben dire che le note tutte vi corrisponde¬ vano a capello, meno una però, ed era forse la maggiormen¬ te attendibile, quella che da molti sarebbesi detta patogno- monica, vai dire la mancanza assoluta del fremito idatideo, sebbene però mi sappia per fatti proprii e d’altrui che può mancare e manca, per ragioni meccaniche particolari. Gollegando la mancanza però di questo sintoma precipuo, collo sviluppo straordinario del tumore, raro anzi raggiunga tanta mole per idatidi del fegato ; e pur posto mente che non verificavasi ne’ primordj de’ nostri esami nè fluttua¬ zione (che apparve soltanto dopo non poco tempo) nè ef¬ fusione sierosa nella cavità addominale, mi tenni un po’ guardingo ad accogliere francamente questa diagnosi, seb¬ bene la vedessi molto probabile, e solo apertamente la pro¬ nunciai dopo avere osservato ed un fatto particolare che or vado ad esporre, ed in seguito ad un’ ultima riflessione che feci , la quale nell’ escludermi il cancro , mi poneva a galla quella dell’ echinococco, e che mi par giunto il tempo di chiarire. Febdinando Verardini Il fatto speciale cui accennai me Y offerse P amico e Collega carissimo il Prof. Cav. Brugnoli, il quale, certo dì, visitando meco il Trebbi, e rinnovando gli esami da me e dagli altri praticati , ebbe ad avvertire in un punto a sinistra, non molto distante dall’ apofìsi mucronata, un fremito speciale, laonde egli perciò si sarebbe pronunciato dell’ avviso che il male del Trebbi , fosse da ascriversi a tumore per echinococchi del fegato. Ma a maggiore diluci¬ dazione propose nullameno un mezzo il quale reputo ne¬ cessario riferire perchè ingegnoso e molto razionale, tanto più che replicatasi la percussione non fu più possibile riu¬ dirsi nè da lui nè da chicchessia quel rumore avvertito poc’ anzi. Suggerì d’ impiantare un ago da agopuntura nella località ove riteneva aver rilevato il fremito, ed insinuarlo profondamente, avvisando che se Y ago attraversava colia sua punta sempre un corpo compatto ed uniforme, la parte che rimaneva esterna sarebbe pur rimasta salda e ferma, nè avrebbe permesso alcun movimento d’ inclinazione. Se per lo inverso perveniva in una cavità o vasca, allora le diversioni riuscite sarebbero facilmente. Datici alla prova notammo veramente come 1* ago im¬ piantato dava appunto luogo ad inclinarsi con facilità, e pa¬ reva proprio che il suo apice pescasse in un vano; laonde sia per quest’ esperimento, sia per avere sempre meglio pesate le ragioni cumulativamente esposte, e massime va¬ lutata questa circostanza, che volli tenere in serbo in or¬ dine alla disposizione prefissami del mio discorso, voglio dire al carattere particolare d’ essersi sempre mantenutele defecazioni nel nostro infermo normali tanto per qualità , che per quantità ( cosa certo che non sarebbe occorsa qua¬ lora avessimo avuto a fare con un’ affezione cancerosa epa¬ tica) ammisi nettamente diagnosi di cisti idatidea del fegato. Innanzi però che prosegua oltre nella mia istoria, e raf¬ fermi ineluttabilmente il diagnostico per nuove propizie oc¬ casioni , mette bene Vi narri o Signori un curioso accidente che nacque poco dopo avere impiantato 1’ ago nel posto che dissi , ed è questo: il Valentino si fece smanioso, an¬ sante, sudante, diceva sentirsi mancare, e di fatto venne Storia d5 echinococco ec. preso da lipotimia assai grave. Ebbe conati di vomito, e vo¬ miti ; abbassamento di temperatura grandissimo, collapso generale, fisionomia ippocratica. Ricorsi subito a9 mezzi prontamente eccitanti ed irritanti, vai dire all’ etere, all5 ammoniaca, alla senapizzazione vo¬ lante, al riscaldamento artificiale, e nello spazio di circa un5 ora ebbi la compiacenza di ricuperare il mio infermo perfettamente. Ma come diaci ne, dissi allora fra me e me, può esser nato questo sconcerto ! C5 è inai dubbio che la punta dell5 ago avesse ferito una qualche diramazione ner¬ vosa importante nel dirigersi verso quel vuoto in cui pa¬ reva fosse penetrata? Il tenni quasi per fermo, ed in ap¬ presso poi, e fatta che m’ ebbi (pur troppo) la necroscopia alla salma del povero Trebbi, ho dovuto ben anco reputare che la punta di quell’ago entrò probabilmente quella por¬ zione di cisti che sporgeva alla sinistra dell5 epate, e comé si rileverà dalla narrativa e si vedrà dal disegno che vado a presentare da qui a poco. Ma tornando la donde mi partii, avviserò che la propo¬ sta Brugnoli essendo stata per me di gran peso, dopo al¬ cuni giorni volli ritentarne, con molte cautele, la prova, e rilevai la medesima sensazione , ottenni identico risulta- mento, ma non ebbersi a verificare sconcerti da parte del- 1 infermo, il quale, lo dico ora per sempre, durò tran¬ quillo e speranzoso quasi fino agli estremi momenti di suo vivere. E per vero tornava della massima necessità d’appurare nel modo migliore la diagnosi d5 infiltramento carcinomato¬ so, da quella d5 echinococco, mentre in quest5 ultimo caso ci poteva essere lusinga di salvare l5 infermo; e qui dirò di sfuggita che non sono trascorsi neppure due anni e n5 avem¬ mo un fatto luminosissimo in questo medesimo Spedale nella persona di certo Novelli Alessandro, facchino, d5 anni 30, che entrò la Sala fisica Brugnoli il 26 giugno 1863, e n5 esci m via di completa guarigione il 20 ottobre dello stesso anno. Il collega chiarissimo, fatta diagnosi d’ acefalocisti del legato, a forza di caustici P uno all’ alto soprapposti entrò ' tumore, lo svuotò, e mi consegnava nel settembre il suo 382 Ferdinando Verardini infermo con una semplice fistola a pochi centimetri dalla linea alba, a destra, non molto profonda, che mandava però un icore nauseabondo. In allora io credetti praticare delle injezioni dapprima detersive,' poscia con tintura di Iodio, allungata con molt9 acqua, e soccorsi la sua poca nu¬ trizione coll9 olio di fegato di merluzzo. Ora il Novelli è sano e robusto, e ripigliò il suo faticosissimo mestiere (1). Pervenuto a questo punto, parmi sia cosa degna a con¬ forto di tutto che soggiungerò sulla cura la quale usai nel nostro infermo, il Trebbi, oltre l9 esposto brevemente qui sopra, che pur riferisca alcuni cenni storici a maggior gua¬ rentigia di quanto si venne operando. Sino all9 anno 1825 gli ammalati per idatidi di fegato erano per lo meglio lasciati a loro stessi ; se non che es¬ sendosi verificata qualche circostanza in cui il tumore erasi aperta spontaneamente una via all9 esterno, attraversando organi e tessuti, e quindi che con ciò l9 ammalato crasi ricu¬ perato, il Recamier con bell9 ardimento fecesi ad imitare la benefica natura, e colla potassa caustica arrivò a destare dapprima un processo infiammatorio, il quale chiamava di qualche guisa il tumore verso la periferia del corpo, ren¬ deva aderenti le superficie del tumore stesso alle pareti interne dell9 addome o del torace, indi penetrava nella ci¬ sti e la vuotava. Dopo di lui ed il Begìn , ed il Graves , pseferirono di penetrare nella cisti dividendo a strati a strati le pareti sino a pervenire a dar esito alle liquide raccolte interne. Dirò ancora che il Jobert de Lamballe trovato il punto che corrispondeva quasi al centro del tu¬ more, francamente v’ impiantava un trequarti sottile, ed eva¬ cuava così il liquido, coll9 avvertenza però che lasciava dopo in posto il trequarti medesimo, per la ragione che (1) Anche il colto medico doti. Cesare Belluzzi il 17 febbraio 18A9 lesse in quest’ Accademia dell’ Istituto la storia ragionata di due infermità prodotte da ascessi posti entro V addome , e mediante 1’ applicazione del cau¬ stico alla Recamier , ottenne in una di esse 1’ apertura della cisti di un echi¬ nococco del fegato, e la guarigione dell* infermo. Storia d5 echinococco ec. 383 quel corpo estraneo destasse un grado d’ infiammazione adesiva. Ebbene, Signori, tornando al nostro infermo, sappiate che coll’ andare del tempo, e per progressivo infiacchimento della fibra organica del povero Trebbi, e per vieppiù no¬ tevole denutrizione eransi renduti meno tesi i rapporti dell’ enorme tumidezza descrittavi cogli organi intra-toracici ed addominali, di maniera che ne riesci poi manifesta una profonda fluttuazione che accennava sicuramente ad un li¬ quido contenuto in una o più cisti. Ripeto però asseve- rantemente che il fremito idatideo noi potemmo mai rile¬ vare, come lo si suole per lo più in fatti identici ; e ciò valga tener fermo onde non attribuire in analoghi incon¬ tri troppa importanza a questo segno. Ma in qual pun¬ to trovavasi quel liquido cui allusi or sopra? Probabilmen- . te nel parenchima epatico, e molto all’ interno. Posto ciò, ne sembrava discendere per giusta illazione che doveansi tentare que’ ripieghi ai quali altri avevano avuto ricorso in casi consimili, e qualche volta, come accennai, con succes¬ so favorevole, vai dire ai caustici, pel motivo di tentare di sviluppare un grado infiammatorio che rendesse di qualche guisa il tumore aderente alle pareti interne, e per seguir poi quella via onde penetrare più facilmente in cavità. E di grazia, Signori, quale altra cura potevasi tentare nel caso nostro? Ve n’ era forse una più razionale di quella infuori di procurare il vuotamelo delle cisti? Potevasi pen¬ sare sodamente a venire a capo ad alcun che di bene mediante una cura interna? Mai no. Anzi su questo pro¬ posito e per esser breve, e non tornarvi più sopra, accen¬ nerò che tranne d’ avere prescritto al Trebbi delle pillole composte di estratto di cicuta e sapone, come deostruenti e lievemente purgative, ed allorquando si presentarono i fenomeni della Bronco-pneumonite che 1’ uccise, d’ aver usato le polveri del Dovver, ed un lambitivo comune, nin¬ na altra medicina apprestai, come che niun’ altra reputai potesse proficuamente tentarsi, posti quegli estremi, e po¬ ste quelle disperate condizioni. Applicai adunque la pasta di Vienna in quelle località 384 Ferdinando Verardini appunto che ebbi per meglio acconcie a penetrare il tu¬ more, ed un bel giorno nel momento che un caustico po¬ sto alla base destra del torace, all* esterno ed in vicinanza del margine del gran lobulo del fegato, lo viddi assai ap¬ profondato, pregai il distinto collega Sig. Dott. Loreta , valentissimo Chirurgo Primario nello Spedale, a visitare meco 1* infermo per udire se egli concorreva nel mio pa¬ rere: quello voglio dire di tentare di penetrare con un sot¬ tile trequarti in cavità, fatto riflesso che pigiando con forza di contro all’ escara coll’ apice dell’ indice, notavasi una tal quale elasticità che poteva ritenersi dipendente da ondulazione per liquide sostanze sottoposte. Ci trovam¬ mo su tutto in accordo, ed il Loreta stesso gentilmente si prestò a quell’ atto operatorio, di cui nullameno il ri¬ sultato riesci negativo, stante che tranne poche stille di sangue, nuli’ altro esci dal cannello dell’ impiantato tre¬ quarti. Notò ancora il lodato chirurgo che la sensazione da lui provata nel pungere il tumore, fu precisamente quel¬ la che si rileva trapassando un corpo compatto ed uniforme; laonde ne deduceva saviamente che il liquido raccolto in cisti esser doveva ben molto profondo. Tornato vano questo esperimento, e non avendo 1* in¬ fermo risentito molestia veruna, dopo trascorsi una quindi¬ cina di giorni, e presentandosi indizi viemmeglio persuadenti intorno 1’ esistenza di una liquida, sebbene profonda rac¬ colta, in allora ci consultammo nuovamente col Loreta , ed escimmo in questi ragionari : se 1’ ammalato lo lasciamo a se medesimo, dicevamo, la morte è sicura ; liquido inter¬ namente racchiuso esiste indubbiamente ; se possiamo quin¬ di riescire a cogliere nel punto dove esiste la cisti, e sia permesso penetrarvi, v’ è anche probabilità di buon esito ; al centro e poco discosto dalla cartilagine mucronata, av- vertesi ora più sensibile la fluttuazione; dunque ne pare ragionevole e sano consiglio di venire ad altra e piu ar¬ dita operazione giovandosi del coltello, ed eseguendola a strati a strati, con tutta circospezione, e regolandosi a te¬ nore degli eventi per veder pure di ottenere il desiderato scopo. Storia d5 echinococco ec. 385 Facemmo caso ancora che non v5 era tempo da perdere, sinché le forze organiche e lo stato del nostro infermo il permettevano, altrimenti V operazione sarebbe stata disap¬ provata da ogni esperto chirurgo. Rassecuratici entrambi mercè le riflessioni sommariamen¬ te^ avvertite, e più per la persuasione che se anche que¬ st’ atto operatorio fosse riescito frustraneo, non avrebbe neppure potuto recar grave danno al malato pel modo con cui lo si sarebbe eseguito ; pochi giorni dopo, e trovando disposto V operando, il Loreta. , chiamato anche il suo abi- lianmo assistente Sig. Dott. Riccardo Mìnelli ( ora assistente alla Umica Chirurgica), lo attuò del modo che scendo a dire. Fece un’ incisione obbliqua, lunga circa sei centimetri, dall alto in basso, e dall’ esterno all* interno, a due diti trasversi dal margine del muscolo letto-addominale, e ad uno, sotto l’arco costale destro; posizione ove ne appari¬ va piu manifesta la profonda fluttuazione. Col primo taglio venne divisa la pelle ed il tessuto sottocutaneo ; poscia0 fu pur divisa 1 aponeurosi, a mano sospesa, e con questa ri¬ vi*!!™, TaCT due arteriuzze che erano rami di termina¬ zione delle ultime intercostali, le quali tosto s’allacciarono onde impedire anche minimissima perdita di sangue. Poscia LnT * Strat° ÌnCÌS6r0 1 muscoli lar§hi addominali, sino a scuoprire 1 aponeurosi che profondamente passa die- soHevat»*»»5 addominale per costituirgli la vagina. Questa sollevata e scalfita, fu essa pure incisa colla scorta d’ una tepta scannellata e per tal guisa ebbesi a nudo la la¬ mina esterna del peritoneo. A questo punto 1* operatore ditoTl n4net C°rteSemente volle che esaminassi anch’ io col me ne veniva °COpert0’ SU manifestassi la sensazione che vaia da Ini T I|°rf T,fiT se cSuale essa era alla pro¬ re,, 7 U,\TafIlata la PelIe> divisi i muscoli eie aponeu- sate resEt nt* ^ COntro al Peritoneo, doveasi per le ces- moltn f ,qUant° Sembrava’ ^ntire meglio e non cisti idatide M In°g0 .ove doveva essere innicchiata la in cavità n /gnt0n "0! rapÌCe del1’ indice «Pi"40 brana l’iL T ° permetteva l’elasticità della mem- peritoneale, avvertiva un corpo duro e resistente T’ ,v‘ 49 386 Ferdinando Verardini che era il fegato, e non si percepiva alcun indizio se non «e lontano dell’ umore nascosto. Quindi occorreva trapassare quella porzione di lobo anteriore del fegato che corrispon¬ deva alla fatta apertura, ed andar poi in cerca della cisti, loc- chè non era certamente a parer nostro sanzionabile. Questo verificai io stesso, come ho detto, ed il Loreta, e gli assi¬ stenti dello Spedale, ed i giovani che trovavansi presenti all’ operazione, per cui credemmo dover desistere da ulteriori tentativi, e limitarci a procurare la riunione della ferita. Per¬ ciò il Loreta credette di ravvicinarne i bordi con una su¬ tura clavata, e coadiuvarla con soprapposizione di sfila un¬ guentate e con compresse, come pure con adatta fasciatura. Fatto è che il nostro Trebbi circa in una ventina di giorni tornò nel suo stato ordinario ; la ferita erasi cicatrizzata, e non aveva che un caustico ancora in via di poca suppura¬ zione. Riescita vana anche questa prova non rimaneva altra cosa a farsi dal medico, ne sembra, se non sorreggere il morale dell’ infermo, e con quella savia prudenza che dee guidare il pratico, alimentarlo convenientemente, ed aspet¬ tare, pur troppo, d’ assistere ad un esito letale. E per vero questo non tardò molto ; chè il Trebbi avvertì poscia man mano una maggiore difficoltà di respiro, indi una sensazio¬ ne di doglia e peso dal sinistro lato del petto ; ebbe tosse, e vidersi sputi purulenti ; si fece tardo a rispondere, ebbe vaniloquii, e finalmente venne meno del tutto alla vita, 10 gennaio 1865 alle ore 11 antimeridiane. Il giorno successivo, nella camera mortuaria dello Spe¬ dale, ai tocco, presenti varj assistenti e pro-assistenti, si aprì il cadavere del Trebbi, ed in adesso o Signori mi fo a narrarvi i rilevanti risultati che ci vennero offerti dalla necroscopia, e che rendono vieppiù interessante quest isto¬ ria, come che li reputi non comuni, ma rari, e perchè chia¬ riscono in gran parte le antecedenti dubhietà. Aperto il cadavere ( che era molto emaciato ) nella linea mediana, levato lo sterno, allontanate le coste e tr0“^' tele, allacciato il tubo intestinale al disopra subito dello stomaco, che era piccolo ed urtava contro lo splene, e pur allacciato il retto intestino a pochi centimetri dall aper- Storia d’ echinococco ec. 387 tura anale, si tagliarono colle forbici le tuniche intestinali medesime al disopra de5 lacci, e così si levarono di posto tutti gl’ intestini, per aver campo di meglio esaminare que’ visceri che più a noi premeva studiare. Si noti che nel cavo addominale eravi pochissimo stravaso sieroso. Fatto ciò appariva il fegato di un volume enorme, e presentava aderenze della sua superficie convessa col dia¬ framma, e tali da essere difficile toglierle, ma si tolsero del. tutto. Il diaframma vedeva?! di color rosso cupo, assai injettato, e turgida 1’ arteria diaframmatica superiore. Al diaframma aderiva fortemente il pericardio ( che conteneva non piccola copia di liquido color citrino ) e nella sua parte inferiore e laterale destra quasi poteva dirsi che si compenetrava nella spessezza di questo muscolo. Le pleu¬ re pure nelle loro superficie inferiori s’ univano al dia¬ framma. Il cuore era piccolo e flaccido, nè dava a dive¬ dere alcun’ anomalia di struttura. I polmoni tutti e due erano piccoli, schiacciati, massime il sinistro che nella sua parte esterna e media, e nel lobo inferiore mostrava un focolajo di pneumonite bianco-grigiastro, anemico, di con¬ sistenza carnea, e nel quale si rinvennero infiltrate abbon¬ danti cellule di pus; locchè indicava che era passata allo stadio suppurativo. Questa particolarità anatomica è d’ un pregio rilevantissimo; laonde stimai cosa degna far copiare anche il lobo di polmone al quale allusi, e pur il punto ove rinvenni la pneumonite sinistra ; e già Vi mostra tutto ciò, o Signori, la Tav. 2.a fig. 2.a che avete innanzi. Ri¬ masto in sito il fegato, si scorse che nella sua parte an¬ teriore era levigato, di colore scuro, e nella faccia conca¬ va esistevano due grandissime cisti d’ echinococco ( fig. 1 .a a a) ed alcune, nove mi pare, piccole e libere, , una delle quali ho conservato nel vasello che ora presento. Ma di questo viscere che Voi, Signori, vedete copiato ( ad un quarto però sempre di sua grandezza naturale, come avvertii) nella Tav. 2.a fig. l.a permettetemi che discenda a più minuti particolari, essendo per se il fatto maggior¬ mente rilevante di questa mia povera istoria clinica. Sappiate adunque che il diametro maggiore trasversale Ferdinando Verardini del fegato era di centimetri 35 ; il verticale del lato de¬ stro 28 centimetri ; ed il diametro maggiore verticale del lobo sinistro centimetri 17. La sua spessezza maggiore rin- venivasi sul legamento falciforme, ed era di 14 centimetri, nella sua parte media. Il peso del fegato era di 5 kilogrammi e 525 grammi, senza le cisti, le quali erano del peso complessivo di kilo¬ grammi 3 e 30 grammi, sicché in tutto raggiunge vasi 1* in¬ gente peso di kilogrammi 8 e grammi 825 ; locchè parmi ed è veramente cosa piuttosto unica che rara, e mostra ben evidentemente quale distensione e pressione doveva esercitare quel gran volume nelle parti che lo conteneva¬ no, e sugli organi che comprimeva. Aggiungerò pur anco che la circonferenza massima di tutto il tumore, vai dire dall’ una all’ altra cisti, che come vedete dal disegno* e lo dirò più oltre, sporgevano da ambo i lati del fegato, que¬ sta circonferenza era di 68 centimetri. Queste misure sono esattissime, e vennero verificate dall’ egregio collega ed amico il Taruffi , Professore d’ Ana¬ tomia Patologica in questa R. Università, non che dal suo abilissimo dissettore il Dott. Trebbi . Riferisco queste testi¬ monianze al solo fine d’ escludere che per parte mia po¬ tesse esser nato qualche sbaglio, avuto riguardo alla mera¬ vigliosa estensione del tumore di cui ho parlato sin qui. Dirò di volo, per seguitar poi oltre la descrizione di que¬ sto importante pezzo patologico, che la milza ( Vedi Tav. 2.a fife* 3.a ) era del volume poco più del normale, di colore però assai fosco, ed il suo peso raggiungeva 280 grammi. I reni erano ingrossati, un po’ ipertrofici, ed aperti nel mezzo vedevasi un injezione venosa marcatissima ed i tu- boli assai dilatati. La fig. 2.a della Tav. l.a rappresenta un rene intatto; la fig. 3.a un rene aperto. La ragione di ciò io la deduco dalla forte pressione che doveva esercitare il tumore sulla cava ascendente, quindi 1* ipertrofia renale. Finalmente avvertirò che i reni pesavano 433 grammi. Ora più particolarmente de’ rapporti in cui erano le due cisti d’ echinococco prolifero colla faccia concava del fe¬ gato. Una cisti, la minore di grandezza, era sinistra ed oc- Storia d9 echinococco ec. 389 cupava la faccia concava del lobo sinistro del fegato, il quale era sottile come membrana, in grazia della disten¬ sione patita dal parenchima epatico. Il margine acuto era pel tratto di un tre centimetri dall9 avanti all9 indietro, e dal basso all9 alto, di densità naturale. La cisti sporgeva oltre il lato sinistro del fegato di 6 centimetri; a destra si estendeva al di là del solco longitudinale destro, ove confinava in alto colla cisti d9 echinococco destra ; in basso lasciava scoperta la metà destra della fessura trasversale, e passando sopra l9 ingresso de9 vasi epatici, veniva a cuo- prire la sinistra e maggiore porzione della fessura trasver¬ sale is tessa, ed il plesso nerveo-vasale. Si riconduceva poi al sinistro Iato, lasciando scoperto il bordo acuto del fe¬ gato a cominciare dalla metà d9 altezza dell9 eminenza por¬ ta anteriore, e vicino al lato destro della cistifellea, la quale non presentava sotto nessun rapporto alcuna anomalia. La cisti destra, che era la maggiore, occupava la porzione superiore e posteriore della faccia concava del lobo destro epatico; ne sorpassava a destra il margine per circa 8 centimetri; a sinistra trovavasi a contatto coll9 altra cisti, ed aderiva al fegato per una linea curva a convessità de¬ stra, la quale passava in alto oltre l9 estremità superiore del solco longitudinale destro, dividendo così l9 eminenza porta posteriore in due : una destra inferiore, lobulo cau¬ dato, l9 altra sinistra superiore, lobulo mammillare dello Spi- geho, ed in basso recavasi a destra per una linea anch9 es¬ sa curva a convessità anteriore, lasciando scoperta la metà anteriore della faccia concava del lobo destro, e buona por¬ zione del lato destro istesso; parti tutte eh9 erano rendute di maggiore spessezza per Io spostamento subito dalla so- stanza epatica medesima. Il bordo ottuso poi di questo obo era tutto invaso dall’ echinococco e ripartito in due appendici : la destra cui aderiva il legamento triangolare o laterale minore; la sinistra che, siccome un’ isola staccata «lai legato, presentava la porzione mammillare del lobo Spi- gelliano, con un tratto di cava ascendente. Si faccia caso come tra le pareti toccantisi, e precisamente fra la mem¬ brana avventizia e la propria delle due cisti (le quali nel 390 Ferdinando Verardini loro punto mediano si erano fuse, in seguito, a quanto pa¬ re, d’ un processo adesivo infiammatorio ) fu rinvenuta una non piccola quantità di pus, come la risultò tale anche osservata sotto le lenti del microscopio; e le due cisti erano ad immediato contatto del parenchima epatico al disotto della capsula glissoniana. Le diramazioni, dirò da ultimo, arteriose non erano alterate, motivo pel quale non avemmo durante la malattia del Trebbi nè marcata itteri¬ zia, nè ascite, e le funzioni del tubo digerente eseguiron- si può dirsi fisiologicamente sin quasi agli estremi. Tolte le cisti rimanevano i vasi allo scoperto, e deve essere no¬ tato che quelle contenevano liquido citrino in gran copia, ove si rilevarono colle lenti molti e moltissimi uncini ap¬ partenenti alla tenia echinococco. La sostanza del fegato nella sua parte anteriore non aveva sofferto gravi altera¬ zioni nella propria struttura organica, e vedevansi, esami¬ nate coi microscopio, le cellule epatiche ; ragione anche questa, mercè la quale spiegasi il perchè non fossero, co¬ me ho detto, di molto disturbate le funzioni digestive ed eiiminative. Dall’ intera descrizione adunque, o Signori, anatomo-pato- logica del caso clinico che mi appartiene, parmi, se inai non m’ appongo, trovino illustrazione e schiarimento le co¬ se notate nell’ istoria che raccontai : e specialmente hanno piena ed intera giustificazione le dubbietà che si ebbero intorno il diagnostico in sui primi dì, ne’ quali intrapren¬ demmo la cura dello sfortunato nostro infermo. E per vero, in grazia della ' posizione che occupavano le cisti idatidee spiegasi a posteriori come il povero Trebbi avvertisse dapprima una sensazione molesta alla regione iponcondriaca sinistra, punto ove si sarà svolta la prima ci¬ sti, e si trasportasse indi al lato destro, ove fecesi mag¬ giormente incomoda ; di fatto la cisti destra era anche vieppiù sviluppata dell’ altra. Lo svolgersi di queste due cisti procurò poscia una distensione stragrande del fegato ; indi nacquero le aderenze di questo viscere col diaframma ; del diaframma colla base delle pleure che cuoprivano i pol¬ moni ; delle pleure stesse lateralmente colle coste; della Storia d’ echinococco ec. 39t superficie inferiore del pericardio colla convessità del dia¬ framma; della quasi fusione, anzi fusione delle membrane delle cisti fra loro, sicché da tutto ciò, e per la grandissi¬ ma costipazione di tutte parti ne veniva, può dirsi, che i visceri principali formavano comechè un sol masso, laonde era impedito di udirsi quel fremito speciale, che facilmente ci avrebbe, e quasi con certezza, guidati a stabilire di subito e nettamente la forma patologica che avemmo alle inani. Questo fatto morboso ho fede sia adunque per tornare profittevole alla pratica ed alla teorica, e reputo possa ser¬ vire ancora di norma in analoghe circostanze per istudiare se potesse riescire fattibile il tentativo di dar esito al li¬ quido raccolto, non dalla parte anteriore, ma sibbene dalla posteriore; e certo se noi fossimo stati edotti della postura in cui si trovavano le cisti, avremmo potuto recare un sol¬ lievo e forse la guarigione al nostro Trebbi. Ma nessun argomento avemmo che a ciò ne guidasse ; sicché ritengo non sia da disapprovarsi il nostro operato, e ci auguriamo che la presente narrativa servir possa di norma per lo avvenire. Pervenuto al fine di questa mia prima istoria clinica, parmi utiì cosa d’ accennare con poche parole ad un av¬ vertenza profillatica che può divenire di -grande pratica uti¬ lità, ed è la seguente. Siccome oggi la Scienza positivamen¬ te ne ammaestra come Y echinococco non sia che un gra¬ do di passaggio dello sviluppo della tenia, e che forma quasi V embrione di questi parassiti intestinali ; e siccome è noto che i cani albergano in loro fàcilmente la tenia, così ne viene di conseguenza la necessità di sorvegliare questi animali domestici, e tenerli lontani, in ispecie, dai macelli, ove potrebbero mangiare carni contenenti cisti ( come fegato di bue o cervello di pecora ) e rendersi con maggiore facilità infermi di tale malattia. I cani evacuando le materie intestinali depositano numerose proglottidi o porzioni di tenie, le quali contengono gran numero di ova, che sparse nei prati ed inghiottite dagli animali erbivori, si svolgono in loro, e nati che siano poi gli scolici, vanno questi a fermarsi in qualche parte interna dell* animale medesimo formandovi dei cìsiicerchi , dei cenuri ec. Le carni 392 Ferdinando Verardini di questi animali mangiate non ben cotte dall’ uomo, e quindi contenenti ancora dei germi atti a svilupparsi, si possono questi germi depositare in qualche suo viscere, per lo più nel fegato o nei polmoni, e produrre delle ve¬ sciche d’ echinococco, de’ cui guasti e sconcerti nel loro svolgersi ed ingrandirsi ne avete ascoltato, o Signori, un esempio, certo rarissimo e luttuoso, riportato da me seb¬ bene con meschine e disadorne parole. L* altro importantissimo caso clinico, me F offerse, nel mio compartimento donne, certa De Maria Innocente, in età d’anni 22, e servente di professione. Essa era di buo¬ na derivazione, di costituzione robusta, di media statura, ben proporzionata, a capegli color castagno cupo, ad occhi neri, ed aveva regolari fattezze di volto. Fu menstruata per la prima volta a quattordici anni, ed indi furon regolari i suoi catameni tanto per F epoca, quanto per quantità, qualità, e durata. Seppesi che le sue abitudini erano buo¬ ne, e che nel corso di sua vita non ammalò se non per lieve tonsillite, e per pleurite reumatica sinistra, la quale ultima malattia non lasciò traccia veruna; e pur seppesi che per gravissimo patema d’ animo era da mesi trista e melanconica. Alcuni giorni prima d’ essere accolta nello Spedale Maggiore, e fu F undici novembre 1864, si rese vieppiù taciturna, e venne tormentata da un senso d’ op¬ pressione doloroso all’ ipocondrio destro. Si fece itterica, ebbe febbre, vomiti, stitichezza. Visitata a casa dai collega Dott. Cesare Belluzzi , giudicò il male per un’itterizia gra¬ ve, siccome leggevasi nel modulo d’ ammissione che aveva seco F inferma. Esposte queste poche, ma importanti cose relative al- F anamnesi, m’ inoltro nel racconto e dico in breve i risul¬ tati che ne vennero in seguito dell’ esame obbiettivo fatto da me entro lo Stabilimento. Il colore di tutta la superficie cutanea del corpo era a tinta giallo-fosca ; gialle le congiuntive ; il pannicolo adipo¬ so floscio ; fisionomia abbattuta ; giaceva in letto supina ed abbandonata ; rispondeva con lentore, però abbastanza adeguatamente ne’ primi due giorni ; dopo si rese del tutto Storia d* echinococco ec. 393 comatosa ed apatica. II torace era bene sviluppato, regolare e sonoro in ogni lato; i toni cardiaci regolari; tutto che riguardava la respirazione poteva dirsi normale; pur la pel¬ vi normale ; gli arti superiori ed inferiori in perfetta rela¬ zione del suo corpo, o meglio statura; aveva febbre; ca¬ lore periferico aumentato ; pulsazioni a 1 05 e più ; regolari per ritmo; la percussione era mal tollerata all’ipocondrio destro, e rilevai allora impiccolimento del volume del fe¬ gato, sia nel suo diametro verticale, che nel trasverso; milza normale. Continuava 1* inappetenza, e pur durava il vomito poco dopo introdotti i cibi nello stomaco. Tutti questi fenomeni morbosi attrassero particolarmente la mia attenzione, e massime 1’ impiccolimento epatico, e ini destarono 1’ idea che il male della De Maria fosse un Ittero maligno, o chiamandolo del nome moderno un’ Atro¬ fia giallo-acuta del fegato. Questa diagnosi fu ben presto da me pronunciata avuto riguardo alle ragioni seguenti : l.° Al volume del fegato, il quale come dissi era minore di quanto gli competeva ; e aggiungo ora che con rapidità straordinaria diminuiva giorno per giorno a modo che la non si può creder per vera se non da chi abbia 1’ oppor¬ tunità di cerziorarla di per se medesimo : 2 ° AI colorito itterico giallo-fosco che presentava 1’ in¬ terrila, e non in relazione collo sviluppo di una semplice ittenzm da epatite, e ne’ primi giorni del suo corso: ó. AI dolore fortissimo nella regione epatica: ferma ^ apparenZe comatose e tifiche che mostrava 1’ in- Ammesso tale diagnostico occorreva scegliere qual via tosse a percorrersi avuto riguardo alla divergenza d’ opi- Z m"d,C1.intorno Ittiologia dell’ atrofia giallo-acuta el tegato. Ma siccome non intendo di voler qui porvi nnanzi, o Signori, le varie dottrine che corrono, mentre so di parlare a saggi che ben le conoscono, ed anche per¬ dei r™e[ehhe™ inopportune dopo i recentissimi lavori riLnT^ 6 deI B/USn°lÌ (avend°le anzi quest’ultimo assunte con particolare esattezza, e pur riassunti i pochis- T- IV- 50 394 Ferdinando Verardini sirni fatti che noi abbiamo del morbo di cui sto ragionan¬ do ) così per 1’ uno e l’altro motivo sarebbe ora la mia una ripetizione che tornerebbe qui per lo meno vana. Dirò tutto al più bensì che alla dissertazione del Brugnoli die¬ dero impulso due casi speciali, eh’ ei pure osservò nel- P andato anno nel nostro maggiore Nosocomio, ed uno di questi era a tutt’ oggi per la Scienza forse il fatto più bello che fosse stato descritto. Ma il caso clinico che mi riguarda lo pone in seconda riga, e primeggia su questo e su quant’ altri, in Italia almeno, sin’ ora accertati sono e posti a nostra cognizione ; e ciò, o Signori , il toccherete ormai con mano. Questo io dico francamente perchè a me non torna nè in lode, nè a biasimo, e dipende dal mero caso; quel po’ di merito che può venirmene, sarà per non averlo lasciato andar perduto, sibbene invece d’ averlo ac¬ colto e mandato alla Storia affinchè lo registri come sesto caso morboso d’ atrofìa giallo-acuta del fegato in Italia, per quanto mi consta. Ebbene adunque ecco Vi presento egregiamente model¬ lato in Scagliola, e colorito al naturale, il fegato preso da quel morbo, il quale modello è lavoro deli’ abilissimo artista e disegnatore il Bettini , che co’ suoi preparati , massime in cera , riscuote 1’ ammirazione di chiunque vi¬ siti i nostri Gabinetti d’ Anatomia fisiologica o della Pa¬ tologica. Questo esemplare, veramente tipico, intendo porgerlo in dono alla Società Medico-Chirurgica nostra , affinchè sia deposto nei suo Gabinetto d’ Anatomia Patologica ed in memoria di me che tanto amo ed apprezzo anche quel Sodalizio scientifico; mentre poi per questa celeberrima Ac¬ cademia rimarrà, oltre 1’ illustrazione che passo a descrivere del pezzo patologico, un disegno a chiaro scuro per cor¬ redo di questa Memoria, qualora Voi , e ben me 1’ auguro, le facciate buon viso. Ciò posto torno al mio racconto, ed il ripiglio proprio laddove asseriva esser difficile scegliere una via per la cuia dell’ atrofia giallo-acuta dei fegato, ed aggiungo adesso, tanto più che formulata la diagnosi per bene, il pronostico rie¬ sci sempre sin ora fatale. Storia d’ echinococco ec. 395 In ogni modo, ritenendo io francamente 1’ Ittero maligno essere conseguenza d’ un’ infiammazione intensissima del- P organo fegato, seguii quelle regole terapeutiche le quali di conserva ne discendevano ; e le prescrizioni consistettero precipuamente nell’ uso interno e ad alta dose del calome¬ lano ; nell’ applicazione di sanguisughe ai vasi sedali, alla località malata, ai processi mastoidei; in un salasso dal braccio; in senapizzazioni volanti; e da ultimo a qualche mistura ricreante. Tutto questo però riesci indarno, mentre il morbo corse con precipizio ali’ estremo fine, e lo rag¬ giunse di fatto in otto dì. In tale breve periodo, volentieri il ripeto, giorno per giorno sensibilmente rimpicccolivasi il fegato, e di pari modo la nostra ammalata s’ alterava vieppiù nelle sue fa¬ coltà mentali , addiveniva profondamente comatosa , e sol¬ tanto dava segno, di dolore, se veniva tocca con certa forza alla regione epatica; perdeva li polsi, non poteva cibarsi, e la cute acquistò da ultimo un color giallo sì intenso che richiamava nel vederla 1’ idea d’ una statua a color bronzo d’ oro. Stimo cosa degna ricordare ancora, che le dejezioni alvine furono sempre scarse, non liquide, e neanche di co¬ lor bianchiccio, sibbene piuttosto nerognole; come pure che scarse, torbide e cariche di pimmento biliare si trova¬ rono le urine. Ora prima che venga a tesservi il succinto dettaglio delle poche, ma assai rilevanti particolarità che riguardano il reperto anatomico, ed indi porga la fedele descrizione dell’ alterata struttura e delle condizioni anatomo-patologi- che in cui rinvenni il fegato, permettetemi Vi riporti un fatto registrato dal eh. JSIamias nel Giornale Veneto di Scienze mediche a pag. 644. Decembre 1864, occorso al- 1’ illustre Oppolzer nella sua Clinica in Vienna; il quale tornerebbe a conforto di coloro che militano sotto lo sten¬ dardo, e stanno per 1’ opinione che 1’ atrofìa giallo-acuta del fegato occorra per effetto d’ intensissima flogosi di quel- T organo, de’ quali uno mi dichiarai , e mi riconfermo io «tesso. « Si presentò adunque a quella Clinica il 12 febbrajo, 396 Ferdinando Verardini una donna di 28 anni , in grande prostrazione di forze , con tutta la pelle del corpo intensamente colorata in giallo ; lo stesso dicasi delle mucose visibili, bocca, faringe, con va nella fossa sot- il aie,’ e che;’ se nel1’ una orlo interno del colile riduzfnn ? «"redimento meccanico che incontri la ,? oT"ntem J^3’ raPPres?“ta un impedimento consimile ono interno della cavita glenoide. rJl 1UT in0n èJ. v / Calce \ Materie Inorganiche j Potassa / d* Soda 13 \ Carbonati , / \ Magnesia ) 100 L* esservi della destrina e dello zucchero in proporzioni assai marcate, può dare ragione della minore quantità re¬ lativa del glutine rinvenuta, e sopratutto dell’ esservi que¬ sto siffattamente disaggregato ed a molecole staccate, tro¬ vandovi li detti principj senza dubbio per sua influenza formati a spese dell’amido; ciò che verifìcherebbesi ope¬ rando in grande, del pari che se ne avrebbe , oltre la con¬ ferma, la rispettiva di loro proporzione. Ma checché ne sia intorno a questo, la composizione del frumento in esame, cosi svolta e determinata, non dà per certo tutta la ragione della perdita nel medesimo della facoltà germinativa, richie- dendovisi ben altra causa sufficiente e capace di tanto; quindi mi feci a rintracciarla nella struttura organica, e nelle condizioni sue formali , mediante il Microscopio. A tale effetto interessai 1’ amicizia dell5 esimio Dott. Ago¬ stino Rossi Assistente Operatore di Fisiologia, perchè mi coadiuvasse nel bisogno, e mi giovasse colla sua molta pe- nzia in simil genere d’ osservazioni. Il risultato della sua compiacenza cortese vedetelo o Signori nella Tavola che Gaetano Sgargi uo vi pongo sott9 occhio, e che dimostra la struttura compa¬ rativa di un grano di frumento antico dell’ Egitto, e di un grano dell’ attuale nostrano. L9 andamento che si pensò tenere .nell* esame microsco¬ pico divisato, quello si fu di fare una sezione completa dei due grani suddetti , cercando per quanto fosse possibile che le sezioni cadessero sullo stesso piano, a fine di avere un* idea sintetica dei pezzi sottoposti ad esame ; indi unirvi lo studio dettagliato degli elementi rispettivi, per cono¬ scerne la struttura in reciproco raffronto. Così nella Fig. 1. A. che rappresenta la sezione del grano di frumento attuale (sezione praticata nel diametro antero-posteriore del grano stesso, impegnando in questa % circa dell9 embrione all9 ingrandimento di 50 diametri circa), vedete che gl9 involucri constano di quattro strati (1) del- F epidermide , che al vertice del grano porta infissi i peli, (2) dell9 endocarpo , (3) della membrana testacea , (4) della membrana embrionale , costituita di cellule quadrate più o .meno regolari. Nella parte interna o farinacea del grano (5) si osservano i globuli delV amido , fra i quali vedesi inter¬ posto un tessuto di esilissimi fili costituenti la rete gluti¬ nosa. Nella parte inferiore si vede un corpo piriforme al¬ lungato corrispondente all9 embrione , costituito al disopra da cellule (6), le quali altro non sono che il cotiledone , nel cui mezzo risiede il germe > che consta della piumet- ta (7) superiormente, ed inferiormente della radichetta (8). Il grado di coloramento di questo grano è quello che ognuno riconosce nel naturale. Ora facendo un confronto di questa figura colla Fig. 1- B rappresentante la sezióne di un grano di frumento antico, procedendo collo stesso ordine, si vede già a prima vista come i tegumenti abbiano subito un notevole grado di co¬ stipamento per modo che il 2.° strato descritto nella Fig. 1- A più non esiste, essendo avvenuta la fusione del medesimo colla membrana testacea (2). L9 epidermide (1) è intatta, come pure lo è la membrana embrionale (3); se non che le cellule di questa trovansi colorate in giallo-orange. La massa farinacea (4) è tinta in paglierino, e lascia trasparire Processi di degenerazione carbonosa 44 t Ja rete, ed i globuli sopra detti. Inferiormente 1* embrione trovasi costituito nello stesso modo come quello che si è descritto nella Fig. 1» A. Porta della differenza il solo co¬ loramento, che è giallo-orange sul cotiledone (5), e un poco più pallido sulla piumetta (6), e sulla radichetta (7). Venendo ora ai dettagli , per lo studio de’ quali si ebbe ricorso ad un ingrandimento di 300 Diametri circa; la Fig. 2. A rappresentante gl’ involucri del grano attuale, ci mostra 1’ epidermide (1), e 1* endocarpo (2), la membrana testacea (3), e la membrana embrionale (4). Di questi strati il 2.° ed il 4.° mostrano una struttura nettamente cellulare con contenuto granuloso. Nella Fig. 2. B brano di involucro del frumento antico, si vede lo strato dell’ epidermide (1), non più traccia di endocarpo, che come vedemmo si è fuso colla membrana testacea (2), e resta la membrana embrionale (3), colle sue cellule colorate in giallo carico, che in questo caso riesce molto più scuro in seguito del forte ingrandimento dei microscopio. Nella Fig. 3. A , nella quale viene designata la massa farinacea del grano attuale, si vedono distintamente le cel¬ lule contenenti i globuli dell’ amido intersecati dai filamenti proprj della rete glutinosa, la quale sarebbe costituita dalle pareti di grandi cellule, che nel loro interno contereb¬ bero le cellule amidacee. Confrontata questa figura colla Fig. 3. B appartenente al frumento antico * anche in questa si distinguono perfettamente gli stessi elementi, e ne differiscono solo per essere questi maggiormente com¬ pressi fra di loro, e tinti di un colore giallo-scuro. Si vollero esaminare i globuli amidacei isolati, e la Fig. 4. A ci mostra quelli del frumento nuovo. Ai globuli poi si associano alcuni filamenti residui della rete glutinosa ; unitamente ai globuli si veggono dei granuli. I colorati esprimono la reazione del Jodio. La Fig. 4. B ci mostra globuli e granuli dell’ amido nel frumento antico ; solo gli uni e gii altri hanno contorni meno netti ; sono meno trasparenti ; ed al Jodio danno la reazione caratteristica. A questi però non vanno uniti brani t. iv. 56 Gaetano Sgarzi U2 di rete glutinosa, nè fu possibile dimostrarla, quantunque con due punte si agitasse la sostanza sul porta-oggetti. E riguardo agli elementi dell’ embrione, 1’ esame rese manifeste le cellule del cotiledone contenenti una sostanza granulosa , perfettamente somiglianti tanto nel frumento nuovo (Fig. 5. A), quanto nell’antico (Fig. 5. B). Se non che in queste essendo più scure, non trasparisce chiara¬ mente il loro contenuto. Finalmente la Fig. 6. A dimostra gli elementi della piu- metta del frumento moderno ; elementi questi pure di na¬ tura cellulare, che differiscono da quelli della piumetta del frumento antico Fig. 6. B solo perchè in questo trovansi in uno stato di raggrinzamento, e tinti di un colore gial¬ lo-rosso-scuro. Non si sono riprodotti gli elementi della radichetta, per¬ chè analoghi a quelli della piumetta. L’ esame microscopico di conseguenza porta a conchiu¬ dere che Y unica diversità fra il frumento de’ secoli addie¬ tro, ed il nuovo posti al paragone, si è quella che riguar¬ da gl’ involucri, vale a dire la scomparsa dell’ endocarpo; la quale cosa non deve certamente essere di valore, non interessando che un semplice strato degli involucri stessi. Del resto tutti gli altri elementi esistono al loro posto, e soltanto vi si ha una minore cqesione, dello slegamento molecolare, e sono colorati, come abbiamo veduto, in un grado più o meno apprezzabile. Tali osservazioni e confronti mettono nullameno in evi¬ denza della diversità fra 1’ uno dei grani e 1’ altro ; diver¬ sità peraltro che è più visuale che formale ; diversità di coloramento piuttostoqhè di struttura. Nè simile coloramen¬ to è dovuto ad una materia particolare, che inutilmente ho tentato di scoprirla ; e neppure risiede nell’ uno, o nell’ al¬ tro dei singoli elementi separati; bensì egli è un colora¬ mento diffuso, cupo, e quale sembra quello che d’ ordina¬ rio assumono quasi tutte le sostanze organiche, i legni spe¬ cialmente, per la diuturna azione degli agenti esterni, pel trascorrere del tempo, e per particolari condizioni e circo¬ stanze. Il non togliervisi ed il non scemare 1’ intensità di Processi di degenerazione carbonosa 44-3 questo colore per nessun solvente : il persistervi eguale nel¬ lo stesso polverizzamento; 1’ avvicinarsi nell5 apparenza al fatto di una incipiente torrefazione ; sono cose che guidano all’ idea più acconcia di un mutamento di suo genere, cui richiamerebbe, a parer mio, non già una preparazione che fosse stata premessa, a modo di rito religioso, alla sepol¬ tura di tale frumento presso le Mummie, quale ad esempio la bollitura, e neanco una specie di abbrustolamento stato¬ vi praticato nell’ intenzione di conservarlo ; bensì un lavoro d’ ordine chimico, un lavoro di trasformazione, un lavoro spontaneo di lenta decomposizione, naturale e non artifi¬ ciale. Egli è vero che nell’ Albania, nella Grecia, nell’ Asia Minore, nell’ Egitto è costume dei Greci Scismatici, per culto nelle esequie dei di loro trapassati, di portare al tempio un piatto colino di frumento bollito nell* acqua, contornato di passolina, pignoli, mandorle dolci, che be¬ nedetto dal Sacerdote viene assaggiato dai parenti nel pre¬ gare pace e requie alli defunti ; atto religioso che si ri¬ pete anche per le feste del giorno onomastico. Ma la bol¬ litura non è ammissibile fra le preparazioni che possono supporsi avere preceduta la sepoltura del nostro frumento in discorso, a cagione appunto del coloramento singolare giallo-fosco di che fa mostra, del non vederlo punto rag¬ grinzato, alla superficie singolarmente, dell’ esservi la strut¬ tura interna rimasta intatta quasi del tutto, e quale 1* ab¬ biamo veduta. Così è difficile accomodarsi ad una maniera di bruciamento o di torrefazione; subitochè non si ha no¬ tizia che per supposizione di tale pratica in proposito, nè di un tempo, nè di presente ; non vi si concilia 1’ inte¬ grità di struttura in tutto il rimanente, e massime nel più esterno involucro, colla scomparsa poi dell’ endocarpo; non lo spiega il coloramento che è piuttosto regolare, non al¬ quanto decrescente d’ intensità dalla periferìa verso il cen¬ tro , come dovrebbe vedervisi. Dunque altra causa è da ricercare del mutamento av¬ venuto; altra causa deve essere concorsa al coloramento che è la patente massima della differenza fra le due se- Gaetano Sgarzi ut menti di frumento esaminate; altra causa particolare ed intrinseca deve avere agito per indurre nell’ antica 1’ ap¬ parenza e le diversità che vi si sono osservate. E posto che vi è deli' analogìa molta fra tale colore di questa se¬ mente vecchia , e quello di che si vestono le materie di natura organica pure invecchiate, e il quale colore non sembra strano affatto che lo si possa attribuire ad un pri¬ missimo grado di annerimento per una specie di erema- causia, ad un indizio d’ incipiente lavoro chimico dissolu¬ tivo, ad una iniziativa insomma di carbonizzazione/ perciò mi sento portato e confortato a ritenere, che la trasmuta¬ zione che ci occupa, 1’ apparenza del frumento presso le Mummie, la condizione in che lo vedemmo nel sottoporlo alle ricerche , anziché ad una preparazione, ad un artificio, ad una tinta apposita , siano dovute alla specie di lenta combustione sù menzionata, o meglio ad una lenta disdro- genazione, ad un processo d’ intima spontanea dissolu¬ zione, al primordio infine designato d’ una degenerazione carbonosa. Nè questo lo ammetto a caso, e per semplice induzione; lo desumo e lo affermo assolutamente per alcuni fatti che si hanno di frumenti dell’ antichità e seppelliti, nei quali si è trovato raggiunto lo stato dell* humus , della torba , del carbon fossile, dell’ antracite, che sono i passi succes¬ sivi e finiti della suddetta degenerazione. Nel 1827 a Deneuvre nel posto dell’ antica fortezza di quella Città fu scavata da un sotterraneo una grande quan¬ tità di frumento che sembrava carbonizzato. Era liscio al- T esterno, ed aveva perfettamente conservata la sua forma, . tuttoché il suo color nero, e 1- aspetto suo carbonoso an¬ nunciassero già P intera distruzione dei suoi principj imme¬ diati. Egli era sì leggiero da rimanere sospeso per qualche tempo sull' acqua, fragile per modo da polverizzarsi fra le dita, e la sua polvere segnava la carta. H. Braconnot che ne fece l’analisi lo dimostrò composto: di ulmina : di ul¬ ulato di calce, contenente del fosfato di calce, e dell’ os¬ sido di ferro: di materia carbonacea : di muriato, e nitrato di potassa e di calce : di materia grassa della consistenza Processi di degenerazione carbonosa 445 della cera. Quantunque per certo di origine antichissima, nullameno lo si reputò da Braconnot così alterato in causa dell’ umidità del locale; mentre avevasi a quel tempo del frumento di 18 secoli bene conservato, estratto da un ser- batojo da calce a Scarporia, antica stazione militare romana; siccome egualmente si aveva dell’ orzo apparentemente car¬ bonizzato, venuto da un sepolcro Egiziano, che dallo- stesso lo si pensò parimenti così ridotto per P umidità; invece- chè da Julia Fontenelle , e da Raspali lo si desunse pre¬ ventivamente torreffatto. Questo frumento di Deneuvre per¬ tanto fu destinato ad ingrasso, attesi i principj fertilizzanti che vi erano mantenuti. Nella seduta delli 7 Luglio 1834 M. Lassaigne fece co¬ municazione all’ Accademia di Parigi del fatto rimarchevole di un frumento che era stato trovato in un antico sotter¬ raneo di una casa demolita presso il nuovo Ponte di Luigi Filippo, e che apparve similmente a foggia di carbone, perchè nero, friabile, leggero, di splendore metallico ana¬ logo a quello del solfuro di piombo. Questo frumento gli somministrò grande quantità d’ acido ulmico con dispari¬ zione totale dell’ amido e del glutine ; per cui ne conchiuse avere desso frumento sofferto un grado di carbonizzazione, non per effetto di calore, bensì per una scomposizione ana¬ loga a quella che forma le torbe, il legno dicomposto ed annerito; e ciò per essere stato lungo tempo in luogo umi¬ do, tolto dal contatto dell’ aria e della luce. Alla quale conclusione di Lassaigne si oppose il sullodato Julia Fon- tenelle , che appoggiandosi all’ esperienza della conservazio¬ ne dei cereali per lunghi secoli col mezzo del disecca- mento, stata comprovata negl’ ipogei e catacombe d’ Egitto, e nei sarcofagi delle Mummie; opinò che detto frumento presentatosi carbonizzato, doveva avere sofferta T azione dei fuoco nella fornace ; opinione nullameno che fu ben lungi dal venire accolta ed abbracciata. A carbonizzazione poi perfetta, e di apparenza metallica erasi trovato fin dal 1816 un ammasso di frumento in spica presso Langres sotto i fondamenti di un’ antica casa, ed in un sotterraneo fino allora incognito, di costruzione 446 Gaetano Sgarzi ancora più antica. Notisi che il sotterraneo era hen chiuso e secco, e le spiche confusamente ammassate avevano 1’ a- spetto di bellissimo carbone lucido, erano intatte assoluta- mente in ogni parte, e ridotte a carbonizzazione totale e perfetta. Anche esposte all’ aria non ebbero a soffrire alcun mutamento od alterazione ; e come denotavano la più re¬ mota antichità; cosi diedero luogo alle congetture, di una combustione istantanea per effetto del fulmine, d’ una car¬ bonizzazione artificiale eseguita nello stesso sotterraneo ; e se ne fece rimontare P origine per tradizione storica al- P epoca d* Attila, che avanzatosi nelle Gallie fu sconfitto presso Langres, e Chàlons da Ezio capitano dei Romani ; nonché ai regi Meroveo e Teodorico verso P anno 450 dell’ Era nostra. Chechè per altro ne fosse intorno P ori¬ gine di tale frumento, non ne fù parimenti accettata la combustione quale causa dell* essere desso carbonizzato; lo si volle bensì così ridotto per una trasformazione sponta¬ nea, pari a quella cui soggiacciono le sostanze vegetabili sotto terra, lontane dal contatto dell’ ària esterna, durante lunga serie di secoli. D* altronde dagli Scavi di Pompei si è avuto del fru¬ mento nella condizione da farlo germogliare ; e nello stesso tempo, li 9 Agosto 1862, se ne ritrasse di una qualità che il Prof. De Luca ha descritto ; di color bruno nerastro, poroso, friabile, con dei punti nella sua superficie ove si distingue una materia biancastra. Questo frumento conser¬ vando tutta la sua forma primitiva, ha perduto tutte le traccie di prodotto organico ; poiché alP analisi ha manife¬ stato non contenere nè glutine, nè amido, nè zucchero, nè materie grasse; nel mentre vi si è trovato tutto P azoto e quasi tutto il carbonio del frumento ordinario ; soltanto gli elementi minerali vi si sono avuti in maggiore proporzione, ciò che il Prof De Luca attribuisce all* acqua infiltrata nel terreno che vi soprastava, essendone una prova la ma¬ teria biancastra superficiale disopra notata. In seguito dei quali risultamenti di decomposizione, Berthelot stimando mi¬ gliore ipotesi che la medesima siasi operata spontaneamente per reazioni fra gli elementi dello stesso frumento senza Processi di degenerazione carbonosa 447 1’ intervento di agenti esterni ; a calcoli fatti opina = che al pari che potrebbe esservisi data una distruzione com¬ pleta, quale vi avesse operata il calore trasformandolo in acqua, in acido carbonico per la totalità dei suoi elementi, separandovisi V azoto sotto forme ammoniacali ; così il detto frumento sia rimasto trasformato in parte, per mutamenti singolari, alla maniera che avviene nel formarsi delle torbe, delle ligniti, per cause ben differenti dal calore, dalle reazioni comuni, dalle influenze esterne. Intanto questi sono fatti, e fatti di carbonizzazione na¬ turale a diversi gradi, in semi di frumento interrati ! Dun¬ que sarà egli impossibile od improbabile che possa ammet¬ tersene un’ altro dei gradi, da dirsi primo, anteriore, pre¬ cedente? Egli è vero che si è notato il diseccamento, ed anche la torrefazione; di cui 1* uno era effettivamente in uso per conservare il frumento presso gli antichi; 1’ altra si è supposta praticata nel frumento carbonizzato di De- neuvre. Ma a tali operazioni preventive al seppellimento, non corrispondono i segni nel nostro frumento delle Mum¬ mie. Imperocché in quanto al diseccamento, se lo potreb¬ be indicare lo stipamento molecolare risultato dalla osser¬ vazione microscopica, lo esclude il fosco del colore, il fa¬ cile stritolarsi, il disgregamento non pure del tessuto glu¬ tinoso, ma di tutti gli altri tessuti ed organi. Che se tali cose valessero piuttosto per 1’ indizio della torrefazione, insieme al trovarvisi della destrina, dello zucchero in mag¬ gior copia, alla proporzione superiore degli elementi inor¬ ganici, non nell’ armonia ordinaria con quella degli orga¬ nici ; vi starebbe contro sempre: il grado di coloramento troppo forte per venire da semplice esiccamento, inferiore troppo per dirlo di corpo torrefatto ed ustulato : il lucido della superficie e dell’ aspetto, difficile a conservarsi sotto 1’ azione del fuoco : la scomparsa del solo endocarpo, dove sono intatti gli altri involucri, tessuti, organi : il non es¬ servisi costituito alcun principio estraneo d’ indole e natu¬ ra pirogenica. Dunque se nel frumento in discorso vi ha dell’ altera¬ zione come la si vede, e se questa per le dette ragioni 448 Gaetano Sgarzi non può attribuirsi a diseccamento, torrefazione, ad opera¬ zioni artificiali praticatevi in antecedenza alla sepoltura; dovrà senza dubbio evocarsi da un mutamento interno spon¬ taneo naturale, prodotto da reazioni intime fra i propri principii elementari, sotto 1’ influenza di agenti tanto in¬ trinseci quanto estrinseci; da un mutamento d’indole di¬ struttiva anziché costitutiva; da un mutamento che ha per fine non il prodotto di un essere nuovo, siccome nelle fermentazioni in genere, ma il residuo di un formale di¬ strutto ; e questo se non vado errato è il mutamento di carbonizzazione detto disopra. Quando si guardi all’ aspetto in che è venuto in luce il frumento d’ appresso alle Mummie, del quale ci siamo intrattenuti, e nel quale il glutine soltanto è disaggregato non scomposto, ed intatti vi sono 1’ albumina, 1’ amido, la destrina, lo zucchero, e perfino del legnoso; quando si pensi che nel frumento di Deneuvre, in ulmina ed ululati sono trasformati tali gruppi elementari ; quando si ponga mente che nel frumento di Pompei sono i medesimi ridotti ai puri e precisi di loro elementi; quando si rifletta che nel frumento dell’ antico sotterraneo di Parigi, e nelle spi¬ che di Langres il tutto si è presentato in assoluto carbone; non credo che non vi si possa non vedervi una pronuncia¬ ta gradazione di processo carbonoso ; che non sia andare lungi dal vero il designare per altrettanti effetti del me¬ desimo processo le osservate alterazioni ; e che conseguen¬ temente il soggetto delle nostre indagini e ricerche, vale a dire il coloramento e lo stato del frumento di 40 secoli avuto nelle mani, è spiegabilissimo per un primo indizio ed incominciamento di carbonizzazione, del quale processo le altre condizioni, in che sono? stati trovati i singoli fru¬ ménti suddetti, ne sono i progressi, le successioni, i gradi. Qualunque processo chimico diverso si volga in pensiero, nulla v’ ha che lo rappresenti nei fatti descritti ; alla car¬ bonizzazione intendono le testimonianze di Braconnol , di Lassaigne , di Virey , di Berthelot ; 1’ ammettervene una in¬ dicazione, un primo passo, un primordio nel nostro caso, può stare in regola, ed è cosa ben semplice e naturale. Lo Processi di degenerazione carbonosa 449 estendere questa idea di indizio di carbonizzazione all’ im¬ pronta ed al coloramento degli oggetti, di legno sopratutto, e delle materie di natura organica che contano dei secoli di età, od una estrema vecchiaja, non è un assurdo, se si considera che Y ultimo confine dell’ esistenza materiale de¬ gli organizzati di spesso è il carbone, il quale confine si raggiugne prontamente, oppure lentamente in ragione del processo decomponente che ha luogo; se si considera che questo processo in ogni momento del suo operare, dal prin¬ cipio al fine conserva il suo caratteristico apparente; se si considera che 1’ ingiallire cupo, 1’ imbrunire, 1’ annerire sono i coloramenti che si manifestano egualmente nelle ar¬ tificiali carbonizzazioni. Dopo di che riassumendo 1’ esposto, terminerò col dire : Che il frumento trovato presso le Mummie dell’ Egitto, che conta 40 secoli, e che ho potuto esaminare, ha 1’ aspet¬ to, e le apparenze del comune odierno all’ infuori di un colore giallo-scuro ; il quale colore non è limitato alla su¬ perficie, ma è diffuso a tutto il suo interno. Che tanto esternamente quanto internamente vi si os¬ serva in questo frumento la sua naturale struttura intatta nella forma, non però nella consistenza ; anzi gl’ involucri, i tessuti, gli organi, benché al loro posto, presentano del¬ la sconnessione, una vera disaggregazione molecolare ; man¬ cante il solo endocarpo. Che i suoi principj e gruppi elementari sonovi mante¬ nuti nel qualitativo, meno che nel proporzionale; per la trasmutazione di una parte di essi, e per uno sdoppiamen¬ to d’ ordine normale e regolare. Che questa maniera di alterazione in un col coloramento accennato; da una parte spiegano la causa della perdita assoluta in esso frumento della facoltà di germogliare ; e dall’ altra parte vi indicano in certo modo una incipiente degenerazione carbonosa. 57 450 CORRIGE si schiaccia ERRATA Pag. 435 lin. 15 si spappola IiitT“ Cas8u conseguenza la corrente discendente è ripresa di nuovo » sino all’ alzata del sole, alla quale si riproducono di nuo- » vo gli stessi fenomeni. » Questa spiegazione, quantunque presenti il vantaggio di tenere conto delle modificazioni locali, che le variazioni di temperatura possono produrre nella pressione degli strati inferiori dell’ atmosfera, pure sembra nel suo insieme non accettabile, per essere assai dubbio ed oscuro il concetto fondamentale relativo all’ azione del calore sull’ atmosfera, 464 Lorenzo Respighi e molto contestabili gli effetti, che se ne vorrebbero de¬ durre in riguardo alla pressione. É primieramente da osservare, che le variazioni di tem¬ peratura, tendendo a produrre sull3 atmosfera soli cambia¬ menti di densità e quindi dilatazioni e condensamenti, sol¬ tanto in rapporto a questi deve concepirsi e valutarsi il moto ascensivo e discensivo della colonna atmosferica ; e ciò facendo si troverà non esatto il dire, che la tempera¬ tura colle sue variazioni tenda ad imprimere alla massa atmosferica moto di ascesa o di discesa : che se questi han¬ no luogo, non debbono già ripetersi dall3 azione del calore sull’ atmosfera, ma dalle speciali condizioni statiche nelle quali trovasi questa costituita. Informando a questo cpncetto le correnti ascendenti, si troverà che esse, anziché tendere a diminuire la pressione atmosferica negli strati inferiori, come accadrebbe se fos¬ sero prodotte da una forza repulsiva emanata della super¬ ficie terrestre, tendono invece ad aumentarla, e tanto più energicamente, quanto maggiore è la massa ascendente e più forte la sua velocità ; e che analogamente le correnti discendenti, anziché tendere ad aumentare la pressione ne¬ gli strati inferiori, tendono invece a diminuirla, e tanto più energicamente quanto maggiore è la massa discendente e più grande la sua velocità. La colonna atmosferica che gravita sul pozzetto del ba¬ rometro, sollevandosi od abbassandosi per le variazioni di temperatura, produce su questo effetti analoghi a quelli che si producono sopra una bilancia dai corpi da essa so¬ stenuti, quando per giuochi di forze acceleratrici inerenti al sistema questi corpi sono costretti a prendere moti di ascesa, o discesa ; in causa dei quali nel primo caso aumen¬ ta apparentemente il loro peso, nel secondo diminuisce. Per la stessa cagione avviene che la pressione accusata dal barometro è maggiore o minore del peso della colonna sovrapposta, secondo che questa trovasi per effetto delle variazioni di temperatura in istato di dilatazione o di contra¬ zione, e quindi in moto ascensivo o discensivo. Che se il Kreil attribuendo, almeno in apparenza, a Sulle cause del periodo diurno bar. 4-65 quelle correnti effetti opposti, arriva a conciliare con esse le principali fasi delle diurne oscillazioni barometriche, ciò deve ripetersi dall9 avere egli stabilito l9 istante di massima o minima energìa di queste correnti non conformemente al fatto, di averne introdotte alcune del tutto ipotetiche, e dall9 avere attribuito agli strati superiori dell9 atmosfera speciali resistenze alla dilatazione degli strati inferiori, oltre quelle derivanti dalla loro inerzia e dal loro peso. Così pel massimo del mattino si ammette, che gli strati superiori non ancora riscaldati dal calore solare, compri¬ mendo gli inferiori già soggetti a questa azione, si oppon¬ gano alla loro dilatazione a guisa di un ostacolo o parete fissa, in modo da aumentarne la forza elastica, e quindi la loro pressione sul barometro. Ma per verità gli strati su¬ periori non resistendo alla dilatazione degli inferiori che per mezzo del loro peso non possono impedire tale dilata¬ zione, ma soltanto assoggettarla alle note leggi di Gay- Lussac ; cosicché l9 aumento di pressione sul barometro non è da ricercarsi nella resistenza a questa dilatazione, ma bensì nel fatto della dilatazione stessa. Iri quanto al minimo della sera, mentre si ammette che la pressione diminuisce, e tanto più energicamente quanto più energica diventa la corrente ascendente, si riporta poi esso minimo molto tempo dopo l9 istante della massima temperatura diurna, quando è già cominciato ed anzi in- noltrato il moto discensivo dell9 atmosfera. Il massimo della sera si attribuisce alla compressione prodotta dalla corrente discendente negli strati inferiori , come se la discesa degli strati superiori, anziché essere il risultato di un semplice e continuo condensamento, fosse invece una reale caduta sugli strati inferiori , e con tale velocità da ridurre questo in uno stato di eccedente com¬ pressione ed elasticità, capace di reagire sugli strati supe¬ riori e determinare nelle ore successive una nuova cor¬ rente ascendente, che diminuendo la pressione apporti il minimo del mattino. Se è improbabile che la corrente discendente riduca gli strati inferiori dell9 atmosfera in uno stato di anormale 59 T. IV. Lorenzo Respighi compressione, e che ne aumenti quindi la forza elastica, è assai più improbabile, che da questa supposta compressione avvenga tale reazione, da sviluppare una corrente ascen¬ dente così imponente, da prevalere sensibilmente all’ effetto del condensamento tuttora persistente nell’ atmosfera per la continuata diminuzione di temperatura; corrente che dovrebbe spiegare la sua massima energia molte ore dopo il massimo di compressione, e in modo da produrre un abbassamento ba¬ rometrico sensibile, e più pronunciato nella stagione invernale, nella quale devesi ritenere meno intensa la supposta com¬ pressione, od aumento di forza elastica, in conformità della minore energia delle variazioni termometriche diurne. II Prof. Lamont, considerando che il barometro va sog¬ getto nelle 24 ore a due distinte oscillazioni , mentre la temperatura ne presenta una sola , ne deduce che la sola influenza delle variazioni termometriche non può bastare alla produzione delle diurne variazioni del barometro, e che perciò bisogna supporre consociata ad esse qualche altra azione esercitata dal sole sull’ atmosfera nei corso della gior¬ nata. Egli perciò attribuisce al sole nel fenomeno in di¬ scorso due distinte influenze, una avente un periodo di 24 ore e derivante dalla temperatura, 1* altra avente un periodo di 12 ore e derivante da una speciale azione solare, che egli dessigna col nome di attrazione elettrica, non intendendo però con questa denominazione di caratterizzarla come tale, ma di distinguerla semplicemente dall’ attrazione universale. Questa speciale forza solare non può confondersi coll’ at¬ trazione, quantunque agente come questa nel fenomeno della marea, per la ragione che essa dovrebbe competere anche alla luna ; la quale perciò manifesterebbe la sua preponderante influenza nel moto diurno del barometro, ciò che è dal fatto decisamente contradetto. Rappresentando la variazione barometrica diurna con due termini , uno proporzionale al seno dell’ ora e V altro al doppio del seno, Lamont trova per molti luoghi dai medii mensili il coefficiente del secondo termine , quello cioè a periodo di 12 ore, generalmente più grande di quello del primo termine a periodo di 24 ore ; mentre a suo modo Sulle cause del periodo diurno bar. 467 di vedere il primo dovrebbe risultare una piccola frazione del secondo, se le variazioni barometriche fossero dovute alla sola influenza di temperatura; egli quindi ne conchiude la necessità di ricorrere anche ad un’ altra influenza solare, avente un periodo non già di 24 ore come questa, ma di 12 ore. Risultati consimili sono stati ottenuti dalle osser¬ vazioni di Ginevra e del San Bernardo dal Prof. Planta- mour; il quale perciò inclina ad ammettere con Lamont P esistenza di questa speciale marea solare, od elettrica. Senza movere dubbio alcuno sulla esattezza dei risultati, da Lainont e Plantamour ottenuti relativamente ai valori dei coefficienti dei due termini esprimenti la variazione barome¬ trica diurna , sembra potersi a ragione contestare il prin¬ cipio, dal quale si deduce la necessità di far concorrere alla produzione delle diurne oscillazioni barometriche, oltre alla temperatura, un’ altra influenza solare a periodo di 12 ore. Ed in vero quando si ammette , che 1’ influenza della temperatura sulla pressione atmosferica non possa produrre che una oscillazione semplice a periodo di 24 ore, essendo tale anche il periodo delle variazioni termometriche, si sup¬ pone che il calore possa agire sensibilmente sull’ atmosfera soltanto in un modo diretto ed unico, escludendo ogni moltiplicità di azioni, le quali, quantunque tutte a periodo di 24 ore, pure nella loro combinazione potrebbero pre¬ sentare sul barometro un’ influenza a periodo ben diverso. Quando si ammette che nella forinola della variazione barometrica il termine proporzionale al seno dell’ ora debba quasi in totalità esprimere 1’ influenza della temperatura, si suppone in certo modo, che questa influenza sia propor¬ zionale alla variazione totale avvenuta nella temperatura in un determinato tempo; e ciò è non solamente ipotetico, ma molto improbabile; dovendosi piuttosto ritenere che essa sia una funzione della temperatura assai più complessa , in causa dei varii modi secondo i quali il calore tende a disturbare le condizioni statiche dell’atmosfera; in causa della disconti¬ nuità dell’ azione calorifica del sole durante le 24 ore, in causa della diversità di leggi con cui varia nei corso del giorno la temperatura negli strati atmosferici in rapporto 468 Lorenzo Respighi alla loro altezza dal suolo, e finalmente in causa dei cam¬ biamenti prodotti dal calore nella massa e nella costituzione fisica della colonna atmosferica per mezzo del vapore acqueo, L’ azione diretta delle variazioni di temperatura può in¬ fluire sulla pressione atmosferica negli strati inferiori in due modi distinti; e cioè per locali variazioni di massa o di peso della colonna atmosferica in forza di locali diradazioni o condensamenti dell’ atmosfera; e per effetto di azioni e rea¬ zioni prodotte negli strati atmosferici , in forza delle spe¬ ciali condizioni nelle quali si effettuano sotto 1* azione del calore le dilatazioni ed i condensamenti di essi strati. Vo¬ lendo pure ritenere ciascuna di queste influenze a periodo di 24 ore, non se ne può dedurre, che la loro risultante debba essere anch9 essa a periodo eguale; essendo troppo discordanti le loro fasi; dipendendo per la prima gli istanti di massima energia positiva o negativa dalle ore della mas¬ sima e minima temperatura diurna, dalle ore cioè di tem¬ peratura costante, e per la seconda invece dalle ore nelle quali la rapidità nell9 aumento e nella diminuzione di tem¬ peratura è massima. Quantunque manchino i dati necessari a determinare F influenza che il vapore acqueo sotto l9 azione del calore può esercitare sul barometro durante le 24 ore, in forza delle sue locali variazioni di massa, e delle azioni o rea¬ zioni prodotte fra i suoi strati, od in concetto più gene¬ rale negli strati atmosferici , nell9 atto della sua espansio¬ ne e condensamento, è però assai probabile, se non certo, che anche per questo mezzo la temperatura può indiretta¬ mente influire in due modi diversi sull9 altezza barometrica, e concorrere così a presentare nel moto diurno del baro¬ metro un aspetto assai più complesso di quello di una semplice oscillazione, non escluso quello di una doppia oscil¬ lazione diurna, quale risulta dalle osservazioni. Ad ogni modo poi sembra doversi conchiudere, che per la spiegazione del fenomeno, prima di ricorrere alla ipotesi di influenze del sole, diverse da quelle che direttamente ed indirettamente esso può esercitare sull9 atmosfera per mezzo del calore, fa d9 uopo esaminare e discutere in modo piu Sulle cause del periodo diurno bar. 469 dettagliato e concreto le varie modificazioni che questo tende a produrre nelle condizioni statiche dell’ atmosfera; ed al¬ lora soltanto ricorrere a cause ipotetiche, quando 1* osser¬ vazione e la teoria, con dati e con argomenti più decisivi, avranno dimostrato Y insufficienza dell* azione del calore a produrre la doppia oscillazione barometrica. La stessa conclusione potrebbe applicarsi a quelle teorie, che vorrebbero far concorrere in questo fenomeno coll* azio¬ ne del calore la resistenza dell’ etere al moto di traslazione della terra, o gli effetti di forze centrifughe sviluppate dalla combinazione del moto rotatorio della terra col suo moto annuo; se un argomento diretto non ci obbligasse a rinun¬ ciare alle medesime; e cioè se la teoria non limitasse gli effetti di queste supposte influenze in un ordine di gran¬ dezza inferiore a quello delle diurne variazioni barome¬ triche. Il Maresciallo Le Vaillant nel Giornale Les Mondes del 15 settembre p. p. pubblicava su questo argomento una Nota, nella quale faceva rimarcare nel periodo diurno baro¬ metrico un importante carattere, e cioè che il massimo del mattino corrisponde prossimamente all* ora nella quale la variazione , od aumento di temperatura raggiunge la massi¬ ma rapidità: e ne traeva argomento a proporre sul feno¬ meno una spiegazione o teoria, che può considerarsi come una fusione di quella di Kreil con quella di Dove; asse¬ gnandosi nella medesima la principale influenza alla tem¬ peratura nella produzione del massimo del mattino e del minimo e massimo della sera, ed alla tensione del vapore invece per la produzione del minimo del mattino. Secondo il Le Vaillant così deve spiegarsi il fenomeno delle diurne oscillazioni barometriche. Al mattino, mentre il sole si va elevando sull’ orizzonte, aumentandosi l’ incli¬ nazione de’ suoi raggi coll’ orizzonte stesso, il suolo da essi colpito si va continuamente riscaldando, e nello stesso tem¬ po va crescendo la temperatura degli strati a contatto con esso. Questi strati inferiori per 1* aumento di tempe¬ ratura tendono a dilatarsi e ad elevarsi, e salirebbero in realtà assai velocemente, se non avessero a vincere la re- 470 Lorenzo Respighi sistenza degli strati superiori. Bisogna quindi che 1’ aria già riscaldata vinca 1’ inerzia di quegli strati che ancora non lo sono, che li sollevi, e li metta in movimento. Finché tutta la colonna non ha per così dire partecipato a questo moto ascensivo, la pressione aumenta sul suolo, e quindi sul pozzetto del barometro, il quale adempie così 1* ufficio di uno strumento misuratore, non solamente del peso del- 1’ aria, ma eziandio della sua elasticità, o di un volume d’ aria che trovasi come rinchiuso in uno spazio limitato, di cui la temperatura aumenta j cosicché in esso si ha un manometro, piuttosto che un barometro. In questa lotta fra la colonna atmosferica e lo strato d’ aria che tocca il suolo riscaldato dal sole havvi un istan¬ te, in cui la resistenza è massima, e quindi massima 1* al¬ tezza barometrica, e questo corrisponde al massimo delle 9.* del mattino. Dopo questo istante la forza ascensiva prevale decisa¬ mente, e vinta 1* inerzia, la velocità è impressa di alto in basso a tutta la colonna , e si produce una specie di suc¬ chiamento, o di vuoto parziale sul suolo e per conseguenza sul barometro. Il barometro allora si abbassa , non già perchè vi sia meno aria al disopra, ma perchè elevandosi questa verticalmente, ha perduto una parte del suo peso e della sua tensione. Alle 3.* pom. questo effetto è massimo, ed il barometro accusa il minimo della sera. Poscia diminuendo la temperatura e V aria raffreddandosi in vicinanza al suolo , tutta la colonna atmosferica acqui¬ sta un movimento di discesa , V aria acquista quindi una velocità, e la forza viva corrispondente si traduce ai nostri occhi in un* ascensione del barometro, che raggiunge un massimo verso le 10.* della sera. In quanto al minimo del mattino, viene esso considerato come effetto principalmente della diminuzione della tensione del vapore, in causa del raffreddamento del suolo e dell’ aria durante la notte. Questa teoria , per quello che risguarda 1’ influenza della temperatura sulla pressione atmosferica, va incontro alle stesse difficoltà che si oppongono alla teoria di Kreil. Infatti pel massimo del mattino , anziché ricercare la Sulle cause del periodo diurno bar. 47 1 causa deli’ aumento di pressione nella reazione esercitata da ogni strato sugli strati sottoposti nell’ atto della sua di¬ latazione , e dedurne quindi un effetto tanto più sensibile , quanto più estesa è la parte di colonna atmosferica sog¬ getta all’ incremento di temperatura, si attribuisce invece tale aumento ad un aumento di elasticità o tensione del- 1’ aria negli strati inferiori, in forza di una supposta resi¬ stenza degli strati superiori alla dilatazione ed innalzamento di quelli. Mentre non è chiaramente indicata la natura e l’origine di questa resistenza , viene la medesima considerata, come una lotta parziale e locale fra lo strato rasente il suolo e la colonna d’ aria sovrastante , invece di essere considerata come la somma degli effetti dovuti alla lotta che ha luogo fra ciascuno degli strati soggetti ad aumento di tempera¬ tura e la colonna atmosferica ad esso sovrapposta ; cosicché nel concetto del Le Vaillant sembra doversi ritenere scam¬ biata la resistenza, o reazione totale col suo differenziale: il che viene confermato dal fatto, che il massimo di questa reazione si presenta , quando 1’ azione della temperatura e la dilatazione nella colonna atmosferica trovansi già ener¬ gicamente sviluppate a notevole altezza dal suolo , e. molto probabilmente nell’ istante, nel quale la velocità media della massa di essa colonna verso 1’ alto ha raggiunto il massi¬ mo diurno. Il minimo della sera si attribuisce ad una specie di succhiamento, o di vuoto parziale prodotto sul suolo e quin¬ di sul barometro, quando prevalendo la forza ascensiva, la velocità è impressa di basso in alto a tutta la colonna atmosferica, la quale salendo verticalmente ha perduto una parte del suo peso e della sua tensione. 11 moto ascensivo degli strati atmosferici essendo ef¬ fetto soltanto di una forza espansiva , e non già di una forza antagonista della gravità , non si comprende come esso possa diminuire il peso di questi strati e quindi la pressio¬ ne della colonna atmosferica sul suolo. Effetti di questo genere si potrebbero forse supporre nelle regioni superiori, nelle quali il moto ascendente ri- 472 Lorenzo Respighi sulta dalla somma delle dilatazioni degli strati sottoposti, ma non già nelle basse regioni ed al suolo, dove anzi si fa sentire la reazione della forza espansiva che produce tali dilatazioni. La sola diminuzione di pressione , che a ragione potreb¬ be attendersi da questo elevamento dell’ atmosfera , è quel¬ la che può risultare dalla diminuzione della gravità rela¬ tiva per F aumento della distanza di ogni strato dal centro della terra ; diminuzione che certo non può produrre per se stessa il minimo barometrico della sera. Di più, se il moto ascendente dell’atmosfera pel calore producesse alleggerimento nell’ aria, non si comprende, co¬ inè F effetto di esso dovesse risultare massimo, quando il moto di ascesa non solamente è annullato, ma di già trasfor¬ mato in moto discensivo, come certamente deve accadere nell’ ora del minimo barometrico , cioè alcune ore dopo il massimo della temperatura diurna. Il massimo della sera si attribuisce all’ azione della forza viva corrispondente alla velocità, colla quale la colonna atmosferica viene a comprimersi sugli strati inferiori con¬ densati dal raffreddamento del suolo ; ma qualora si rifletta che questo condensamento si effettua con legge di conti¬ nuità ed abbastanza lentamente , si troverà che questa forza viva , o svanisce, od è ristretta in tali limiti da non potere produrre effetti sensibili ; che anzi considerando che la di¬ scesa degli strati atmosferici , anziché essere prodotta da una forza cospirante colla gravità , è invece un semplice effetto di condensamento di una parte di essi strati, si tro¬ verà che ne deve risultare sugli inferiori e sul suolo un effetto opposto, e cioè una diminuzione di pressione , non potendo effettuarsi la discesa degli strati atmosferici, che per effetto della gravità, e perciò con iscapito di una parte del loro peso, la quale andrà perciò sottratta dalla pressione e dal barometro. Nelle regioni superiori gli strati , discendendo con velo¬ cità eguale alla somma dei restringimenti degli inferiori, produrebbero sul barometro F effetto di un venticello con¬ tinuo di alto in basso, ma straordinariamente debole e per¬ ciò insensibile. Sulle cause del periodo diurno bar. 473 E che in realtà il moto discensivo dell’ atmosfera per diminuzione di temperatura debba produrre un effetto con¬ trario a quello supposto dal Le Vaillant e da molti altri, può ritenersi provato dal fatto, che la pressione va pro¬ gressivamente aumentando quanto più la discesa degli strati atmosferici si fa lenta , e quindi più debole la forza viva corrispondente. La parte, che il Le Vaillant attribuisce all* influenza del vapore nella produzione del fenomeno , specialmente per Ciò che risguarda il minimo del mattino, presenta molta probabilità e verosimiglianza, quantunque però non sembri in modo abbastanza chiaro e determinato esposto il mec¬ canismo con cui si esercita questa influenza. In conclusione, se questa spiegazione può accettarsi in quanto alla natura delle cause, considerate come principal¬ mente influenti sul moto diurno barometrico, non sembra però potersi accettare per quella parte che risguarda il modo con cui si suppone esercitata la loro influenza , op¬ ponendovi gravi difficoltà, tanto dal lato della teoria, che da quello della osservazione. Nella Memoria sulle diurne oscillazioni barometriche in Bologna, che io presentava a questa Accademia nella se¬ duta del 5 Febbrajo 1863, e che venne pubblicata nel Voi. III. delia Serie IL de9 suoi Commentarii , io faceva specialmente rimarcare nel moto diurno del barometro i seguenti caratteri; e cioè che P ora del massimo barome¬ trico del mattino corrisponde prossimamente coll9 ora, nella quale è più rapido l9 aumento della temperatura atmosfe¬ rica ; e che Y ora del minimo barometrico della sera corri¬ sponde prossimamente all9 ora, nella quale più rapidamente diminuisce la temperatura dell9 atmosfera stessa, considerata questa non solamente negli strati inferiori , ma eziandio nei superiori; il primo dei quali caratteri combina evidente¬ mente con quello recentemente indicato dal Maresciallo Le Vaillant. Avendo poi verificato, che queste importanti relazioni fra la temperatura dell9 atmosfera e la sua pressione po¬ tevano ritenersi proprie di tutti i climi e di tutte le sta- t. iv. 60 474 Lorenzo Respighi gioni , mi parve di trovare in esse indicata la via a seguirsi nella ricerca della causa principale e fondamentale del pe¬ riodo diurno barometrico. Mentre per questi rapporti tra la temperatura e la pres¬ sione atmosferica viene ognora più manifestamente com¬ provato, che la causa principale del fenomeno risiede nelle variazioni di temperatura, viene poi dalle medesime dimo¬ strato, che 1’ influenza della temperatura sulla pressione deve ripetersi, più che dalla grandezza delle variazioni termiche ottenute nelle diverse ore del giorno, dalla ra¬ pidità colla quale in ogni istante va la temperatura au¬ mentando o diminuendo, ossia dal differenziale o dalla ve¬ locità per così dire di essa temperatura. Cosicché sembra doversi considerare la variazione barometrica, non già come il risultato dell’ azione continuata del calore, ma piuttosto come un effetto immediato ed attuale del meccanismo con cui si produce pel medesimo la dilatazione, od il conden¬ samento delle varie parti della colonna atmosferica. Studiando sotto questo punto di vista la questione mi è risultato che la pressione accusata dal barometro non rap¬ presenta il vero peso della colonna atmosferica sovrimcum- bente, ma questo peso accresciuto durante l’ aumento di temperatura di una forza o pressione, dipendente dalla ra¬ pidità o velocità, colla quale aumenta la temperatura stessa in ogni strato, e diminuito invece durante 1’ abbassamento di temperatura di una forza o pressione, analogamente di¬ pendente dalla rapidità o velocità dell’ abbassamento ter¬ mometrico ; e che allora soltanto il barometro misura il vero peso dell’ atmosfera, quando la temperatura di questa è in ogni strato costante, o quando, per variazioni oppo¬ ste di temperatura in varii strati , i loro effetti sulla pres¬ sione vicendevolmente si compensano. Nella citata Memoria, riferendo questo concetto; mi ri¬ servava di dare ragione del medesimo in altro lavoro, e di svilupparne le conseguenze, nello scopo di mostrare che in questo modo d’ azione del calore consiste la causa princi¬ pale delle diurne variazioni del barometro; ed è appunto con questo scritto, che io spero di sdebitarmi dell’ assun¬ tomi impegno. Sulle cause del periodo diurno bar. 4-75 : 1/ effetto, che le variazioni di temperatura tendono per se stesse a produrre sull’ atmosfera, non consiste già in moti ascensivi o discensivi, parziali o generali della colon¬ na atmosferica, ma semplicemente in moti intestini o mo¬ lecolari, tendenti ad aumentare o diminuire il volume di ogni strato, più o meno energicamente, secondo la rapidità piu o meno forte con cui cresce o diminuisce in essi la temperatura; cosicché a rigore non può dirsi che il calore per ie sole sue variazioni tenda a produrre nella massa atmosferica correnti ascendenti o discendenti, ma soltanto dilatazioni o condensamenti. Che se nel fatto si verificano moti ascensivi o discensivi della massa atmosferica, ciò deve ripetersi, non dall’ azione diretta del calore, ma dalle condizioni statiche dell* atmo¬ sfera ; in forza delle quali funzionando l* atmosfera stessa unitamente al suolo come una specie di macchina, i moti intestini o molecolari degli strati atmosferici sono, in parte almeno, trasformati in moti di traslazione : ed è appunto in questa trasformazione di movimento che si generano in essi strati delle reazioni, che possono sensibilmente influire sulla pressione misurata dal barometro. Per formarci un concetto chiaro e determinato di que¬ ste reazioni, e dell' effetto che ne può derivare alla pres¬ sione, facciamoci a considerare un caso ipotetico, che ben presto abbandoneremo, per rientrare in quello della realtà e del fatto. Suppongasi un vaso cilindrico verticale, a pareti inva¬ riabili e ripieno di un liquido omogeneo, di cui chiame¬ remo q la densità ed h il coefficiente di dilatazione per ogni grado centesimale di temperatura. Sia H in un dato istante V altezza di questa colonna liquida, ed m 1* aumen¬ to di temperatura prodotto in ogni sua parte nell’ unità di tempo, e cioè in un secondo. Si prescinda per un momento dall’ azione della gravità, e si consideri quindi la colonna liquida a semplice contat¬ to del fondo del vaso, senza che eserciti sopra di esso pressione alcuna. Se la temperatura del liquido va aumentando, la colon- 476 Lorenzo Respighi na liquida si dilaterà, e per la resistenza delle pareti ver¬ ticali la sua dilatazione cubica si trasformerà in dilatazione lineare secondo F asse del vaso : ed in tale dilatazione il centro di gravità della massa liquida resterebbe immobile, se P immobilità del fondo del vaso non impedisse la dila¬ tazione dall’ alto al basso nella metà inferiore di essa co¬ lonna. Ma per la resistenza del fondo del vaso questa di¬ latazione trasformandosi in un moto ascensivo di tutta la colonna liquida, si sviluppa necessariamente sul fondo stesso una reazione o pressione, eguale ed opposta alla forza con¬ tinua, dalla quale può ritenersi prodotto il moto ascensivo della massa liquida. Per valutare questa reazione o pressione, supponiamo che per un certo intervallo di tempo gli aumenti di tem¬ peratura siano proporzionali al tempo ; ed allora potremo ritenere F indicato moto prodotto da una forza accelera- trice costante come la gravità, e rappresentarne quindi P intensità col doppio dello spazio per essa percorso da ogni elemento del liquido nell’ unità di tempo, ossia in un secondo, e quindi con mhH , onde sarà rnhH X qH = mhqH 2 la pressione o reazione procurata sopra ogni unità di su¬ perficie al fondo del vaso. Rendendo ora al liquido la gravità, non altereremo P in¬ dicata pressione, la quale si sommerà col peso del liquido stesso, per esercitare sopra ogni unità superficiale del fon¬ do del vaso la pressione P, / mhH P = gqH+qHX mhH = gqH L 1 -H — Che se la temperatura fosse in diminuzione della quan¬ tità m in ogni secondo, allora si otterrebbe la pressione P dalla stessa forinola, prendendo il valore di m come negativo. Infatti se la temperatura diminuisce, condensandosi la colonna liquida il suo centro di gravità resterebbe immobile, Sulle cause del periodo diurno bar. 477 se r azione della gravità, richiamando il liquido al fondo del vaso, non lo costringesse a discendere nell’ unità di tempo della quantità — — -, ossia della metà dell’accorcia¬ mento da essa colonna subito pel raffreddamento. Questa discesa non potendosi effettuare che per 1’ azione della gravità, una parte di questa, e precisamente la fra¬ zione mhH sarà impiegata a produrre questo movimento ; e perciò essa non potrà figurare come forza virtuale nella pressione sul fondo del vaso. Dimodoché la colonna liquida durante il raffreddamento sarà soggetta ad un apparente alleggerimento, non eserci¬ tando più sul fondo del vaso che la pressione P , La stessa formola evidentemente può comprendere en¬ trambi i casi, ritenendo m come quantità positiva ò ne¬ gativa. Allo stesso risultato si può pervenire in altro modo, consi¬ derando l’azione del calore sopra ogni strato elementare della colonna liquida. Immaginiamo divisa questa colonna in tanti strati orizzontali infinitesimi, e sia dz la grossezza di uno di essi, preso ad una distanza qualunque z del fondo del vaso : per P aumento m di temperatura esso si dilaterà in un secon¬ do della quantità mhdz , e di altrettanto solleverà nello stesso intervallo di tempo la colonna sovrastante, la cui massa potrà rappresentarsi con q(H — z), supposta eguale all’ unità la sezione del vaso. In questo sollevamento lo strato dz rea¬ girà sugli strati inferiori, e quindi sul fondo del vaso, pro¬ curando a questo una pressione, che nelle condizioni su¬ periormente stabilite potrà esprimersi con Integrando questa espressione da z = 0 a z = H, si avrà la somma delle reazioni o pressioni prodotte sul fondo del vaso da tutti gli strati del liquido, ossia la totale pressione MS Lorenzo Respighi dovuta alia dilatazione della colonna liquida, la quale pres- sione risulta appunto, come col processo antecedente, rap¬ presentata da mhqH’l\ onde sommandola con quella dovuta al peso della massa liquida, si ha la totale pressione P, Con questo processo potrebbe risolversi il problema sotto un aspetto più generale, supponendo la colonna liquida co¬ stituita di strati di diversa' densità e soggetti a differenti variazioni di temperatura. Dovendo però il supposto caso servire soltanto a mostrare il modo secondo cui deve con¬ siderarsi e valutarsi 1* influenza delle variazioni termome¬ triche nella pressione idrostatica, non è necessario entrare in questi dettagli, che verranno presi in considerazione, di¬ scutendo il caso reale presentato dall’ atmosfera. Dalla riferita formola si deduce, che durante 1* aumento di temperatura la pressione sul fondo del vaso è maggiore di quella dovuta al peso della colonna liquida, e di una quantità tanto più grande, quanto maggiore è la variazione di temperatura m, ossia quanto più rapidamente la tem¬ peratura aumenta ; e che all’ opposto durante 1’ abbassa¬ mento di temperatura la pressione è minore di quella do¬ vuta al peso della colonna liquida, e con una differenza tanto più grande, quanto più rapidamente va diminuendo la temperatura : e che finalmente la pressione corrispon¬ de al peso del liquido sovrastante, quando lo stato termo- metrico di questo si mantiene inalterato. In atto pratico però questo effetto non potrà rendersi sensibile nelle pressioni idrostatiche, se non quando la co¬ lonna liquida sarà di notevole altezza, molto dilatabile e soggetta a forti variazioni termometriche. Per formarci un concetto sull’ ordine di grandezza di queste pressioni addizionali, facciamo una ipotesi avente qualche allusione al caso della pressione atmosferica : sup¬ poniamo cioè che la densità del liquido sia quella dell’ aria al livello del mare, nelle condizioni di 0*,760 di pressione Sulle cause del periodo diurno bar. 479 e di 0° di temperatura, e che F altezza H della colonna liquida sia di 7878 metri, per avere il suo peso equivalente a quello di una colonna di mercurio alta 760wm, e suppo¬ niamo finalmente che il coefficiente di dilatazione cubica di questo supposto liquido sia 0,00366 come quello del- F aria. In questa ipotesi fatto m = - , essendo £° la variazio- ^ v 3600 ne di temperatura avuta in un* ora, la nostra formola dà P = 760mw h= 0mm,621 X t\ nella quale ponendo in luogo di t9 le variazioni orarie ter¬ mometriche osservate a diverse latitudini e nelle diverse stagioni dell’ anno nelle ore prossime al massimo e mini¬ mo diurno barometrico, si trova F aumento o la diminu¬ zione di pressione in causa delle variazioni di temperatura, dello stesso ordine e dello stesso senso delle diurne varia¬ zioni barometriche. Vediamo ora come per questo caso ipotetico possiamo farci strada a determinare e valutare F influenza delle va¬ riazioni di temperatura sulla pressione atmosferica, o sul barometro. Considerando che sopra una non piccola estensione della superficie terrestre, in circostanze normali, possiamo rite¬ nere per tutti i punti sensibilmente eguali le condizioni termiche delle colonne atmosferiche corrispondenti, ritenere cioè che in ogni strato atmosferico la temperatura ed il suo stato di variazione siano costanti da luogo a luogo, po¬ tremo assomigliare la colonna atmosferica gravitante sul poz¬ zetto del barometro alla colonna liquida superiormente ideata ; in quanto che F aria circostante a quella terrà luo¬ go delle pareti verticali del vaso, mentre la superficie del mercurio del pozzetto barometrico costituirà il fondo del medesimo. Aumentando la temperatura, la dilatazione cubica in ogni strato di essa colonna, per la resistenza dell’ aria circostan- te, soggetta anch’ essa alla stessa variazione termometrica, 480 Lorenzo Respighi sarà trasformata in una dilatazione lineare verticale; per la quale dovendosi sollevare la colonna d9 aria sovrastante ad esso strato, ne risulterà sugli strati inferiori, e quindi sul pozzetto del barometro una reazione o pressione, analoga a quella prodotta sul fondo del vaso nella dilatazione degli strati della colonna liquida superiormente presa ad esame. Diminuendo invece la temperatura, pel condensamento di ogni strato abbassandosi la colonna atmosferica sovrastante, ne risulterà sul pozzetto del barometro una diminuzione di pressione, perchè tale abbassamento si effettua per l’azio¬ ne della gravità, e quindi a scapito del peso di essa colonna. Nel passaggio adunque dal caso ipotetico della colonna liquida al caso reale della colonna atmosferica non si viene ad alterare sostanzialmente il sistema, in quanto all9 influen¬ za delle variazioni di temperatura sulla pressione; per cui fin d9 ora possiamo prevedere nella pressione atmosferica in causa delle variazioni di temperatura effetti analoghi a quelli ottenuti per la colonna liquida ; ma essendo cam¬ biate alcune condizioni è necessario di trovare il modo di valutarne conformemente a queste l9 intensità e la grandezza. La determinazione esatta dell9 influenza esercitata dalle variazioni termometriche sulla pressione atmosferica, pre¬ senta insormontabili difficoltà, dipendenti specialmente dal¬ la mancanza dei dati necessarii a stabilire la legge colla quale varia la densità dell9 aria e la sua temperatura al variare dell9 altezza sul livello del mare, la legge colla qua¬ le nelle diverse ore del giorno varia la temperatura stessa in ogni strato, e dalla mancanza dei dati necessarii per de¬ terminare la quantità e la tensione del vapore acqueo nei diversi strati atmosferici, e le sue variazioni nelle varie ore del giorno, e il vero modo secondo il quale entra il va¬ pore stesso nella costituzione fisica dell9 atmosfera. Se non che trattandosi di determinare, non già il valore esatto delle variazioni barometriche prodotte dalle varia¬ zioni di temperatura, ma semplicemente il senso e l9 ordi¬ ne di grandezza delle medesime , allo scopo di mostrare che nel cambiamento dello stato termico dell9 atmosfera consiste la principale causa del moto diurno del baronie- Sulle guase del periodo diurno bar. 481 tro, così basterà risolvere il problema in modo approssima¬ tivo, appoggiandosi sopra ipotesi e dati abbastanza proba¬ bili e verisimili, per non dover temere che sia alterata la natura e 1* ordine dei ricercati effetti. Si consideri per un dato istante uno strato atmosferico infinitesimo di grossezza dz , all* altezza z sul livello del mare ; sia q la sua densità e p la pressione. Per la legge di Mariotte avremo p = Kq e quindi K == — , ? mentre dalle leggi idrostatiche avremo dp = — gq .dz e perciò dp _ K.dp gq— gP Se ora supponiamo che lo strato dz subisca in un secondo F aumento di temperatura m, essendo h il coefficiente di dilatazione, potremo ritenere, che esso strato si dilati ver¬ ticalmente della quantità mh . dz , sollevando di altrettanto la colonna atmosferica sovrapposta. Per questo sollevamento avverrà una reazione continua sullo strato sottoposto, eguale all’ azione della forza accel- leratrice dalla quale può ritenersi prodotto tale movimento, e che potremo esprimere con 2 mh . dz ; cosicché sopra ogni unità di superficie risulterà un aumento di pressione rap¬ presentabile con 2mhM . dz , chiamando M la massa della colonna atmosferica sovrastante. Essendosi poi rappresentata con p la pressione dovuta al peso della colonna stessa, avremo p = Mg, e quindi M = e per conseguenza V aumento infinitesimo di pressione dQ , prodotto da ogni strato atmosferico nei sottoposti in forza t. iv. 482 Lorenzo Respighi della variazione di temperatura, potrà esprimersi con 2 mhp.dz %nh K dQ = - = - X — dp . 8 8 8 Il dQ potrebbe anche esprimersi in funzione dell* altez¬ za z , eliminando la p ; ma con ciò non si otterrebbe alcun vantaggio, in quanto che le quantità m e dipendenti della temperatura, si possono ritenere in relazione più di¬ retta colla pressione che colf altezza. Per ottenere la totale variazione di pressione Q , procu¬ rata sul suolo e sul barometro pel cambiamento dello stato termometrico dell’ atmosfera, sarebbe necessario di integrare questa espressione differenziale, e di estendere 1’ integrale a tutta la colonna atmosferica, ossia da p = P ( pressione al livello del mare ) sino ap = 0 , al limite superiore dell’ at¬ mosfera. Ma a ciò fare sarebbe necessario di esprimere il valore di m e K in* funzione di p , ciò che non può otte¬ nersi per la mancanza degli opportuni dati di osservazione. Considerando però che per istrati atmosferici di limitata grossezza la temperatura può ritenersi costante per tutta 1’ altezza dello strato, e che per tale può ritenersi anche la sua variazione m; così se noi supporremo divisa la co¬ lonna atmosferica in istrati orizzontali, limitati dai luoghi di pressioni P, pt , p2 , p^ . . . ecc. decrescenti, cominciando dalla pressione P al livello del mare, secondo una data legge p. e. di IO"*”1 in IO*"*, allora potremo ritenere per ognuno degli strati Ppt , ptpì geographus. Lin. » litteratus. Lin. » » var. Ovulo, ovìformis. Lk. Mitra papalis . Lk. Cassis rufa. Lk. » cornuta. Lk. Dolium maculatum. Lk. Buccinum coronatum. Lk. Fusus colus. Lk. Ranella crumena. Lk. Strombus lentiginosus . Lin. Pterocera aurantia . Lk. Onchidium Peronii. Cuv. Circa speciem hanc Fornasinius scribit esse Molluscum per- comune in mari Mosambicano, quod Caffri Marengo apel- lant eoque utuntur sicut merce inter incolas, qui sunt prope mare, et eos qui in interioribus regionibus sunt. Goquunt ebullitione, et Sole exsiccant. Cardium costatum. Lin. Pecten asperrimus. Lk. var. c ? Cytherea tigerina . var. aurata . Crassatella glabrata . Lin. Ostrea denticulata. Born. junior, adhaeret ad testam Venerìs deshayesianae nob. Exemplaria quae nobis perveuere de hac Ostrea, formam exhibent rotundatain, parvulam, subcrassam , cujus dia- metros est 0,015. Valva inferior ferme tota adhaerens , concava ; et superior prope- plana. Haec manifesto extrin- secus est la me Uosa , duabus zonis violaceis bruneis or¬ nata. Sed invisibiles sunt dentes prope cardiurn. Lima linguatula. Lk. Aplysia tìgrina. Rang. var. punctulata. Mem. Ser.2. Tom. IV. Bianconi- Specim mos. Tav. I. Mem. Ser. 2. Tom.F. Bianconi -Specim. mos. Tavl Mem. Ser.2. Tom.lV. Bianconi- Specim. mos. Tav. III. C.Bettim dis'dalvero e in pietra. LitF-Casam Spegimina Zoologica Mosambicana 527 Cirripedia. Conia rosea Krauss. (Die Sudafrikanisch. mollusk. 1848. pag. 137. Tab. VI. fig. 28.) Pyrulae adhaerens. » » Kr. — Chorìno arieti adhaerens. Balanus balanoides. Ranz. — - Aviculae margaritiferae ad¬ haerens. Anatìfa laevis. Brug. EXPLICATIO TABULARUM Tab. 1. Fig. 1. 2. 3. Trochus lineoutus. Nobis. Tab. 2. Fig. I. Ploceus spilonotus Wig. foem. Fig. 2. Coturnix Fornasiwii. Nob. Tab. 3. Fig. 1. Plocei spilonoti Nidm. Fig. 2. ejusdem Omm. DESCRIZIONE DI DDE SPECIE DI COLEOTTERI MOSAMBICESI E DELLA VEGETAZIONE DEL DACIAIO BOSCHIVO DI OROPA DEL PROF. GIUSEPPE BERTOLOM (Letta nella Sessione 9 Febbraio 1865). INfel soddisfare all’ obbligo annuale della dissertazione mi sono proposto di parlarvi di due specie di Coleotteri novelli mosambicesi delle collezioni Fornasiniane , che si conservano in questo museo della Regia Università Bolo¬ gnese. Prima però di farne la descrizione, che per se stes¬ sa riescirà assai arida, esporrovvi alcune notizie intorno al Congresso che nel settembre ultimo passato tennero li Na¬ turalisti Italiani in Biella, perchè io giudico che le confa¬ bulazioni , le escursioni scientifiche , ed i lavori letti e pre¬ sentati dalle varie sezioni riescissero abbastanza utili al progresso delle scienze stesse. lo però nel far questo mi limiterò alla parte botanica , perchè appartenni soltanto a quella sezione, sebbene de¬ siderassi di assistere ancora alle sedute zoologiche per la parte entomologica ; ma una circostanza speciale non mi permise di soddisfare al mio desiderio di assentarmi dalle sedute di botanica perchè dai membri di questa sezione fui costretto di occupare il seggio della presidenza non cer¬ tamente per i miei meriti , che sono limitatissimi rimpetto t. iv. 6T 530 Giuseppe Bertoloni ai Colleghi , che la costituivano , ma probabilmente per onorare questa antica ed illustre Università Bolognese , alla quale ho la sorte di appartenere fra gli altri insegnanti. Il giorno terzo di settembre del 1864- era fissato per F apertura del primo Congresso dei Naturalisti Italiani. 11 Presidente straordinario Commendatore Quintino Sella , geo¬ logo dottissimo con elegante eloquio nella prima seduta generale descriveva la conformazione geologica del Biellese : dimostrava quanta utilità da essa derivava a quel paese colla introduzione delle moltissime industrie, che vi si e- sercitano, onde che Biella venne paragonata ad una Man- cester del Piemonte. Subito dopo finita la prima seduta generale i membri delle sezioni di Geologia , di Zoologia , e di Botanica si riunivano in separati locali destinati ad ognuna delle medesime. Quivi io mi incontrai con botanici distintissimi, alcuni dei quali conoscevo personalmente, altri solo di nome per le opere che hanno dato in luce. Io fui costretto dalla vo¬ lontà degli altri , come dissi , di presiedere a tanto senno. Col scegliere pertanto a Segretario il Sig. Professore Gi- belli di Pavia fu aperta la seduta nella quale primamente il Sig. Dottore Zumaglini di Biella, autore di una recente flora pedemontana, presentava sul banco della presidenza ai membri della Sezione non poche specie di piante prin¬ cipalmente fanerogame le più rare del Biellese , e varie as¬ sai dubie della loro determinazione specifica , perchè ognu¬ no pronunziasse il proprio sentimento intorno alle medesi¬ me. La qual cosa io giudico che apporti molto vantaggio alla scienza , ed agli scienziati che a colpo d’ occhio veg¬ gono con grandissima soddisfazione le più rare particolari¬ tà del paese, e per molta parte vi scorgono le varietà to¬ pografiche , sopra le quali ognuno pronunzia il proprio giu¬ dizio. Sia lode pertanto al Sig. Dottor Zumaglini che così intese la cosa , e che poi largì gli esemplari a chi piu ne bramava dimostrando con ciò quanto aveva a cuore il pro" grosso della Botanica. Sarebbe desiderabile che in tutti i paesi dell’Italia, ne DI DUE SPECIE DI COLEOTTERI MOSAMBICESI 531 quali i Naturalisti si raduneranno col correre degli anni , i residenti del luogo si prendessero il pensiero, come fece il Zumaglini, di raccogliere le specie particolari della loro provincia, e le dubie principalmente in molta copia di esem¬ plari , onde i congregati non solamente le osservassero , e su di esse pronunziassero il loro giudizio, ma ancora ne ottenessero esemplari per se stessi col dare reciproci cam¬ bi allo scopo di arricchire le proprie collezioni , e constata¬ re di cotal guisa i rapporti delle specie, che sviluppansi nelle diverse provincie Italiane in relazione alla distribu¬ zione geografica dei vegetabili. Il chiarissimo Professore Passerini di Parma leggeva una memoria sulla storia dei Collema incaricato di ciò dal Socio ordinario Sig. Professore Caruel, il quale con nuovi fatti anatomici e fisiologici tenta dimostrare che vi è un pas¬ saggio graduato e naturale fra questo genere di Licheni ed i Nostoch genere di Alghe. In appresso il Segretario della Sezione Sig. Prof. Gibelli lesse la descrizione accompagnata da disegni degli organi analoghi agli Anteridii delle Felci, Muschi, Alghe, ecc. os¬ servati nelle Verrucarie, genere di Licheni. Dimostra inoltre che molte specie di esse sono realmente ermafrodite altre invece unisessuali , fa osservare che le specie ermafrodite mancano di parafisi , le quali accompagnano P apotecio spo- rigero delle specie dicline; per ultimo dice che le Verru¬ carie presentano ancora quelle forme di fruttificazione sti- lospora che il Tulasne principalmente descrive propria delle Sferiacee , per cui si vienè sempreppiù a dimostrare le at¬ tinenze del modo dei sessi che avvicinano i Licheni ai Funghi. Io giudico questo lavoro interessantissimo , perchè discuopre novità che stabiliscono fatti cospicui intorno alle funzioni generative dei Licheni , le quali antecedentemente non si sapeva a cosa riferirle. L’ ora si era fatta tardissima, per cui si sospese la se¬ duta , ma frattanto venne avviso dalla Presidenza generale . che nel dì appresso vi sarebbe un’ escursione alla quale erano invitati tutti gli individui delle sezioni del Congres¬ so, alle Alpi di Oropa per osservarvi le particolarità geoio- 532 Giuseppe Bertoloni giche , le nature mineralogiche , la vegetazione delle piante e gli animali di quelle elevatezze. Cotale notizia rese so¬ lerti gli scienziati , i quali nel dì appresso all* ora stabilita partivano per P Ospizio d’ Oropa chi a piedi e chi in a- giate carrozze. Incontrammo per via una freddissima burra¬ sca, che si potè sopportare perchè si era presa la precau¬ zione di vestire abiti da inverno. Si giunse all’ ospizio al calar del giorno con una pioggia fitta e freddissima che più in basso si era convertita in grandine, come si seppe il dì appresso. Questa contraria circostanza in quella sera ci lasciava dubbiosi se nel prossimo mattino si fossero fatte le istruttive perlustrazioni. Nel mezzo a’ boschi ed a soprastanti orride rupi sorge maraviglioso P ospizio d’ Oropa per sua grandezza e ma¬ gnificenza. Chichessia può prendervi stanza per nove giorni anche signorilmente, sempre poi decentemente trattati di tutte cose. É inutile il descrivere questo ampio fabbricato perchè ciò è già stato pubblicato colle stampe. Solo dirò che sta collocato in una alta, e stretta valle alpina, po¬ sta nella parte superiore della vegetazione del Castagno, aperta colla sua sporgenza verso il mezzodì donde lo sguar¬ do attraversa la larga pianura piemontese passando sopra alla bassa catena dei colli , che da Superga si estende poco più oltre dell’ Astigiano , e giunge a distinguere chiaramen- te i gioghi di appennino : detto bacino è chiuso al levante, al settentrione , ed al ponente dalle tre congiunte alpi che gradatamente si elevano 1’ una sull’ altra cominciando dalla più bassa chiamata il Topo, che stà all’oriente , ed è suc¬ ceduta da quella di mezzo denominata Cava , la quale re¬ sta sormontata in altezza dalla terza appellata Mucrone po¬ sta piu all’ occidente. In esso la vegetazione degli alberi dopo un’ora circa di salita al disopra dell’ Ospizio finisce colla Betula , e le rupi non presentano più che qualche arbustello ed erbe. 11 fiume Oropa , che dà il suo nome al- 1 ospizio ed annesso santuario perchè vi passa vicino , na¬ sce in una gola alquanto elevata tra il Covo e la Cava, dove partendo dall’ ospizio si può pervenire con un’ ora o poco più di erto cammino. DI DUE SPECIE DI COLEOTTERI MoSÀMBICESI 533 La mattina anche prima del giorno molti ci alzammo dal letto rallegrati dal cielo fattosi nella notte tutto quanto se¬ reno, e premurosamente a vicenda ci sollecitavamo ad in¬ traprendere a salire li monti soprastanti. I componenti la sezione di Geologia e di Mineralogia, avendo alla testa il proprio presidente, furono li primi ad arrampicarsi su quelle roccie perchè condotti dal sommo geologo Quintino Sella, che tanto conosceva ed aveva stu¬ diate quelle formazioni , poterono vedere , e verificare fatti interessantissimi a questa scienza. La sezione di Zoologia seguitò quella di Botanica, la quale per desiderio di tutti che la componevano scielse per guida il Chiarissimo Botanico Barone Vincenzo Cesati , per¬ chè era praticissimo dei luoghi. Di fatto egli ci conduceva drittamente quà e là a riscontrare le specie più rare della base del Mucrone , poiché le sezioni di Botanica e di Zoo¬ logia si erano dirette all5 occidente , mentre quella di Geo¬ logia coi Mineralogi all5 Oriente per rupi molto più erte. Si salì pertanto sino ad una data ora del mattino per sen¬ tieri abbastanza agiati girovagando e raccogliendo le piante della regione arborata , e da tutti i botanici e zoologi fat¬ tosi caldo il sole si desiderava ardentemente di rimanere sull5 alpe, e di salire sino all5 apice del Mucrone, ma il tempo concesso era ristrettissimo e si dovette ritornare a malincuore. Questo principalmente colpiva l5 illustre Camillo Rondani di Parma, e me, non che qualche altro giovane entomologo lombardo posciachè sui molti fiori di Ombrel¬ lifere principalmente incontravamo Imenotteri e Ditteri pre¬ gevoli , e particolari di cotali elevatezze ; che anzi la pas¬ sione alle raccolte destò in noi il poco gentile pensiero di rimanere sul luogo ed abbandonare per quel giorno i Col¬ leghi , lo che però non si fece, e nel rammarico di dover discendere si convenne di ritornarvi in altra stagione. Fra i botanici fui probabilmente quegli che vi raccolsi in sì stretto tempo il maggior numero di piante, perchè si era destato in me il desiderio di possedere le specie di questa località, ed in fatti coll’aiuto del cortesissimo Sig. Barone Cesati , del Chiarissimo Passerini , e di altri mi ac- 534 Giuseppe Bertoloni cinsi a mettere nel vascolo tutte le specie ci cadevano sotto gli occhi. Queste a Voi, Colleghi Umanissimi, qui esporrò per farvi racconto della vegetazione spontanea della vallata boschiva d’ Oropa. Primieramente dirò delle piante arboree, non che degli arbusti, e frutici minori, e poi delle erbe, nel che fare annovererò le specie non disponendole in particolare clas¬ sificazione, ma come successivamente si sono presentate a’ miei occhi. Il bosco d’ Oropa è pochissimo folto , perchè in un luogo tanto frequentato da visitatori la falce distruttrice così lo ha ridotto coll’andare de* secoli. Nella parte inferiore vi predomina il Castagno Castanea vesca , nella parte media sono ceppaje di Faggio Fagus sylvatica , in mezzo a tron¬ chi mutilati della stessa specie, ed a Castagni pure muti¬ lati, e la parte superiore ed ultima degli alberi termina principalmente coi Faggi, fra’ quali si rinvengono due Be- tule cioè la Betula alba di maggior sviluppo ^ e la Betula ovata W. Fra questi alberi è piuttosto frequente anche il bellissimo Sorbo de3 cacciatori Sorbus aucuperia L. che an¬ zi un poco inferiormente ad Oropa attorno allo stabilimento idropatico del distintissimo Sig. Dottore Guelpa, del qua¬ le si dirà più sotto, osservavo il medesimo anche più co¬ mune ed adornante moltissimo que’ selvatici pendii colle sue larghe cime guernite in tale stagione di frutti maturi rifulgenti a modo del più rosso corallo. Se quest’ albero i- taliano de’ monti alti si adattasse a vivere vicino alle città, riescirebbe uno dei maggiormente adornante i giardini, ed i boschetti artificiali. Anche ne’ nostri più alti appenini di Belvedere io lo trovai molti anni sono assai raro. Il Pyrus aria è frequente nella stessa selva d’ Oropa e vi prende bello sviluppo. Esso chiude il novero degli alberi indigeni , che vi ho osservati. Fra gli albereti di maggior sviluppo è frequente il Salix caprea , e la sua varietà a foglie larghe , e nella base orec¬ chiate , che predilige le ripe dei rigagnoli. Il Signor Ba¬ rone Cesati ci condusse in un pendio per raccogliervi e- semplari di una delle specie più rare di Salici italiani , DI DUE SPECIE DI COLEOTTERI MOSAMBICESI 539 bacino la Frithillarìa Meleagris raccoltavi dal Dott. Zuma* glini , la Grimmia arenaria s il Pterigophyllum lucens, Y Am' mobrium julaceum, la Pohlia elongata , lo Sphagnum squa- mosum sterile, il Celidium stictarum sulla Sticta pulmona - cea, la Lyngbya bugellensis , la Calotrix Cesati , il No sto eh prismaticum , lo Schizofipon cinctus 3 l9 Hydrococus Cesati sulla Fontinalis , e la Nectarìa oropensis. Il Chiaris. Dottor Zumaglini nella sua recente Flora Pedemontana indica spon¬ tanee di questo stesso bacino la Veronica Teucrium , la Veronica fruticolosa , la Pinguicula alpina , la Circea alpina , il Phleum alpinum , la Calamagrostis sylvatica , il Sambucus racemosa , il Cytìsus prostratus lungo la strada, che con¬ duce ad Oropa, la Campanula ladfolia (urticefolia All.) Y E- rigeron alpinus , e Y Achillea moschata. Rassettate in tutta fretta le nostre raccolte di piante e di insetti ed anche di qualche bel minerale, partimmo a piedi dall’ ospizio d9 Oropa all9 ora fissata per recarci tutti in corpo allo stabilimento idropatico dell9 Illustre Signor Dot¬ tore Guelpa , il. quale con grazioso invito ci aveva chia¬ mati colà. Al nostro pervenirvi le accoglienze furono lie¬ tissime, e dopo averci ristorate le forze con lauta mensa, ed averci fatto conoscere come erano artificiati in tutte le singole parti i recipienti balneari , e manifestateci le pra¬ tiche delle svariate vantaggiosissime medicature, dopo averne visitati anche i selvatici , e romantici dintorni , ne9 quali i malati respirano un9 aria saluberrima, dato il cordiale saluto al cortese Direttore , non che alle molte distinte persone , che sebbene fossero tuttora in cura , furono cor¬ tesissime di tenerci allegra compagnia, tutti gli scienziati salirouo sulle carrozze per giungere colla maggiore solleci¬ tudine a Biella. Quivi nello stesso giorno ognuna delle sezioni tenne se¬ duta scientifica. In quella di Botanica primamente il Sig. Dottor Zumaglini annunziava che l9 amento maschio del Castagno era stato nella sua pratica medica riscontrato ot¬ timo debellante le febbri periodiche, e ne dettava le pra¬ tiche di conservazione e di uso. Appresso il Sig. Barone Vincenzo Cesati esponeva a voce interessantissime osserva- 540 Giuseppe Bertoloni zioni sulla vegetazione del territorio di Biella comparativa¬ mente a quella dei luoghi adiacenti; mentre nel primo crescono piante rare fanerogame non trovate in altre lo¬ calità dell’ Italia , e moltissime crittogame novelle alla scien¬ za e poco conosciute. Questo lavoro botanico sulla provin¬ cia di Biella non potè presentare in iscritto per mancanza di tempo, ma in parte è di già stato da lui pubblicato in Germania nella sua Geografia botanica dell9 alta Italia inserita nel giornale il Linnaea redatto dal Signor Schle- ctendal in Hala. Una tale relazione interessò tutti moltis- tissimo, e mi invogliò di visitare alcune vicinanze della città produttrici di piante rare. Il chiarissimo Sig. Professore Passerini di Parma espo¬ neva alla sezione alcune sue osservazioni microscopiche in¬ torno alla causa che negli anni di lunghe e dirotte pioggie primaverili ammala li frutti delle Prugne, e li fa divenire Bozzacchioni come dicono i Toscani: Ben fiorisce negli uomini 91 voliere , Ma la pioggia continua converte In bozzacchioni le susine vere. Farad. Cant . 27. Anche nel bolognese , e nel mio frutteto delle colline di Zola Predosa varie fiate negli anni piovosi ho osservata questa malattia nelle susine lunghe. Egli dice che la malattia comincia coll9 atrofizzarsi del- P ovolo subito dopo la fecondazione, e collo smodato in¬ grandimento del pericarpio causato da una muffa, che il continuo bagnato vi fa nascere sopra , non descritta da al¬ cuno, del genere Ascospora che appella specificamente pru - nicola. Questo interessante lavoro più di recente è stato pubblicato in Milano nel giornale d9 orticoltura intitolato i Giardini Tomo I. Seconda decade, accompagnato dalle figure della forma semplicissima di detta parassita. Pochi giorni sono ho ricevuto il grazioso dono dal gentilissimo Autore di questa illustrazione. I” appresso il sullodato Signor Dottore Zumaglini lesse DI DUE SPECIE DI COLEOTTERI MOSAMBICESI 541 una dottissima memoria intorno alla storia del Formentone, ed alla introduzione di esso in Europa. Di questo lavoro tanto interessante la sezione manifesta il desiderio della pubblicazione, perchè riferisce notizie non prima sapute. Discende in seguito a trattare la questione se il formentone sia causa della Pellagra, e conchiude che nò. Da ultimo propone un nuovo rimedio contro sì grave malattia , da lui provato sempre efficacissimo durante la pratica di più di 14 anni. Desso consiste nell’ uso di granuli di zucchero inzuppati di una tintura di acetato di piombo. Intorno alla esposizione fatta dal Zumaglini prese a par¬ lare il Signor Commendatore Benedetto Trompeo, il quale ritiene col Zumaglini non essere il formentone la causa esclusiva della Pellagra, bensì la miseria, e perciò la cattiva ed insufficiente nutrizione. Egli espresse il desiderio che la proposta fatta dal Zumaglini fosse presto notificata al Ministero, onde questo si occupasse col massimo interesse delle previdenze economiche , agricole , e sociali suggerite per mitigar^, e prevenire lo sviluppo di un morbo tanto micidiale. L9 intiera sezione si associa al Commendatore Trompeo perchè cotali voti di filantropia e di umanità ab¬ biano un felice scopo presso il Governo. Prima che si finisse quest9 ultima seduta della sezione di Botanica io espressi alla medesima un mio desiderio allo scopo di facilitare in Italia lo studio, e la ricognizione di tutti i prodotti naturali indigeni tanto vegetabili , che ani¬ mali, e minerali, e fu di porgere preghiera alle Autorità Governative perchè si interessassero di inculcare la promo¬ zione di speciali raccolte provinciali di tutti i prodotti na¬ turali proprii , delle quali raccolte gli esemplari in doppia copia si potrebbero per metà inviare ad un museo centrale, e P altra metà si conserverebbe nel capo luogo o città della provincia a vantaggio degli studiosi delle cose proprie, e di quelle di tutta F Italia. Di cotal guisa colla massima facilità si completerebbe una collezione pubblica della Flo¬ ra , della Fauna, e Mineralogia Italiane. Ogni provincia poi avrebbe la collezione delle proprie specie spontànee , scientificamente determinate, ed anche distinte coi volgari e vernacoli nomi corrispondenti agli scientifici. 542 Giuseppe Bertoloni Un lavoro di questo genere da me è stato di già fatto per la parte botanica bolognese, perchè della Flora nostra, che in avvenire forse pubblicherò colle stampe, composi due esemplari, di uno dei quali feci dono alla collezione del giardino botanico, e Y altro conservo per mio uso. De¬ sidero che altrettanto si faccia in tutti i rami dei prodotti indigeni nostri, e così Bologna col suo museo provinciale avrebbe la statistica realizzata di tutti i prodotti naturali proprii. Nel chiudersi della seduta, posciachè P ora era tardissima, il Sig. Dottore Rostan espone con succinte parole il me¬ todo, col quale formulerebbe i quadri di geografia botanica comparata dell9 alta Italia. Nel giorno appresso fuvvi la seduta generale di chiusura del Congresso, nella quale furono letti interessantissimi la¬ vori , che la ristrettezza del tempo mi fa tacere essendomi prefisso di parlarvi soltanto delle notizie di botanica. Solo dirovvi che in essa si scielse la città della Spezia pel fu¬ turo congresso che si terrà ai primi di settembre di que¬ st9 anno 1865 coll’ avere a presidente generale straordina¬ rio il Sig. Marchese Giacomo Doria distinto entomologo genovese. La relazione fattaci dal Sig. Barone Cesati della vege¬ tazione del Biellese mi aveva invogliato, come già vi dissi, di erborizzare nelle vicinanze della città , dove si trovano piante singolari ed alcune assai rare. Il suddetto Signor Barone nel mattino assai di buon9 ora prima dell9 ultima seduta generale assieme ad alcuni altri con una gentilezza, alla quale non so corrispondere , mi accompagnarono diri¬ gendomi sul colle subito fuori di Biella lungo un rivo di acqua limpidissima e perenne che era derivazione del fiume Oropa. Quivi molte furono le piante che osservai o raccolsi dei monti alti. Per me fu di grandissima meraviglia che vegetassero vicinissimo a questa città per non dire alle sue porte le specie, che noi non raccogliamo che nel più alto appennino. Biella dopo Cuneo forse è la città del Pie¬ monte piu elevata sul mare, ma però è sempre città posta in piano per buona parte alla base dei monti. Due circo- DI DUE SPECIE DI COLEOTTERI MOSAMBICESI 535 cioè il Salix lapponica , che mai io avevo ritrovato. Anche la Lonicera nigra andammo drittamente a raccogliere , al¬ lora in frutto, collo stesso mezzo, perchè è specie rara. Inoltre vi osservavo non tanto comune il Cytisus alpinus , che è pure un bellissimo alberetto delle alpi. Frequente¬ mente si incontrava quà e là a terra raccorciato il Junipe - rus nana W. che anche ne’ luoghi terrosi e pingui rite¬ neva questo suo abito, per lo che se non è specie diver¬ sa , come alcuni pretendono , dal Ginepro comune , che si alza ad alberetto, come sapete, è però una distintissima varietà di questo. Fra gli arbusti di mediocre altezza non rara vi cresce la Rosa alpina , e più rara la Rosa rubrifo- Ua. Anche due specie di Rovi vi sono spontanee, cioè il Flambois Rubus ìdaeus meno frequente che nei nostri ap- pennini , dove inoltre prende maggiore sviluppo, ed il Ru¬ bus glandulosus , che vi era comunissimo, ed in quella stagione carico di frutti maturi. Il Cesati e que’ del luogo ci invitarono a mangiarne dicendoci che erano migliori e più saporiti dello stesso Flambois. Di fatto io li ritrovavo tali, e mi dilettai a mangiarne una buona quantità, per¬ chè spesso incontravo fra piedi la pianta, che in que’ mon¬ ti è frequentissima , come non è rara negli appennini bò- lognesi. Il Rhododendrum ferrugineum costituiva cespugli di un verde scuro risaltanti assai nella vicinanza della Callu- na valgaris , la quale era in quella stagione adornata dai suoi splendidi fiori porpureo-rosei. Da ultimo fra i minimi arbuscoletti frequentissime si riscontravano in mezzo alle erbe, e principalmente nelle vicinanze de’ rigagnoli due specie di Vaccinio; cioè il Vaccinium Myrtillus , ed il Vacci- nium Vitis Idea. Quest’ ultimo vi era comunissimo ed ador¬ no de’ suoi frutti risplendenti di un bel color rosso, che invitava a raccoglierli. Io non aveva mai trovata questa bella specie ne’ monti alti. Mi dissero che i pastori e luogo ne mangiano con piacere il frutto, come i nostri montanari dell’ appennino mangiano il frutto dell altra sun¬ nominata , da loro distinta coi nomi di Fagiolo , o B&cc0 ° > ed intorno alla quale per ciò Virgilio diss G — Vaccmia nigra leguntur — - . Io volli gustare il Vitis idea e o rova 536 Giuseppe Bertoloni di sapore subacido, rinfrescativo, analogo a quello del Mir¬ tillo ma molto meno grato delle fragole. Passo a numerar¬ vi le piante arbacee. La raccolta di queste, sebbene la sta¬ gione fosse tanto inoltrata, riesci abbastanza interessante. Per ogni dove su quella regione boschiva si riscontrava qua e là in fiore il Carduus palustris dove il terreno era profondo, fresco, ed umido. Il Gnaphalium recturn alzavasi fra le erbe ne’ luoghi sassosi. Negli stessi pendìi sassosi era comune V Apargia hispida W. Bertol. La Myosotis alpestris prediligeva i luoghi terrosi e pingui, che guerni- va del suo grazioso fiore. Troppo tarda era la stagione per trovarvi e riconoscere le specie di piante graminacee, che certamente saranno molte in quel bacino, ma pochissime avevano ancora le fruttificazioni superstiti. Di rado si in¬ contrava un cespuglio della Festuca pratensis Huds , la qual pianta probabilmente è una variazione lussureggiante della Festuca elatior L. che pare poco appetita dagli ar¬ menti , e V Agrostis vulgaris Smith si osservava più di fre¬ quente. Nel salire i poggi erbosi al ponente dell* ospizio e poco sopra al medesimo raccoglievo 1’ Astrantia minor L. in pieno fiore , e negli stessi poggi per ogni dove Y Eu- phrasia officinali L. Questa specie comunissima per tutta T Italia predilige i prati dei monti ed anche assai alti, e presenta distintissime varietà delle diverse topografie. Fra queste varietà una aveva ritrovata e possedeva il Chiaris¬ simo Zumaglini , che pel suo abito si scostava assaissimo dal tipo specifico, e per così dire si sarebbe giudicata a prima vista degna di un nome particolare. Il sullodato Zu¬ maglini la sottopose al giudizio della sezione di Botanica , perchè pronunziasse intorno alla medesima. Io ne portai meco alcuni esemplari, che esaminati con diligenza li ri¬ ferii all’ Euphrasia imbricata del Lapeirous , che molti di¬ stinti botanici la ritengono varietà dell’ officinali suddetta. Il Zumaglini la rinvenne in una sola località detta la Bru¬ netta vicino a Susa. La Tormentila erecta è assai comune in que’ boschi diradati , siccome la bella Campanula bar- ata E.\ più rara invece vi è la Campanula rhomboidalis, e il Phyteuma humilis Schl. La Gentiana Amar ella L. DI DUE SPECIE DI COLEOTTERI MOSAMBICESI 537 sorgeva appena sopra le erbe ne' praticelli sassosi. V Epi- lobium alsinaefolium vi è frequente ne* luoghi sassosi e nelle ripe de* ruscelli. Comune è pure il Teucrium Scorodonia L. , e la Luzola nivea co’ suoi fiori bianchi risalta al con¬ torno degli arbusti. Al margine di un maggior ruscello, che scende dall’ alpe , era frequente la Celtha palustrìs sem¬ pre bagnata dall’ acqua fredda; ed in quelle fresche vici¬ nanze il bellissimo Epilobium angustifolìum splendeva dei suoi fiori roseo-purpurei. Quivi era l’ Achillea ptarnica , la Viola canina > la Myrrìs hirsata . In questi boschi osservavo di frequente nella pagina superiore delle foglie del Faggio una galla di forma ovato-conica , coll’ apice puntuto, della grossezza poco più di un grano d’ orzo, e di un bel colore rosso vivo che nel luglio passato avevo pure osservato sulle foglie del Faggio lungo il Rio Maggiore, della Porretta, che si credeva probabilmente prodotta da una specie di Afide come opinavano il Passerini ed il Rondani , ed io ancora, ma oggi dietro lo esame della larva morta trovata racchiusa nella galla, opino diversamente. Salendo un poco più in alto quasi al limite superiore della selva il barone Cesati mi indicò alcuni abbastanza estesi praticelli , ne’ quali fra le erbe predominava la medicata Amica montana , e sebbene fosse tarda la stagione pure ne trovammo alcuni esemplari anche in fiore. Quivi la specie è rappresentata dal tipo a foglie strette. Io feci le meraviglie nel vedere tanta quan¬ tità di questa utile pianta, perchè sulle alpi marittime il solo tipo a foglie grandi della stessa avevo trovato piutto¬ sto raro. La Silene rupestris adornava co’ suoi delicati fiori i luoghi sassosi , e nudi di altre piante. Nelle vicinanze dei ruscelli e dove dal terreno sorgeva 1’ acqua incontravo di frequente il bianco e grazioso fiore della Pornassia pa- lustris , e sul terreno fresco, ed umido di quelle località la Monogyne alpina di già sfiorita, ed il Majanthemum bifo- lium Spr. in frutto. Le piante acotiledonali, che in quei monti crescono, sono pur degne di ricordanza. Vi striscia non raro sulla terra e nel prato il Lycopodium clavatum L. Ne’ luoghi inferiori è gigantesco il Felce maschio Po- lypodium Filix mas, l’Allosums crispus, che si trova anche t. iv. 68 538 Giuseppe Bertoloni nell’ alto della selva, ma sempre tra i sassi triti e diroc¬ cati , e colla sua minutamente frastagliata e graziosa fronda reca diletto allo sguardo. Ne’ pendìi sassosi ed alti trovam¬ mo l’ Asplenium Breyni , che è pianta rara e ricercata. An¬ che il comunissimo Asplenium Trichomanes trovasi fra i di¬ rupi d’ Oropa. Le foglie poi del Sorbus aucuparia di fre¬ quente si vedevano affette dall’ Erysiphe cuspidata , che mai avevo osservata nei nostri appennini , dove detto albero è piuttosto raro. Un fungo pure per me nuovo sviluppasi sopra i tronchi marciti de’ Faggi in questi boschi , cioè il Panus rudis del Cesati, Agarico pregevole e raro nelle collezioni. Anche il Lycoperdon Bobista L. era sulla terra in quella selva. L’ ora si era fatta tarda, e convenne discendere all’ ospi¬ zio a raggiungere i Colleghi delle altre due sezioni. Ciò fatto, nel bel mentre che le comitive si radunavano alcuni di noi approfittammo dello splendore del sole, e colla massima sollecitudine raccogliemmo insetti rari sui fiori dei prati di poco inferiori all’ ospizio stesso, non che piante dei dintorni dei medesimi. Queste sono 1’ Impatiens noli - tangere , che predilige i luoghi più cupi ed ombrosi , il Rumex alpinus , la Bistorta Polygonum bistorta , la Prenanthes alpina, l’ Hieracium murorum delle rupi , la comunissima Galeopsis Tetrait , la Lychnis sy he stris Hopp. già spogliata de’ suoi bellissimi fiori, ma piena di sementi mature, che raccoglievo per guernirne di piante il giardino, il Polygo¬ num persicaria , il Chenopodium Bonus Henricus , la troppo infestante que’ prati Angelica syhestris , i cui fiori erano stanza d’ innumerevoli sciami d’ insetti quanto maggior¬ mente il sole riesciva caldo ; 1’ Imperatoria Ostrutium , e la Scabiosa succisa comune anche ne’ luoghi più bassi del monte. Onde vieppiù ricca e completa riesca la florula d’ Oropa agli studiosi di cotale località giudico interessante il rife¬ rire qui le piante ritrovatevi da altri botanici in altre sta¬ gioni, che sono notate nelle opere loro e che dalla Com¬ missione e da me non vi furono raccolte. L’ Illustre Barone Cesati nella Flora della provincia di Biella dice di questo f DI DUE SPECIE DI COLEOTTERI MOSAMBICESI 543 stanze speciali io credo che sieno la cagione della discesa dall’ alto di dette specie, e del loro esistere e prosperare tanto bene in basso; vuo’ dire le correnti delle acque che ra¬ pide con corso corto precipitano dai monti ritenendo in loro bassa temperatura nel mentre che ne trasportano le sementi, le quali poi incontrando ne’ colli vicinissimi alla città sem¬ pre frescura, anche nella stagione la più calda per cagione degli ombrosi boschi , e delle acque fredde che vi scorrono frammezzo, nascono, e vi si fissano. È un fatto che ha do¬ cumento negli esemplari che vi porgo, che in detti luoghi raccolsi , e sono 1’ Aconitum Lycoctonum, la Spiraea Aruncus, la Spiraea Ulmaria , il Doronicum austriacum la Circea alpi - na , e C. lutetiana , 1’ Epimedium alpinum , l’ Asurum euro - paeurriy l’ Astrantia major , il Prunus Maaleb . Di questo bello alberetto il Cesati assicuravami rinvenirsi quivi ancora la varietà a fiori rossi , la quale riescirebbe assai adornante se fosse collo innesto propagata nei giardini. Il Geranium nodo - sum , la Caltha palustris sempre all* orlo bagnato del freddo rivo limpidissimo, il Salix caprea fol. auricuL , 1’ Heracleum Sphondylium, il Gnaphalium luteo -album , la Serratula tincto - ria , la Galeopsis Tetrait 9 il Polygonum hydropiper, V Aspe- rula taurina , la Fontinalis antipyretica, la quale in molta abbondanza tappezzava il fondo del rivo. Di questa critto¬ gama no© accendibile, come il suo nome esprime, i Prus¬ siani imbottiscono la parte bassa degli appartamenti nelle vicinanze de’ caminetti , e delle stufe per conservarne il caldo, e contemporaneamente preservarsi dagli incendii; ma la pianta più rara di queste località, e particolare delle medesime fu la Stellaria bulbosa , la quale sebbene non aveva più foglie e perciò non compariva sopra terra potei colla località indicatami dal Cesati rinvenire sotterra, e tra¬ sportarne i bulbi nel nostro giardino, dove in vase pro¬ spererà, e per la prima volta vedrò viva nella prossima primavera. # Nel pomeriggio di questo stesso giorno i Congregati fo¬ restieri tutti o quasi tutti , pieni e riconoscenti delle liete accoglienze, che avevano ricevuto dall’Almo Municipio, e dai cortesi Cittadini , contentissimi delle nuove relazioni 544 Giuseppe Bertoloni scientifiche l* un 1* altro cordialmente si salutarono, ed en¬ trati contemporaneamente ne’ veicoli del treno ferroviario chi si dirigeva verso Torino e Genova, chi verso la Lom¬ bardia per ritornare ai proprii paesi. Voi forse meraviglierete che in soli tre giorni il Con¬ gresso dei Naturalisti abbia potuto £*re tante cose, le quali si succedevano 1* una alF altra senza interruzione a modo militare, mentre le scienze richiedono molta ponderazione : ma al congresso ognuno venne preparato per dichiarare quello che giudicava o nuovo o molto interessante, gli a- scoltanti sentivano di qual importanza fossero i lavori di questa scienza della natura quasi sempre positiva e certa, ma che poi saranno convalidati dalle pubbliche stampe. Questo basti per ciò che riguarda la parte botanica del congresso di Biella. Ora passo a descrivervi le due specie di Coleotteri mosambicesi. Ambe appartengono allo stesso genere Alaus di EschscholtX della Famiglia Sterno cera , e della Tribù Elateridi . Io le distinsi sino dal 1848 1’ una col nome di Alaus funerarius , l’altra con quello di Alaus marmoratus , e sino al dì d’ oggi restarono esposte al pub¬ blico nel nostro museo con questi nomi, i quali, come ognuno capisce , esprimono il carattere più risaltante del- 1 abito di ciascuna delle due specie , che non ancora de¬ scrissi e pubblicai. 1. Alaus funerarius : niger, supra luteo-ferrugineo macula- tus , subtus punctatus , splendens : capite , thorace pun- ctatis , supra tomentosis , luteo-ferrugineis ; thorace ma- culis duabus rotundatis, basi nigris; elytris striato-pun- ctatis, subsplendentibus, maculis tribus tomentosis, lu¬ teo-ferrugineis, difformibus. Tab. 1. Fig. 1. 2. Habui ex Inhambane Mosambici anno 1848. Il maschio di questa specie è molto più piccolo della femmina, come vedete dagli individui che avete sottoc¬ chio, e nelle figure che li rappresentano. Desso è lungo un centimetro ed otto millimetri , largo cinque millimetri, mentre la femmina è lunga due centimetri e mezzo, e lar¬ ga otto millimetri. DI DUE SPECIE DI COLEOTTERI MOSAMBICESI 545 L9 aspetto della specie per cagione de9 suoi colori è as¬ sai lugubre : nel disopra del maschio predomina il fondo nero perchè proporzionatamente le macchie giallo-rugginose sono più piccole. Le sue antenne nere opache hanno il primo articolo ingrossantesi verso l9 apice, e sufficientemente lungo, il secondo piccolissimo, tutti gli altri a lamelle molto lunghe, e disposte quasi in mazza allungata all9 estre¬ mità dell9 antenna. Gli occhi sono neri, splendenti, sic¬ come sono neri gli organi tutti della bocca; il disopra della testa resta tutto coperto da un tomento giallo-rugginoso , coi corti peli del tomento diretti dal di dietro all9 avanti. Il torace nel disopra è pure coperto dello stesso tomento color di gialla ruggine, più rado di quello della testa, e fra i peli lascia vedere le punteggiature, inoltre nel mezzo di ognuna delle due sue metà , che un solco longitudina¬ le separa , ha una macchia nera , opaca , rotondata , come pure gli angoli della base, che protuberano all9 indietro, il margine della medesima, ed il centro rientrante di detto margine sono neri cioè spogliati di tomento, inoltre al disopra di detto centro rientrante è una macchia nera di forma quasi quadrata. Nel disotto il torace è tutto mar¬ catamente punteggiato, e splendente, nero in tutta la sua lunghezza centrale , ma ai lati mostrasi rossastro sfumato con P orlo laterale protuberante e nero splendente, che divide la faccia superiore dalla inferiore. Le elitre sono per la maggior parte nere, striate, se* miopache, e ad occhio armato mostransi minutamente pun- teggiate, ognuna presenta tre macchie non molto grandi di tomento giallo-ferrugineo. Quella della base è rotondata di mezzana grandezza; quella di mezzo che sta vicina alla prima ha la forma allungata trasversale e si estende dai- P orlo esterno dell9 elitra alla terza stria interna della me¬ desima, con contorno rientrante nel centro della lungezza; la terza macchia, che sta ai due terzi circa della ung ezza dell’ elitra è la più piccola, di forma tendente alla trian- golare, e resta collocata nel mezzo della larg ìezza e medesima elitra. T. iv. 546 Giuseppe Bertoloni Nel disotto F addome è nero, punteggiato, splendente , ma negli anelli posteriori ha un riflesso rossastro. Le zampe sono tutte quante splendenti, punteggiate, nero-rossastre nelle inserzioni loro, e nettarsi, nere nel resto di loro lunghezza, e colle unghiette ferruginee. Nella femmina il primo articolo delle antenne è propor¬ zionatamente più corto, più grosso di quello del maschio, gli altri tutti sono a denti meno sporgenti, subeguali fra di loro, e non costituiscono F apice quasi a forma di clava come è dell’ antenna del maschio. È vero che il carattere della diversità degli articoli è generico dei due sessi, ma negli Alaus americani osservo che le antenne del maschio, sebbene abbiano gli articoli a denti più sentiti di quelli della femmina , però mai prendono F assetto da rappresen¬ tare F apice dell’ antenna quasi a foggia di clava. II torace nel disopra ha la macchia del centro della sua base non di figura quasi quadrata come nel maschio, ma fatta a cuore coll’ apice troncato contro Io scudetto rotondo, convesso, punteggiato, nero. Le elitre sono molto meno nere che quelle del maschio, poiché due delle tre macchie giallo-ferruginee di ogni eli¬ tra sono molto più grandi , e di forma diversissima. La macchia della base è assai grande , di contorno non tanto deciso, nella parte interna incavato, e dal margine esterno dell’ elitra si estende sino alla seconda stria inter¬ na, per cui occupa quasi tutta la larghezza dell’elitra, od in lunghezza si estende alla prima terza parte della medesima. La seconda macchia, che nel maschio è la mag¬ giore , mostrasi la minore nella femmina, e resta collocata nel mezzo circa della lunghezza dell’elitra, vicinissimo anzi confina col margine esterno della medesima. Ha la forma quasi rotondata , ed è assai piccola in proporzione delle altre due , per lo che la terza parte mediana della lun¬ ghezza dell’ elitra riesce quasi tutta nera. La terza mac¬ chia, come dissi, molto grande, e trasversale, di figura non determinabile, comincia dall’ orlo esterno, e si estende quasi sino alla sutura interna , per cui la macchia di una elitra quasi si va a toccare con quella dell’ altra, ed ambe DI DUE SPECIE DI COLEOTTERI MOSAMBICESI 54-7 unite costituiscono come una zona giallo-ferruginea collo¬ cata nella parte anteriore dell* ultimo terzo della lunghezza dell’ elitra. Il torace della femmina nel disotto ai lati mo¬ stra tre macchie rossastre invece della sfumatura rossastra non interrotta del maschio, ed anche le unghiette della fem¬ mina sono un poco più scure. Nel resto questa non diffe¬ risce dal maschio che nella grandezza maggiore del suo corpo, che è quasi il doppio di quello del maschio. Di questa mia specie non ricevei che tre individui dal Mosambico nel 1848 che furono trovati e raccolti lungo il fiume Magnarrà dal sig. Cavaliere Fornasini cioè due femmine ed un maschio , che sono probabilmente gli unici esistenti nei musei dell* Europa, e perciò si possono dire rarissimi Il Sig. Dohrn presidente della Società Entomologica di Stettino, ed entomologo dottissimo varie fiate visitò il no¬ stro museo, e tenne sempre di gran pregio queste nostre rarità affricane ; lo che viene ancora confermato da varie delle mie specie, descritte e figurate in passato nelle Me¬ morie di quest’ Accademia dell’ Istituto, e ripubblicate sotto il mio nome nel giornale Entomologico di Francia, accom¬ pagnate da tavole di maggior lusso colle figure più dili- gentate , e colorite alla perfezione. Alaus marmoratus : niger, splendens , punctatus ; supra to^ mento albo marmoratus. Tav. 1. fig. 3. Misit Eq. Fornasini ex Inhambane Mosambici anno 1848. Un solo individuo di questo bello insetto ci fu mandato colle spedizioni Fornasiniane , e desso è femmina; sopra questa soltanto descrivo la specie in mancanza del maschio. La lunghezza sua è di due centimetri e due millimetri, la larghezza di otto millimetri. La superficie del suo corpo è nera, splendente, punteggiata, nel disopra cospersa da un tomento bianco, opaco, disposto a modo di screziate macchie di marmo; nel disotto dello stesso tomento appa¬ risce appena un’ indizio nella porzione dell’ addome, che rimane fra le due paja di gambe posteriori. 548 Giuseppe Bektoloni Le antenne sono piuttosto corte, nere, splendenti, cogli articoli, eccettuati i primi due, fra di loro assai eguali ed ottusi : gli occhi splendentissimi , un poco protuberanti ; il disopra della testa è tutto quanto coperto di fitto to¬ mento bianco, opaco; gli organi della bocca sono neri, e le mandibole splendenti , meno però degli occhi. Il torace superiormente è assai convesso, nel mezzo di tutta la sua lunghezza è nero splendente , e 1’ occhio ar¬ mato lo scorge punteggiato ; lateralmente alla striscia lon¬ gitudinale nero-splendente sino al margine esterno è larga¬ mente vestito da un tomento bianco, che costituisce una striscia longitudinale che si estende dall’ articolazione colla testa sino a quella colle elitre, e che in tre punti della lunghezza ha nel proprio contorno delle mancanze, per ca¬ gione delle quali resta scoperto il color nero; nel disotto poi il torace è tutto quanto nero lucido marcatamente pun¬ teggiato. Lo scudetto è un poco convesso, esso pure nero, pun¬ teggiato, splendente. Le elitre hanno strie poco profonde , . finamente pun¬ teggiate si scorgono colla lente , ambe unite assieme rie¬ scono meno convesse del corsaletto, desse ancora sono ri¬ coperte parzialmente da tre zone trasversali di tomento bianco, opaco, variamente interrotto a somiglianza delle macchie bianche del marmo nero. Vicino all’ apice delle elitre, ma un poco ai lati , in mezzo al tomento bianco vedesi una macchia nera, che confina col margine deli’ eli¬ tra ina un poco protuberante, perchè è formata da fitti peli neri che sporgono più di quelli, che costituiscono il tomento bianco che la attornia. L addome nel disotto è tutto quanto nero, ma la sua porzione anteriore, che rimane fra le inserzioni delle due paja di zampe posteriori mostra qualche sfumatura di to¬ mento bianco ; gli anelli posteriori sono splendenti , e col- 1 occhio armato di lente li scorgi punteggiati ed aspersi di radi peluzzi di tomento, 1* ultimo poi finisce con una guernizione a frangia di peli castaneo-foschi. Gli anelli, che restano fra le gambe posteriori e 1’ ultimo di essi , ai lati DI DUE SPECIE DI COLEOTTERI MOSAMBICESI 549 hanno una macchietta bianca , di forma allungata colla punta all5 avanti che resta vicina al margine inferiore ed esterno delle elitre. Le zampe sono nere con qualche indizio di tomento bianco sui femori. La lente le scuopre punteggiate. Le tibie sono guernite di fìtti peli scuri nel disotto, frammisti a pochi bianchi nel disopra; li tarsi colla lente si scorgono rosso-fulvi nel disotto, e guerniti di peli cortissimi neri frammisti ad alcuni bianchi nel disopra; le unghiette so¬ no nere. Io ho collocato questa femmina negli Alaus , perchè sem¬ brami che meglio vi si adatti che ad altro genere , ma la scoperta del maschio sarebbe necessaria per convalidare se sia giusta questa mia collocazione, o per escluderla. Quest9 insetto è della rarità degli altri, ed io credo che sino ad ora non sia stato trasportato in Europa che l* in¬ dividuo descrittovi , il quale fu trovato dal Fornasini nella provincia di Inhambane lungo il fiume Magnarà. Qui metto fine alla mia narrazione, colla quale ho pre¬ teso di fare conoscere agli Entomologi le sopra descrittevi due specie di Elateridi , ed ai Botanici le piante della parte boschiva del ristretto bacino di Oropa, non che al¬ cune specie pregevolissime del Biellese, che discendono dalla lor stazione naturale, e che si sono stabilite in una loca¬ lità bassa e che a loro nou converrebbe se cause speciali non conciliassero a tali posizioni le caratteristiche di un clima subalpino. 550 ERRATA CORRIGE Pag. It? Ilo. 40 di acqua . «Tini » 164 » 33 ft«o della . nm alla a 167 a 7 eoaalio . ««malia a 169 » 38 mea che . che Imm Mem. Ser. 2. Tom. IV. &. Bertolom. Insect. mosamb Fig. 1. Fuji. mas Fig 2. tjz/^auó ^wn^ta'Uuà Fig. 3 m#4-4n4rtrtdu> Lorenzo Respighi. Sulle cause del Periodo Diurno del Barometro . » Lorenzo Della Casa. Sul Potere delle punte. Osser¬ vazioni ed esperienze ; con 1 Tao. . • • « Marco Paolini. Degli effetti di alcuni veleni sul mo¬ vimento dei muscoli , delle ciglia vibratili, e de¬ gli spermatozoidi . . Gio. Giuseppe Bianconi. Specimina Zoologica Mosam - bicana. Fasciculus XIV. con 3 Tav. . • • m Giuseppe Bertoloni. Descrizione di due specie dì Co¬ leotteri Mosambicesi , e della vegetazione del Ba¬ cino boschivo di Oropa ; con 1 Tav. -n 401 431 451 491 507 519 529